28 ottobre 2021

Le coincidenze, parte 2: il 5c - Copenhagen, 29-30-31 Agosto 2021

Non so perché avessi tanta paura di prendere l'aereo da sola. Forse la paura di perderlo, di non riuscire a chiedere informazioni con il mio pessimo inglese, non so. So solo che alla fine è stato tutto relativamente semplice.

All'aeroporto di Varsavia, in partenza per Copenaghen, ho conosciuto una vecchina che abita a Göteborg, viaggiava da sola con uno zaino come il mio. Nonostante i problemi linguistici mi ha raccontato che vive davanti a un lago, che adora nuotare e che dopo la chiusura delle piscine a causa del Covid ha cominciato a nuotare nel lago. Che ama lo sport e ha fatto gare di diving a Bolzano. Che a 49 anni ha cominciato a studiare fisioterapia e che non è stato semplice perché in Svezia sono molto inquadrati e in genere le persone a 49 non si mettono a fare cose nuove. Le ho parlato della mostra che ho visto e mi ha fatto vedere le foto del concerto che è andata a vedere (con sui amici legali e attivisti per i diritti umani). Avrei voluto conoscere meglio l'inglese per raccontarle e chiederle meglio ma può essere un obiettivo del nuovo anno. Intanto lei ha preso l'aereo e a me che è presa fame, è toccato scoprire che alle 19.15 all'aeroporto di Varsavia è tutto chiuso.

Nel frattempo ci imbarcano. Non ho fatto foto ma l'aereo è piccino, all'esterno c'è scritto EI (ma non significa Esercito Italiano?) e dentro siamo tutti stipati, altro che distanziamento. Ma va bene, ho la mascherina e sono vaccinata (e presto butterò via la mascherina chirurgica per sostituirla con la ffp2).

Per spostarsi con i mezzi in Danimarca è possibile comprare i biglietti online con un'app che si chiama DOT. Basta che gli dici dove deve andare, lui calcola le zone e ti dice il costo esatto del biglietto. L'importante è pagare a partire dal l'effettivo utilizzo, in quanto non va timbrato ma il tempo di utilizzo parte dall'acquisto.

Il bus che devo prendere è il 5c e mi lascia proprio davanti all'albergo. Scoprirò presto che il 5c mi porta un po' ovunque e lo userò tanto sia in questo che nei prossimi giorni

L'albergo, piuttosto centrale ma economico (per gli standard danesi) è il Cabinn City, stanza piccola, bagno praticamente composto di water, lavandino e doccia che sovrasta ogni cosa (e per lavarvi vi farà smadonnare perché inonderete tutto) ma va bene. Già avere il bagno è una grossa conquista.


Il 5c davanti all'aeroporto di Copenaghen

Il Cabinn City in tutto il suo splendore

Dopo aver sistemato un paio di cose crollo a letto. La finestra della mia stanza è a piano terra e da' sulla strada. Non ci sono tapparelle ma delle tende abbastanza oscuranti, devo solo ricordarmi della loro esistenza per non dare spettacolo con uno streaptease improvvisato con il passante di turno che sta solo recuperando la macchina dal parcheggio.

Mi sveglio con la dovuta calma, decido di non fare colazione per non perdere tempo e mi avvio girando un po' a caso. Fotografo dalla sponda opposta la biblioteca (bella bella), giro a caso fino alla via dello shopping, lo Strøget, arrivo al porto vecchio, faccio foto orribili da turista ma quando mi prende fame sono costretta a trovare qualcosa di economico, e scoprirò presto che il Burger King diventerà il mio più prezioso alleato, nonché donatore ufficiale di trippa sulla pancia.


la biblioteca



distributore di mascherine

il porto vecchio


avventore a caso




C'è sole, e vento e non ho ancora bevuto nulla. Ordino alla cassa automatica un panino qualsiasi con aggiunta di salsa all'aglio, patatine e coca zero (così oltre alla bevanda ho anche un po' di zucchero) e quando lo ritiro e apro la salsa scopro che è salsa al curry e forse nemmeno il panino è il mio. Va bene lo stesso, mi godo il menù di chissà chi e intanto sento la mia emicrania che già era lieve dal mattino, aumentare. Decido di andare a riposare e mentre torno, al supermercato sotto l'albergo, compro tre bottigliette d'acqua e delle caramelle gommose da smangiucchiare, nonché biscotti per la colazione (in stanza ho bollitore e caffè solubile, no, non mi formalizzo: alle Faroe non avrò niente di economico da mangiare, stringo le chiappe ora che posso).


