26 dicembre 2016

Fantasmi

Scopro che il fotografo alla mostra di Robert Frank mi aveva fatto più di una foto. Ma, come promesso, pubblico solo questa. Che è l'unica di cui ero a conoscenza.
In più c'è il ritratto che deve ancora arrivare.



Lui lavora, o possiede, non ho capito un laboratorio di fotografia, fa anche workshop di tecniche di sviluppo e stampa e penso di andarlo a trovare prima o poi. In fondo coincidenza vuole che sia a Firenze (non troppo lontano da dove abitavo io).

Comunque se volete vedere la pagina del laboratorio, si chiama Visiva; quanto mi piacerebbe riprendere in mano la fotografia analogica. Ma seriamente.

È che la fotografia digitale, per quanto meno poetica, è più pratica.

25 dicembre 2016

W.E.

Ti ho vista seduta in un caffè. Eri assorta nei tuoi pensieri e il tuo caffè lungo si stava freddando.
Non ho potuto fare a meno di notarti; quegli occhi, mioddio quegli occhi. L'universo tormentato dentro. Quel sorriso lieve: chissà per cosa.
Non eri bella ma c'era qualcosa che non potevo afferrare.
Il barista non è riuscito ad attirare la tua attenzione per sapere se volevi altro. Da quanto tempo eri lì?
Forse da molto. Di sicuro da sempre dentro la mia testa.
Sono due anni e mezzo ora, il pensiero torna a quel giorno.
A quel giorno in cui hai accennato mezzo sguardo verso di me, in un angolo, a quel giorno in cui ho compreso ma non del tutto.
A quel giorno in cui la mia domanda era se avessi dovuto seguirti per la vita, o lasciarti così, perfetta, in un angolo dei miei pensieri.

E oggi. Oggi quell'immagine va lentamente svanendo. Ma forse, soltanto forse, è diventata più viva che mai: così viva da essere me, quell'immagine. Così reale da essersi fusa in me creando ciò che sono.
Io, Lei, Noi.

24 dicembre 2016

一日三秋

Ti ho sognato stanotte.
È strano perché non ti sogno quasi mai. Faceva freddo e nevicava, forse eravamo in un luogo straniero dove però ti sentivi a tuo agio.
Mi guardavi senza dire una parola, con i tuoi occhi scuri.
E io, io non sapevo cosa pensare. Guardavo i fiocchi di neve scendere e ognuno di essi sembrava metterci una vita.
E c'era una verità nascosta in ognuno di essi: eppure, nonostante la lentezza, il tempo a me necessario per afferrare questa verità era sempre poco.

A Natale non c'è sole.

21 dicembre 2016

La festa del solstizio d'inverno

Stasera vado alla festa del solstizio d'inverno a danza del ventre. Una cosa molto da streghe, bellissima. Candele al centro, noi che danzavamo in cerchio, tutte insieme. Occhi fissi sul fuoco, respirazione, rilassamento.
Una cinquantenne (modestamente figa, magra, tacco altissimo, supertruccata) che fa la PR per i locali a Milano e che si è ubriacata dopo due dita di spumante (in due bicchieri diversi, così spartiti: mezzo dito in uno, un dito e mezzo nell'altro) mi attacca la pezza e mi fa
"ma io ti ho già vista da qualche parte"
io: "qui a danza, penso" (frequentiamo classi diverse però sai, mi si vede, non sono invisibile)
lei: "no no in qualche locale! a Milano, vieni mai a Milano?"
io: "bhe per mostre ogni tanto"
lei: "no per locali. dai sei mai venuta al locale xxx?"
"no"
"e al zzz?"
"no"
"e al zxw?"
"no guarda non frequento locali..."
lei: "ma no io ti ho vista...sono sicura, hai dei capelli stupendi, sono bellissimi"
E VIA COSÌ ALL'INFINITO... ennamiseria
c'è una mia sosia che ha rotto le palle in giro. per concerti a Lugano, per locali a Milano, a ubriacarsi per Firenze per concerti, ma anche giracchia sempre attorno alla stazione di Firenze, perché, anche lì:
"oggi è tutto il giorno che ti vedo"
io: "ehm no sono appena arrivata da Como, col treno."
"nono impossibile eri proprio tu"
io: "ah già è vero"

Certe pazzie vanno assecondate.

Risate a parte, voglio concentrarmi sulle sensazioni che mi danno questi incontri di sole donne, in cui mi sento legata alla terra, in cui vorrei andare in un bosco e danzare sotto la luna. In cui mi sento tutt'uno con l'universo (ah-ah sì ridete).
Abbiamo iniziato accendendo ognuno la candela che aveva portato da casa e le abbiamo messe in un piatto molto grande di rame al centro della sala di ballo. Lily, la nostra insegnante, aveva già bruciato della salvia che serve a purificare l'ambiente. Ci ha consegnato un foglio di carta ciascuno. Nel mio era scritto: "LEI - Apprezzamento. Mi sento benedetto e onorato. Il divino in me ama e rispetta il divino in te." Poi, nel libro da cui aveva preso queste frasi leggerò anche che "Gli incontri affettuosi arricchiscono la nostra vita e nei periodi difficili ci donano forza, amore, speranza e consolazione. Il "lei" sta per amore e simpatia. "Lei" significa "creatura amata". Hai meritato di essere amato, festeggiato e felice."
Ci siamo sdraiate e abbiamo fatto un po' di rilassamento, pensando alla frase di cui sopra e al significato che poteva avere per noi.

Infinite, ci siamo sistemate per danzare (con la musica qui sotto) e poi per danzare in cerchio, e una spirale.
Una danza a spirale per accogliere l'inverno che arriva. Arrivate al centro ho sentito il calore delle fiamme delle candele e lì la danza è diventata una frenetica corsa in cui, tutte per mano, ci siamo sentite vicine.
Donne e immense, e potenti, e uniche. E belle.

Alla fine di tutto, ovviamente il brindisi. Una festa di Natale tanto bella e pagana non l'avevo mai fatta. C'è stato un momento, o forse più di uno, in cui mi sono davvero sentita legata a tutto quello che mi circonda e in quel brevissimo istante mi sono sentita serena e ho capito.
Ho compreso ogni cosa. E ho compreso perché è accaduto cosa è accaduto.

Avevo portato la mia Pentax Spotmatic a pellicola per delle foto, ma l'ambiente era troppo buio e se avessi scattato non avrei portato via questa cosa, che sto tenendo stretta al cuore.

E infine brindisi e rileggere quanto scritto prima della PR milanese.
Ma prima ancora, Lily ci regala un pacchettino con un pensiero. Una marmellatina, una candela e un tarocco. E indovinate? Il mio, scelto nel mucchio, era il papa.
Il papa è un grande maestro, un iniziatore, una guida che ci indica un obiettivo nella vita. Ma il papa, come tutti gli arcani, ha il suo lato oscuro. Mi ci rivedo molto, anche per l'energia maschile che è in me e che mi rende così: quella che sono.

The pope

Infine, meno romantico, oggi è stato il primo giorno della nostra donna delle pulizie. L'avevamo scelta da un annuncio perché amante degli animali, ed era la nostra priorità. Ovviamente non lo potevamo sapere prima ma la signora sta facendo la chemio: non c'è verso che io allontani da me questo male. Ci provo ma è sempre accanto a ricordarmi che.

Comunque ammetto che, nonostante la mia reticenza iniziale, è una benedizione levarsi di culo questo impiccio delle pulizie.

Ecco alcune foto fatte col cellulare della serata.









20 dicembre 2016

La mia esse

A 23 anni le prime fitte continue.
Non si sentenzia con la lombosciatalgia, è così e basta.
Ero convinta, ai tempi, di avere fatto qualche movimento brusco in mare: ero stata pochi giorni prima in Liguria e avevo sguazzato con il mio sensualissimo stile del cagnolino.
Ma il dolore non passava facilmente, stava lì giorni e poi tornava.
Solo l'anno dopo mi sono convinta a farmi fare delle lastre alla schiena.
Queste (che ho ritrovato a casa di mia mamma):


Su indicazione della dottoressa, ai tempi, sono andata in un centro fisioterapico convenzionato con l'Asl dove il fisioterapista, guardando le mie lastre, ha subito chiamato un collega dichiarando a gran voce "OH VIENI A VEDERE LA SCHIENA DI QUESTA RAGAZZA!". Delicatezza prima di tutto.

La sentenza è micidiale: ho due vertebre (quasi) fuse, la schiena parecchio torta, il bacino ruotato. E non posso fare nulla.
Solo ginnastica correttiva, e nuoto.

Così comincio a fare ginnastica correttiva coi vecchi (sul serio) e funziona per un periodo, un periodo lunghissimo durato fino a qualche mese fa. Ora ogni mattina mi alzo con fatica, il dolore è abbastanza forte. Danza del ventre non aiuta, e la prima lezione di Yoga ieri mi ha letteralmente ammazzata.
Quindi vivo con questo dolore di fondo costante, che si acuisce al mattino, se mi piego in certi modi, dopo danza e dopoduranteancheprima di Yoga.

