26 gennaio 2009

Intervento!

La mattina del 22 gennaio io e Roccio ci svegliamo alle 5.30. Prestino. Ma dobbiamo essere in ospedale alle 7.15 e la struttura si trova in centro. Quindi c'è da trovare parcheggio ed evitare la ZTL. A digiuno, entrambi, ancora sonnecchianti, ci mettiamo in macchina. Io ho una fifa boia, vorrei non sentire, vorrei un'anestesia totale, vorrei che fosse tutto già finito. Temo:
- di sentire male;
- di ottenere solo una grande cicatrice;
- di dover essere riaperta perché non trovano nulla.

Arriviamo e parcheggiamo nel parcheggio sotterraneo Valdo Fusi. Le raccomandazioni del medico erano scritte su un foglietto.
presentarsi a digiuno alle 7,15 in ospedale al primo piano
fare una cena leggera la sera prima (ho mangiato di tutto di più all'autogrill sull'autostrada, autogrill Turchino tra Genova e Alessandria)
portare il necessario per il ricovero: pigiama, asciugamano, ciabatte.
depilarsi accuratamente le ascelle.

Tutto fatto tranne la cena che alle 7 del mattino mi sento ancora sullo stomaco. L'ospedale è un edificio molto vecchio ma completamente ristrutturato all'interno. L'entrata sfoggia mille colori e sembra la hall di un buon albergo. Noi saliamo le scale ma è tutto buio, non c'è nessuno. Al primo piano sembra tutto morto, quasi dismesso. Saliamo ancora ma è ancora peggio, sembra tutto disabitato da tempo, e allo stesso tempo tutto nuovissimo. Come in fase di costruzione. Al secondo piano ci sono altre due donnine: proviamo a scendere di nuovo e scendono con noi. Entriamo nel reparto buio ne desolato e una signora ci viene incontro e ci dice di accomodarci: il reparto è ancora chiuso ma tra poco aprirà.
Sono le 6.40 circa.
Ci sono divani molto comodi colorati: alcuni arancioni e altri rossi. Io e Roccio ci sediamo e mi appoggio a lui e quasi dormo, finché accendono la luce. Le due signore arrivate con noi vanno all'accettazione e si registrano, dopo tocca a me. E infine ci danno la camera. Sono insieme alla signora passata prima di me, nella stessa stanza. Anche lei deve essere operata ed è con sua mamma. La signora che ci accompagna mi chiede se sono C.C. di zona Parella. Dico che sì abitavo lì.
Mi dice "Sei la compagna delle elementari di mio figlio!".
Scopro che suo figlio era un mio grande amico alle elementari, ed è stato anche mio compagno alle medie. Casinista come pochi altri, io, lui e E.M. eravamo sempre insieme.

Ricordo un aneddoto: facevamo forse le scuole medie e stavamo tornando a casa facendo un piccolo pezzo di tragitto insieme. Io allora come adesso ero una persona abbastanza sottomessa. Non rispondevo nè a offese nè a insulti. Così un ragazzotto ci raggiunse e cominciò a dirmi (prendere in giro i genitori dell'uno e dell'altro era un passatempo abituale a quei tempi) "Io so chi è tua madre, la vedo sempre affacciata al balcone. E' quella signora cicciona.." Non fece in tempo a finire che M.V., il mio amico, lo prese per il bavero della giacca, lo attaccò al muro e disse "Non devi mai più permetterti di dirlo".

Ne parlai qualche tempo fa anche a Roccio, si ricorda bene e infatti quando glielo racconto rimane stupito. Il mondo è davvero piccolo.

Mi lascia nella stanza con la mia compagna di intervento. Ci spogliamo e ci infiliamo le stupide camiciole aperte sulla schiena e allacciate alla meno peggio. Un'infermiera controlla se abbiamo le ascelle ben depilate e mi fanno togliere anche l'anello. Non vorrei proprio toglierlo.
Giro per i corridoi cercando il bagno e reggendomi un lembo della stoffa di dietro, pinzandomi i due lembi per chiudere lo spacco ed impedire al mio sedere di uscire prepotentemente finché un'infermiera mi chiude il buco con il cerotto.

