08 gennaio 2009

Esercizi di rilassamento

Gli allarmismi del telegiornali erano esagerati: le autostrade erano libere. Un po' di nevischio, sì, ma nulla di così tragico. In fondo è inverno. Per anni ricordo questi Natali con la neve, ricordo neve a febbraio, una volta persino ad Aprile. L'importante come al solito, è andare piano. Piano con l'acqua, piano con la neve, piano sempre. Anche se c'è il sole. Che fretta c'è?
Torino ci sorprende, ci sono almeno 20 cm di neve e camminare è difficoltoso. Camminare, guidare, fare qualsiasi cosa. La sera del 6 infatti andiamo a letto presto perché ci sarà la visita l'indomani mattina. Muoversi con la macchina sarà impossibile e decidiamo di andare con i mezzi, per fare questo dobbiamo uscire di casa alle 7 del mattino.Prestino, direi.
L'indomani mattina prendiamo il primo bus senza troppi problemi. Ma il secondo bus, a metà strada si ferma. Pensiamo sia colpa della neve (in effetti oltre alla neve per le strade continua a nevicare) ma scendendo dall'autobus ci rendiamo conto che il bus non si muove perché è bloccato dalla coda di bus fermi che lo precedono. Ci tocca andare in centro a piedi e sperare che passi un altro bus. Camminiamo e ridiamo perché in fondo per noi è una cosa divertente ma per gli altri è uno scazzo terribile. E' un giorno lavorativo e sono tutti bloccati.
Arrivati alla stazione di Torino Porta Nuova prendiamo un altro bus che sembra riuscire a partire e arriviamo in ospedale quasi in orario. Miracolo.