Tutto questo perché ho una mamma fin troppo buona e quando le consigliarono, durante il periodo delle mie medie, di farmi mettere il busto, io dissi di no. E alzo il dito medio a chi mi dice che è stata una fortuna vivere scialli e liberi senza che i genitori stessero troppo addosso: ecco la conseguenza.
Poi miliardi di altre conseguenze positive eh?

Se mi avesse tirato un ceffone ci sarei rimasta di merda ma ora avrei una schiena usabile!

Una parte di me sa che probabilmente dovrò reiscrivermi a nuoto e la cosa mi farebbe cristonare se solo non avessi promesso di non bestemmiare più.
Forse.

19 dicembre 2016

Tornare a fare cose

Da quando ho avuto l'incidente ho guidato poco. Praticamente niente. È capitato qualche volta, ma si possono contare sulle dita di una mano e l'incidente è stato quasi sei anni fa. Non amavo guidare nemmeno prima: ricordo ancora le prime volte in autostrada, diciamo che ho colto l'occasione dell'incidente per dichiarare apertamente di non volere guidare (avevo ora una scusa senza dover dare troppe spiegazioni: la paura degli insetti, dei ragni, dei luoghi affollati sono paure socialmente accettate).
Per intenderci, non è una fobia, è una cosa che faccio solo se strettamente necessaria.
Però d'altro canto non avendo più guidato diciamo che ho avuto modo di alimentare una sorta di fobia. Mannaggia quanto scrivo male stamane.
Comunque.
Questo weekend siamo stati a Treviso, Cividale del Friuli e Udine con una coppia di amici. Loro sarebbero andati in treno e noi li avremmo raggiunti a Treviso in macchina. Durata del viaggio da Cömo, circa 4 ore.
Fry sbuffa un po', è indeciso, 4 ore non sa.
Gli dico che se vuole me la sento di fare metà viaggio all'andata e metà viaggio al ritorno. Però se faccio storie, di insistere, di avere polso con questa cosa.
"Ma poi dici che sono rompicoglioni"
Se insisti su altre cose sì, ma su questa ti chiedo io di insistere!
Ok.

Partiamo, con moccoli trattenuti (perché il mio impegno per il 2017 è non bestemmiare) ma ce l'ho fatta (senza la necessità di insistere).
Con scleri vari ma ce l'ho fatta, al ritorno abbiamo anche beccato nebbia e ho persino canticchiato.

So che è una piccola cosa, ma per me è una grandissima cosa. Vi faccio un esempio: io adoro ragni e insetti. Ma se chiedessi al 90% delle persone di farsi camminare un insetto addosso, probabilmente sclererebbe e non lo farebbe mai.
Per me è questa sensazione, l'essersi fatta camminare addosso diversi miriapodi senza battere ciglio (io li amo, ma è per fare capire cosa ho provato).
Quindi sono molto orgogliosa di me stessa.

A voi le foto (in elaborazione) della gita. Perdonate se non ho fotografato palazzi storici e piazze turistiche ma mi sto concentrando sulle sensazioni. È difficile avere uno sguardo personale sulle cose.
Se pigiate sulla foto vi si apre l'album di flickr. Molto probabilmente le prime due foto andranno al macero, per ora non è ancora l'album definitivo.

La foto dell'omino illuminato di rosso è quella che preferisco. Ma c'è un motivo. Eravamo dentro questa chiesetta molto semplice, soffitto con travi in legno, buia, piccola. Questo signore (il custode? un prete? chissà) passeggia e ci osserva. D'un tratto si va a sedere sotto una stufetta elettrica a infrarossi e viene illuminato da un raggio di luce rossa.

Era una scena molto simpatica che non sono riuscita a fotografare al meglio. Gli ho chiesto se potevo fargli una foto e lui ha acconsentito. In realtà ho fatto diversi scatti e non sono nemmeno sicura di avere scelto il taglio migliore, ma l'idea di un pretino illuminato col colore del peccato mi garbava abbestia.


Udine o Udire?

16 dicembre 2016

Medioformato

Un po' di mesi fa ho aperto una pagina facebook per pubblicare alcune mie foto: si chiama Medioformato.

È stata una scelta dettata più che altro dalla necessità, stavo facendo delle foto ai migranti bloccati alla stazione di Cömo e necessitavo di un luogo pubblico in cui inserirle.

Il nome Medioformato ha un collegamento che in realtà non esiste, ma mettiamocelo pure, dai!
Io volevo sfruttare il numero 42, che come sapranno i nerd è la risposta alla "domanda fondamentale sulla vita, l'universo e tutto quanto". Ma per quanto ci lavorassi non riuscivo a combinare il tutto in un logo decente. Così Fry mi ha suggerito di usare il nome Medioformato, appunto.
Che poi a ben pensarci, il formato che preferisco è proprio quello, il 6x7 della mia analogica preferita (tra quelle che ho) Pentax.
Però 6x7=42. Quindi questo Medioformato può essere davvero la risposta alla domanda fondamentale sulla vita, l'universo e tutto quanto.

Mi piace pensarla così: e in effetti la uso così poco che potrebbe davvero contenere LA risposta, ma potrei anche non saperlo mai.

Canzone del giorno: No Soul Bud Spencer Blues Explosion (BSBE)

15 dicembre 2016

I Milanesi ti scontrano apposta

È un dato di fatto; di solito ti scontri o rischi di scontrarti con le persone se uno dei due o entrambi non guardano dove vanno, se c'è indecisione e quindi si rimane a fare il balletto del "dove passi tu? dove passo io?".
Oggi sono stata parecchio in giro a Milano, sono andata a vedere la mostra "Gli Americani" (The Americans) di Robert Frank, fotografo, e poi a bighellonare in giro in attesa dell'inaugurazione, alle 19, di Officine Fotografiche.

La mostra di Robert Frank è stata bella, avevo già visto il catalogo ma ero curiosa di passare anche per vedere lo spazio espositivo e per leggere del viaggio che questo fotografo svizzero aveva fatto negli States negli anni '50, per documentare (secondo me al meglio) il popolo americano.
Ovviamente fu criticato per questo, per come li dipinse.
Ma, tant'è.

Alla mostra noto due individui, uno un po' più grande e uno un po' più piccino con due macchine analogiche. Mi incuriosiscono e li osservo. Mi guardano, sono incuriositi.

Mentre attraverso il corridoio che porta da una stanza all'altra, il più giovane mi inquadra. Me ne accorgo ma alla velocità in cui vado sicuramente non riesce a mettere a fuoco, sta ancora armeggiando con l'obiettivo. Così congelo il mio passo per dargli una mano, però guardando in macchina.
Mi ringrazia.

Mi avvicino: gli chiedo se è possibile avere la foto scansionata se gli lascio la email.
"Certo, però ti faccio una foto più bella"

Armeggia nella borsa e tira fuori una rolleiflex, non glielo chiedo ma spero col rullino in bianco e nero: mi fotografa tra due scatti di Robert Frank e mi lascia il biglietto da visita col suo numero di telefono scritto a matita dietro.
No, tranquilli, è un numero che si può reperire tranquillamente online, vi spiego perché.

Ha un laboratorio fotografico a Firenze dove fa anche workshop per lo sviluppo delle pellicole e la stampa. Il biglietto da visita è per quello, ho cercato il laboratorio e ho visto che tra i contatti c'è il suo numero, quindi nulla di trascendentale.

Tralaltro cercando su facebook ho visto che ha fatto il mitico liceo Agnoletti, a Sesto Fiorentino, lo stesso in cui andava Roccio e il mitico posto dove abbiamo fatto, ogni anno e fino a qualche anno fa, i meeting nazionali di piante carnivore. Perché l'assistente al laboratorio di scienze di quella scuola è il miticissimo Sergio Cecchi, presidente onorario dell'AIPC (Associazione Italiana Piante Carnivore) e credo primo coltivatore italiano, nonché genio e nonnino di tutti noi coltivatori, che lo adoriamo e lo veneriamo!

Dopo questa visita faccio un giro al gelo ma ben presto mi rendo conto che è necessario che mi fermi se non voglio morire di freddo. Così mi infilo in un posto a prendere un the caldo e mangiare una cheesecake e perdo un po' di tempo.
Fino a che non decido di farmi quest'altra mezz'ora a piedi per arrivare in via Friuli 60, dove ha aperto questa officina. Spazio per mostre, aule per lezioni, nuovissima sala posa (tutta in ordine). Più piccolo aperitivo. Ma c'è troppa gente, i stresso subito e non passa nemmeno mezz'ora che sono già fuori a camminare per trovare la metro.

