28 febbraio 2018

La solitudine dell'intervento

Il 26/2 è il giorno X.
Sveglia presto, in ospedale alle 6.45, calze antitrombo (di nome e di fatto) già indossate. Doccia fatta, ansia non troppa ma il giusto.
Dormito via da casa, nella stessa presa per la scorsa data, proprietario un hippie insegnante di yoga che, venuto a conoscenza della mia storia, ha cercato di parlarmi di varie terapie alternative.
Io, che sono brava a gestirmi da sola, per fortuna non ero da sola: questa volta (come per la scorsa data) una persona mi ha tenuto gli artigli.
Però questa volta non c'è l'influenza ad allontanare la paura dell'eventuale intervento, così una volta fatto (di nuovo) il prelievo io e altre 3 donnine siamo spedite a fare il reperaggio, dopo averci dato la stanza (sono in stanza da sola, almeno quello).

Il posizionamento in repere 9 anni fa era una iniezione di carbone vegetale che colora la parte da togliere ma a quanto pare questa volta sarebbe stato un gancio metallico infilato nella zona da asportare. Era stato questo esame che solo 10 giorni prima aveva bloccato il tutto. Stavo andando con l'infermiera a fare il reperaggio quando le ho chiesto un fazzolettino e le ho detto che non mi sentivo molto bene. Così ha chiesto la visita dell'anestesista in quanto lasciami un ago dentro senza sapere quando sarebbe stato fatto l'intervento (in caso avessero deciso di non farlo) non sarebbe stata un'ottima idea. Potete immaginare lo stato d'animo di farmi infilare una cosa del genere dentro il seno, ma comunque attendiamo, e sono l'ultima. Per complicare il tutto ho anche le mie cose, ovviamente.

Quando mi chiamano ero andata un attimo in bagno e tornata, colui che chiamerò il marito perché così è stato definito dagli infermieri, mi dice di andare in sala ecografica 1 dove però mi dicono di attendere fuori.

Il repere per me, per fortuna, sarà solo un segno di pennarello e non ci sarà nessun ago uncinato perché, dice il santo medico, non è necessario.

Attendiamo l'infermiera che ci riporti in reparto e una volta in stanza, nell'attendere la chiamata per la sala operatoria ci appisoliamo. È previsto gran freddo, fuori.

Il marito si informa sugli orari, pare che siano in ritardo in sala operatoria e che il mio intervento era previsto per le 12 ma andrò su alle 13 passate. Infatti poco dopo le 13 una corpulenta infermiera mi fa togliere il mio pigiama trendy composto da camicione verde a quadri e pantaloni a righe rosse e bianche per mettermi il camicione blu da intervento, aperto sul retro. "Deve togliersi anche le mutande" - "Ma ho le mie cose".
Mugugna qualcosa di incomprensibile ma me le lascia tenere addosso. Ci avventuriamo a piedi per la sala operatoria che credo sia al terzo piano. Le chiedo quanto durerà l'intervento e mi dice circa 3 ore. Sono preoccupata per il marito, sapeva circa un'oretta e non posso nemmeno avvisarlo.

Le pareti sono arancioni. Non devono avere fatto un grosso studio sui colori, l'arancione non è un colore tranquillizzante. Arrivo a quello che sembra essere un grosso gabbiotto di una biglietteria, senza il vetro a separare le due zone ma con una sorta di lettino abbassabile a piacimento di colore azzurro.
"Ha tolto le mutande?"
"No, ho le mie cose"
"Le deve togliere comunque"
Le sfilo da sotto il camicione e piego l'assorbente affinché non si veda. L'infermiera corpulenta di cui capisco una parola ogni due le mette in un sacco trasparente in cui c'è anche quella che doveva essere una vestaglia ma è un maglione aperto sul davanti. Posizionano una traversina sul lettino e lo abbassano affinché io mi ci possa sedere e da lì mi fanno passare su una barella, mi mettono la cuffietta per i capelli e mentre mi trasportano via sento che dicono che mi tocca la sala operatoria numero 5.
Prima però mi parcheggiano in una sorta di zona franca che conoscerò anche nel post operatorio. Alla mia sinistra c'è una fanciulla con una flebo che sembra dormire. Rimango lì un po', cercando di non pensare e sonnecchiando, finché un giovane infermiere o anestesista, non ho idea, in camice verde arriva per mettermi la cannula.
"Dove devi essere operata?"
"Seno destro"
"Allora devo mettere la cannula al braccio sinistro"
Non prova nemmeno a vedere nell'incavo del gomito perché, dice, potrebbe essere scomodo e potrei non piegare bene il braccio. Individua, poco sopra il polso, una vena che dice però "non capisco dove vada". "Faccia un bel respiro" - e mi infilza. Ma respirare è servito anche se poi maneggia l'ago e mi fa male.
"È andata?"
"No, si è rotta"
Sospiro.
Guarda nell'altro braccio ma arriva quello che invece potrebbe essere l'anestesista che dice "Non lì, deve essere operata da quel lato"
"Eh, ma non ha vene"
Torna al braccio sinistro.
"Proviamo sulla mano, è un po' fastidioso ma non abbiamo scelta, ti metto la cannula più piccola che abbiamo, se non va chiamo l'anestesista"
Infila, maneggia e sembra andare. Mi attacca a una flebo.

