29 ottobre 2009

Impasse

Stanotte ho sognato la mia scuola superiore. Ci sono diverse ragioni per cui l’ho sognata.
Negli ultimi anni la l’istituto “Albe Steiner” di Torino è diventato tristemente famoso per episodi di bullismo verso ragazzi disabili e in generale. L’ultima notizia parlava addirittura di marchiature a fuoco fatte su alcuni studenti.
Devo dire che quando ci andavo io non è mai capitato nulla di così grave. La scuola era bella, colorata, graffitata anche all’interno ed era piena di “alternativi” di ogni genere. Punk con la cresta colorata, metallari bordati di borchie, dark pallidissimi con aria malinconica, rapponi con pantaloni larghi e cavallo bassissimo (ma ancora nessuno a mutande di fuori), modelli fighetti tiratissimi. Non c’erano mai scontri tra le varie fazioni, ognuno trattava con superiore indifferenza i membri degli altri gruppi. Molto spesso non esistevano limiti così invalicabili e il metallaro volentieri girava col punk, a volte il punk col rappone. Mi sembrava che solo i fighetti snobbassero un po’ tutti gli altri, ma forse sono (ero) prevenuta.
L’ho sognata anche perché mi ricordavo della regola d’oro del grafico pubblicitario che il nostro prof ci ripeteva con assoluta fermezza, ovvero per quanto possiamo creare cose bellissime e incredibili, la scelta finale spetta sempre al cliente che, generalmente, non ha un gusto estetico particolarmente raffinato.
Quindi, ci diceva, rassegnatevi a fare biglietti da visita bianchi con il disegno di un bullone o un martello a seconda del cliente. Questo l’ho potuto appurare quando ho lavorato come grafica. Preparavo 2 - 3 bozzetti di cui uno stupendo (che a me piaceva un monte) uno così così e uno davvero orripilante, con tutte le cose che avrebbero fatto ribrezzo al mio prof (fondini sfumati, caratteri gotici, mille elementi confusionari).
Quale veniva scelto? Se ero fortunata quello così così, altrimenti quello orripilante e io zitta e mosca. Se mi chiedevano un’immagine di sfondo mi toccava fargliela, se mi chiedevano un logo giallo e blu potevo al massimo strizzare il naso, se volevano una scritta in carattere gotico potevo assentarmi per andare un attimo in bagno.
Nel sogno io e Roccio entriamo nella scuola, ma non ricordo come mai ci troviamo lì. Chiedo ai vari professori se possiamo assistere alle lezioni, e la cosa è piuttosto divertente. Poi andiamo in aula di fotografia, quanto mi piaceva fare fotografia, era un po’ come giocare al piccolo chimico che non ho mai avuto, però lo immagino così. Buio, pellicola, liquidi, luce rossa, stampa, liquidi, asciugatura ed ecco la magia della foto. La parte teorica era un po’ più noiosa ma ora vorrei tanto riprendere in mano il nostro libro di testo (che si trova come testo autorevole in merito), devo cercarlo a casa di mia mamma. Ma sto divagando.
Entriamo nel laboratorio e la mia professoressa (la Tempesta, non è un nomignolo si chiama proprio così) si avvicina festosa e mi fa un sacco di domande “Dimmi che sei diventata fotografa! Eri così brava, una delle migliori, dai sedetevi, che bello vederti” ecc ecc. A dire la verità non ricordo di essere stata così eccezionale a fotografia, chissà come mai nel sogno ho pompato così il mio ego. Ci sediamo e la prof fa delle domande agli studenti e nessuno risponde, così si rivolge a me ed è una domanda assurda, davvero non ricordo queste cose, qualcosa sulla lunghezza focale, io balbetto qualcosa ma sono imbarazzata da morire, non lo so davvero, guardo Roccio ma lui fa cenno di no con la testa, non lo sa e la prof mi guarda delusa perché pochi secondi prima mi aveva lodata e io sono imbarazzata a morte.
Ieri è successo questo: si parlava al lavoro di Parnassus, il film nelle sale in questi giorni. Parliamo dell’attore morto a mezzo delle riprese di cui nessuno di noi ricordava il nome. Io sparo un nome ma è un nome che non ha senso, di un giornalista famoso che non conosco. Così le mie colleghe mi guardano scandalizzate e io mi sento effettivamente in imbarazzo. Alchè una mia collega mi dice che quel giorno dovrebbe segnarlo sul calendario (questo perché sono diverse volte che le chiedo consulenza e aiuto sulle cose che secondo lei dovrei conoscere a menadito, perché mi crede un genio e io ne sono lusingata ma non sono un genio). L’elaborazione di questo imbarazzo è sfociato nel più classico teatrino della vergogna: una domanda banale a cui non si sa rispondere, a scuola.
Ieri una mia collega ci ha portato dei bellissimi anellini fatti con la terracotta, mi piacciono proprio tanto!

Canzone del giorno: My Way Sid Vicious

2 commenti:

Zion ha detto...

tra parentesi, a me parnassus il film m'è piaciuto moltissimo.

Carla ha detto...

eheh vediamo se si riesce ad andare a vederlo mercoledì!