L'ospedale Molinette è un labirinto. Per arrivare al reparto ci tocca chiedere, corridoio a sinistra, primo corridoio a destra, prime scale a destra, secondo piano.
Reparto di chirurgia oncologica.
In sala d'attesa ci sono tre donnine con i rispettivi compagni/mariti: noi abbiamo solo molto sonno. Mi registro in segreteria e mi fanno firmare un foglio dove posso, se voglio, dare il consenso perché il personale medico avvisi la mia famiglia della patologia di cui soffro. Nego il consenso.
Voglio essere informata di ogni cosa e voglio sentirmi libera di poter informare chi mi pare.
In sala d'attesa io e Roccio leggiamo insieme qualche Topolino, finché non chiamano il mio numero.
L'infermiera sembra uscita da qualche film. Mi fa accomodare in una stanza troppo grossa per un semplice prelievo e intanto la osservo. Ha le labbra gonfie, sembra quasi una reazione allergica o forse si è soltanto rifatta molto male. Cerca a vuoto le mie vene inesistenti e ad ogni tastata sporca di la pelle dell'incavo del mio braccio con i brillantini che le cascano dallo smalto che possiede. Mi toglie il laccio emostatico e prova sull'altro braccio. Schiaffeggia ma non trova nulla. "Non hai proprio vene" mi dice. Lo so, penso solo ma non lo dico. Dico solo che ho sempre avuto problemi. Toglie il laccio per rimettermelo al primo braccio. Guarda mani polsi e scandaglia con attenzione ogni posto bucabile. Si concentra su un punto nell'incavo del gomito, dice che dovrà andare alla cieca perché non sente bene. Disinfetta e continua a tastare lasciando brillantini ovunque. Buca. Nulla. La vena sembra non refluire. L'infermiera sbuffa.
Gioca con la butterfly e alla fine eccolo. Scuro e denso. Goccia a goccia fuori.
Ogni volta che l'infermiera cambia boccettina l'ago si sposta e la vena non refluisce più e ogni volta deve di nuovo giocare con l'ago.
Una cosa che ho imparato negli anni è a che nessuno piace che gli venga detto come fare il suo lavoro. Soprattutto alle infermiere.
Quando ero più piccina e la vena sembrava stesse per cedere, un'infermiera trovò l'idea geniale di slacciare un attimo il laccio emostatico, lasciare respirare un po' il braccio e poi rimetterlo. Quando provai a consigliarlo in seguito nessuno mi diede mai retta e allora smisi di dare consigli sulle mie vene. All'inizio sapevo benissimo quali vene funzionavano "questa no, sembra grossa ma finisce subito, quella del polso è la migliore ma fa molto male, sul braccio no, non provi nemmeno a cercare". Così, col braccio ormai privo di sensi e semimorto, aspetto che finisca il balletto. Boccettina di sangue via, nuova boccettina, gioco con l'ago.
Mi toglie l'ago e mi dice di andare via ora mi spiegherà tutto.
Devo fare altre visite, mi dice: ECG, radiografie e alla fine, alle 14.30, il posizionamento del repere con mammografia inclusa.
Devo anche reperire la mia precedente mammografia fatta il 3 dicembre e portarla a loro. Servirà per la biopsia. Mi hanno anche prenotato la visita dall'anestesista il 13 gennaio. Il che vuol dire che da qui alla biopsia il passo è breve.
Corriamo a fare l'ECG. Il segretario che ci accoglie è parecchio scazzato, scoppia in una polemica con una paziente sui tempi d'attesa delle prenotazioni delle visita all'ospedale. Ma non esistono nè vinti nè vincitori. La signora doveva fare una mammografia urgente e l'ospedale poteva prenotargliela solo tra un anno, quindi lei è stata costretta ad andare a pagamento. Lui diceva che i tagli agli ospedali erano terribili, che molti medici erano andati via e non erano stati rimpiazzati, che molto altri presto sarebbero andati in pensione e non sarebbero stati rimpiazzati. Entrambi avevano ragione.
Mi chiamano per fare l'ECG. Tra tutti è l'esame che preferisco. Stai sdraiato e quasi puoi dormire. Non è doloroso e non è rumoroso. Non è nemmeno fastidioso e non è claustrofobico come la TAC.
Dopo questa andiamo a fare colazione. Entrambi siamo a digiuno e io ho bisogno estremo di zuccheri. Poi di corsa a fare la radiografia.
Sbagliamo reparto un paio di volte, alla fine chiediamo indicazioni e ci dicono di scendere sottosuolo, dove eravamo già stati. Tra un cartello e un altro troviamo una scritta a pennarello su un foglio di carta "Radiografia Dott. Ri**i"
Ah ecco dov'era. Il reparto sembra nuovissimo, appena fatto. Pareti appena ridipinte, seggiole nuove. Anche qui ci chiamano quasi subito. Mi chiedono di spogliarmi a torso nudo e di entrare nella stanza. Mi chiede se sono incinta. No, dico. Sicura? Sicura.
Mi mette comunque la protezione in piombo sull'utero. Meglio, penso.
Hai già fatto altre radiografie al torace? Sì, tante. Le hai con te? Pensavo che sono molti anni che non ne faccio più ma prima erano la routine dei miei esami. Esami del sangue e radiografie, per anni, di continuo. Prima ogni due settimane, poi ogni mese, poi ogni tre mesi, poi ogni sei e infine ogni anno. Prima di passare a quest'altro ospedale.
No, dico, non le ho.
Mi fa abbracciare il piano e posiziona dietro di me la macchina radiografica. Esce dalla stanza. Mi sono sempre chiesta se il personale, solo a distanza di corte pareti, fosse al riparo da tutte quelle radiazioni. "Faccia un respiro lungo e tenga il fiato"
Forse no, forse hanno scelto proprio il lavoro sbagliato. Io potessi starei ben lontana da questa roba.
Da che parte le hanno trovato le microcalcificazioni?
A sinistra, dico.
No a destra. Le imbroglio sempre, sbaglio di continuo.
Mi fa girare su un fianco e ripete.
"Trattenga il fiato".