Mi trasportano in sala operatoria, dove mi mettono un pannolone ("Sollevi il sedere") e posizionano entrambe le braccia su due braccioli laterali per cui assumo la posizione comodissima da crocefissa. Apparecchio per la pressione su una caviglia, pulsossimetro sull'indice destro. Ho freddo ma sono anche agitata e comincio a tremare come una foglia.
L'infermiere giovane dice che mi mettono un bocchettone dell'aria calda per scaldarmi e mi chiede di cosa ho paura.
Ma le paure non sono per la maggior parte irrazionali?
Scherzo con loro dicendo che attendo con ansia le droghe legali che mi inietteranno.

"Coluccia c'è?" chiede qualcuno.
"Non l'ho ancora visto" risponde qualcun altro.
Ma all'improvviso compare. "Come mai siamo in ritardo sulla tabella di marcia, oggi?"
"Una signora doveva operarsi ma l'hanno riportata in stanza"
"Come va?" mi chiede
"Potrebbe andare in un altro milione di modi meglio, ma via, facciamolo..."

L'anestesista mi inietta un liquido giallo fosforescente e mi dice "Ora le girerà la testa"
"Come dopo una sbronza?"
"Esatto"
In effetti gira tutto ma senza la nausea della sbronza. Mi mettono una mascherina "È ossigeno, faccia respiri profondi, ecco brava, così, bravissima..."

Mi sveglio da un sogno che non ricordo, nella stessa stanza in cui mi trovavo prima della sala operatoria, tossisco.
"Ora la riportiamo in stanza, è normale se sente un po' di mal di gola"
Penso all'intubazione.
Il seno destro mi fa molto male, mi pizzico la pelle della pancia con la mano destra sperando di prestare meno attenzione al dolore. Resisto per un po' ma poi lo verbalizzo e mi dicono che mi stanno già facendo l'antidolorifico (contramal, famiglia degli oppiacei). Mi riportano in barella allo sportello iniziale dove il lettino che separa quelle due metà di mondo è in realtà anche un rullo per cui vengo letteralmente fatta scivolare su una barella dall'altro lato dove un infermiere mi dice che il marito è preoccupato. Non dico nulla perché mi diverte un po' l'idea e lo trovo ad aspettarmi all'inizio del corridoio. "Ecco il marito" esclama l'infermiere, "non che io sappia" esclama il marito ma l'infermiere non lo sente, tant'è che oggi lo stesso infermiere mi dice "Allora, viene il marito a prenderla?".

Mi rimettono sul letto sollevandomi con il lenzuolo, mi tolgono il pannolone e mi infilano le mutande e questa impotenza è detestabile. "Non muova assolutamente il braccio destro"
Anche se poi un'infermiera mi dice che "devo assolutamente muoverlo se no si gonfia".

Sono ormai le 17, pare che io non possa né mangiare né bere per altre 4 ore. Aspetto che il marito vada via per chiamare l'infermiera e fare la pipì nella padella.

Alla sera in effetti mi portano un po' di the con fette biscottate che mangio volentieri, dopo aver sbranato il bacio perugina del marito.

Passa il medico a visitarmi e poi il dott. Coluccia (in abiti civili, senza camice) che mi dice che ci vedremo venerdì per la medicazione e tasta la ferita.
Gli antidolorifici mi impediscono di tenere gli occhi aperti per più di qualche decina di minuti, così ogni tot crollo in un sonno profondo della durata di circa un'ora o due e poi mi sveglio. Al mattino sono riposatissima e contenta, perché vado a casa.

Arriva nel frattempo una signora anziana, compagna di stanza, che deve fare una nuova procedura che si chiama "elettrochemioterapia". Mi mostra il seno che le hanno asportato e racconta dei suoi 5 anni di chemio.