Burger King (sia lodato)


foto a caso


bleu


Nonostante cerchi di bere il mal di testa aumenta.

La mia emicrania mi costringe a stare attenta a tutto, il troppo sole che da' noia agli occhi, il vento che disidrata, la fame, la stanchezza, l'aria condizionata, il troppo caldo, il troppo freddo. Non so mai per cosa arriva quindi devo tenere sempre tutto sotto controllo, ma spesso non riesco. Di mio bevo poco, mi manca proprio lo stimolo della sete e a volte è complicato capire se devo idratarmi. Prendo una tachipirina (le ho dietro, per fortuna, perché le mie solite pastiglie per il mal di testa a effetto rapido sono poche e preferisco usarle quando sono in giro e non posso rientrare alla casa base) e mi metto a letto, da sdraiata va peggio ma sono stanca per stare seduta. Così, soffrendo un po' lascio che passi e crollo.

Tutto il pomeriggio del 30, il primo giorno, è stato mangiato dal mio mostro, dalla mia emicrania, dormo tanto, tantissimo.

Ma la mattina dopo almeno sono pronta a ripartire. Sento ancora un po' di mal di testa, mando giù un'altra tachipirina e faccio colazione. Decido di fare l'abbonamento del bus 24 ore (a "sole" 80 DKK, le corone danesi, qualcosa come 12 euro) per andare a vedere tutte le cose che difficilmente posso raggiungere a piedi.

Dimentico che Copenhagen non si sveglia prima delle 10, per cui andando a Christiania che sono forse appena le 9 trovo tutto chiuso, anche la famosa pusher street. Restiamo io e le scritte ovunque che invitano a non fare foto (leggo su internet anche che è vietato correre per non creare il panico). Per cui dovrò tornarci ma non so, è carina ma mi basta andare in Barriera di Milano a Torino per trovare le stesse cose anche se con meno verde. Mi trovo non troppo lontana dal cimitero di Assistens.

Non vedo errori


L'ingresso a Christiania

Il cimitero è bellissimo, enorme ed è un parco. È davvero un parco: dentro ci girano le bici, le mamme con i bimbi con i passeggini. Ogni tanto qua e là una vecchia lapide a ricordare che si tratta anche di un luogo di memoria. Sono qui per visitare sì il cimitero (li adoro) ma soprattutto per ringraziare Handersen per le sue belle fiabe ("Il brutto anatroccolo") e rendere omaggio a Soren Kierkegaard.




Lì accanto c'è anche l'antico cimitero ebraico ma con mia grande sorpresa è chiuso. Strano, da orario dovrebbe essere aperto, non è nemmeno una festività ebraica. Mesta mesta vado via decidendo di fare due passi al mare.

Proprio così, prendo bus e metro e vado ad Amager Stranpark. Da qui si vede anche il ponte che collega Copenaghen con Malmo, il ponte di Øresund. Faccio un giro per fotografare i mulini a vento, il ponte, una bici (bici, bici everywhere) ma non sono soddisfatta. Vado a Helgoland dove signore di ogni età sono in topless e decido che è finalmente arrivata l'ora di mangiare. 

Mulini a vento e SUP



il ponte




Helgoland


Bici ovunque



Riprendo la metro (quella di usare i mezzi non è una soluzione troppo comoda, spesso per arrivare ai mezzi c'è da camminare anche una ventina di minuti, ma comunque per arrivare a destinazione ci metterei più di un'ora per cui resta sempre la soluzione migliore) per andare da Reffen, un vero e proprio mercato di street food. C'è cibo per tutti i gusti a un prezzo ragionevole. Su Google si lamentavano delle porzioni ma il mio fish and chips non mi ha fatto sentire fame nemmeno per cena, e finalmente il tutto annaffiato da un po' di birra. L'atmosfera è davvero bella, di fronte c'è il molo, zona industriale, cibo, WiFi... Cerco di programmare il viaggio per le Faroe ma dopo qualche appunto penso sia meglio rientrare. Così mi dirigo a Frederiksberg Have, un bel parco, per fermarmi un attimo e leggere. Del resto non doveva essere il mio viaggio relax e non la solita corsa? A proposito di correre, al parco ci sono diversi corridori che vanno a velocità folli e rischiano di investirti. Mi impanchino ma poi decido comunque di andare in albergo per preparare le Faroe, riposare un attimo in vista della cena che poi non è arrivata. Complice anche il letto comodissimo, mi addormento abbastanza presto per prepararmi al meglio per un'altra giornata danese.