Mentre sono sul treno mi arriva una brutta notizia. Il parroco della mia infanzia e adolescenza è mancato.
Trascrivo cosa ho scritto su facebook e sono sicura, Don Enrico, che tu mi abbia sentito, vecchio bisbetico rompiscatole :)


Oggi se n'è andato un pezzo della mia infanzia e della mia adolescenza, è mancato il parroco che ci ha seguito durante il nostro percorso religioso che poi, va bhe, io ho abbandonato. Ho un bellissimo ricordo di quest'uomo che amava il vino e non si faceva mancare qualche parolaccia; ma era sempre con noi. E dato che credeva nel paradiso sono convinta che adesso sia lì ad attenderne l'ingresso, con un bicchiere di vino in mano e borbottando perché sta ancora aspettando. Ciao Don Enrico, bon voyage. E se mi fai sprecare qualche buona parola su un prete si vede che sei stato davvero bravo, e ti immagino mentre te la ridacchi per questa mia pessima battuta.

Stasera alzo il calice per te.

14 dicembre 2016

Per quest'anno non cambiare,
la mammografia ti tocca fare

Da quando sono stata operata la sentenza definitiva è: visita alle tette una volta l'anno.
Inizialmente si pensava a fare solo delle mammografie ma dato che il tumore era stato radioindotto (da questo post "due radioterapie di cui una a mantellina a 36 Gy e 2 chemioterapie - per intenderci, per fare 1 Gy ci vogliono le radiazioni di 100 radiografie al torace") c'è stato un condono ad alternare risonanza magnetica al seno e mammografia.
La risonanza magnetica è un terno al lotto, tantoché mi sono rassegnata a farle a Monselice in provincia di Padova, in una struttura che fa solo risonanza. Perché?
Perché la risonanza magnetica al seno può essere fatta solo tra il settimo e il quattordicesimo giorno di ciclo altrimenti può dare falsi positivi E dato che gli appuntamenti in un qualsiasi ospedale per la RM vengono dati da qui a 6 mesi, capite come sia impossibile calcolare i giorni esatti del ciclo.
A Monselice, in questa struttura, riescono a darti appuntamento da una settimana all'altra perché fanno davvero solo quello.
Ovvio, ci impiego una giornata intera ma tant'è, finora non ho trovato altre strutture equivalenti in zona.
Pro della RM: no radiazioni. Contro: devono bucarmi per iniettare il liquido di contrasto e l'ultima volta ha bruciato da matti perché, secondo me, non era perfettamente in vena l'ago.

La mammografia è più semplice. Prenoti in qualsiasi struttura nel comasco o nel milanese, prendi e vai.
Pro della mammografia: non ti bucano. Contro: ti schiacciano le tette fino a farti male e ovviamente le radiazioni.

L'ospedale designato è Villa Aprica, sulla strada per andare a Chiasso.
Già da fuori ha un aspetto assolutamente degradato ma poco male, potrebbe essere interessante.

Entro e cerco l'accettazione: in tutti gli ospedali funziona così; entri, fai due chiacchiere con la tipa che controlla tesserino sanitario, impegnativa medica e orario dell'appuntamento e poi, teek, a sedersi in punizione.

Ma non è così, faccio la mia bella codina e quando è il mio turno l'allegra signora mi dice che devo andare alla "cassa".
La cassa?
Va bhe, non sto a sindacare anche se non devo pagare nulla perché ho la mia bella esenzione.

Vado alla cassa, non c'è nessuno. Due sportelli di cui uno impegnato con una signora.
Prendo comunque il numerino.

Mi avvicino alla cassa libera: "Mi scusi?"
"Chiamiamo noi il numero!"

Faccio un passo indietro.
La signora nel frattempo sembra non stare facendo nulla, ma anche qui non sto a sindacare.
Aspetto qualche minuto e compare il mio numerino sul display.
"Prego venga"
Sistemate le solite faccende vado al seminterrato dove sempre, in tutti gli ospedali, c'è il reparto radiologia. Quando mi chiamano, una voce nascosta nel nulla, io effettivamente non so dove andare. Così mi muovo a caso finché una dottoressa, giovane e bionda, non mi fa accomodare in uno stanzino minuscolo che comprende una seggiola dove posare i miei vestiti e l'apparecchio per la mammografia. Rimango delusa, in tutti gli altri ospedali spogliatoio e stanza con l'attrezzo sono separati, inoltre di solito la stanza è abbastanza ampia e comprende anche altri macchinari. E io che speravo di poter chiedere di fare una foto decente, ma in quello stanzino non c'è quello che vedevo nella mia testa. Così rinuncio.

Il resto non sto a descriverlo, per chi ha il seno piccolo è abbastanza una tortura la mammografia. La dottoressa mi sprimaccia le tette per cercare di schiacciarle all'interno dell'apparecchio. Il gesto potrebbe sembrare quello di un contadino che munge una mucca: acchiappa, tira e spreme. Da sopra per tutt'e due le gine, di lato per tutt'è due le gine.

Mica finita: ecografia.

L'ecografa è giovane, probabilmente polacca dall'accento. Come la radiologa mi chiede info sul mio trascorso di salute e scartabella gli altri esami che le ho portato. Chiede se ho familiarità per il tumore al seno, dico che no, mia mamma ha avuto un tumore all'utero. Ma essendo certa della mancanza di familiarità per quello, mi sento piuttosto serena.
Scrive sul monitor "Familiarità per K all'utero". MA COME? MI AVEVANO DETTO CHE NON C'ERA FAMILIARITÀ. Uff, non devo bestemmiare.

Procediamo.

Fa i complimenti ai chirurghi di Torino perché la mia cicatrice non si vede dall'esame mammografico, infatti si volta per guardarmi il seno e capire dove si trovi il taglio.
L'ecografia principia. Dopo tanti anni posso dire che l'ecografia è l'esame che mi rilassa di più. Sei sdraiata, cosparsa di questo gel tutto sommato non sgradevole ed essendo io magra di solito non devono premere troppo con lo scanner a ultrasuoni e così mi godo quel piacevole massaggio che ne deriva e, se ci sta, qualche chiacchiera sul più e sul meno.
L'ecografia che preferisco in assoluto è quella al cuore.
Soprattutto se l'ecografo è disponibile e ti spiega le cose.

Non solo sei sdraiato a goderti il massaggio, ma se hai il monitor a portata di vista, vedi proprio il pulsare della vita, e il suono del battito del tuo cuore (e nel mio caso la valvola mitralica un po' prolassata, ma niente di compromettente per la salute).
Il suono del cuore è più o meno questo: pschhtt pssschchttt psschhttt.
Una volta mi sono rilassata così tanto che l'ecografa mi ha chiesto se fossi una sportiva, perché il mio cuore batteva molto lentamente. No, ero solo in fase di relax totale.

Finito, mi chiede di accomodarmi fuori che presto arriverà il referto, "E in bocca al lupo!".

Per farla breve il mio seno è sanissimo, probabilmente lo sono anche io, quindi mi concedo di tornare a casa a piedi (un'ora circa di cammino).

Venerdì mattina probabilmente farò il mio prelievo annuale così finisco gli esami da fare nel comasco, mentre a gennaio mi attende l'ecografia della tiroide e la visita a Torino.

Oggi sono ottimista.

Vista dall'ospedale.

08 dicembre 2016

Il mio "banchiere ambulante"

Quando, tra marzo e aprile, la mia storica banca (ex Sanpaolo, poi Intesa Sanpaolo, poi CarisBo quando mi sono trasferita a Bologna) ha deciso che io non potevo più accedere al mio conto online (io quasi mai andata fisicamente in banca), nonostante abbia cercato di risolvere qui a Cömo senza esserci riuscita ho deciso di fare il salto nel buio. Banca Etica.
Ci sono alcune scelte che impiegano anni per maturare, come quella di non mangiare carne, per le quali mi impongo limiti assurdi.
Per la carne è stato: "Ok, compro il libro 'Se niente importa' - lo tengo lì e so già che una volta terminato di leggere non mangerò più carne".
Per la banca è stata pigrizia. Non volevo riaprire un nuovo conto presso la Banca Intesa come suggeritomi dal ragazzotto della banca comasca.
Nonostante la nuova chiavetta per l'accesso e i passaggi che io, da brava nerd, ho seguito pedissequamente, l'accesso non mi era consentito.
Così ho dato il benservito alla CarisBo a Bologna e mi sono avventurata all'apertura del conto presso Banca Etica.
Perché Banca Etica? Me ne aveva parlato millenni fa un amico (molto alternativo, un ragazzotto che lavorava prima come barista per stare a contatto con la gente, poi si è rotto i coglioni e ha fatto un corso di programmazione java ed è diventato programmatore, aveva i dread ma se li era tagliati per andare in tibet in vacanza, ecc), io ero affascinata da questo nuovo concetto di banca che investe su energia alternativa, progetti locali e che ti offre la possibilità di essere socio e votare alle loro assemblee.

