31 dicembre 2017

Dolce adrenalina

Giovedì 28 ricevo una chiamata dall'ospedale "La chiamo per l'agobiopsia, pensiamo sia meglio farla perché abbiamo valutato le sue precedenti analisi e vogliamo controllare meglio".
Tachicardia.
"Sì, mi dica"
"Le abbiamo prenotato l'agobiopsia per il 4 gennaio, deve portare l'impegnativa del medico"
"No, per fare l'impegnativa per la risonanza magnetica ho dovuto tribolare: il medico non mi fa l'impegnativa se non c'è la richiesta del medico specialista all'interno della quale è presente codice fiscale e numero di iscrizione all'albo del medico che la richiede"
"Mhm, aspetti un attimo, vedo se riesco a fargliela internamente"
Silenzio, cuore che batte.
"Riesce a venire domattina alle 8.30, così le prepariamo noi l'impegnativa? Perché altrimenti la dottoressa non riesce"
"Ah quindi domattina passo a ritirare l'impegnativa?"
"No domattina viene direttamente per l'agobiopsia"
Tachicardia. Controllati Carla, non è niente. Tanto lo sai che avresti dovuto farla. Controlla la voce, non deve tremare, controlla il battito.
"Ok, posso fare colazione? Ci sono raccomandazioni?"
"Ha preso antinfiammatori o antidolorifici negli ultimi 2-3 giorni?"
"No, nulla"
"Perfetto, se ha qualche problema prenda solo la tachipirina 1000. Può fare una colazione leggera. A domani."

Non so come mai non ci penso ma non controllo su internet cosa sia. Forse sono troppo agitata a valutare le mie reazioni presenti che sono sempre troppo esagerate.
O forse no?
Provate a mettervi nei miei panni, queste chiamate e questi esami nel corso della mia vita non sono state mai foriere di belle notizie. Alla fine di questi esami nessuno mi ha chiamata mai per dirmi: "Carla, la chiamo per comunicarle che tutti gli esami sono negativi, lei sta benissimo!"
In genere è sempre stato "DObbiamo fare altri accertamenti"
"Deve venire in tale data per fare questo accertamento"
Concluso con "Purtroppo abbiamo trovato delle celluline maligne e dobbiamo asportare la parte" oppure "Deve venire per un consulto terapeutico".
L'unico nodulo che non mi ha mai tradito, ma è lì da 18 anni quindi non mi spaventa, è quello sulla tiroide. Sarà cresciuto di un massimo di 2 mm in questi anni, è quasi una presenza rassicurante: qualcosa che quando faccio l'ecografia alla tiroide: "Dottore, c'è ancora il nodulino?"
"Sì, certo, eccolo lì"
"Ah meno male."

Quindi ecco il perché della mia reazione. Non potete capirlo, se non avete avuto per tanti anni questo tipo di chiamate. Sapevo sì di dover fare l'agobiopsia, ma il mio cervello ha cercato nell'amigdala i ricordi delle precedenti chiamate, di come sono finite. E il cuore accelera, i pensieri vanno. È così che funziona, ed è assolutamente normale.

Ho avvisato chi potevo e volevo avvisare e le reazioni sono state più o meno le stesse "Bhe meglio, così te la levi".
Capisco anche la risposta, ma vorrei stilare un manualetto di vicinanza per gli amici. Quando accadono queste cose non si vuole essere consolati, si cerca solo vicinanza emotiva. La risposta esatta e corretta è sempre la stessa : "Ti sono vicino".
Lo so, è banale, sembrano le classiche condoglianze che tanto odio. Ma è inutile razionalizzare, queste emozioni non sono razionali. Non si ha bisogno di qualcuno che ti dica "Cerca di stare calma".
Se riuscissi a stare calma, non pensate forse che lo farei?
Seguono anche risposte ironiche, che apprezzo sempre tanto, come il mio amico M, ex compagno del corso java, che mi dice "Son degli stronzi ad anticipare così. Uno ha anche programmi".
Sì ok, mi ha fatto ridere.
C, che sta imparando a conoscermi, mi ha detto semplicemente che era con me.
Gigi vorrebbe essere con me. Lys chiede di accompagnarmi.
Il sardosabaudo mi ha fatto sorridere "Quindi? Vieni lo stesso a cena?".
Una cena è un ottimo modo per pensare ad altro (culurgiones, mammamia che buoni!).

