21 dicembre 2018

Griselda

A piedi degli alti monti; dai quali il Po scaturisce e si versa per le campagne, viveva un principe giovane e prode, che era la delizia del suo paese. Il cielo gli avea fatto, fin dalla nascita, ogni dono più raro, come se proprio si trattasse d’un gran re.
Era robusto, svelto, valoroso; amava le arti, la guerra, i grandiosi disegni, le prodezze, la gloria, quella sopratutto di rendere felice il suo popolo.
Un’ombra però oscurava quel bel carattere: in fondo in fondo al suo cuore, pensava il principe che tutte le donne fossero perfide e infedeli; anche la più virtuosa gli sembrava un’ipocrita, una superba, una nemica spietata, sempre ansiosa di tiranneggiare l’uomo disgraziato che le capitasse alle mani.
La pratica del mondo, dove tanti sono i mariti schiavi o ingannati, accrebbe ancora quest’odio profondo. Giurò dunque il principe, che se pure il cielo avesse a posta per lui formato un’altra Lucrezia, mai e poi mai avrebbe preso moglie.
Così, dopo avere impiegato la mattina agli affari di stato, protetto i diritti della vedova e dell’orfano, abolito un’antica imposta di guerra, se ne andava a caccia il resto del giorno, dove i cignali e gli orsi, per feroci che fossero, gli davano meno fastidio che non avrebbero fatto le donne, da lui sempre evitate.
I sudditi nondimeno, ansiosi di assicurarsi un successore non meno buono di lui, lo premuravano sempre perché s’ammogliasse.
Un giorno se ne vennero tutti a palazzo per tentare un ultimo sforzo. Prese la parola uno dei più eloquenti, e disse tutto ciò che si può dire in casi simili: che il popolo era impaziente di veder assicurato un erede al trono; che già si figurava di scorgere un astro nascente, e che questo avrebbe brillato d’una luce senza pari.
Rispose il principe in modo semplice e piano:
“Son lieto e commosso del vostro zelo, che mi è prova dell’amore che mi portate; e vorrei subito contentarvi, se non pensassi che il matrimonio è un certo affare, in cui la prudenza non è mai soverchia. Osservate bene tutte le ragazze: finché stanno in famiglia, sono virtuose, docili, modeste, sincere; ma appena maritate, la maschera non serve più, ed eccole mostrarsi nel loro vero carattere. Questa diventa una bigotta brontolona; quella una fraschetta ciarliera, sempre in cerca d’amanti; una terza si atteggia a far la saputa; un’altra ancora si dà al giuoco, perde danari, gioielli, mobili, vestiti e manda la casa in rovina.
“In un sol punto, si somigliano tutte, nel volere a tutti i costi dettar la legge. Ora io son convinto che nel matrimonio non si può esser felici, quando si comanda in due. Se dunque voi bramate darmi moglie, trovatemi una fanciulla che sia bella, punto superba, non vanitosa, obbediente, paziente, senza volontà; ed io vi prometto di sposarla.”
Ciò detto, il principe balzò in sella e si slanciò a spron battuto verso la pianura dove i compagni di caccia lo aspettavano.
Traversati campi e sentieri, li trovò alla fine che giacevano sull’erba. Tutti si alzano e fanno squillare i corni. Corrono e abbaiano i levrieri; i cani di punta scuotono il guinzaglio e tirano i servi che li tengono a fatica; galoppano e nitriscono i cavalli; rintrona la foresta, e in essa si sprofonda e scompare tutta la brillante e rumorosa brigata.
Fosse caso o destino, il principe prese un sentiero traverso dove nessuno lo segui; più corre, più si allontana dai suoi, fino a che non sente più neppure lo strepito dei cani e dei corni.
Si trovò così in un posto remoto ed ombroso, qua e là inargentato da un corso di acqua. Tutto intorno era silenzio; e mentre egli si lasciava andare all’incanto malinconico del bosco, ecco che una deliziosa apparizione gli colpisce gli occhi e gli fa battere il cuore.
Era una pastorella che guardava il suo gregge, standosene in riva d’un ruscello e facendo con mano esperta girare il suo fuso.
Il cuore più selvaggio ne sarebbe rimasto invaghito. Bianca come un giglio, con una bocca infantile, e due occhi più azzurri e più luminosi del firmamento.
Il principe, al cospetto di tanta bellezza, si avanza turbato; ma al calpestio la fanciulla si volta, arrossisce, abbassa gli occhi pudica, con una dolcezza, una sincerità, un candore, di cui il principe credeva incapace il bel sesso.
