04 maggio 2018

Anaffettività

Ho una compagna di università popolare che ogni tanto vedo. È una persona particolare, come tutte le persone che frequento. Era tanto che non ci si incontrava, per via dell'intervento, dei nuovi lavori, delle giornate che hanno solo 24 ore e per la mia rinnovata incapacità di dedicare del tempo agli altri.

Penso di aver ritrovato, dopo più di un anno, la mia dimensione. Mi piace stare a casa, io, me, una tisana, un libro, il web, l'ukulele.
Ho una vastità di cose da fare che a volte uscire diventa un impedimento.

Il primo maggio ci siamo incontrate. Le ho detto che mi hanno operata, per quello avevo cominciato a fare un po' di assenze all'università popolare. Ma non era niente, alla fine.
Mi ha detto che dopo anni le hanno approvato il trasferimento al lavoro.

Dopo il classico rompighiaccio siamo finite su cose molto personali. Psicoterapia, famiglie.
"Quanto costa il tuo psicoterapeuta (nostro insegnante di psicologia criminale e sessuologia, tralaltro). Mi sa che ne ho bisogno"
"Ah sì, anche tuo padre aveva questo atteggiamento?"

E poi mi dice "Io sono anche anaffettiva".

Segnatevi bene questo termine.

Nella mia vita, questa precisa parola ha fatto capolino quasi all'improvviso. "E se fossi anaffettiva?". Ricordo di avere sempre avuto una percezione distorta dei rapporti umani e degli affetti. Faccio fatica a categorizzare le emozioni che mi tengono legata alle persone, e in molte situazioni non riesco a reagire spontaneamente. Ogni mia reazione è preceduta da una domanda interiore, più o meno sempre la stessa: "Come si comporterebbe una persona normale di fronte a questo evento?".

Così quando usa quello specifico termine, le dico che anche io mi sento anaffettiva.
Annuisce, "In effetti abbiamo tante cose in comune sulla gestione dei rapporti interpersonali, per esempio le amicizie a distanza".

Vero, ho tanti amici stretti che sono lontani fisicamente da me. E quando li ho avuti vicini non li vedevo. Tengo a distanza le persone che vorrebbero passare del tempo con me.

Le reazioni ansiose degli altri mi infastidiscono, non riesco a essere empatica: solo se la persona a me è molto stretta (stiamo parlando di 3-4 persone al massimo). Nel resto dei casi c'è la solita domanda interiore. Quale espressione è quella giusta? Vuole che la/lo abbracci? Per quanto tempo devo mantenermi sulla discussione per fare intendere che mi sta interessando questo problema?

Ma soprattutto, quanto dovrò sentirmi in colpa dopo aver scritto tutto questo?

3 commenti:

Unknown ha detto...

Nessuna colpa!

Unknown ha detto...

Nessuna colpa! Ps. Sayuri

Anonimo ha detto...

Sayuri, ci sei ancora! Carla