Sono ormai le 12 e io e Roccio andiamo al bar dell'ospedale a pranzare. Due pezzi di pizza e farinata e giro al negozio dell'ospedale. Dentro le molinette c'è un bar, un negozio/edicola che vende un po' di tutto e un parrucchiere. Potrei approfittarne per farmi i capelli dato che da Jean Louis David sono scappata perché voleva a tutti costi farmi la ripigmentazione del capello a ben 30 euro in più mentre io volevo una semplice tinta. Mi ha detto che non potevo scegliere, era la procedura. Allora mi sono alzata e me ne sono andata.

Lascio stare i pensieri di tinte e capelli, è molto presto ma andiamo lo stesso a registrarci per il posizionamento del repere, magari ci fanno passare prima. Infatti passano appena 10 minuti e mi chiamano. ho un po' paura perché non so cos'è e come si fa. In genere mi informo prima di qualsiasi esame nuovo, voglio sapere voglio vedere, voglio conoscere. Stavolta non ho fatto in tempo.
Mi fanno entrare in un piccolo stanzino, c'è lo stesso ragazzotto che mi aveva fatto la mammografia e l'ecografia la prima volta. Sa già che ho il seno molto piccolo ed è un caso disperato farmi la mammografia. Mi dicono che devo stendermi a faccia in giù su un tavolo e che devo togliermi scarpe e lasciare il torace nudo. E togliermi anche gli occhiali.
Mi metto sul lettino e infilo la testa in un foro del diametro di circa 30 cm. No, mi dicono, lì deve mettere il seno. Chiedo se farà male. Fanno un attimo di silenzio e la più giovane, forse tirocinante, mi dice "No, signora".
Mi sposto un po' più su e sento che armeggiano in due per posizionarmi al meglio per la mammografia, mentre alzano il lettino.
Armeggiano un bel po' e fanno diverse prove ma proprio non vedono le microcalcificazioni. Dopo quasi 10 tentativi decidono di farmi infilare il braccio nel buco e farmelo appoggiare su una sedia messa sotto al tavolo giusto per non lasciarmelo a penzoloni.
Continuano ad armeggiare. Mi sembrano dei macellai che devono scegliere il taglio giusto per la carne. Armeggiano e spostano l'apparecchio per la mammografia, fino a che dicono "Eccole lì, prepara il carbone".
In tutto questo io rimango immobile, col seno schiacciato dall'apparecchio mammografico in attesa. In ansia perché non posso vedere con cosa stanno armeggiando. Sento il fresco di un liquido passato sulla pelle. Forse disinfettante. "Sentirà un pizzichino". Sento l'ago che entra nella pelle e nella carne e non posso vederlo.
Di tutte le cose che più mi danno fastidio quella di non poter guardare ciò che mi fanno è la cosa peggiore. Sopporterei meglio ogni cosa se potessi guardare.
Sento bruciore di un corpo estraneo appuntito dentro al seno, mentre è schiacciato ancora dall'apparecchio mammografico.
Mi dicono "Non si muova che c'è l'ago".
Escono dalla stanza per fare una nuova mammografia e tornano per vedere se l'ago è nella corretta posizione. E dalle loro parole sembra di sì.
La ragazza giovane scuote una boccetta con del liquido scuro, dev'essere il carbone vegetale che verrà assorbito dai tessuti e aiuterà il chirurgo a trovare le microcalcificazioni.
Continua a scuotere mentre ho sempre l'ago appeso e i medici mi escono dalla stanza per fare altre mammografie.
La dottoressa bionda dice alla giovane bruna "Ma quanto ne hai diluito?"
"5 cc"
"No è troppo, così non va bene" e si incazza "Io posso anche metterglielo ma non so se funziona, va bhe glielo metto ma così non va".
Aggangia la siringa senza ago all'ago che ho appeso al seno e sento un gran bruciore. Il liquido che entra.
La bionda dice "preparane un altro". Escono dalla stanza tutti e io rimango sembre immobile, con il braccio nel buco appoggiato alla sedia, il seno infilzato e compresso dalla macchina per la mammografia.
Tornano con una nuova boccettina, questa volta spero diluita correttamente.
La dottoressa bionda si rimette in posizione, sotto il lettino alla mia sinistra e mi toglie l'ago dal seno e poi sbotta "No, cos'ho fatto". Credo lo abbia gettato per errore.
Prende un altro ago e lo reinfila. Male. E inietta ancora. Brucia. Toglie l'ago.
La dottoressa giovane e bruna mi dice che mi posso girare di schiena. Mi esce un po' di sangue dal seno e lei lo tampona con una garza. Mi chiede se ha fatto male. Un po', dico. Torna il ragazzotto della mammografia e mi medica, mi mette un cerottone che dice posso togliere l'indomani. Mi fanno rivestire e torno da Roccio.