Dai, gambe in spalla e facciamo questo salto nel vuoto. Decido di aprire il conto online per medici senza frontiere. Ogni tot vengono devoluti mi pare 6 euro a medici senza frontiere.
Anche se apro il conto online ho comunque bisogno di recarmi presso i loro uffici per firmare alcune robe.
Peccato che la loro sede più vicina sia a Milano.
Peccato che in quel periodo stessi lavorando.

Così sul sito trovo una soluzione che fa al caso mio: il banchiere ambulante!

Non potete immaginare per quanto tempo io abbia fantasticato su questa figura mitologica, per me a metà tra un carrello della spesa piena di fogli e metà banchiere. E su come sarebbe avvenuto l'incontro: avrebbe allestito un banchetto in mezzo alla strada? Nel mio immaginario era nel mezzo di piazza Vittoria a Cömo, con una bandierina del colore di banca etica, blu e gialla. Un omino con gli occhiali, stile rag. Filini.

Ovviamente le mie (ex) colleghe ancora mi prendono in giro per questa cosa, commentando il fatto con "Solo tu, Carla, solo tu!". Prendo appuntamento con il banchiere ambulante che può incontrarmi, manco a dirlo, in un negozio di prodotti equo-solidali in via Milano.
Anche questo è stato oggetto di scherno pesante, ma come dar loro torto?

Mi reco nel luogo X (OT: stavo cercando in questo istante su Google il sito di Banca Etica e, lapsus, ho digitato Bamba etica) ed entro. L'omino è impegnato e io girovago nel negozio trovando già due capi di abbigliamento che poi comprerò effettivamente e che mi daranno l'aria da scappata di casa che tanto mi piace - un vestitino che pare cucito usando le tovaglie a quadri della nonna e una maglietta stile indiano arancione che, lavato, darà quell'aria di foto vintage a tutti gli altri capi di abbigliamento compagni di sventura presenti all'interno della lavatriste.

L'omino è in effetti somigliante al rag. Filini, ha gli occhiali come immaginavo, ha una sorta di banco tutto suo, con un computer, una stampante e ricoperto di fogli.

Non ho molte domande da fargli, voglio solo firmare e andare via. Anzi, no, ho una sola domanda che però lo mette in agitazione assoluta: ricevendo io un bonifico dalla Svizzera, quanto mi costa questo passaggio?
Silenzio.
"Ah-ehm, devo controllare".
Cömo è zona frontalieri, il passaggio di soldi dalla Svizzera all'Italia è roba quotidiana, rimango un po' basita, ma tant'è. Scartabella il contratto (il pdf online che ho anch'io tralaltro ma che per pigrizia non ho guardato) e mi dice che non dovrebbero esserci spese. "È sicuro?"
Silenzio.
Non voglio metterlo in difficoltà, così lo liquido con un "Bhe non importa, al primo versamento controllerò io".
Firmo i miei fogli, saluto e me ne vado.

A parte l'esperienza buffa del banchiere ambulante, per ora con questa banca mi trovo molto bene, le operazioni online sono semplici, l'app (dopo un primo momento di smarrimento) è fruibile. Per cambiare i massimali della carta di credito è stato sufficiente mandare loro un messaggio tramite la piattaforma online.

Se volete provare un'esperienza mistica e avere una banca davvero differente io ve la consiglio. Poi, oh, vuoi mettere, conoscere la figura mitologica del terzo millennio?
Ora vi saluto, vado dal parrucchello, ma solo perché sol capello liscio e a metà lunghezza mi paio la madonna. Un po' punk ma pur sempre madonna.

Canzone del giorno: Lo schiaccianoci Tchaikovsky (eh bhe oggi l'è così)
Chiedo scusa per gli errori, non ho avuto modo di rileggere


07 dicembre 2016

Magari

Canzone del giorno: Ojalà Silvio Rodriguez



Traduzione:

Magari le foglie non ti toccassero il corpo quando cadono
così non le potresti trasformare in cristallo.
Magari la pioggia smettesse di essere un miracolo che scende per il tuo corpo.
Magari la luna potesse uscire senza di te.
Magari la terra non baciasse i tuoi passi.
Magari terminassero il tuo sguardo costante, la parola precisa. il sorriso perfetto.
Magari succedesse qualcosa che ti cancellasse in un attimo:
una luce accecante, una tempesta di neve.
Magari perlomeno mi portasse via la morte,
per non vederti più, per non vederti sempre in tutti i secondi,
in tutte le visioni: magari non potessi suonarti né cantarti.
Magari l’aurora non facesse grida che cadono sulla mia schiena.
Magari questa voce dimenticasse il tuo nome.
Magari le pareti non trattenessero il rumore del tuo cammino stanco.
Magari il desiderio se ne andasse con te,
col tuo vecchio governo di defunti e di fiori.
Magari terminassero il tuo sguardo costante,
la parola precisa, il sorriso perfetto.
Magari succedesse qualcosa che ti cancellasse in un attimo:
una luce accecante, una tempesta di neve.
Magari perlomeno mi portasse via la morte,
per non vederti più, per non vederti sempre in tutti i secondi,
in tutte le visioni: magari non potessi suonarti né cantarti.

Grazie amica per avermi fatto scoprire questa bellissima canzone.

06 dicembre 2016

Incendi rovinosi

Sottotitolo: ogni scusa è buona per non andare in palestra.

Oggi sarei andata a fare una prima lezione di pilates. Sono dimagrita, molto, secondo me 5 kg li ho persi tornando al mio peso forma. Essendo tornata un'acciuga la cosa migliore da fare sarebbe mettere su un po' di massa muscolare dato che sono molliccia come una medusa (e ho anche la pelle trasparente come una medusa, ma quella roba lì mi piace). Così visto che la mia carissima amica T va in un posto dove puoi anche pagare singolarmente le lezioni ed essendo io una che "sìsìsìsìsì pago tutto subito che così me lo levo e faccio 2 anni di iscrizione IMMEDIATA" frequentando poi a malapena 2 settimane, ho pensato nella mia testa da criceto russo drogato "Dai, faccio una lezione, la pago e vedo come la va".

Così di buzzo buono stamane vado a fare due foto di merda al confine (un progetto così brutto non vorrei nemmeno portarlo, mi vergogno) e, gambe in spalla, torno a casa.
Torno a casa e il tempo di mangiucchiare qualcosa si fanno le 15.
Mhm.
Per andare in palestra dovrei uscire almeno alle 16.30 ma ho da seguire dei videotutorial messi a disposizione dalla nostra insegnante di grafica, quindi dai, per oggi salto la palestra, magari domani che è meglio.
Ne approfitto anche per ordinare la spesa che, a questo punto, faccio arrivare alle 18.

Controllo su Youtube e non vedo i videotutorial in alcuna playlist. 
Bestemmie.
Erano in una pagina di Facebook da cui mi sono staccata per il mio annuale mese sabbatico.
Bestemmie.
Chiedo ai miei compagni di corso in una chat Whatsapp. Le chat di gruppo di Whatsapp sono la versione 2.0 dell'inferno. Non se sei una spammatrice folle come la sottoscritta.
Nessuna risposta.

Penso, ok dai, vado allora in palestra.
Ah no cazzo deve arrivarmi la spesa, non ci posso andare.
Fanculo, attuo il piano B, recupero la password e accedo. E scopro che proprio 5 minuti prima era stata avviata una chat di gruppo su Messenger per problemi con la scuola.
Bestemmie. Devo tornare su facebook e sorbirmi i "ma comeeeeeehh? sei già tornataaaaah? buongiornissimoooooh!"
Seguo i videotutorial, elaboro le mie foto di merda, e penso che tanto anche domani potrebbe capitare qualcosa. Quindi, perché sbattersi?

Del resto fare attività fisica fa male. Chiedetelo alla mia schiena che dopo 20 minuti di "cammello" (dal minuto 2:58 in poi se non volete beccarvi un ripasso) di ieri, a danza del ventre, sta ancora urlando.

E poi: odio gli incendi.

Bagagli dimenticati

La cosa positiva è che mi sto ricordando i sogni.
La cosa negativa è che se mi ricordo i sogni vuol dire che il mio sonno notturno è fatto di microrisvegli e in effetti sì, dormo un po' meno.