Intanto Roccio entra in stanza, scherziamo e un po' la tensione passa. E infine eccola, la mamma di M.V che chiama suo figlio in diretta e me lo passa. Quanto tempo! Ma la voce non è cambiata, chissà che casinista è ancora. La mamma è impressionante, si ricorda nomi e cognomi dei nostri compagni che io faccio fatica a ricordare. Uno è stato beccato per spaccio di stupefacenti, uno si è sposato e ha avuto un bambino. Lo stesso M.V. ha un bimbo di 14 mesi che pare sia identico a lui. Promettiamo di ribeccarci su facebook.

Arrivano delle infermiere che portano delle gocce alla donnina accanto a me, forse calmanti? La portano via e lei è spaventatissima, si vede. Anche io lo sono. E ogni volta che qualche infermiera entra in stanza io sobbalzo. Toccherà anche a me! Ma speriamo si siano dimenticati!
Fuori c'è il sole che illumina il parco al di fuori dell'ospedale. Gli spruzzi della fontana che si trova al suo centro arrivano all'altezza delle finestre della nostra stanza. E' una così bella giornata: che peccato essere qui.
Meno male che c'è Roccio, come farei mai senza di lui?
E poi arrivano, mi danno le gocce di calmante, mi sdraio nel letto sotto le lenzuola. Portano via il letto con le rotelle (un po' letto un po' barella: il lettella. O il baretto.). Io sono pietrificata ma rido e scherzo con Roccio e rivivo in un attimo la stessa sensazione che ho già provato altre volte della sala operatoria. La vista dalla barella che viene portata via, in mezzo alle persone che ti guardano.
Roccio sale con me e prima di entrare in sala operatoria le infermiere fermano la barella e dicono "Ferma, ferma, un bacio!". E lasciano che ci baciamo per un secondo, il che rende tutto molto più drammatico. Non nel senso di triste. Nel senso di una donna che sta correndo per prendere un treno e poi prima che questo parta si gira verso il suo uomo e *pciuk* gli smolla un bacio veloce che vuol dire "ci si vede presto!". Le porte sbattono dietro il mio baretto. O lettella.

