06 luglio 2006

Un ragno deve avermi morso stanotte. Due puntini rossi si affiancano all'onnipresente morso di zanzara. Sembro avere il morbillo, con pustole più grosse e rosse, però.

Ci sono cose che anche passati anni ti chiedi come possano essere accadute, come possano aver perdurato nel tempo nonostante tutto, e quindi ti metti a cesellare con la pazienza di un decoratore ogni cosa. Da quando vi siete conosciuti, a quando quel famoso mattino, ti sei svegliata e hai detto prima a te stessa e tre giorni dopo a lui "Non ti amo più".
Giuro, non lo avevo mai capito fino a ieri. E ieri improvvisamente senza pensarci, qualcosa deve essersi acceso in me. Ieri ho capito.

Quando ci siamo conosciuti io ero piccina e lui in visita a Torino. Ma lo prendevo più che altro per il culo e dentro di me mi dicevo che con uno così "mai".
Quando ci siamo rivisti io non stavo molto bene: mi chiamò per dirmi che era tornato in città dopo un anno di marina e potevamo vederci. Io stavo con un altro ragazzo, e nemmeno lui stava bene. Formavamo una coppia di quelle che fa tenerezza, con questi grandi occhioni senza ciglia e il cranio senza l'ombra di un capello. Diversissimi ma per l'occasione, nostro malgrado, molto simili. Avevo le vene ormai andate, le braccia erano ridotte a colabrodo e come tutti i piccoli pazienti decisero di "installarmi" un catetere venoso centrale. Un due vie. Le infermiere lo chiamano Broviac.
Questo Broviac mi faceva sentire un pochettino cyborg e ne andavo decisamente fiera, tranne quella volta ogni giorni in cui dovevo medicarlo: è una facile via di accesso per batteri e schifezze qualsiasi, pensateci bene. Accede direttamente a "dentro di voi". Per una cosa del genere anche il virus più innocuo stappa una bottiglia di champagne.
La procedura era: mascherina sterile che non potevo indossare, altrimenti non vedevo nulla. Spacchettamento di una serie di componenti in modalità più o meno sterile, quindi non potevo assolutamente toccarne il contenuto con le mie mani luridissime, benché pulite. Aprire boccettine di soluzione fisiologica. Bagnare tocchettini di garza con soluzione fisiologica, poi con Betadine. E poi l'eparina, ciò che mi faceva davvero sentire una star. Prendevo il mio bel siringone, levavo l'ago e mettevo un ago da insulina, prelevavo la mia bella boccetta di eparina e bucavo entrambi i tubicini. Sangue denso, ero costretta a questa operazione quasi tutti i giorni. Poi impacchettavo tutto con le garze ed eccolo lì, il pacco sorpresa in mezzo alle tette.
Il problema era quando i globuli bianchi raggiungevano il minimo storico. Lì era quasi sempre infezione. Infezione vuol dire che presto o tardi, ma lo senti già nell'aria, ti viene una febbre da cavallo. E ti sparano in vena un antibiotico potente che uccide qualsiasi cosa.
Fu così che lo conobbi. Uscimmo insieme, e ci provava palesemente. Io non cedevo. Tutt'a un tratto però cominciai a sentire quella brutta aria, come di qualcosa che sta andando storto. Brividi. Vertigini. Infezione.
Mi feci accompagnare a casa e intanto la temperatura saliva, 38, 38 e mezzo.
Chiamai l'ospedale, mi dissero di prendere Tachipirina e aspettare. Ma la febbre non scendeva, anzi saliva.
Il mio babbo non mi accompagnava mai in ospedale, per ragioni a me sconosciute (forse pesa troppo a un papà vedere la propria figlia stare così, non so), quindi chiamai lui. E lui arrivò e mi accompagnò all'ospedale. Seguì una brutta nottata: la mia febbre arrivò a 40 e mezzo. Avevo chili di coperte addosso eppur tremavo. E intanto pensavo a questa persona tanto gentile che pur conoscendomi appena, mi aveva portata fin lì.
Rimessa un pochetto in sesto, con il superantibiotico in vena, uscimmo ancora. Il mio ragazzo di allora mi lasciò, io ero guarita ormai e non avevamo davvero più nulla in comune. E indovinate come finì?
La verità nascosta è che prima di lui avevo sempre avuto storie bizzarre, di gente che davvero non aveva alcun minimo interesse nei miei confronti e forse quella sera non mi avrebbe accompagnata all'ospedale. Questo gesto così gentile fu per me prova di avere davanti una sorta di nobiluomo. Ci teneva a me ma le cose non andavano così bene. Geloso e possessivo, fui costretta a sorbirmi scenate di gelosia di ogni tipo. Finché non accadde che mi resi conto, così in un lampo, che forse la vita non era quella.
Insomma, a paragone con tutti gli stronzi che erano arrivati da me, lui sembrava (e non solo sembrava) ci tenesse davvero. Una sera però cominciammo a discutere. Disse che non si fidava, che forse non si sarebbe mai fidato di me.
Dopo tre giorni ci lasciammo.
Siamo stati insieme cinque anni e finora non avevo mai capito.
Temevo, e temevo davvero, non solo di rimanere sola, ma di non trovare nessun altro disposto a tenerci così.
A me.

4 commenti:

Zion ha detto...

mi fa piacere che ne parli al passato.
Roccio lo vedo scritto in ogni riga di questo post, anche se non ne parli direttamente. Spero di non aver interpretato male.

Zion

Carla ha detto...

Parlo di un'altra persona. Ma Roccio è in ogni cosa.
Capo :)

Fly ha detto...

Io l'avevo capito che non era Roccio!

Carla ha detto...

Sì, penso che Zion intendesse altro..