13 gennaio 2014

La capsula del tempo - gli occhiali di papà

Trovo che essere disordinati non sia una cosa in cui ci si ritrova di botto. Disordinati non ci nasce.
Essere disordinati è una cosa inscritta nei geni.

Prima di cominciare questo post voglio premettere di essere a casa di mia mamma. Casa di mia mamma è abbastanza grossina considerando che ci vive da sola con due bassotti. E' composta di cucina e sala unite e entrambe abitabili, un corridoio a L, una camera matrimoniale, due camerette, un bagno e un ripostiglio.
Lei occupa solo la sala (in cui dorme), la cucina (adora cucinare) e il bagno. Il resto delle stanze sono ricordi.
La cameretta in cui io dormivo, oltre ad avere tutte le cose che ci lasciai nel 2006, ha visto moltiplicarsi gli oggetti al suo interno. Scavando posso trovare il mio diario delle medie dove scrivevo quanto ero depressa e brutta, ma anche le note delle superiori sul registro (che ho pazientemente annotato e mezzo da parte). Le scatole dei vecchi cellulari, libri mai letti, appunti dell'università, il microscopio che ho fortemente desiderato da piccina, bottigliette in vetro contenenti chissà cosa, il vecchio camaleontario in legno mai buttato e usato per contenerci altra roba. Nella cameretta in cui dormo quando torno qui, ci sono oggetti legati all'infanzia. I Walkie Talkie enormi con sopra scritto il codice Morse, altri libri, il pacchetto di sigarette su cui Jerry Only mi aveva fatto l'autografo, scatole dei vari autoradio, rotti rubati o ancora vivi da qualche parte. La scatola del gps a pannellino solare che usavo col nokia N70. Persino sul divano della cameretta è impossibile sedersi. Di solito mia mamma ci poggia i sacchettini coi regali da portarmi via ma comunque anche se non ci fossero loro è pieno di cuscini, pigiami, oggetti. Sto scrivendo da un pc fisso che comprai con la borsa di studio dell'università, un monitor gigante. E sotto al mouse c'è una pila di riviste e un volume de le pagine bianche di Torino.
La camera matrimoniale (che mia mamma non usa) contiene il peluche del panda che un mio fidanzato di tanti anni fa mi regalò, e che è grande quanto un bambino di 8 anni, largo quanto Cartman di SouthPark. In camera c'è un comò dove ho trovato queste cose.




Quel giorno è stato tutto molto difficile. Probabilmente non ho mai ringraziato chi c'è stato e, rileggendone ora i nomi, nemmeno mi ricordo alcuni volti. So di non aver salutato qualcuno, che poi mi ha detto di esserci stato, e questo mi spiace. Comunque anche se con un lieve ritardo di 13 anni "Grazie", nessuno di voi era obbligato eppure c'eravate.

Ho trovato anche gli occhiali di mio padre. Non so, non ricordo che avesse mai cambiato montatura. A dir la verità di mio padre non sapevo quasi niente. So che lavorava, tanto, e spesso faceva straordinari. So che si lavava le mani con la pasta lavamani al limone, ma rimanevano sempre sporche. So che era infelice e arrabbiato ma non so come mai.




Quando entro in queste stanze disabitate mi si stringe il cuore. Ho trovato delle letture I Ching fatte per persone che ora non sono più nella mia vita. Lacrime versate su pagine di diario, ma anche cose che mi fanno sorridere, come l'etichetta della sciarpa in pelo di cammello che mi hanno regalato Marco e Giada qualche anno fa.



Sì, questa non è pigrizia, non è un pacchetto di patatine vuoto lasciato marcire su un tavolo attendendo una mano divina che lo sposti nella spazzatura; è una sorta di memoria fisica degli eventi. Una casa fattasi capsula del tempo. So che un giorno dovremo buttare via tutto quanto e quando accadrà sarà un doppio dolore.

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