Reffen





il molo su Reffen



27 ottobre 2021

Le utopie, parte 1: la felicità - Varsavia 28-29 Agosto 2021

Quest'anno non volevo farmi sfuggire di nuovo due settimane di ferie di seguito, ma allo stesso tempo molte cose mi hanno, come dire, buttata a terra.

Bisogna morire per rinascere.

Così, nonostante le difficoltà e la paura, ho prenotato. Forse un po' di corsa, altrimenti avrei strutturato la mia vacanza in modo diverso, ma volevo che fosse più "itinerante" di altri viaggi fatti. Inoltre avevo ancora la mostra di Beksinski da vedere, che sarebbe rimasta a Varsavia fino al 5 settembre. Così, fatti un po' di conti in tasca e viste le varie alternative (dalla Lapponia norvegese a quella svedese), mi sono decisa. Un giorno nella mia amata Polonia, a Varsavia, per vedere la mostra del mio nuovo pittore preferito e via a Copenaghen (da cui volendo posso fare un salto a Malmo) e poi di nuovo via alle Faroe.

A ripensarci avrei strutturato il tutto solo alle Faroe invece che restarci 4 giorni, ma il tempo per decidere era poco (ho prenotato circa 10 giorni prima della partenza) e ad aspettare ancora, il costo dei voli sarebbe raddoppiato. E poi mi sono detta "Finché non prenoti, non vai". Ed eccomi qui, in un bar a Varsavia a scrivere.

I giorni precedenti al viaggio non ho dormito, ho dovuto sistemare i miei insetti in modo che non patissero fame e sete, ero preoccupata da tutti i voli da prendere, temevo la mia poca (quasi nulla) conoscenza dell'inglese, ma avevo bisogno di andare via da sola.

Varsavia, mi sono persa come al solito per cercare l'appartamento perché non ci sono dei veri e propri numeri civici, ma numeri di building al cui interno, nel cortile, va cercato il numero della scala. Quindi i numeri civici si presentano così, esempio 24/30 dove 24 è il numero del palazzo, ed entrando dentro il cancello ci sono le varie scale e si deve cercare la scala numero 30. Comunque ho scelto una struttura accanto alla mostra, quindi un po' in periferia ma non mi interessava. 

Tra palazzoni socialisti e disagio vero mi sento quasi a casa.

La mostra era meravigliosa. Mi ha colpito non solo la grande quantità (e qualità) delle opere ma anche la mancanza di didascalie e presentazioni dell'artista. Del resto non è sbagliato, perché fermarsi a leggere informazioni che in due secondi trovi online quando puoi concentrarti sui dettagli? Quelli importanti, pennellate, particolari, materiali, colori.

Mi sono trovata ancora più in difficoltà con l'inglese della precedente volta. E temo sarà peggio a Copenaghen ma andiamo.

Cose buffe, in partenza pensavo mi chiedessero il Green pass ma non è successo. Avevo fatto il mio bel check-in online e al gate, mentre mi imbarcavo sull'aereo, l'hostess o chi per lei mi ha chiesto come mai non fossi passata dal check-in. Bha, l'ho fatto online come sempre. "Ma ce l'ha una vaccinazione, un tampone negativo?" - "Certo" - si consulta con la collega la quale dice ad alta voce "Bhe mal che vada si farà la QUARANTENA". Panico.

Per fortuna una volta atterrata mi hanno controllato finalmente 'sto benedetto Green Pass e mi han fatto passare una notte serena.

Secondo attimo di panico quando il bancomat non veniva riconosciuto per comprare il biglietto alla stazione e ho dovuto usare la carta di credito, già piuttosto provata per tutte le prenotazioni fatte. Per fortuna ho provato a prelevare ieri, alla fine, e non ho avuto problemi.

Quindi arrivata ieri, vista mostra, oggi si riparte. Sono chiusa in questo bar a scrivere mentre ormai il caffè decaffeinato si è freddato e spero non mi caccino perché ho il volo alle 20:35 e devo pur ammazzare in qualche modo il tempo.

Altra chicca, pare che Copenaghen sia piuttosto cara. Stringerò davvero tanto le chiappe anche perché se a Copenaghen posso mangiare panini per risparmiare, alle Faroe sarà totalmente diverso.

Ah e alla fine non ho programmato niente in Danimarca, valuterò giorno per giorno cosa fare.























(Varsavia, 28-29 Agosto 2021)

26 ottobre 2021

Chiedi alle rughe

I miei 40 anni sono passati quasi inosservati: c'è una ragione a tal proposito. Temevo di morire.