Comunque la notte non è stata tranquilla, non ho dormito bene. E mi sono svegliata presto. Arrivata al reparto di senologia radiologica delle Molinette l'unica cosa a cui penso è di volermi sdraiare nel lettino, ma il pensiero mi agita.
L'attesa è snervante e la sala d'attesa è piena di donne tutte molto più grandi di me. Una donna piange. La privacy non è assicurata in nessun modo. Le dottoresse non hanno uno spazio dove poter parlare con le pazienti e spesso questo viene fatto in corridoio, qualunque referto si abbia in mano. E tutti sentono. Non è per niente bello.

Mi ricordo di internet, cerco la parola "agobiopsia". Consigliano di venire accompagnati. Sono da sola.
Non importa, penso, al massimo chiamo un taxi.

Mi chiamano per firmare il consenso informato. Mi fanno le solite domande di routine, se sono allergica a qualche farmaco, all'anestesia locale, se ho preso antinfiammatori nei 3 giorni precedenti l'esame. La dottoressa mi spiega che faranno una puntura di lidocaina per anestetizzare la parte, allargheranno il buco con il bisturi e faranno entrare quest'ago per, come spiega una mia recente conoscenza, compiere la biopsia tru cut (sic). L'ago ha un'anima in metallo e farà un rumore, uno scatto forte e sarà finito. Faranno 3 prelievi nell'area, metteranno alla fine del ghiaccio perché l'unica controindicazione è la formazione di ematomi.

Firmo, torno in sala d'attesa.

Più o meno mi richiamano alle 9.30. La sala è quella ecografica già vista. La dottorina giovane della scorsa volta (che è anche quella che mi ha chiamato, riconosco la voce insicura e dolce di chi ha ancora non ha il cinismo medico) mi ripete l'ecografia e mi chiede di attendere. Tremo, un po' perché sono agitata, ma ho anche freddo. Mi da' una traversina per coprirmi e mi chiede di attendere. Sparisce.

Tornano in 3. C'è la direttrice del reparto della scorsa volta, la dottorina di prima e un'altra dottoressa giovane. La direttrice ripete l'ecografia e mi dice che quest'area scura non era stata evidenziata nelle scorse ecografie/mammografie/risonanze, quindi è meglio controllare. Arriva l'altra direttrice del reparto, ora sono in 4. Mentre la direttrice numero 1 esegue l'ecografia, l'altra osserva. La tirocinante accende e spegne la luce. La dottorina giovane a un certo punto si dilegua "Siamo troppe, non servo qui".
Io tremo.
"Vedi? È quest'area"
L'altra direttrice annuisce.
"Sono un po' agitata"
"Eh, come facciamo? Vuole andare a prendere qualcosa?
Mentre io immagino una dose potente di tranquillanti, lei mi consiglia una camomilla. Probabilmente dovrei prenderne una vagonata. Dico che no, va bene così.
"Ora sentirà una punturina".

La lidocaina brucia. L'ago nel seno fa male. Stringo i denti. La direttrice però è molto brava, infila pianissimo l'ago, lo osservo mentre entra, sento solo il pizzicore iniziale e da lì mi rilasso. Anche quando inietta la lidocaina lo fa lentamente. Credo che anche la paura abbia fatto.
La paura in queste situazioni è utilissima, l'adrenalina mandata in circolo, ne sono convinta, ha fatto sì che io non sentissi male, che io non sentissi troppo male.
Sfila l'ago.
"Tutto bene?"
"Sìsì, benissimo, dottoressa è stata bravissima, non ho sentito quasi niente!"

Prende il bisturi monouso: vedo tutto, tranne il taglietto che fa. Non sento. Non sento nulla.
Mentre la direttrice numero uno continua a tenere l'apparecchio ecografico sul mio seno, la direttrice numero due infila l'ago per la biopsia tru cut nel seno.
D2: "Qui?"
D1: "No, un po' più su, perfetto così"
La dottorina giovane è pronta a schiacciare il pulsante sul corpo verde e parallelepipoidale della siringa, ma prima mi intima "Sentirà un rumore forte, non si spaventi e non si muova."
"Ok"
TAK
Lo scatto della biro ma un bel po' più forte.
Mettono una strisciolina di circa 5 mm su un vetrino. Sembra carne di pollo, è molto chiara.
"Tutto bene?"
"Sìsì non sento niente"
Ormai mi sono rilassata.