Mi mollano lì per un po', in una sala antistante alle vere sale operatorie, da sola. Sono ben coperta eppure tremo, e mi rendo conto di essere molto agitata. Ho già chiesto alle infermiere di colpirmi forte per farmi perdere conoscienza ma hanno pensato scherzassi.
La mamma di M.V prima che io scendessi ha cercato di tranquillizzarmi dicendomi che sarò sveglia, non sentirò nulla, non vedrò nulla e potrò parlare con i dottori. Che queste cose le fanno tutti i giorni. Ma io no, io non voglio essere sveglia e almeno vorrei vedere. Non voglio parlare con i dottori, voglio un'anestesia totale!
Sono lì sul lettino e tremo senza avere freddo. Allora mi concentro e razionalizzo. Di cosa ho paura? Mmm questo lo so. Però forse se respiro profondamente e faccio finta di essere in un altro posto. Forse forse. Se capisco di essere al sicuro finché sono parcheggiata qui... E mi calmo.
Arriva un camice verde (capiròò in seguito che si tratta dell'anestesista). Mi dice "ehilà, come va? ci vediamo dopo". E sparisce dietro un angolo con una vecchiettina che vuole un consulto.
Rimango ancora lì sola mentre ascolto le loro conversazioni. Arriva un'altra persona che mi controlla i calzini e chiede se sono di cotone "penso di sì". Alza le spallucce.
Arriva il chirurgo (che scoprirò essere molto apprezzato tra le donnine del reparto) e mi chiede come va, dico che voglio una botta in testa. "Posso darti altro tranquillante, si tratta solo di un buchino"
"Posso avere un'anestesia anche per il buchino?"
Ride. Non mi prendono sul serio!
Mi spostano sulla barella chirurgica, è più stretta e presenta due braccioli laterali regolabili che ti permettono di stare comodamente crocefissa pur rimanendo sdraiata. Mi mettono la cuffietta verde e le babbucce di plastica blu. Mi aiutano a togliermi il camiciottolo, mi coprono e mi spingono in sala operatoria. Mi sento come rapita dagli alieni, c'è un odore strano e i dottori litigano simpaticamente per qualcosa. Mi guardo in giro e mi mettono addosso una coperta riscaldante di colore rosa. In un attimo sto benissimo. Vorrei avere una coperta simile a casa. Mi stringono una specie di fascia sulla caviglia sinistra. L'infermiera dice che serve per misurarmi la pressione. E difatti si gonfia ogni tot secondi. Mi pinzano il dito indice della mano destra, per misurare il battito cardiaco poggiandomi il braccio destro sul rispettivo bracciolo.
L'infermiera dice "e ora cerchiamo una vena".
Ecco, lo sapevo. Non immaginavo avessero bisogno di una vena, non ne ho disponibili al momento. Porgo il mio braccio sinistro sul rispettivo bracciolo. Guarda guarda e ovviamente nulla. "Non hai vene!".
Guarda la mano.
"C'è solo questa, mi serve un ago rosa". Nonostante il colore carino, l'ago non è piccolo, anzi.
Ma fa nulla. Mi attacca alla flebo e penso che tra poco sarà tutto finito.
Arrivano i chirurghi.
Le infermiere versano betadine rosso sul mio seno destro. Cola ovunque ed è freddo, mi lascerà orribili macchie gialle un po' ovunque.

Un'altra infermiera prepara una siringa con del liquido rosa pesca. "Cos'è?"
"Un sedativo, per farti stare più tranquilla"

Mi coprono con un telo verde e sento punzecchiare il seno. Chiudo gli occhi.

"Finito"
Mi tolgono il telo e apro gli occhi.
"Ho dormito tutto il tempo?"
"Sì"
"Avete trovato? Avete tolto tutto?"
"Certo"
"Ma quanto è durato?"
"Un'ora"

Fantastico, non ho sentito nulla, mi hanno sedata, ho dormito!
Il mio ideale di intervento.

Mi rimettono sulla barella e Roccio è fuori che mi aspetta, gli dico di quanto è stato incredibile, non mi fa nemmeno tanto male, ho dormito tutto il tempo.

Fino alle 15 rimaniamo in reparto, ci portano del thè, anche la signora operata prima di me è rimasta sbalordita. I punti non tirano molto, sono stati parecchio bravi. Ci hanno messo punti riassorbibili che non sarà necessario togliere.
Alla nostra dimissione purtroppo la signora che stava con me è svenuta un paio di volte ed è rimasta in osservazione in ospedale per la notte.

Ci hanno dato gli antibiotici da prendere e l'appuntamento per il giorno dopo per la medicazione.
Ho potuto constatare che la ferita si è quasi riemarginata, non c'è nemmeno un goccio di sangue. E' un taglio orizzontale che parte dalla zona dello sterno e arriva fino quasi al capezzolo, lungo 5-6 cm. Sto cercando informazioni su come medicare questa cicatrice, una volta asciutta, affinché si veda il meno possibile.
Si accettano consigli.

Cose che temevo:
- di sentire male, non ho sentito NULLA;
- di ottenere solo una grande cicatrice, su questo ci lavoreremo;
- di dover essere riaperta perché non trovano nulla, hanno trovato tutto.

Roccio ha davvero molta pazienza, faccio sempre troppo rumore per nulla. Però è bello sapere che è lì con me, che mi aspetta, fuori dalla sala operatoria. Che c'è sempre, con me, per me, per noi.
Ti Amo, Roccio. Davvero tanto.