Questa notte sono su un treno. L'interno ricorda un po' i vecchi Intercity per cui provo ancora tanta nostalgia, ma non è a scompartimenti chiusi.
D'improvviso il treno si ferma e io devo scendere. Credo di essere a Genova, ma la stazione non ha nulla che ricordi Genova.
Scendo di corsa, felice di esserci riuscita.
Appena sulla banchina, all'aperto (non sotto la tettoia che copre parte del treno quando arriva in stazione - quindi sono scesa parecchio indietro) mi ricordo che mi manca il bagaglio. L'ho dimenticato sul treno.
Corro (cammino velocemente in realtà, sono relativamente tranquilla, come se la perdita di quel bagaglio non fosse così grave) sotto la tettoia e qui noto una cosa strana. L'accesso al treno non è diretto. Tra la banchina e il treno c'è una sorta di muro e si accede al treno aprendo, facendo scorrere, dei portelloni enormi e verdi (se riesco farò un disegno). Mi avvicino quindi alla carrozza 8 e chiamo il capotreno "Mi scusi, ho lasciato il bagaglio sul treno, posso salire a recuperarlo?"
Lui urla qualcosa a qualcuno, come "Che treno è questo? Ah ok!"
Poi parlando con me ma senza guardarmi direttamente, dice "Non è un treno superveloce, quindi possiamo fermarci quanto vogliamo. Sia mai ricevere altre lamentele". Lo dice guardando oltre me, in tono scocciato.
E apre l'enorme portellone verde per farmi salire.

05 dicembre 2016

Boccate di ossigeno.

Questa notte ho sognato un mio caro amico delle superiori. Io e lui eravamo sempre insieme, cantavo nel suo gruppo metal, dormivamo insieme, a scuola prendevamo le note sul registro insieme. Quando, perché parlavamo sempre, i professori minacciavano di separarci ci abbracciavamo stretti e dicevamo in coro "non ci separi, non ci separi". E' un bel ragazzo, ora anche di più, perché a quell'epoca aveva i capelli lunghissimi biondi con la riga nel mezzo e vestiva sempre di nero. Con quegli occhi azzurri e la pelle pallidissima e quell'aria di fottersene di tutti quanti. Sembrava che tenesse solo a me, nel suo mondo. A me e al suo migliore amico che poi divenne il mio ragazzo.
No, invece lui non teneva affatto a me.
Ora lui è un videomaker, grafico e fotografo abbastanza affermato e ha una sua azienda. Parlai di lui anche in questo post. È tatuato e ha i capelli corti, alto e magro. I suoi occhi azzurri ora hanno un altro sguardo, più consapevole, più malizioso. Conosce sicuramente il mondo e ha perso quella sorta di viziata innocenza che ci teneva insieme. Quando raramente in seguito ci siamo incontrati mi presentava sempre come la sua amica delle superiori chevoinonaveteideaquantoeravamouniti.
Stanotte era però il sedicenne che conoscevo ai tempi. Avevo fatto qualcosa, nel sogno, qualcosa che gli aveva provocato dei danni al cuore. Ma non lo avevo fatto apposta, solo che lui soffriva tanto, fisicamente, mi guardava con occhi azzurri, chiarissimi e languidi e io soffrivo, non fisicamente, con lui. Questa sofferenza mi è rimasta al risveglio, come un senso di colpa lieve che mi accarezza la testa e mi dice, con dolcezza, che null'altro si può fare.
Mi guardava e sapeva che soffrivo anche io. Dopo molti sguardi languidi mi disse "Lo so cosa può farti stare meglio".
Entrò in una sorta di chiesetta buia dove in alto era appeso un abito da prete, una casula bianca e rossa. Ma molto in alto, saranno stati diversi metri. Mi disse allora "Lo prenderò per te, così tu potrai fotografarlo, come facevi una volta. Ti faceva sentire felice".

Ovviamente il sogno non ha senso. Non ho mai fotografato abiti da prete ma so che questo mio amico teneva sott'occhio il cuore. Perché non l'ho mai saputo, non me l'ha mai detto e io non ho mai indagato, con quella riservatezza che solo i veri amici possono avere dell'accettare tutto ciò che viene detto ma nel non chiedere di più.
Ieri era l'anniversario della morte di mio padre. Sono passati 16 anni e non ho più dei veri sensi di colpa. Forse ci sono ma sono echi lontani, quasi non riesco più nemmeno a sentirli, anche se non potrò mai scordare quella notte. La mia assenza nonostante quel messaggio che ho cancellato solo anni dopo, l'immobilità del mio corpo che non sapeva cosa fare, le lacrime che mai davvero sono scese. Il freddo corpo, ormai cibo per vermi, di un uomo che non era più mio padre ma solo l'involucro spento.
E il contenuto che qualche giorno prima mi aveva rimproverata perché io, anche allora, non c'ero.

Penso a quando non stavo bene e a quel giorno, quell'unico giorno, in cui ha cercato di spiegarmi quanto anche lui fosse malato. Che mi prese la mano e mi disse "Dobbiamo farci forza" anche se poi all'ospedale non era mai venuto a trovarmi. E io lo guardavo interdetta perché non capivo.

E ancora oggi mi chiedo cos'è questo dondolare in acqua. Le onde mi portano lontano o mi avvicinano? Perché questo lago mi respinge e mi attrae, cosa vuole da me, cosa cerca in me?

Lo sguardo va oltre, fino alla sponda opposta. C'è questo odore nell'aria, questa elettricità che non posso dimenticare e io, piccola, sperduta in acque profonde, troppo, per poter imparare a respirare.

29 novembre 2016

Il tempo che serve

Tutte le mie storie cominciano (o finiscono) su un treno o in una stazione. Sono legata ai viaggi come all'aria che respiro.
Danza del ventre è nata su un treno tanti anni fa, potrebbero essere passati 10 anni circa.

Quando facevo la spola tra Torino e Firenze alla fine avevo fatto conoscenza (nonostante si fosse nei nuovi treni veloci che ancora non si chiamavano Frecciaminchia ma qualcosa come Eurostar e la socializzazione era impossibile) con un gruppo di persone che facevano spola anch'esse. Se non tutti i weekend, almeno uno ogni due ci si incontrava.
Sapete quelle conoscenze senza nome? Non ci eravamo presentati, però ci vedevamo sempre: era quasi rassicurante. E se non stavamo nello stesso vagone spesso capitava che si incrociava ai bagni. "Ciao, come va?". "Oh bene grazie, sempre su e giù, eh?".

C'era una ragazza di Torino con il fidanzato a Napoli, quindi faceva la mia stessa tratta. Un giorno spiegava agli altri ragazzi della compagnia di viaggio di come danza del ventre le avesse fatto scoprire dei muscoli che non pensava esistessero.

Allungai il collo e tesi l'orecchio per sentire meglio.

Mi intromisi: "Sono curiosa! Dimmi di più"

Ma se per tante cose reagisco nell'immediato, quelle che coinvolgono la mia timidezza hanno bisogno di tempo, tanto tempo.
Questa è la risposta a chi mi dice che sono impulsiva: non per tutto. Ci sono voluti anni, è dovuta riaffiorare a galla questa idea. Era rimasta sepolta lì, in un angolino del mio cervello.

Ci sono anche decisioni non prive di responsabilità che impiegano tempo a maturare. Ho impiegato 1 anno prima di prendere un camaleonte (che poi sono diventati due), non ero sicura di potermene prendere cura.

Scoprire la pancia (che delirio, non immaginate, mettermi in costume - preferirei stare in una spiaggia naturista), provare a muovermi davanti ad altre persone, inizialmente perfetti sconosciuti è stato uno scoglio enorme che sono stata ben contenta di superare.

Come quando feci quel corso scolastico di improvvisazione teatrale. Fu a tratti doloroso ma mi aiutò da matti.

C'è una cosa che non ho mai fatto ma che mi piacerebbe fare. Un viaggio all'estero. Da sola.
Perché penso vada fatto, perché voglio farlo, perché potrebbe anche essere una bella esperienza fotografica.
Altro post dall'archivio, mai pubblicato.