Procedono col secondo prelievo.
TAK.

Si consultano
D1: "Non so se fare un altro prelievo ma lì c'è il muscolo pettorale. Però vedi qui?"
D2: "Sì in effetti non saprei"
"Ma no, io direi che va bene così"
Ridono.

"Sì, va bene così" dice la direttrice numero 1.
"Ora le farà la medicazione, tra due settimane può venire a ritirare il referto"

La dottorina mi mette gli steristrip e una medicazione col cerottone.
"Ora le metto anche il ghiaccio, le verrano delle supertette!"
"Ah non vedo l'ora, guardi!"

"Domani può togliere il cerotto. Non bagni la ferita, gli steristrip si staccheranno da soli in circa 3 giorni. Se ha male usi solo tachipirina 1000, se le viene un ematoma è normale"

Avviso tutti, per me e per il momento, il peggio è passato. Faccio colazione alternativa al bar dell'ospedale Molinette con Lys che mi corre incontro in lacrime.
Nota per il futuro: non sono l'unica vittima delle mie paranoie emotive.
Mi ha portato un melograno, porta bene, "mangiatelo a capodanno".

Sento un po' di male ma per me che soffro di emicranie pazzesche è quasi più un pruritino.
Torno a casa, dovrei fare mille cose ma il calo di tensione mi impedisce di muovermi, sono immensamente stanca.

La cosa buffa è che il giorno prima scrivo al mio medico, il dott. Brignardello per aggiornarlo. Non c'era alcun tono polemico né preoccupato nella mia email, eppure lui mi risponde con un "Capisco il suo disappunto".
In effetti sì, c'era del disappunto, ma non nella mia email. Effettivamente dopo 18 anni deve avere imparato a conoscermi, o forse sa che non è mai bello fare certi esami.

Ora si aspetta, e ancora una volta una piccola cosa mi ricorda quanto è fragile la nostra esistenza su questo pianeta e quanto poco io stia facendo per vivere appieno la mia vita. Questo ultimo anno poi è stato vissuto un po' in ibernazione, in letargo. Letargo delle mie capacità, soprattutto, oltre che lavorativo e tutto il resto. Questa sera festeggerò con alcuni tra i miei più cari amici; auguro per me stessa, per questo 2018, un anno di movimento, un anno di potenziale espresso. Disfare le scatole, trovare un lavoro che sia mio, fare un viaggio (ma meglio più di uno), sentirmi a mio agio e a posto nel mondo.

Poca roba, eh?

Canzone del giorno: Welcome Home (Sanitarium) Metallica

27 dicembre 2017

La mia mini-me

Io e il sardosabaudo siamo tornati a essere amici.
Lo eravamo già nel lontano 1995, quando lui andava in skate e io in pattini e ci incontravamo al Ruffini. Ho ricordi belli di quel periodo e ogni volta che rivedo il sardosabaudo mi tornano in mente quelle giornate spensierate: il viaggio in pattini con amici da casa al parco Ruffini, le chiacchierate con i ragazzi della rampa, i primi timidi tentativi di flirt (andati sempre male, da sempre sono un'imbranata cronica).
A me il sardosabaudo piaceva. Mi chiamava Clara, mi diceva sempre ti porta via il vento, lo chiamavo in mille modi: nei miei diari compare come Giova, Gianni il pecoraro, ma in rampa lo chiamavo anche spazzolino, perché aveva la cresta ricciolina coi capelli rasati ai lati.
E così ieri sera ho cercato testimonianza nei miei diari passati: non c'è scritto molto, un massimo di 4 date dedicate a lui, nell'estate del 1995. Sono passata dal "Forse Giova mi piace", al "Gianni (pecoraro) mi manca" (forse era andato in vacanza? Mha), al "Togliendo il forse, Giova mi piace".

