15 marzo 2018

La decimatrice

Non so come abbiamo fatto a scappare, tutti i miei compagni erano stati uccisi. Ma noi, piccolo e sparuto gruppetto, no; ci siamo rifugiati in un altro universo convinti che nessuno potesse più rintracciarci. Eppure in uno dei nostri anonimi spostamenti tramite bus eccola, lei, vestita in rosso.

Colei che ci aveva decimati.

Ci fu subito ovvio che lì per lì non poteva muoversi, ma non potevamo andare da nessuna parte.

Aspettò che il bus si fermasse, scese con noi e ci portò sul tetto di una scuola. Il sacrificio stava per essere completato, ma io mi ricordai che nello zaino avevo qualcosa e dovevo solo trovare il pretesto per prenderlo.

Finsi un malore e chiesi di poter prendere le pastiglie per poterlo attenuare e lei, stranamente, acconsentì.

Aveva uno chignon biondo portato alto sulla testa, la radice scura dei capelli, il rossetto rosso abbinato al cappotto. Decisamente bella e crudele.

Presi la pistola, era minuscola e non era mia, non ricordo di chi fosse. I miei compagni di viaggio capirono e si rilassarono, forse troppo, rischiando di farci scoprire.

Nascosi la mano con la pistola alla sua vista e chiusi lo zaino. Dovevo essere rapida.

Si voltò un attimo e gliela puntai dietro alla nuca, premetti il grilletto ma "click click" niente, non sparò. Ero disperata e continuai ma lei si mosse e in quel momento partì il colpo.

Un minuscolo forellino apparve ma stranamente la traiettoria non era quella corretta e il risultato fu solo quello di farla agitare.

Secondo colpo, e cadde a terra.
Terzo colpo, per sicurezza.

Guardai lei, guardai la pistola e guardai i miei compagni. Il nemico era stato sconfitto, eravamo ancora vivi. Ma il viaggio non era terminato.

Avremmo trovato tante altre difficoltà ma ci sentivamo più preparati, più invincibili, meno umani.

Il sole stava tramontando riempiendo quell'atmosfera già carica di drammaticità di una luce splendida, surreale.

Ci mettemmo in cammino, la strada era ancora lunga.

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