Preso da insolito terrore, egli fa un passo e, più timido di lei, le dice con voce tremula di aver perduto la traccia dei suoi cacciatori e le chiede se mai gli avesse visti passare pel bosco.
— Niente è apparso in questa solitudine, risponde la fanciulla. Ma state pur tranquillo, vi rimetterò io sulla via.
— Io ringrazio il cielo, dice il principe, della mia sorte. Da molto tempo frequento questi posti, ma fino ad oggi ignoravo quel che essi hanno di più prezioso.
Così dicendo, si china per attingere nel ruscello un po’ d’acqua.
— Aspettate, signore, dice la pastorella, e correndo verso la sua capanna, prende una tazza e la porge con grazia al cavaliere assetato.
I vasi più preziosi di cristallo e di agata, i più ricchi di oro e più artisticamente lavorati, non ebbero per lui mai tanta bellezza quanto quel rozzo vaso d’argilla.
Si avviarono insieme, traversarono boschi, rocce, torrenti. Il principe si guarda intorno, osserva, nota, cerca d’imprimersi in mente la via.
Arrivarono alla fine in una boscaglia scura e fresca; e là, di mezzo ai rami, scerse da lontano, in mezzo alla pianura, i tetti dorati del palazzo reale.
Accomiatatosi dalla sua compagna, si allontanò tutto lieto della bella avventura; ma il giorno appresso si sentì vinto dalla noia e dalla tristezza.
Non appena gli fu possibile, tornò alla caccia, si staccò dagli amici, si cacciò nel bosco, e poichè ben si ricordava tutto il laberinto dei sentieri percorsi, trovò senza molta fatica la casa della pastorella.
Seppe che si chiamava Griselda, che viveva sola col padre, che si nudrivano del latte delle loro pecorelle e che dalla lana di queste, da lei filata, si facevano i vestiti.
Più la guarda, più s’innamora di tanta bellezza e di tante virtù; si compiace di aver così ben collocato i suoi primi affetti e, senza perder tempo, fa convocare il suo consiglio ed annunzia di aver trovato una sposa, una ragazza del paese, bella, saggia, bennata.
La notizia si sparse in un baleno, e non si può dire con quanta allegrezza fu accolta. Il più contento fu l’oratore, che attribuì alla propria eloquenza la riuscita; e subito per tutta la città si vide un curioso spettacolo, perchè tutte le ragazze fecero a gara per mostrarsi pudiche e modeste e attirar così l’attenzione del principe, i cui gusti erano notorii. Tutte mutarono di vestiti e di contegno; tossirono divotamente e raddolcirono la voce; le pettinature si abbassarono di mezzo palmo, i corpetti si abbottonarono fino alla gola; le maniche si allungarono.
Fervevano intanto per la città i preparativi per le nozze. Carri scolpiti e dorati, palchi, archi trionfali, fuochi d’artificio, balli, operette, musiche.
Arrivò alla fine il giorno sospirato.
Spuntata appena l’alba rosata, tutte le donne della città furono in piedi; il popolo accorre da tutte le parti, le guardie qua e là fanno far largo. Tutta la reggia rintrona di trombe, flauti, fagotti, cornamuse, tamburi.
Si mostra alfine il principe, circondato dalla sua corte, ed è salutato da un grido unanime di gioia; ma si rimane molto sorpresi nel vedere che, alla prima voltata, egli prende la via del bosco vicino, come tutti i giorni solea fare. “Siamo da capo, si diceva; eccolo che non sa resistere alla passione e torna a caccia”.
Il principe traversa la pianura, entra nel bosco, passa per questo e per quel sentiero, arriva finalmente alla nota capanna.
Griselda, che avea sentito parlar delle nozze, voleva anch’essa assistere allo spettacolo, e in quel punto stesso, con indosso gli abiti della festa, usciva sulla soglia.
“Dove correte così svelta e frettolosa? le disse il principe, guardandola con tenerezza. Fermatevi. Le nozze non si potrebbero fare senza di voi. Sì, io vi amo, io vi ho scelto fra mille bellezze per passar con voi il resto della mia vita; se però voi non direte di no. — Ah, signore! esclamò ella, tanta gloria non è per me. Voi volete scherzare. — Tutt’altro. Ho già parlato a vostro padre; non manca che il vostro consenso. Ma perché fra noi regni costante la pace, bisogna giurarmi che non avrete mai altra volontà fuor della mia. — Lo giuro, e ve lo prometto. Se avessi sposato l’ultimo del villaggio, avrei con gioia accettato di essergli schiava; tanto più con voi, mio signore e mio sposo.”