Non mi ero mai fatta avanti, un po' perché quei 5 anni di differenza pesavano come un macigno, un po' perché non sono mai stata brava nell'approccio con le altre persone. Ma è divertente rileggermi: i miei voli pindarici, le mie insicurezze, le confessioni agli amici.
E poi, dopo qualche pagina, ritorno sul mio migliore amico: il mio unico amore per anni.
Ad oggi si potrebbe dire che sì, lo stalkerizzavo. Lo chiamavo tutti i giorni, se non lo chiamavo passavo sotto casa sua a citofonargli, quando uscivamo insieme facevo sempre in modo che restassimo da soli per poterlo accompagnare a casa. Quando andavo in vacanza gli scrivevo lunghe lettere e lui mi rispondeva. Mi ero fatta avanti ma lui, anche se non interessato, non era sparito.
È venuto in ospedale con me per la mia ultima chemio, ed era il suo compleanno.

Rileggo della me di qualche anno fa, e quella piccola persona mi fa tanta tenerezza.

23 dicembre 2017

Le vite dei miei contatti sono intrecciate in modi che non si possono immaginare. Anche se ora vivo in una città che considero abbastanza grande, molte delle mie amicizie e conoscenze si conoscono e sono in relazioni più o meno strette tra loro. Tanto che spesso mi sembra di vivere in una sorta di Twin Peaks ma meno movimentata.
Per fortuna, certo.
Sto ancora aspettando notizie dall'ospedale. Ma non sono agitata, le cose evolvono in modi del tutto inaspettati a volte.

Così vanno le cose, così devono andare.

E se il mio amico sardosabaudo riuscisse a svegliarsi a un orario decente magari si va al Balôn.

17 dicembre 2017

Questa vita tuttavia mi pesa molto

Sono in ospedale, venerdì. Attendo il mio turno per lasciare i miei dati in accettazione, al reparto di radiologia senologica. Attendo per fare la mammografia, attendo per fare l'ecografia. La sala di attesa è piena di persone, donne accompagnate dai loro mariti, molto più grandi di me. Mi guardano.
È come se con gli occhi volessero rubarmi la gioventù e non riuscendoci con gli occhi parlano di interventi e chemio. È così, sono d'accordo col fiaccarmi lo spirito.

Mi chiamano, dovrebbero chiamare con il numero ma usano nome e cognome. È la direttrice del reparto che se ne occupa. Intanto, mentre mi stringe e mi tira il seno, parla con la radiologa di qualche loro problema lavorativo.
"Eh ma cosa ci vuoi fare"
"Sì lo sai che fa sempre così"
"Non si muova eh?"
Resto immobile.
L'apparecchio per la mammografia mi scandaglia e fa rumori strani.
Tornano.
"Comunque vedrai che la prossima volta non si ripeterà"
"Si volti"
Mi volto.
"Ma poi eravamo tutti d'accordo, non capisco proprio"
Spariscono
"Non si muova eh?"
Non mi muovo.
In un'altra proiezione, la macchina fa il suo lavoro. Radiazioni nei miei tessuti, radiazioni rivelatrici.
"Senta ma lei era stata operata vero? Non ha altra documentazione con sé?"
"No, il dottor B mi aveva detto di portare solo questa risonanza"
"Ma come mai non ha fatto da noi questi esami?"
"Eh ho cambiato città diverse volte..."
"Ma che oncologo la segue, adesso?"
"... ehm.. alcune senologhe, ma sono tornata a Torino quindi posso venire da voi"
"Si rivesta pure"

Mi rivesto e vado in sala di attesa.

"Numero 61?"
Mi rialzo.
Sala ecografica. L'ecografia mi rilassa. Mi spoglio.
Ci metto tanto a spogliarmi, a Torino è arrivato il vero inverno e mi devo levare strati e strati di roba. Via il maglione, via la maglia a maniche lunghe, via la canotta, via il reggiseno.

Mi sdraio e mi cosparge di gel freddo.
È una ragazza molto giovane. "Dottoressa mi dica, si vede qualcosa?"
"No, non si preoccupi, non c'è nulla. Ora arriva la mia responsabile a visitarla"
Sparisce.

Resto parecchio da sola e comincio ad avere freddo. Guardo l'immagine fissa sull'apparecchio radiografico. Sono rimasta appesa lì, è il mio interno. Penso a quanto, nel caso peggiore, vorrei non essere come le signore in sala d'attesa. Non voglio parlare di chemio e interventi. È come per le persone che lavorano tutto il giorno e tornano a casa, e parlano di lavoro.