Canzone del giorno: I wanna be sedated Ramones

20 gennaio 2009

Veloce veloce

Il 13 ho fatto la visita dall'anestesista, tutto bene, solo formalità. Ma mi hanno dovuto rifare il prelievo perché il sangue era coagulato durante il primo prelievo e quindi mi sono sorbita altri due buchi. Una cilecca e un tiro buono.

Oggi mi hanno chiamata e hanno fissato l'intervento per giovedì 22: lo so che è una cazzata in anestesia locale e blablabla. Ma io mi caco addosso ogni volta che entro in un ospedale fosse solo per una visita, figurarsi per un taglio. Al seno poi. Biopsia poi!

E io che speravo avessero cambiato idea!

11 gennaio 2009

Lorenzo, Christian o...?

Oggi pomeriggio c'è stato il battesimo di nostro nipote. Le riunioni tra parenti sono sempre terribili, già dopo 10 minuti dal loro arrivo da Milano sono partiti i litigi.
Comunque io e mio zio ce ne siamo altamente sbattuti e ci siamo seduti a guardare la tv aspettando che loro terminassero le discussioni. In chiesa il prete non si ricordava il nome del pupo, e noi dovevamo sempre ripeterglielo. E a cena ho mangiato come un'otre e ora sono in fase ultradigestiva che non terminerà a meno di non usare l'idraulico liquido. Colpa della donnina che serviva. Forse era un po' sorda o non voleva sentire quando gli dicevo "basta così, grazie", perché continuava a dire "ancora un po', ancora un ultimo cucchiaio" e mi riempiva il piatto di ogni cosa.
Mia sorella in compenso aveva un bel cappotto che ha preso a un prezzo stracciato e penso lo prenderò anch'io.

P.s. il padre di mio cognato, siciliano da generazioni, ha come suoneria del cellulare la musica de "il padrino". Grandioso.

09 gennaio 2009

Torinosottoneve



Purtroppo slide.com ha inserito questo orrendo "spot" e ce lo becchiamo.

08 gennaio 2009

Esercizi di rilassamento

Gli allarmismi del telegiornali erano esagerati: le autostrade erano libere. Un po' di nevischio, sì, ma nulla di così tragico. In fondo è inverno. Per anni ricordo questi Natali con la neve, ricordo neve a febbraio, una volta persino ad Aprile. L'importante come al solito, è andare piano. Piano con l'acqua, piano con la neve, piano sempre. Anche se c'è il sole. Che fretta c'è?
Torino ci sorprende, ci sono almeno 20 cm di neve e camminare è difficoltoso. Camminare, guidare, fare qualsiasi cosa. La sera del 6 infatti andiamo a letto presto perché ci sarà la visita l'indomani mattina. Muoversi con la macchina sarà impossibile e decidiamo di andare con i mezzi, per fare questo dobbiamo uscire di casa alle 7 del mattino.Prestino, direi.
L'indomani mattina prendiamo il primo bus senza troppi problemi. Ma il secondo bus, a metà strada si ferma. Pensiamo sia colpa della neve (in effetti oltre alla neve per le strade continua a nevicare) ma scendendo dall'autobus ci rendiamo conto che il bus non si muove perché è bloccato dalla coda di bus fermi che lo precedono. Ci tocca andare in centro a piedi e sperare che passi un altro bus. Camminiamo e ridiamo perché in fondo per noi è una cosa divertente ma per gli altri è uno scazzo terribile. E' un giorno lavorativo e sono tutti bloccati.
Arrivati alla stazione di Torino Porta Nuova prendiamo un altro bus che sembra riuscire a partire e arriviamo in ospedale quasi in orario. Miracolo.