Dico ieri a mia mamma che venerdì scendo a Firenze. Suo commento: "Ah, ma scendi ancora a Firenze?".
Che abbia qualche strano sospetto? Forse di una delle persone che sono venute su per il concerto dei Placebo, due delle quali erano impegnate l'una con l'altra e la restante apparentemente libera era lui? Sì lui.
Bizzarra cosa ma mia mamma non ha l'intuito mammifero che hanno solitamente le altre femmine della sua specie.
Un giorno porto a casa Pinguino, lo presento come mio collega essendo io abbastanza riservata in famiglia e anche terrorizzata dall'incontro con qualsiasi cosa che si avvicini all'essere un ragazzo/fidanzato/uomo con un membro qualsiasi della mia famiglia. Che poi effettivamente era quasi collega, o no?
Qualche giorno dopo ho l'accortezza di chiedere a mia mamma come lo trova. E lei esce con una frase del genere: "Ahh, ma allora aveva ragione tua sorella a dire che non era solo un collega".
Mia sorella ha più intuito di mia mamma, è abbastanza preoccupante la cosa.
Del resto non c'è da stupirsi se io ho tanto terrore dall'incontrare la famiglia di, o di far incontrare la mia famiglia con.
Le mie esperienze sono terrificanti: Stephen King ha scritto Shining ispirandosi alle mie vicende.
Il mio storico ex prometteva bene: coincidenze bizzarre hanno voluto che suo padre e mio padre fossero migliori amici, un tempo. Suonavano insieme nel gruppo di paese, il mio babbo aveva insegnato al suo babbo a suonare la chitarra. E mia mamma era amica con sua mamma per evidenti motivi di adozione di amicizia. Translitterazione fidanzesca: la ragazza del migliore amico del tuo uomo è una tua amica.
A me pareva tutto facile, ma quella volta sono stata io a essere presentata come amica. Persino quando io e lui oramai convivevamo (abbiamo convissuto 4 anni circa). Un giorno sua mamma vede un anellino al mio dito ed esclama "Ma come luccica questo anello, ma allora fate sul serio". Io purtroppo non so dire bugie. Sono allergica. Balbetto, divento rossa. Invece di dire una bugia posso mimare conati di vomito e scappare in bagno, quello sì. Ma quando mi fanno una domanda non so non rispondere, e nel 99% dei casi dico la verità. Così quando mi ha chiesto "Ma vivete insieme?" io ho temporeggiato due secondi e poi ho detto "Bhe, ogni tanto sto da lui". "Ogni tanto quanto?". Io: "Tutti i giorni".
Un'idiota.
Questa cosa di non essere in grado di non rispondere e di rispondere col vero mi ha messo in difficoltà parecchie volte, ricordandomi spesso che una bugia a volte aiuta. A volte.
Ad esempio se vai a ballare e qualche maniaco ti strattona verso di sè prendendoti per un braccio, non è obbligatorio rispondere alla sua domanda "Come ti chiami?". Idem se un tossico sul pullman, mentre torni a casa dalle superiori, ti chiede che facoltà fai e tu cerchi di spiegargli che fai ancora le superiori e lui insiste "Sì, ma che facoltà?". Fiato sprecato.
Riesco a raccontare balle solo a mia mamma, ma è questione di sopravvivenza. Altrimenti non si vive, sul serio. Lei è molto ansiogena ed eccessivamente preoccupata per qualsiasi cosa. Se mi chiama e il mio telefono non prende, quasi sicuramente prova a richiamarmi almeno 100 volte nei secondi successivi. Se poi, appena il mio telefono riprende la linea, provo a richiamarla, sono quasi certa che risponde mezzo microsecondo dopo lo squillo quasi piangendo e dicendo "Dov'eri? E' mezz'ora che provo a chiamarti".
La mia fortuna è appunto quella che lei almeno ha visto Roccio. E quindi questo le basta per essere più o meno tranquilla.


Scordando ogni cosa appena scritta e facendo pazzie, come al solito.
Perché ormai lo sanno tutti che sono matta, e appena avrò abbastanza soldi per andare da una psicoterapeuta ve lo dimostrerò.
Ricetta in mano e prozac in gola.

06 novembre 2016

Quando cominciai a essere una ragazza dai capelli strani

Ci sono un paio di foto che hanno ricordi immensi. Un po' come quando guardi le foto dei tuoi genitori e ti sembrano così innamorati e felici, e poi li guardi dal vivo e hanno perso più colore delle foto, anche se sono in bianco e nero e ti chiedi come possa essere possibile. Ci sono dei momenti in cui ripensi a cose accadute e vorresti segnartele come meglio puoi, anche se tante cose sono passate, anche se i ricordi sfumano nel buio, filmati con transizioni in nero assoluto, dove la luce non arriva.
Filmati che ti ricordano un po'.
Quando hai 13 anni hai pochissime preoccupazioni nella vita, eppure ti senti addosso i problemi del mondo. Quando cresci ed effettivamente riguardi al passato pensi di aver gettato via momenti bellissimi, momenti in cui forse potevi anche godere soltanto delle piccole fortune che ogni giorno ti riservava.
Io ero un brutto anatroccolo. Lo sono ancora, ma ho imparato a valorizzare due o tre cose, quelle giuste, quelle che spiccano. E in un certo senso così brutto anatroccolo non sono più. Magari non sono il cigno nero della favola, magari un'elegante gazza, ecco.
A 13 anni il mio unico problema era di non farmi prendere in giro dai ragazzi. Mi riusciva poco, a dirla tutta, con quei capelli lunghi fino al sedere ma scompigliati e spettinati. Gli occhiali tondi che mi rendevano più simile a una tartaruga di terra e gli anfibi ai piedi. A 13 anni sono queste le cose che contano, vorresti solo spiccare e non essere come tutti gli altri.
A me, a 13 anni, è stato diagnosticato un linfoma.
Ai tempi io e la mia amica Elisa dormivamo spesso una a casa dell'altra. Quel sabato dormii io da lei. Non riuscivo per nulla a prendere sonno e mentre mi giravo e rigiravo sperando di abbandonarmi ai miei sogni lo scoprii. Un ringonfiamento sul collo. Capirai, ho pensato, sarà che mi viene sempre mal di gola, non sarà nulla. Ma come la lingua batte dove il dente duole, la mia mano finiva sempre sopra la clavicola. Sembrava un rigonfiamento bello grosso, mannaggia. Il giorno dopo mi guardai allo specchio, era anche piuttosto visibile. Sì, bisognava farci caso, bisognava sapere che era lì, immobile e tondo, ma c'era. Il mio pediatra mi disse che sarei dovuta andare a fare delle analisi del sangue.
Per chi non ha paura non è un dramma, ma chi la paura ce l'ha mi capisce al volo. Aghi. Prelievi.
Non avevo ancora mai fatto un prelievo, ed ero più che paralizzata all'idea.
All'ospedale infantile mi fecero fare, oltre al prelievo che praticamente non sentii, delle lastre al torace e una visita generica. Riflettemmo sul fatto che effettivamente poco prima di notare il rigonfiamento mi venne la febbre. Una febbre che nemmeno la tachipirina riusciva a mandare via.
Ma mi rimandarono comunque a casa con pasticche grosse e rosse che mi avrebbero fatto passare ogni cosa.
Il pomeriggio stesso invece chiamarono. Mi dissero che dalle lastre risultava qualcosa ed era meglio ricoverarmi. Io stavo piombando in una realtà che non conoscevo assolutamente, e che non volevo conoscere. Non riuscivo a prendere la cosa con spirito, anzi, la presi piuttosto maluccio, convinta che un grosso male stava aspettandomi da qualche parte. Carla, piccola e catastrofica.
Durante il ricovero mi fecero la biopsia a quello che si rivelò essere un linfonodo e un prelievo del midollo. Mia sorella una sera chiamò quasi piangendo. Mi chiese se quello che avevo era un linfonodo o un linfoma. Chiesi al dottore, ma lui rispose con un "Perché me lo chiedi?". A mie successive insistenze disse che si trattava di linfonodi.
A casa controllai la differenza. Cercai sull'enciclopedia medica. Il linfoma è un tumore maligno del sistema linfatico.

Qualche giorno dopo mi chiamarono dall'ospedale. Dovevo concordare con loro la terapia e parlare di ciò che avevo. Il dottore mi parlò come si parla ai bimbi, forse perché lo ero. Forse ero solo una bambina. Ma mi sentivo male perché capivo. Capivo ogni parola. O meglio, desideravo più chiarezza.
Fu così che "il grosso sasso davanti ai polmoni" che rischiava di "pesarmi sul cuore e sui polmoni se non curato" divenne, dopo altre mie insistenze, un linfoma. Il maledetto si era insidiato davanti ai polmoni, nel mediastino. Era entrato in circolo attraverso il sistema linfatico e aveva deciso di costruirsi un'altra stazione spaziale sul mio collo. In sede sovraclaveare destra.
Ora, entri all'ospedale convinto di dover prendere qualche antibiotico e ti viene detto che invece dovrai iniziare una chemioterapia. Fa molta differenza.
Nessuno mi disse esattamente cosa fosse. Ma mi documentai fino alla nausea. Non c'era internet e passavo molto tempo in biblioteca. Volevo capire che tipo di veleni avessero intenzione di iniettarmi, volevo capire cosa mi avrebbero provocato. Volevo sapere la percentuale di risoluzione totale della malattia. Volevo capire perché io.
Non ci sono risposte a queste cose. I veleni cambiano a seconda del tuo stadio, le reazioni cambiano da persona a persona, non esiste una risoluzione totale, non esiste guarigione ma solo sopravvivenza. Non si può guarire da una malattia di cui non si conoscono le cause.
Non potevo sapere perché io.
Mi trovavo d'un tratto ad affrontare un mostro più grande di me. Quando sei appena una ragazzina ma puoi capire tutto, capisci cosa significa che forse ti cadranno i capelli, capisci che cosa significa che forse dovrai passare periodi di isolamento, perché i tuoi globuli bianchi verranno avvelenati dalle stesse sostanze che ti salveranno, capisci un sacco di cose ma non le puoi accettare.
Così ti tagli un po' i capelli, quei capelli lunghi fino al sedere li tagli alle spalle, cominci ad assentarti da scuola. Le terapie sono in day hospital, entri al mattino alle 8 ed esci alle 12, ma sei distrutta. Vomiti fino allo spasimo i succhi gastrici e ti ci vogliono circa 3 giorni per rimetterti. Poi dopo due settimane sei ancora lì, e riprendi da capo. 9 mesi di vomito, e prelievi, e flebo, e trasfusioni, e aferesi. E tu sei lì, con tua mamma che ti guarda e che si chiede anche lei perché è capitata proprio a te questa cosa. Ma a guardarsi attorno sembra di stare in un campo di guerra. Tutti bambini. Tutti malati. Allora cominci a chiederti davvero: perché noi? Perché si deve stare male?
Attacchi e cominci, smetti e riparti. Cadi e ti rialzi. Ogni giorno. E ti rendi conto di stare male ma non vuoi ammetterlo. A volte cadi nel vittimismo, a volte nell'eroismo. A volte ti senti solo male perché sei ben consapevole che le persone che ti amano soffrono molto di più a vederti stare male di quanto possa soffrire tu.
Ma io, io sono un'eroina. E trovai abilmente il modo di farmi coccolare dai miei amici. Loro che pazientemente mi stavano dietro, che asciugavano le mie lacrime, che non mi facevano mai sentire diversa. Mai.
Se è vero che gli amici si vedono nel momento del bisogno, io sono stata molto fortunata. E quando i veri amici ci sono, si festeggia la vittoria. Il 4 gennaio 1995 io festeggiai la mia vittoria. L'ultima chemio. Avevo anche fatto la radioterapia, che come regalo mi ha lasciato l'ipotiroidismo e spero null'altro. Chemioterapia. MOPP/ABVD. Le sigle dei veleni.