La vita è altro. Mi riprometto che in qualsiasi caso lascerò questa cosa fuori dalla mia vita. Che farò un breve excursus qui, manderò un unico messaggio vocale per raccontare e cercherò di non parlarne troppo, di non farmi inghiottire da quel "Male addosso" di cui parlava Sandra Verda. Ma lei avrà mai più avuto una ricaduta? Chissà.

Il tempo di alzarmi e fare una foto all'apparecchio radiografico (sarebbe proibito, ma tante cose sono proibite, le facciamo comunque e sono sicuramente più dannose) rimettermi sul lettino e arriva la direttrice.



Dopo un attentissimo esame al seno e alle cavità ascellari alla ricerca del linfonodo sentinella mi conferma un'area più scura. Probabilmente dovuto al carbone iniettato nel 2008 per l'inserimento del repere.
Non mi convince. Non avevano mai trovato quest'area scura.
Mi dice di portarle il resto degli esami fatti negli anni successivi e di non preoccuparmi: lei controllerà tutto e se c'è qualcosa di dubbio mi faranno un'agobiopsia. Infilano un ago nel seno che ha una sorta di lama tranciante in fondo, per raschiare un po' di tessuto ed esaminarlo. Il solo fatto di non dover essere aperta mi rassicura.
Esco più tranquilla, anche se so che all'80% dovranno eseguire questa procedura. "Con lei" dice la dottoressa "dobbiamo avere un'attenzione particolare".

Che è un po' un modo sfigato di essere speciali.

Una volta effettuata l'agobiopsia ci sono diverse strade. Se non c'è nulla è stato solo uno spavento. Se c'è qualcosa non so. Ma un passo alla volta. Baby steps e si arriva ovunque.

Ieri passando davanti a una bancarella di libri ho adocchiato questo titolo, edizione Adelphi: "Questa vita tuttavia mi pesa molto".

La vita, in effetti, a volte è una cosa abbastanza faticosa da tenere in piedi. A tratti mi sento logorata, a tratti immensamente felice. Mi sembra di non conoscere medi e viaggiare per questo ottovolante. In caduta libera verso il basso e in rapida ascesa.

Domani porterò i precedenti esami che vorrò fotocopiare, perché non voglio lasciare loro gli originali e poi attenderò la chiamata. Stay tuned.

14 dicembre 2017

Il mio principio del disequilibrio

Spesso io e il mio amico C parliamo di equilibrio. La ricerca, il mantenimento dello stesso. La perdita di equilibrio.

Ho realizzato di non avere mai avuto un equilibrio e la ricerca nella mia vita è sempre quella, avere a portata di mano qualcosa di conosciuto che mi possa dare sicurezza. La condizione di non equilibrio per me è sicurezza perché da quando ho 13 anni è così, perché lo conosco, perché lo sento mio.

Ogni situazione che tende a stabilizzarmi in realtà mi destabilizza perché è una situazione nuova e sconosciuta che non fa parte della mia vita.
Lavoro stabile, fidanzato stabile, vita stabile, salute stabile. Un oroscopo perfetto

Non ho mai capito in effetti perché le persone si sposano, comprano casa, fanno figli, bramano il lavoro a tempo indeterminato. O meglio, lo capisco, posso riuscire a immaginarlo, ma non è un'immagine che mi appartiene.

La maggior parte delle persone potrebbe replicare che per me è semplice, perché ora sono tornata a casa dei miei e ho una rete di sicurezza bella solida. Ma penso che se non ci fosse stata questa opportunità avrei trovato uno stratagemma per permettermi di continuare su questa strada arzigogolata che è così familiare.

E poi, vogliamo dircelo? Non ho abbastanza anni di fila di stabilità per potermi permettere di crederci. Potrebbe crollare ogni cosa da un momento all'altro e potrebbe non dipendere dal mio impegno. Potrebbe non dipendere da me.

Qualcun altro potrebbe replicare che è molto comodo restare nella propria zona di comfort senza uscirne mai: ma c'è davvero chi ne esce? Ci si può provare con cose piccole: superare le piccole ansie della vita, fare una strada diversa per andare al lavoro, ma... Questo non è uscire dalla zona di comfort. È illudersi di farlo.
E se solo foste onesti con voi stessi converreste con me che la vostra vita si ripete ciclicamente, come la mia. Comincerete qualcosa che terminerà allo stesso modo, con le stesse dinamiche. I vostri pensieri arrancheranno sempre sulle stesse problematiche e risolverete i conflitti nello stesso modo di sempre.

