16 aprile 2019

A volte

A volte ci si sente immensamente soli.
La solitudine in verità è una buona compagna: riesce a fare luce su tantissimi puntini neri fino a mostrarne la trama. Come quando nell'oscurità d'improvviso gli occhi si abituano e improvvisamente si fa tutto più chiaro.
Non luminoso, solo più chiaro.
L'ultimo baluardo di speranza si è spento: il faro, mio unico faro che ancora aveva speranza non c'è più.
Ed è così che ci si sente soli.
Quando alla fine si è davvero costretti a fare i conti con se stessi e con gli altri, senza alcun appoggio esterno.

E poi parte l'ansia, tradotta con una morsa al cuore.
"Mi scusi, vorrei un cuore nuovo, il mio non so cosa sia successo, ma è rotto. E non penso sia più in garanzia. No che non l'ho fatto cadere, ci sto attenta, sa".
Ai polmoni manca il respiro.
"Ah ecco, quasi scordavo. Vorrei riparare i polmoni. Non respiro più bene. Sì, sembrano funzionanti ma le assicuro che... Non mi interessa cosa dicono i suoi strumenti io faccio fatica a... Senta, vada al diavolo, le dico che non funzionano bene!"
Il sonno è perduto.
"Gli oggetti smarriti? Ho perso il sonno. Non ricordo se l'ho lasciato sul bus, sul treno, o è a casa ma ho rovistato dappertutto e nulla. Dovrebbe essere morbido e azzurro. Sì, ha delle figure stampate sopra. Ah, ed è caldo, molto caldo. Senza quello, tempo qualche giorno e divento matta. Ci sono molto affezionata".
L'appetito non è più così importante.
"Sono sempre io, sì mi faccia sapere se ritrova il mio sonno, ma l'appetito lo ha trovato? Forse li ho persi insieme. Non saprei, è più probabile che l'appetito sia qui da qualche parte ma che io lo ignori."

Li chiamano "periodi".
Io, in questi giorni, vorrei una navicella spaziale supersonica che mi porti a 55 milioni di anni luce da qui, verso l'orizzonte degli eventi, in un luogo in cui nemmeno la luce può sfuggire, figurarsi un essere umano di 45 chili cagati.

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