23 maggio 2018

Applausi

Poldo mi guarda con aria tenera e dubbiosa.
Sarà perché sto sbattendo la testa contro la porta del finto frigo (NB, scrivere la storia del finto frigo in un prossimo post).
Questo per evitare che le bestemmie escano dalle mia labbra. Ma a ogni testata le sento rieccheggiare in testa.
Mi sono appena medicata la ferita e quei piccolissimi miglioramenti che mi aveva fatto notare RagnoB non ci sono più. Anzi, la ferita sembra più larga, più sanguinolenta, più ferita ecco.
È passato un mese dal ritiro dell'istologico e ho deciso che tra un mese torno in ospedale se non migliora. A volte un maggiore sanguinamento serve per una guarigione. O qualcosa di simile dice l'inutile dott. Web.
Quando ho fatto la seconda chemio a 16 anni avevo un catetere venoso centrale. CVC, per gli amici. Un tubo che sbucava dal petto e si divideva in due tubicini. Questo perché la precedente chemio mi aveva bruciato le vene e fare 9 mesi di terapia endovenosa senza vene diventava complicato.

Il mio sangue è denso e coagula subito quindi dovevo fare la medicazione una volta ogni due giorni a dispetto dei miei altri compagni di sventura che se la cavavano una volta a settimana. Ricordo ancora come mettere i guanti sterili affinché rimangano tali. Preparare il telo sterile su cui poggiare le cose, come prendere le garze, l'ordine di pulizia, fare l'eparina. Coprire i tubicini con la garza, ripiegarli all'insù, mettere un bel po' di garza a copertura di tutto. Incerottare e via.
Stesso disagio di ora, anzi maggiore disagio, ma sapevo che era temporaneo. Che dopo quei 9 mesi, a mo' di parto (no aspettate, la seconda chemio è durata 6 mesi mi pare) un giorno mi avrebbero sdraiata in un lettino e senza anestesia mi avrebbero fatto girare la testa a destra strappando con forza il tubo fuori dal mio corpo.
"Lo vuole tenere?"
"Cosa?"
"Il tubo dico"

Non lo tenni ma mi misero da parte l'ago che era infilato dentro e che deve essere ancora nella tasca del mio Invicta Jolly PRO4.

So che passerà, e posso anche prevedere cosa mi diranno in ospedale.
Anzi ora farò una cosa: mi scriverò ciò che diranno su un fogliettino di carta. Lo nasconderò in una tasca.
Quando andrò lì e loro pronunzieranno la fatidica frase io tirerò fuori il bigliettino a mo' di prestigiatore che ha compiuto un gesto impossibile ai più.
"Deve avere pazienza".

Applausi fuori campo.
Dissolvenza.

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