Qualcuno vorrà andare dallo psicologo sperando che questi lo aiuti a vedere le cose da un'altra prospettiva e, nonostante la dolorosa avventura, i grossi pianti esplosi tra una soffiata di naso e l'altra, una volta usciti da lì farete sempre le stesse cose.

La vita è un deja-vu continuo, un ciclo ininterrotto. La vita è un uroboro, il simbolo mistico del serpente che si morde la coda. Nella bocca ha il veleno e nella coda l'antidoto. Sopravviveremo sempre a qualsiasi sciagura capitata solo e soltanto perché attueremo l'unico modo che abbiamo per sopravvivere al nostro stesso veleno. Il nostro antidoto che abbiamo sempre usato da quando siamo piccoli, per andare avanti senza avere il desiderio continuo di tirare il calzino.

Vorrei che vi avvicinaste per sentire un segreto scomodo che posso solo sussurrare al vostro orecchio. La verità scomoda è che conoscete già l'entità di quello che sentirete, ma non vorrete crederci.

E non voglio crederci nemmeno io.

12 dicembre 2017

Il mio grosso Deja-Vu
Dicembre porta proprio sfiga

Martedì 5 dicembre vado finalmente a fare la risonanza magnetica al seno. Quella per cui fare l'impegnativa mi aveva provocato uno stress enorme, perché prima avevo fatto l'impegnativa per una mammografia che non mi hanno voluto fare perché nel referto precedente era consigliata una risonanza. Poi sono andata a fare l'impegnativa per la risonanza magnetica MA non c'erano (e pare che per legge debbano essere necessari) codice fiscale e umero di iscrizione all'albo.
Incazzata nera vado alla visita dalla senologa che era già prenotata e mi faccio fare l'impegnativa ma dietro non ha l'iscrizione all'albo e i comunica che non è necessaria. Torno dal medico e non va bene, non c'è l'iscrizione all'albo. Sfavata come poche, vado sul sito dell'OMCeO e trovo il numero in questione. Cazzo, avrebbero potuto farlo loro.
Mi fanno l'impegnatica ma senza contrasto, la faccio modificare e FINALMENTE ci siamo.

Detesto la risonanza con contrasto, devono bucarti ed è sempre il solito problema. Solo che mentre a Padova la risonanza magnetica è aperta, quindi meno claustrofobica e c'è uno specchio che permette (anche se sei a faccia in giù) di vedere le tue mani quindi di avere comunque una visione, anche se piccola, della realtà che ti circonda, e in più il buco te lo fanno prima di fare la risonanza (due anestesisti, uno per lato, tastano le vene finché non ne trovano una abbastanza decente per bucarti) quindi una volta superato quello è tutto ok, qui in questo posto fai la risonanza senza contrasto poi, immobile come sei, senza vedere nulla, sdraiata a pancia sotto con le mani sopra la testa tese, ti cercano una vena. Inutile dirlo, la prima vena è stata scazzata e ha dovuto ravanare parecchio per riprenderla finché sento "Ah cavolo, si è rotta". In tutto questo io non potevo muovermi e avevo un male cane. Con la seconda vena va meglio ma sempre doloroso. Mi ripiazzano dentro e via.

Ero così spaventata che tremavo quando sono scesa. Il radiologo, un ragazzo squisito, mi ha aiutata. Così l'ho ringraziato per la gentilezza. Ho a che fare con medici e tecnici da quando ho 13 anni e so che spesso non hanno riscontro, e che sembra tutto scontato. I pazienti si lamentano se vengono trattati con superficialità e freddezza ma non ringraziano mai abbastanza il lavoro fatto da medici, infermieri e tecnici.

Mi sono rivestita e sono partita, ho fatto due giorni fuori per rilassarmi.

Giovedì sono tornata e venerdì sarei ripartita con Lys, la mia amica, per Ventimiglia fino a domenica. Da scema ho pensato bene di passare quel giorno stesso a ritirare le analisi, invece di andare lunedì. Così ho letto. E ho letto che nell'area dove di solito c'è scritto Niente di rilevante, c'era un papier di roba. Una robina di 6 mm nel seno destro, in profondità vicino al muscolo pettorale, un'area compatibile con una cellularità patologica. Altre scritte. Altre cose. Nebbia, pensieri che vanno, inarrestabili e ripercorrono con frenetica fantasia un passato di 8 anni fa. Stesse cose, era dicembre. Era dicembre quando è mancato mio padre. Era dicembre quando mi hanno trovato il tumore al seno. Dicembre porta una cazzo di sfiga eh?