L'ospedale Molinette è un labirinto. Per arrivare al reparto ci tocca chiedere, corridoio a sinistra, primo corridoio a destra, prime scale a destra, secondo piano.
Reparto di chirurgia oncologica.
In sala d'attesa ci sono tre donnine con i rispettivi compagni/mariti: noi abbiamo solo molto sonno. Mi registro in segreteria e mi fanno firmare un foglio dove posso, se voglio, dare il consenso perché il personale medico avvisi la mia famiglia della patologia di cui soffro. Nego il consenso.
Voglio essere informata di ogni cosa e voglio sentirmi libera di poter informare chi mi pare.
In sala d'attesa io e Roccio leggiamo insieme qualche Topolino, finché non chiamano il mio numero.
L'infermiera sembra uscita da qualche film. Mi fa accomodare in una stanza troppo grossa per un semplice prelievo e intanto la osservo. Ha le labbra gonfie, sembra quasi una reazione allergica o forse si è soltanto rifatta molto male. Cerca a vuoto le mie vene inesistenti e ad ogni tastata sporca di la pelle dell'incavo del mio braccio con i brillantini che le cascano dallo smalto che possiede. Mi toglie il laccio emostatico e prova sull'altro braccio. Schiaffeggia ma non trova nulla. "Non hai proprio vene" mi dice. Lo so, penso solo ma non lo dico. Dico solo che ho sempre avuto problemi. Toglie il laccio per rimettermelo al primo braccio. Guarda mani polsi e scandaglia con attenzione ogni posto bucabile. Si concentra su un punto nell'incavo del gomito, dice che dovrà andare alla cieca perché non sente bene. Disinfetta e continua a tastare lasciando brillantini ovunque. Buca. Nulla. La vena sembra non refluire. L'infermiera sbuffa.
Gioca con la butterfly e alla fine eccolo. Scuro e denso. Goccia a goccia fuori.
Ogni volta che l'infermiera cambia boccettina l'ago si sposta e la vena non refluisce più e ogni volta deve di nuovo giocare con l'ago.
Una cosa che ho imparato negli anni è a che nessuno piace che gli venga detto come fare il suo lavoro. Soprattutto alle infermiere.
Quando ero più piccina e la vena sembrava stesse per cedere, un'infermiera trovò l'idea geniale di slacciare un attimo il laccio emostatico, lasciare respirare un po' il braccio e poi rimetterlo. Quando provai a consigliarlo in seguito nessuno mi diede mai retta e allora smisi di dare consigli sulle mie vene. All'inizio sapevo benissimo quali vene funzionavano "questa no, sembra grossa ma finisce subito, quella del polso è la migliore ma fa molto male, sul braccio no, non provi nemmeno a cercare". Così, col braccio ormai privo di sensi e semimorto, aspetto che finisca il balletto. Boccettina di sangue via, nuova boccettina, gioco con l'ago.
Mi toglie l'ago e mi dice di andare via ora mi spiegherà tutto.