Fissate così le nozze, fra gli applausi della corte, il principe conduce la sposa nella capanna, dove due damigelle la vestono e l’adornano per l’occasione.
Fulgida di beltà e di ricchezza, emerge finalmente la sposa dall’umile abituro ed è accolta da un’acclamazione entusiastica. Si asside maestosa sopra un gran carro di oro ed avorio, il principe prende posto al suo fianco, i cortigiani seguono in folla.
Tutto il popolo, avvertito della scelta del sovrano, accorre incontro al corteo; fa ressa intorno al carro; poco manca che non distacchi i cavalli. Si arriva alla chiesa; si compie il sacro rito; si scambia la promessa, si chiude la solenne giornata fra danze, giuochi, corse e tornei.
Il giorno appresso, tutte le autorità si presentano a palazzo per congratularsi coi novelli sposi. Griselda, circondata dalle sue dame, serbò un contegno da vera principessa. Tanto il cielo l’avea favorita d’ingegno e di prudenza, che in breve acquistò i modi di una vera sovrana e seppe guidare le sue dame assai più agevolmente che non avesse guidato altra volta le sue pecorelle.
Prima che l’anno spirasse, le liete nozze furono benedette dal cielo col dono di una principessina, bella come un amore, che formò la delizia dei due giovani sposi.
Griselda volle da sé nudrir la bambina. “No, disse, non saprei resistere alle grida supplici della mia creatura; non saprei esser madre a metà della bambina che adoro.”
Il principe intanto, sia che fosse meno infiammato dei primi giorni, sia che si facesse vincere dai soliti umori maligni, crede di scorgere non so che doppiezza in tutte le azioni della sposa. La virtù di lei gli pare un tranello; la dolcezza un’ipocrisia; ogni buona parola un artifizio. Guarda, spia, sorveglia, sospetta, tiranneggia; le toglie le vesti sfoggiate, gli anelli, le collane, tutti i ricchi doni di nozze; la chiude in camera, ed è assai se lascia penetrare in questa un po’ di luce.
“Si vede, pensava Griselda, ch’ei mi vuol provare. Accetto volentieri la sua crudeltà e la volontà del Signore. Più si soffre, più si è felici.”
Ma il principe, non che commuoversi a tanta rassegnazione, diventa più cupo e sospettoso. “Tutti gli affetti di lei, pensa, son concentrati nella piccina; per questo è che non si cura di altro, ed ogni rigore le è indifferente. Per vederci netto, bisogna colpirla in quanto più le sta a cuore.”
Un giorno che Griselda con la bimba fra le braccia, le dava latte, accarezzandola e sorridendo, il principe entrò di sorpresa. “Vedo, disse, che le volete bene; eppure bisogna che ve la tolga, per educarla in tempo e perchè non prenda da voi qualche maniera un po’ goffa. Per buona sorte, ho trovato una dama fra le più distinte, che le insegnerà tutte le virtù che una principessa deve avere. Preparatevi, perchè tra poco verranno a prenderla.”
Ciò detto uscì frettoloso.
Griselda tace, piega la testa, rattiene a stento le lagrime; e quando vede arrivare lo spietato ministro degli ordini sovrani: “È forza obbedire” dice. Poi, presa e baciata la bimba, la consegna fra le mani di quell’uomo e le pare in quel momento di strapparsela dal cuore.
Sorgeva non lontano dalla città un monastero, famoso per l’antichità e per la regola austera che vi regnava. Alla pia badessa del luogo e alle cure delle suore fu consegnata la bimba, senza rivelarne la nascita, insieme con molti anelli di gran valore.
Il principe, che cercava di soffocare i rimorsi negli usati spassi della caccia, avea paura di riveder la moglie, come si avrebbe paura di rivedere una tigre cui fosse stato strappato il tigrotto. Eppure non trovò in lei che dolcezza, buone maniere, e perfino un affetto sincero come nei primi giorni della loro unione. A tanta bontà, più acerba sentì la punta del rimorso; ma cedendo ancora una volta, per debolezza di carattere, ai sospetti che lo torturavano, pensò di dare alla poveretta un novello colpo, e venne un giorno ad annunziarle che la bimba, pur troppo, era morta.