In parte è quasi un gioco, ne ho parlato altre volte qui, in parte un po' è stato così. Quando dico che è stato un gioco si è trattato proprio di una lettura di mano che mi feci da piccina: la mia linea della vita spezzata in quello strano modo, con una croce, non mi dava scampo secondo il libro. Sarei morta di una morte improvvisa a 40 anni. Anche se non ci ho mai creduto, per me i 40 anni sono diventati, da quel momento in poi, una sorta di deadline. Segnavano un limite per qualcosa.

E seppur non volendolo, così è stato.

A partire da circa sei mesi prima, una sorta di voragine scura ha cominciato a inghiottirmi. Sentivo una pesantezza addosso mai provata, tentacoli di un essere che mi trascinava via, dai quali non riuscivo a liberarmi.

In tutto questo, una pandemia che non accennava (e accenna) a finire e altri problemi che non sto qui a riportare. Il mondo si era fermato, e con una certa lucidità stavo cercando di fermarmi anche io. Il mio diario riporta piccoli appunti di questo progetto, diario che lasciavo accuratamente in giro sperando, non so cosa, forse che qualcuno mi facesse rinsavire. Poi d'improvviso, come destata da un brutto sogno, mi sono chiesa che cosa stessi facendo. E seppur ancora intrappolata tra le spire d'un mostro che continuava a portarmi giù con sé, seppur senza forze che mi permettessero di ribellarmi ho lasciato andare quel progetto disastroso con l'unico effetto di chiudermi ancora di più nel mio bozzolo dove nulla arriva, da dove nulla esce e che salvo rarissimi casi, mi impediva di esternare qualsiasi sensazione o emozione.

Del resto i miei 40 anni stavano arrivando, la mia deadline era vicina e io non avevo e non ho concluso nulla.

Ma tirando sempre fuori i nostri tarocchi, la carta della Morte non è una carta negativa, indica un cambiamento. Troppi mi stavano crollando addosso e pochi realizzando con le mie mani. In una lettura è importante controllare le carte che seguono quella del triste mietitore: belle carte indicano un cambiamento positivo. Ma le mie carte giacevano ancora coperte sul tavolo e io non volevo, né potevo, girarle.

Ed è così, cercando di girare quelle carte, che mi sono trovata, appena una settimana prima del mio compleanno, in una casa vuota ma tutta mia. Con un letto, un divano, un tavolo e quattro sedie.

Sola.

Poche volte ci si sofferma sulla tristezza di chi fugge, di quanto il cuore sia pesante, delle notti insonni e le lacrime di un progetto fallito, il senso di rabbia per non aver colto prima i segnali o di non averli voluti proprio vedere. Sentirsi addosso la responsabilità della tristezza di un altro essere umano a cui ci si sente intimamente legati. 

E una casa vuota.

E l'ennesimo fallimento.

Ci sono persone che si amano, si amano davvero, ma con le quali non riusciamo a comunicare. I loro pensieri vengono espressi nei modi peggiori e insieme si crea un connubio di potenza e devastazione che distrugge ogni cosa. Si entra in una risonanza negativa dove ci si fa del male.

Qualcuno mi disse, anni fa, eoni fa, che per produrre il minor numero di danni possibili, in quei casi, bisogna essere deserto. E così ho fatto.

Con tutte le difficoltà del caso di una persona che non nega mai una parola a nessuno, nemmeno allo sconosciuto che la ferma per la strada. 

Ci sono cose che però si rompono dentro, con microfratture che piano piano vanno a intaccare la struttura portante e succede che si cade. E possono accadere due cose. Si continua a scavare per seppellirsi o ci si rialza. Con grande fatica.

Mi sono rialzata, con grande fatica. Passando mesi di lacrime e lotte intestine in cui nemmeno io sapevo più chi fossi e cosa volessi e che ci facessi qui. Momenti in cui pensavo sarei rimasta sola per sempre e forse mi sarebbe anche andato bene, in cui pensavo che l'amore non esistesse e che anche la felicità (il famoso brambonodonte) fosse una chimera. 

In verità i miei 40, quel famoso compleanno festeggiato in una casa vuota con qualche amica più cara, non sono ancora passati. È come se quella lunghissima giornata stesse ancora scorrendo, verso però un futuro più luminoso, verso una notte senza tenebre, in attesa di un vero risveglio.

In verità i 40 anni non hanno decretato la mia morte. Sono viva, più viva.

Aspetto la fine di questo interminabile compleanno cominciato il 26 aprile del 2021 per poter assaporare questo nuovo anno. Consapevole di ciò che è stato, tenuto ciò che volevo tenere, buttato ciò che andava buttato.

Lo specchio mi restituisce (finalmente) l'età che ho.