Devo fare altre visite, mi dice: ECG, radiografie e alla fine, alle 14.30, il posizionamento del repere con mammografia inclusa.
Devo anche reperire la mia precedente mammografia fatta il 3 dicembre e portarla a loro. Servirà per la biopsia. Mi hanno anche prenotato la visita dall'anestesista il 13 gennaio. Il che vuol dire che da qui alla biopsia il passo è breve.
Corriamo a fare l'ECG. Il segretario che ci accoglie è parecchio scazzato, scoppia in una polemica con una paziente sui tempi d'attesa delle prenotazioni delle visita all'ospedale. Ma non esistono nè vinti nè vincitori. La signora doveva fare una mammografia urgente e l'ospedale poteva prenotargliela solo tra un anno, quindi lei è stata costretta ad andare a pagamento. Lui diceva che i tagli agli ospedali erano terribili, che molti medici erano andati via e non erano stati rimpiazzati, che molto altri presto sarebbero andati in pensione e non sarebbero stati rimpiazzati. Entrambi avevano ragione.
Mi chiamano per fare l'ECG. Tra tutti è l'esame che preferisco. Stai sdraiato e quasi puoi dormire. Non è doloroso e non è rumoroso. Non è nemmeno fastidioso e non è claustrofobico come la TAC.
Dopo questa andiamo a fare colazione. Entrambi siamo a digiuno e io ho bisogno estremo di zuccheri. Poi di corsa a fare la radiografia.
Sbagliamo reparto un paio di volte, alla fine chiediamo indicazioni e ci dicono di scendere sottosuolo, dove eravamo già stati. Tra un cartello e un altro troviamo una scritta a pennarello su un foglio di carta "Radiografia Dott. Ri**i"
Ah ecco dov'era. Il reparto sembra nuovissimo, appena fatto. Pareti appena ridipinte, seggiole nuove. Anche qui ci chiamano quasi subito. Mi chiedono di spogliarmi a torso nudo e di entrare nella stanza. Mi chiede se sono incinta. No, dico. Sicura? Sicura.
Mi mette comunque la protezione in piombo sull'utero. Meglio, penso.
Hai già fatto altre radiografie al torace? Sì, tante. Le hai con te? Pensavo che sono molti anni che non ne faccio più ma prima erano la routine dei miei esami. Esami del sangue e radiografie, per anni, di continuo. Prima ogni due settimane, poi ogni mese, poi ogni tre mesi, poi ogni sei e infine ogni anno. Prima di passare a quest'altro ospedale.
No, dico, non le ho.
Mi fa abbracciare il piano e posiziona dietro di me la macchina radiografica. Esce dalla stanza. Mi sono sempre chiesta se il personale, solo a distanza di corte pareti, fosse al riparo da tutte quelle radiazioni. "Faccia un respiro lungo e tenga il fiato"
Forse no, forse hanno scelto proprio il lavoro sbagliato. Io potessi starei ben lontana da questa roba.
Da che parte le hanno trovato le microcalcificazioni?
A sinistra, dico.
No a destra. Le imbroglio sempre, sbaglio di continuo.
Mi fa girare su un fianco e ripete.
"Trattenga il fiato".