All’improvvisa notizia, poco mancò che Griselda non tramortisse; se non che, visto impallidire il marito, fece forza a se stessa, ingoiò le lagrime e non pensò ad altro che a rendergli meno amaro il dolore. Il principe, dal canto suo, commosso da tanta bontà, fu lì lì per confessare il vero, per dirle che la bimba era sempre viva e sana; ma gliene mancò il coraggio, e gli sembrò forse anche utile di prolungar la prova incominciata.
Da quel momento, l’affetto dei due sposi crebbe sempre più, e così si mantenne, senza mai stancarsi un momento, per quindici anni di fila.
La principessina intanto cresceva in senno e in ingegno; dalla madre aveva ereditato la bontà, dal padre il nobile contegno. Era anche bella come una fata; ed un gentiluomo di corte vistala per caso dietro la grata del convento, se ne invaghì perdutamente.
La principessa, per l’istinto che è proprio delle donne, si accorse della simpatia destata; e dopo avere un po’ resistito, per convenienza, la ricambiò con egual calore.
Il giovane era bello, valoroso, nobile; e già da un pezzo il principe pensava di darlo in isposo alla figlia. Fu dunque lietissimo di sapere che si amavano; ma il capriccio gli venne di far loro comprare a caro prezzo la maggior felicità della vita.
“Li contenterò, disse, ma bisognerà prima che il tormento ne accresca l’amore; eserciterò anche, nel tempo stesso, la pazienza di mia moglie, non già per geloso sospetto, ma perchè rifulgano agli occhi di tutti la bontà di lei, la dolcezza, il senno, tutti i pregi per cui la terra dev’esser grata al cielo.”
Dichiara dunque pubblicamente che, non avendo eredi ed essendo morta l’unica figlia avuta dal suo folle matrimonio, ei deve cercare altrove miglior fortuna; che la sposa scelta è d’illustre prosapia e che finora è stata educata in convento.
Figurarsi come questa notizia suonò amara ai due innamorati! In seguito, senza ombra di rammarico, egli annunziò alla moglie che era indispensabile separarsi; che il popolo, indignato de’ bassi natali di lei, lo costringe a contrarre più degne nozze.
“Ritiratevi, dice nella vostra capanna, dopo aver ripreso le vostre vesti di pastorella.”
Tranquilla e muta, la principessa ascoltò la sentenza. Il dolore la rodeva dentro, spremendole grosse lagrime dagli occhi, e rendendola più bella: così, a primavera, cade la pioggia mentre splende il sole.
“Voi siete il mio sposo e il mio padrone, rispose con un sospiro, e per terribile che sia la sorte che mi aspetta, vi mostrerò che la mia gioia maggiore è quella di obbedirvi”.
Andò in camera sua, si spogliò delle ricche vesti, riprese in silenzio gli umili abiti di un tempo, e di nuovo si presentò al principe, dicendo:
“Non so staccarmi da voi senza che mi perdoniate i dispiaceri che forse vi ho dato; posso sopportare la mia miseria, non già il vostro sdegno. Fatemi questa grazia, ed io vivrò contenta nell’umile mia dimora, senza che mai il tempo possa mutare il mio rispetto e il mio amore per voi.”
Poco mancò che tanta sottomissione e tanta magnanimità non rimovessero il principe dal suo proposito. Commosso, quasi piangendo, egli stava sul punto di abbracciarla, quando di botto la caparbietà la vinse e gli fece dire con asprezza:
“Del passato non mi ricordo più. Sono contento di vedervi pentita. Andate!”
La poverina parte all’istante in compagnia del padre addolorato. “Torniamo, dice, ai nostri boschi, alla rozza dimora; lasciamo senza rimpianto il fasto della reggia. Le nostre capanne non hanno tanta magnificenza, ma vi si trova l’innocenza, la quiete, il riposo”.
Torna al suo deserto, riprende fuso e conocchia e va a filare in riva a quel ruscello dove il principe l’avea trovata. Calma, senza rancore, prega di continuo il cielo che colmi lo sposo di gloria, di ricchezza, di quanto, possa bramare.
Ma il caro sposo intanto, volendo sempre più metterla alla prova, le manda a dire di venire a corte.
“Griselda, le dice, bisogna che la principessa cui domani mi fo sposo sia contenta di voi e di me. Aiutatemi dunque. Nessun risparmio, nessun ritegno; fate che in ogni cosa si manifesti la grandezza del principe, e di un principe innamorato. Mettete tutta l’arte vostra ad ornare gli appartamenti di lei; vi regni il fasto, la nettezza, la magnificenza; pensate che si tratta di una giovane principessa da me teneramente amata. Anzi, perchè meglio intendiate i vostri doveri, ve la farò subito conoscere.”