Ora fino a martedì voglio dimenticarmi di ospedali e simili. E grazie a chi si preoccupa, ma credo e spero sia solo una routine ospedaliera. Una noia mortale. Un po' di dolore. E poi tornerò a scrivere solo cazzate.

Però era proprio bella tutta quella neve.

12 commenti:

Zion ha detto...

certo che medici e infermiere sono tutti un po' bestie :-/
che male!!!

Zion

Anonimo ha detto...

Buon anno in ritardissimo e un abbraccio in attesa delle cazzate..
Badguy

Anonimo ha detto...

p.s. hai mai letto marcovaldo? la storia della neve è bellssima! se puoi leggila!
badguy

Carla ha detto...

Zion: sì un po' sì, ma anche io soffro tanto il dolore. Magari un'altra persona non avrebbe sentito nulla!! Eheh mannaggia a me
BadGuy, auguri! Adoro leggere e adoro Calvino ma questa mi manca. Lo leggerò sicuramente!!! Un abbraccio!

Anonimo ha detto...

Se vuoi è quì: "La città smarrita nella neve"
http://www.scribd.com/doc/6499275/eBook-Ita-Narr-Calvino-Italo-Marcovaldo

Ma secondo me vale la pena leggere il libro, è il mio preferito di Calvino!
Badguy

Carla ha detto...

Grazie per il link! Ma preferisco prendere il libro e godermi tutti i racconti!
Adesso metto su qualche foto di Torinosottoneve!

P.s. abbiamo incontrato S.Agata all'ipercoop! Così ho conosciuto anche lui e la sua ragazza!

Anonimo ha detto...

Me l'ha detto ma perchè non venite a suonare con noi una domenica sera?
Dai! Ci divertiamo sicuramente!
Badguy

Carla ha detto...

BadGuy abbiamo preso il libro e ho letto i primi racconti tra cui quello che mi hai consigliato. Eheh Torino è proprio così, davvero. Oggi sembra ancora come l'abbiamo lasciata qualche giorno fa, sepolta da un soffice manto nevoso, solo che ora non è soffice, è solo un'impressione. In realtà è tutto ghiacciato, siamo sotto 0, fa un freddo boia, ma chissà se la città sepolta dalla neve è sempre Torino o magari, nel frattempo, l'hanno cambiata.
Verremo sicuramente, solo che io non so suonare, pinzo a caso delle corde. Va bene uguale?

Anonimo ha detto...

Certo, è quello che facciamo tutti!
Badguy

Carla ha detto...

Ottimo allora!

Che meravglia il racconto del bosco sull'autostrada e quello dell'aria buona. Il secondo è palesemente ambientato a Torino e gli scalini che salgono sono quelli che partono da piazza Gran Madre e arrivano su su alla collina da dove si vede tutta la città. Il tram preso è sicuramente il 13, che fa capolinea proprio in quella piazza ed è una delle prime linee di tram che ha viaggiato su Torino.

Proprio carino questo libro!

Anonimo ha detto...

Si, in effetti avevo sentito dire che probabilmente era ambientato in una simil-Torino, ma il mio preferito è quello della nebbia (non ricordo il titolo) e io l'ho sempre immaginato nella mia Ferrara!
Sono contento ti piaccia. A presto allora!
Badguy

Carla ha detto...

Molto molto bellino quello della nebbia!!!