E gli anni passano, sei il ritratto della gioia. Fai fatica a staccarti dall'ospedale, hai passato il primo quadrimestre del liceo scientifico all'ospedale, fai fatica a stare dietro ai tuoi compagni più svegli. Non riesci a studiare ma sai di aver lottato per qualcosa di più importante e sorridi a dispetto di tutto. E sei felice. E non ti interessa null'altro.

Passa ancora un anno e ogni tanto ti capita, ogni tanto, di passare la mano sul collo. Cercare, avere paura. Può capitare di sentire una pallina. Allora chiami l'ospedale e loro ti rassicurano sempre. Hai avuto mal di gola Carla. E' normale ti si gonfino i linfonodi, è la loro funzione.
E torni a casa tranquilla. Un altro giorno di sole.

E poi ancora, altro tocco, altro gonfiore.
Ma questa volta nessun rimando a casa, questa volta un'equipe di medici ti sta intorno e, a turno, palpano quella pallina. E via, tac, radiografia, scintigrafia, analisi, biopsia, prelievo midollo. Questa volta la tua biopsia viene spedita a Bologna e tu hai ancora paura.
E ti rendi conto che questa volta non è come le precedenti. Questa potrebbe essere una cosa seria. Allora decidi di tingerti i capelli strani, tanto forse cadranno. Decidi di andare in vacanza e non pensarci, perché i dottori ti hanno annunciato che al tuo ritorno ci sarà la chemioterapia ad aspettarti.
Ancora. Linfoma di Hodgkin.

Colpa del tassista

[post ripescato dalle bozze del 2008 credo]

Sabato sera siamo andati in un pub triste triste. Ma era sabato o venerdì? Non ricordo. Il pub a dirla tutta è molto bello, è grande, tutto di legno. Il classico pub dove si va tra amici a chiacchierare. E’ totalmente vuoto, quindi c’è vasta scelta di tavoli. E’ una cosa non da poco.
Peccato che il gestore ci mette un bel po’ a fare i cocktail che lasciano un po’ a desiderare: ma se si ha lo stomaco forte va bene. E poi è un po’ buio, la luce è data da piccole abatjour con ragnatele annesse, inserite tra un tavolo e l’altro. E poi è freddo, c’erano le finestre socchiuse.
Ma per fare 4 chiacchiere non c’è niente di meglio.
Ieri e l’altroieri sono stata a Torino per delle visite. Tutti mi dicono “Ma perché ti sbatti fino a lì per farti visitare che qui c’è Careggi blablabla?”. Risposta: “Quando trovi un medico di cui ti fidi non lo lasci così facilmente”.
Parto l’altroieri da Firenze Rifredi, nemmeno a dirlo, il treno ritarda di mezz’ora. Certe cose non cambiano proprio mai. Arrivo insomma già abbastanza tardino, visto e considerato che un folle seduto accanto a me aveva sul tavolino la foto (ritagliata da un giornale, in bianco e nero) di Sarah Miller e ogni tanto chiacchierava con la foto. Proprio così. Appena c’era un po’ di baccano lui guardava la foto, rideva, e borbottava qualcosa. Io non so, cercavo solo di dormire, ero un po’ cotta perché mi ero svegliata abbastanza presto (povero Roccio che doveva anche andare al lavoro). Ogni tanto mi voltavo verso il signore e lui smetteva: assomigliava a Robert De Niro, la versione italiana con i capelli bianchi e tanta pancetta.
Arrivata a casa di mia mamma mangio velocemente qualcosa e porto a spasso Poldino, intanto un forte mal di testa dovuto al troppo sonno sul treno mi devasta. Mi doccio veloce, mi sistemo alla meno peggio e vado in centro. Magari due passi mi fanno passare il male.
Scopro che in piazza Castello hanno aperto una nuova libreria, molto bella. Qualcosa come “libreria.coop” o “coop.libreria”. Ci faccio un giro e trovo un sacco di libri che vorrei comprare. Ho la mania compulsiva dei libri. Poi non riesco a stare dietro agli acquisti e si accumulano nella libreria. Quanti libri belli. Quanta carta stampata, quanti bei colori di copertine, quante cose su cui vorrei documentarmi.
Meglio uscire. Esco e mi avvio verso la fnac, ma anche lì c’è la libreria. Mi riperdo tra i libri, cerco testi sul Madagascar (all’altra libreria ne avevano di più). Mi chiedo cosa sarebbe meglio se Madagascar o Australia, sono due mete ambitissime, tutta natura, tante bestie, tanta avventura. Rimando la decisione e corro in farmacia a prendere qualcosa per il mal di testa che intanto è aumentato.
Torno a casa di mia mamma mangio qualcosa (si era ormai fatta ora di cena) e prendo la pastiglia. Il giorno dopo ho la visita, anzi le analisi, mi toccherà passare tutta la mattinata in ospedale. E poi devo fare il prelievo, e come al solito ho paura del prelievo.
Per andare all’ospedale ci sono due opzioni: prendere il bus e svegliarmi parecchio prima o prendere il taxi e svegliarmi a un orario decente. Opto per la pigrizia e la spesa allucinante. Il taxista infatti fa strade inesplorate e mi fa spendere circa 21 euro, e mi saluta con “Auguri”. Tutti sanno che non si fanno gli auguri in questi casi ma bisogna dire “In bocca al lupo” mannaggia a te taxista.
Mi tocco le palle che non ho, ma dato che sto decidendo di diventare superstiziosa quasi quasi le espianto a Roccio e le impianto a me: dato che in salute non vado fortissima almeno ogni volta che vado in ospedale e qualcuno prova a farmi gli auguri mi tocco le pallediRoccio e magari la scampo.
Vado al bancone di legno del C.O.E.S. detto altrimenti Centro Onco Ematologico Subalpino, però lì mi mandano a fare la coda: che strano, per gli ex pazienti del Regina Margherita di solito consegnano direttamente loro le impegnative fatte dall’ospedale. Però non dico nulla, in un anno cambiano tante cose,anche le procedure.
Quindi mi accodo e vado a fare il prelievo. Entro come sempre terrorizzata. L’infermiera è un donnino che parla come la Littizzetto (uh come lo sento l’accento piemontese adesso. Mi sembra così alienante) e urla come una foca in calore. Mi vede, penso, tremolante, mi rassicura dicendo che ha lavorato tot anni in Ematologia al Regina Margherita, l’ospedale infantile, e difatti dopo tanti anni mi becca al primo colpo la vena e non mi fa nemmeno male, visto e considerato che mi ha bucato sul dorso della mano, zona abbastanza sensibile. Non deve nemmeno farmi due buchi perché ha azzeccato tutto, io penso checulocheho e vado a mettermi in coda per l’ecografia alla tiroide.
Il dottore che mi fa l’ecografia era una volta un assistente. Mi aveva visitata assieme al mio endocrinologo circa 3 anni fa. Lo avevo notato perché era un bel ragazzotto alla Tom Cruise, lampadato ed aitante. Il mio antitipo ma medico, quindi comunque da notare.
Lo rivedo però più stanco, non più lampadato e con le occhiaie. Era tornato dalla notte e l’ultima visita del suo turno ero io. Era davvero a pezzi.
Mi dice di nuovo che la tiroide probabilmente è da togliere. Mi tocco le pallediRoccio e spero che si possa rimandare all’infinito.
Intanto arriva il mio endocrinologo, gli chiedo come mai al bancone di legno non mi hanno consegnato l’impegnativa. Parte arrabbiato a fare il cazziatone alla signora che avrebbe dovuto farlo e torna con la mia impegnativa.
Mi rimane solo quella che credevo essere una mammografia ma si rivela (come appunta l’endocrinologo) per ora “solo” un’ecografia al seno.
Vado a fare colazione che ho una fame boia e spero mi facciano passare prima dato che sono le 10 e ho l’appuntamento alle 12.40. Ma arrivata in reparto radiologia capisco che non c’è speranza. C’è gente che aspetta da ore ed era prenotata ore prima. Il mio problema è il treno. Devo prendere il treno ma prima devo tornare a casa di mia mamma a recuperare lo zaino. Questo vuol dire che per prendere in tempo il treno delle 17 devo uscire dall’ospedale alle 14. Mi ci vuole un’ora e mezza per andare a casa di mia mamma dall’ospedale e un’altra ora per tornare in stazione. 15 minuti per mangiucchiare qualcosa ce le vogliamo mettere?
Insomma si fanno le 13 e sono ancora lì. Meno male ho il libro sulla PNL che tralaltro ha proprietà soporifere su di me, mi basta leggerne una pagina e svengo collassata, come in catalessi, oberata da tanti termini e diciture. Per dirla breve la gente comincia a sfavarsi e partono le polemiche.
Così ci spostano in un altro reparto che fa la stessa cosa. Chiedo a una signora per quando era prenotata. Mi dice che era prenotata per le 10 (sono le 13.20), perdo speranze di passare perché le dico che sono prenotata per le12.40 ma, miracolo, mi chiamano. Quindi la signora si sfava perché ora sa che la sua prenotazione veniva prima, però la dottoressa dice che mi sono registrata prima di lei e quindi non ci sono cazzi. La ringrazio e le spiego che ho anche un treno da prendere, quindi attacca a ecografare. Mi spoglio, mi sdraio, guarda bene, riguarda bene e parla con un collega. Parla di nodulini. Mi fanno rivestire e mi spostano al reparto dov’ero prima per farmi fare una mammografia. Ma come mammografia, non dovevo fare solo un’ecografia? Comprendo bene che c’è qualcosa che non va.
La mammografia, per chi ha poche tette come me, è una tortura. Devono schiacciarti il seno tra due ripiani e il medico ce la mette tutta, me le tira, me le palpa, me le strizza. Un male cane insomma. Poi le rifà più volte perché non gli riesce: col senone (come direbbe mia mamma) sarebbe tutto più semplice ma un senino non ha mammografia che tenga. Mi chiedono di rivestirmi e mi fanno rifare un’altra ecografia con una dottoressa con più esperienza.
Parla di linfonodi e di gruppi calcificati, io non ci capisco molto, ma continuo a capire solo una cosa: che qualcosa non va.
Mi chiedono di rivestirmi dopo aver fatto un segno sul seno destro con un pennarello indelebile nero. Mi piazzano un cerotto con una sferetta incollata all’altezza del puntino disegnato. Mi fanno fare un’altra mammografia ma i segni non coincidono. Mi chiedono ancora di vestirmi e il dottore mi spiega che ci sono un gruppo di formazioni calcificate e un nodulino ma non sanno altro. Fare un’agoaspirato non si può, troppo piccino. Vogliono farmi una biopsia chirurgica.
L’11 saremo di nuovo a Torino per una visita dall’endocrinologo ci dirà lui poi, guardando gli esami, cosa fare. Certo, ho paura.
Però c’è Roccio con me (che dolce, mi ha regalato un fiore di girasole), e anche se un piantino me lo sono fatta ieri, non posso davvero lamentarmi di niente.
E poi, lo so bene, la colpa è tutta del taxista.
[bozza del 30/08/2007 ripescata oggi]