Arrivò in quel punto la giovane sposa, e parve più luminosa e sorridente dell’aurora. Griselda, al solo vederla, si sentì dentro un impeto di amor materno; si ricordò del passato e dei giorni felici. “Ahimè! pensò, la figlia mia, se il cielo l’avesse permesso, avrebbe la stessa età e sarebbe forse così bella”.
Un affetto vivo, prepotente, la prese per quella fanciulla; e non appena la vide allontanarsi, non potè fare a meno di dire al principe, mossa dall’inconscio istinto materno:
“Permettete, signore, ch’io vi faccia notare che l’amabile principessa da voi scelta per sposa, cresciuta ed allevata negli agi e nella porpora, non potrà sopportare, senza pericolo della vita, gli stessi trattamenti che io m’ebbi da voi. Per me, il bisogno, gli oscuri natali mi avevano indurita alle fatiche, sicchè potevo sopportare ogni sorta di male, senza soffrirne e senza dolermi. Ma a lei, che non mai conobbe il dolore, la minima parola un po’ aspra potrebbe far male. Io ve ne supplico, signore! trattatela con dolcezza”.
“Pensate, ammonì severo il principe, a servirmi come potete; non sarà mai detto che una semplice pastorella mi faccia la lezione e m’insegni i miei doveri”.
A queste parole, Griselda, senza aprir bocca, si ritira.
Arrivano intanto gl’invitati alle nozze; e il principe, in una magnifica sala, prima che la funzione incominci, parlò loro in questi termini:
“Nulla al mondo, dopo la speranza, è più ingannevole dell’apparenza, ed eccone una prova luminosa. Chi non crederebbe che la giovane principessa, mia eletta sposa, non sia felice e contenta? Eppure, non è così.
“Chi non crederebbe che questo giovane guerriero, vago di gloria, non sia lieto di queste nozze, egli che nei tornei riporterà vittoria su tutti ì rivali? Eppure non è così. “Chi non crederebbe che Griselda, giustamente sdegnata, non pianga e non si disperi? Eppure ella non si duole, consente a tutto, e nulla potè stancare la sua pazienza.
“Chi non crederebbe finalmente alla fortuna che mi arride, vedendo la grazia di colei che amo? Eppure se le nozze mi legassero, io sarei il più disgraziato fra i principi del mondo.
“L’enigma vi sembra difficile, ma due parole ve lo spiegheranno, due parole che faranno dileguare tutte le sventure or ora enumerate.
“Sappiate che la bella ed amata sposa è mia figlia, e che io la do in moglie a questo giovane signore, che l’ama ardentemente e n’è riamato.
“Sappiate pure che, vivamente commosso dalla rassegnazione della sposa fedele da me indegnamente scacciata, io la riprendo, per riparare col più fervente amore ai torti che le inflisse la mia crudele gelosia. Sarò più studioso di prevenire ogni suo desiderio che non fui costante a colmarla di amarezze; e se la memoria sarà eterna della mirabile rassegnazione di lei, voglio che molto più si parli della gloria onde io ne avrò coronata la virtù”.
Come ad un improvviso raggio di sole che squarci le nuvole nere della tempesta, s’illumina e ride la campagna, così in tutti gli occhi si dileguò la tristezza, cedendo il posto alla più schietta allegria.
La principessina si gettò alle ginocchia del padre e teneramente le abbracciò; la rialzò il principe e la condusse dalla madre, cui il soverchio della gioia toglieva quasi i sensi. Il cuore, costante e forte contro gli assalti del dolore, soccombeva ora alla letizia, e la povera Griselda non poteva che piangere.
“Basta, disse il principe, sfogherete a miglior tempo gli affetti. Riprendete le vesti regali e solenniziamo le nozze di nostra figlia”.
Si va in chiesa, si scambia fra gli sposi la promessa; e subito dopo seguono feste, tornei, giuochi, danze, musiche, banchetti. Tutti gli occhi si volgono a Griselda, tutte le voci esaltano la sua meravigliosa pazienza. E tale e tanta è la gioia del popolo, che si arriva perfino a lodare la prova crudele del principe bisbetico, alla quale si deve il perfetto modello d’una così bella e rara virtù, che tanto aggiunge pregio alla donna.

(Charles Perrault)

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