Ansia. Respiro. A breve incontrerò Gigi, non voglio preoccuparlo. Ma non ricordo la strada che ho fatto per arrivare alla metro, né quella dalla fermata metro a Porta Susa. Né ho memoria del tempo che ho passato ad aspettarlo. È come se il mio cervello si fosse congelato su alcuni pensieri e non riuscisse più a uscirne nemmeno per sentire lo scorrere del tempo, il variare dello spazio.

Ma la giornata è passata, Gigi non ha intuito niente e purtroppo ho vomitato il mio stress su un'unica persona, forse l'unica che non avrebbe dovuto sentire tutto questo fluire di pensieri veloci.

Ma va bene, è un passaggio necessario per metabolizzare, la paranoia. Devo passare nella nebbia della mia testa per trovare chiarezza e quindi un briciolo di tranquillità.

Parto. Lys è una persona dolcissima e splendida, che mi ha accolto nella sua vita come un'amica di vecchia data. Sabato le racconto tutto, ma con estrema pacatezza. Ho metabolizzato, non ho paura, non più. Ho i due estremi di possibilità all'interno dei quali esiste un range infinito di situazioni che potrebbero accadere. Sono pronta al peggio, so che posso scegliere, sono (relativamente) tranquilla.

Anzi mi spiace aver creato tutti questi allarmismi, ma al fondo di questo post metterò i link relativi a dicembre 2008 - gennaio 2009 per far capire cosa mi è tornato in mente in quei 10 minuti di lettura iniziale di referto.

Fotografo, fotografo il mare, fotografo cose, fotografo persone, e mi era venuta anche una mezza idea di documentare visite, analisi, referti, come un progetto tutto mio che tale dovrà restare. I miei nulla sanno, per ora. Ma non è detto che debbano sapere.

Perché potrebbe non essere nulla o essere tutto ma mi sento abbastanza scafata per poter reggere da sola, ma soprattutto non voglio che altre persone gettino addosso a me ansia inutile.
Si chiama sano egoismo.

Come promesso a chi mi sta vicino, ieri sono andata dal medico a fare le impegnative per ecografia e visita senologica, come consigliato dal referto. In attesa decido però di mandare una email al mio carissimo endocrinologo del COES, il quale, non appena letta la mail mi chiama immediatamente per comunicarmi che le impegnative le ha già fatte lui, che secondo lui non è niente, però venerdì vado alle Molinette a fare tutto.
Non è niente MA facciamo in fretta. Il solito medico, che non sa come comunicarmi le cose, che ha paura di spaventarmi ma non vuole che io sottovaluti nulla. Lo adoro.

Vado via dalla sala di attesa, per attendere nuovamente un giorno, venerdì. Quello in cui confermeranno se c'è qualcosa o è un falso positivo.

Scrivo ad A, il mio amico libraio e compagno di stanza durante la chemio.
"Certo che siamo proprio sfigati"
"A volte lo penso anche io, però in realtà, se guardo la cosa con obiettività, sono sicuro che siamo veramente fighi. Di vita noi ne sappiamo qualcosa, no?"
"vorrei smettere di saperne. non pensi la stessa cosa anche tu?
voglio tornare ignorantissima"

Non posso scegliere cosa sia, posso solo decidere come reagire.
Ed ecco i link del passato.

http://bambinaborderline.blogspot.it/2008/12/colpa-del-tassista.html
http://bambinaborderline.blogspot.it/2008/12/seconda-puntata-per-chi-lattendeva-e.html
http://bambinaborderline.blogspot.it/2008/12/terza-puntata.html
http://bambinaborderline.blogspot.it/2008/12/novit.html
http://bambinaborderline.blogspot.it/2009/01/esercizi-di-rilassamento.html
http://bambinaborderline.blogspot.it/2009/01/intervento.html

Ce ne sono altri relativi al Tamoxifene che "lassamo perdere va"

Canzone del giorno: Syd Matters Obstacles