Mi torna in mente quando volevo fare la volontaria in reparto di oncologia all'ospedale infantile Regina Margherita e mi dissero che gli ex pazienti non possono fare i volontari in reparto e ora capisco perché. Ci vuole una certa delicatezza ad approcciarsi agli altri malati, soprattutto se il male è simile, e vedere quella cicatrice e sentire quella storia non mi ha fatto bene.

Quando mi chiamano per le dimissioni in sala d'attesa c'è con me una signora con i capelli scuri che è stata operata il giorno prima insieme a me. Le chiedo informazioni e mi racconta la sua storia.
11 anni prima dopo una mammografia le trovarono qualcosa ma il medico le disse di stare tranquilla che era solo una ciste e di fare la mammografia l'anno successivo. L'anno dopo videro che era in realtà un tumore che si era metastasizzato e le hanno dovuto togliere tutto il seno e fare la chemio, e ora c'è un nuovo nodulino da esaminare. Non so se è stato questo racconto o cosa, comincia a girarmi la testa. Quando vado in sala visite comincio a vedere i famosi pallini bianchi e dopo la medicazione comincio a sudare e ad agitarmi, dico che non sto bene. Mi misurano la pressione ed è 80-50, mi riattaccano una flebo alla cannula che per fortuna non mi hanno ancora tolto e mi riportano in stanza.

Intanto Lys era venuta a prendermi e resta lì con me aiutandomi a mangiare, mi coccola, mi apre le confezioni di cibo che non riesco ad aprire, mi porta la sua copertina.

Passo quindi un altro giorno in ospedale, con la signora chiacchierona accanto e io che penso al mio seno che al tatto, nonostante la medicazione faccia volume, sembra così piccolo da non esserci quasi più. E penso al lungo percorso che dovrò fare per l'accettazione del mio corpo, penso alla rabbia che provo e alla tristezza nel tornare a casa, circondata sì da amici incredibili che mi dimostrano un affetto senza pari, ma sostanzialmente sola.

In più dovrei cominciare a fare uno stupido lavoro e l'unica cosa che vorrei è invece arrotolarmi nelle coperte calde e dimenticare ogni cosa.

Purtroppo piangersi addosso non serve a nulla, altrimenti ora sarei piena di risorse, quindi si volta pagina, in tutto, e si va avanti.

23 febbraio 2018

Una serie di date

In queste settimane passate è successo di tutto: visita chirurgica, visita anestesiologica, data fissata per intervento. Non ho scritto, ma non ho scritto perché non volevo che fosse una radiocronaca delle cose che capitavano, ma temo che sarà proprio questo.
Alla fine che cosa è tutto, se non una radiocronaca interiore? Date su date, orari, avvenimenti, dialoghi interiori. Così partiamo dalla visita chirurgica, fissata per il 18/1. Mi mandava a fare la visita la dottoressa Mariscotti, e il chirurgo è il mitico dott. Coluccia, lo stesso che mi ha operata l'altra volta. Ma sta per andare in pensione quindi chissà se ce la facciamo.
Alla visita, in cui lui appunto dice che non sa perché sono lì, mi annuncia anche che posso decidere di non operarmi e tenere il tutto sotto controllo. Devo decidere lì per lì perché prendere tempo non serve a molto, solo a rimandare l'eventuale intervento e rischiare di non farlo più con lui. Quindi dapprima decido di aspettare ma entro due secondi cambio idea e opto per l'intervento. Dice che secondo lui non è niente e spera di non sbagliarsi e mi mette in lista per l'operazione.

Il 2/2 ho fatto il prericovero, mi hanno fatto l'ecg e la radiografia del torace e ho conosciuto l'infermiere Max che mi ha parlato dell'universo e di come le cose siano strettamente collegate le une alle altre.

Il 6/2 ho fatto la visita dall'anestesista che ha dato l'ok per procedere.

il 9/2 mi hanno chiamata per darmi la data dell'intervento: ovvero venerdì 16/2.

Alle ore 6.45 dovevo essere in ospedale ma da qualche giorno non stavo molto bene e proprio quel giorno, in particolare, mi girava la testa e la temperatura stava salendo. Così, aspettando solo 4 ore e dopo una visita dall'anestesista (la quale diceva che per lei ero operabile ma dovevo dirle io come stavo - meno male l'altra anestesista ha detto "bhe sa, magari ora è operabile poi le si alza la temperatura e non possiamo più operarla" e mi ha permesso di fare la scelta giusta, ovvero di rimandare dato che la sera effettivamente la temperatura è salita sui 38) mi rimandano a casa.


Ma non c'è tempo di sdraiarsi sugli allori perché per venerdì 23 ho già una ulteriore visita dall'anestesista prenotata e il 20/2 mi contattano per fornirmi un'altra data per l'intervento, ovvero il 26/2.