27 ottobre 2019

Dove vanno a morire i cigni?

Cristiano mi sta insegnando a prendermi cura delle cose.
Pensavo di essere abbastanza brava in questo, ma vedendo la cura che ci mette quotidianamente a non lasciare segni fisici del suo passaggio sugli oggetti, mi rendo conto di non essere mai stata così accorta.
Ogni sera, quando lo zaino fotografico si svuota, c'è il rito della pulizia delle macchine fotografiche e delle loro ottiche che poi vengono riposte in maniera ordinata nella libreria.
Penso alla mia macchina fotografica, poggiata sul divano, con scheda e batteria sempre all'interno che sì, ha la custodia, ma non ha mai visto un panno umido. E le ottiche vengono pulite solo se sono sporche.
In compenso io sto aiutando Cristiano a prendersi cura di me. E "me" è una persona piuttosto esigente.
Ho sempre fame, esigo continuamente attenzioni, soprattutto fisiche, non sopporto l'abbraccio brevettato da lui "a un braccio solo" e molte volte glielo deve ricordare: "a due braccia".
E, in ogni caso, anche l'abbraccio "a due braccia" non dura mai più di due Mississipi, a meno che non ci si trovi a letto o sul divano. A quel punto i Mississipi non si contano perché sono tantissimi.
Contare i Mississippi, allora, può essere propedeutico al sonno, meglio che contare le pecore.
Cristiano mi sta insegnando ad avere pazienza, a capire che non tutte le persone sono come me e reagiscono come me. Questo mi aiuta relativamente quando le relazioni interpersonali non vanno come spero.
Io gli sto insegnando un altro tipo di pazienza, quello più pratico, qualcosa come "conta fino a 10" o "non vale la pena arrabbiarsi per questo".
Lui mi sta insegnando a presentarmi al mondo, io a essere rilassato nei peggiori panni.
Dall'esterno sembriamo una coppia disfunzionale, l'Alpha e l'Omega ma in qualche modo funzioniamo.
Quando penso a noi penso a un impegno maggiore di quello che ho avuto di solito.
Quando penso a noi penso alle lentiggini sulle sue spalle che vedo ogni sera quando lo abbraccio e mi dà la schiena.
C'è una lentiggine più scura e più grande, quasi a metà di quel percorso un po' sinuoso che dalla spalla arriva al collo a cui mi sono particolarmente affezionata.
Se la sera non riesco a dormire la guardo, mentre le mie lunghe ciglia sfiorano la sua pelle.
È un piccolo percorso di cura e attenzione, pieno di buche e scivoloni annessi, ciò che quella lentiggine mi dice.
È una lingua antica come il mondo, la cura che si ha verso un altro essere umano.
E lui? A quale angolo di pelle parlerà quando vede le mie spalle? Al piccione tatuato? Alla mia cicatrice a metà schiena? Al mio esile collo?
A quale lembo di me si rivolge nel ricordo delle notti passate insieme?
Sono domande che non esigono una risposta ma che lasciano porte aperte a infinite possibilità.
Come le cellule epiteliali che rivestono la cute nascono, muoiono e si rinnovano, ogni giorno ha in sé una promessa non dichiarata ma comunque importante.
È forse questo l'amore. L'attesa di una risposta a una domanda mai fatta, una promessa non formulata ma sottintesa, la costruzione di un desiderio più profondo.
E ora, una lentiggine con un nome.


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