Sono ormai le 12 e io e Roccio andiamo al bar dell'ospedale a pranzare. Due pezzi di pizza e farinata e giro al negozio dell'ospedale. Dentro le molinette c'è un bar, un negozio/edicola che vende un po' di tutto e un parrucchiere. Potrei approfittarne per farmi i capelli dato che da Jean Louis David sono scappata perché voleva a tutti costi farmi la ripigmentazione del capello a ben 30 euro in più mentre io volevo una semplice tinta. Mi ha detto che non potevo scegliere, era la procedura. Allora mi sono alzata e me ne sono andata.

Lascio stare i pensieri di tinte e capelli, è molto presto ma andiamo lo stesso a registrarci per il posizionamento del repere, magari ci fanno passare prima. Infatti passano appena 10 minuti e mi chiamano. ho un po' paura perché non so cos'è e come si fa. In genere mi informo prima di qualsiasi esame nuovo, voglio sapere voglio vedere, voglio conoscere. Stavolta non ho fatto in tempo.
Mi fanno entrare in un piccolo stanzino, c'è lo stesso ragazzotto che mi aveva fatto la mammografia e l'ecografia la prima volta. Sa già che ho il seno molto piccolo ed è un caso disperato farmi la mammografia. Mi dicono che devo stendermi a faccia in giù su un tavolo e che devo togliermi scarpe e lasciare il torace nudo. E togliermi anche gli occhiali.
Mi metto sul lettino e infilo la testa in un foro del diametro di circa 30 cm. No, mi dicono, lì deve mettere il seno. Chiedo se farà male. Fanno un attimo di silenzio e la più giovane, forse tirocinante, mi dice "No, signora".
Mi sposto un po' più su e sento che armeggiano in due per posizionarmi al meglio per la mammografia, mentre alzano il lettino.
Armeggiano un bel po' e fanno diverse prove ma proprio non vedono le microcalcificazioni. Dopo quasi 10 tentativi decidono di farmi infilare il braccio nel buco e farmelo appoggiare su una sedia messa sotto al tavolo giusto per non lasciarmelo a penzoloni.
Continuano ad armeggiare. Mi sembrano dei macellai che devono scegliere il taglio giusto per la carne. Armeggiano e spostano l'apparecchio per la mammografia, fino a che dicono "Eccole lì, prepara il carbone".
In tutto questo io rimango immobile, col seno schiacciato dall'apparecchio mammografico in attesa. In ansia perché non posso vedere con cosa stanno armeggiando. Sento il fresco di un liquido passato sulla pelle. Forse disinfettante. "Sentirà un pizzichino". Sento l'ago che entra nella pelle e nella carne e non posso vederlo.
Di tutte le cose che più mi danno fastidio quella di non poter guardare ciò che mi fanno è la cosa peggiore. Sopporterei meglio ogni cosa se potessi guardare.
Sento bruciore di un corpo estraneo appuntito dentro al seno, mentre è schiacciato ancora dall'apparecchio mammografico.
Mi dicono "Non si muova che c'è l'ago".
Escono dalla stanza per fare una nuova mammografia e tornano per vedere se l'ago è nella corretta posizione. E dalle loro parole sembra di sì.
La ragazza giovane scuote una boccetta con del liquido scuro, dev'essere il carbone vegetale che verrà assorbito dai tessuti e aiuterà il chirurgo a trovare le microcalcificazioni.
Continua a scuotere mentre ho sempre l'ago appeso e i medici mi escono dalla stanza per fare altre mammografie.
La dottoressa bionda dice alla giovane bruna "Ma quanto ne hai diluito?"
"5 cc"
"No è troppo, così non va bene" e si incazza "Io posso anche metterglielo ma non so se funziona, va bhe glielo metto ma così non va".
Aggangia la siringa senza ago all'ago che ho appeso al seno e sento un gran bruciore. Il liquido che entra.
La bionda dice "preparane un altro". Escono dalla stanza tutti e io rimango sembre immobile, con il braccio nel buco appoggiato alla sedia, il seno infilzato e compresso dalla macchina per la mammografia.
Tornano con una nuova boccettina, questa volta spero diluita correttamente.
La dottoressa bionda si rimette in posizione, sotto il lettino alla mia sinistra e mi toglie l'ago dal seno e poi sbotta "No, cos'ho fatto". Credo lo abbia gettato per errore.
Prende un altro ago e lo reinfila. Male. E inietta ancora. Brucia. Toglie l'ago.
La dottoressa giovane e bruna mi dice che mi posso girare di schiena. Mi esce un po' di sangue dal seno e lei lo tampona con una garza. Mi chiede se ha fatto male. Un po', dico. Torna il ragazzotto della mammografia e mi medica, mi mette un cerottone che dice posso togliere l'indomani. Mi fanno rivestire e torno da Roccio.

Ora fino a martedì voglio dimenticarmi di ospedali e simili. E grazie a chi si preoccupa, ma credo e spero sia solo una routine ospedaliera. Una noia mortale. Un po' di dolore. E poi tornerò a scrivere solo cazzate.

Però era proprio bella tutta quella neve.

02 gennaio 2009

Buon Anno!

Credo di non ricordare esattamente tutto quello che è successo la notte di capodanno. Mi ricordo che mi sono divertita molto, mi ricordo di aver bevuto. Ma ho dovuto farmi aiutare da Roccio per una ricostruzione della serata.
La prima cosa che ho chiesto è stata "Ho fatto qualcosa di sconveniente?" seguita da "Mica ho fatto pipì in mezzo alla strada davanti a tutti?" (una volta mi è capitato).
Ho osato con il trucco, usando ciglia finte e ombretto scuro.
Però sono stata bene.
Il giorno dopo no, un po' da schifo. Ma a capodanno tutto va bene.