Ieri mentre ero in chiamata mi si avvicina una donnina mai vista: era l'ora della pausa quindi fremevo per alzarmi un po', quand'ecco che l'anonima veneziana mi chiama per nome e si presenta. Mi dice che è dell'ufficio del personale e voleva parlare con me delle mie dimissioni, quindi oggi mi tocca andare mezz'ora prima per fare un colloquio su questo.
Sapevo che per entrare bisognava fare il colloquio, non per uscire da un'azienda.

In ogni caso accetto tutto, anche se ammetto che andare in una nuova azienda un po' mi spaventa. Penso sia normale.

Persino entrata qui ero paralizzata: eppure l'esperienza del call center è abbastanza comune e non servono competenze specifiche. Ma ricordo la prima chiamata che abbiamo fatto al corso con la nostra tutor accanto che ci indicava col dito cosa fare.

Ieri poche chiamate ma sono stata richiamata all'ordine perché, nei momenti liberi da chiamata, leggevo (le ultime pagine de La compagnia dei celestini di Benni).

Posso capire che una persona al lavoro non possa farsi i cazzucci suoi però questo è un lavoro dove la produttività non cala se leggo quando non ho nulla da fare (perché non posso fare null'altro). In un lavoro qualsiasi ti viene chiesta qualsiasi cosa se è un momento in cui non stai davvero lavorando.
Sorvoliamo il fatto che sono un mago a trovare i numeri di telefono.
Ieri mi ha chiamato un tizio che cercava un negozio di usato o a Cinisello Balsamo o a Sesto San Giovanni, non ricordava bene. Ma non solo non ricordava bene la località, non sapeva nemmeno il nome, e nemmeno la via. Si ricordava solo che era all'uscita (o ingresso) della tangenziale e si trovava su una grossa strada. Ovviamente in categoria Usato - compravendita non esisteva nessun negozio in nessuna delle due località. Allora ho chiamato un negozio a caso a Sesto San Giovanni chiedendo se conoscevano un grosso negozio di usato che stava su una grossa strada. Mi hanno detto l'indirizzo ma non il nome e anche loro non erano sicuri sulla località (si vede che era un negozio di confine).
Trovo la via e chiamo un altro negozio a caso su quella via, a Sesto San Giovanni, e finalmente mi dicono il nome del negozio che in realtà si trova a Cinisello Balsamo. Insomma, so' maca.
Incantesimi telefonici a parte penso proprio che il tabù non sia leggere, ma non fare un cazzo.

In ogni posto di lavoro non fare un cazzo è (per il capo) eticamente sbagliato.
Al primo call center dove ho lavorato non stare al telefono era cazzeggiare.
Al canile cazzeggiare voleva dire stare seduti.
Alla casa editrice cazzeggiare voleva dire stare in piedi oppure al telefono.
All'azienda informatica cazzeggiare era non stare al computer.
E qui, di nuovo, è non stare al telefono.

Per adattarsi a un nuovo lavoro l'importante è capire cosa si intende per cazzeggio. Il resto è una strada in discesa.

Di brevi ma fantastici incontri

[Post trovato tra le bozze di almeno 3-4 anni fa e pubblicato ora]

Sabato ho lavorato 10 ore. Sono uscita distrutta, con una stanchezza addosso che non si spiega. Mi sono detta che lo scotto da pagare per lavorare 6 ore al giorno (poco meno di 8) è davvero troppo e la cosa non mi piace affatto.
Tantopiù che sabato c'era a Bologna Chiarina, mia amica ed ex collega di Firenze, per un corso che segue un weekend al mese direttamente a Bologna. Per carità anche lei era impegnata fino a sera, ma mi dava noia l'idea di non essere per niente in forma. Così alle 20 Fry passa a prendermi e andiamo di volata verso la stazione dove la mia amica aveva la stanza d'albergo (nel quale teneva il corso). Chiarina è stanca, si vede, siamo in due. In tre contando Fry che, seppur riposato dal sabato, aveva addosso una settimana non proprio leggera.
Ma è stato davvero bello, non ci vedevamo da tantissimo tempo e abbiamo avuto modo di chiacchierare, fare quattro passi, vedere un po' di Bologna. Anche per noi che ultimamente non uscivamo mai.
Sotto la luce della serata bolognese ridiamo quando Chiarina mi chiede in silenzio "Ma si sente che sono di Firenze?" togliendo le ti e le ci e unendo di e firenze in un toscanissimo "diffirenze".

Ma a mezzanotte eravamo distrutti tutti quanti. A me il sabato così mi ha devastata. E ci abbracciamo e ci salutiamo "alla prossima" ma il 9/3 sarò a Torino e così dovremo saltare ancora, ma il bello delle vere amicizie è che non conta quanto ci si sente o quanto ci si vede. Si è, per l'altro, quando ha bisogno. E quando non ha bisogno ha la certezza che se avesse bisogno ci sarebbe.

Ho cominciato questo post proprio due sabati fa, quando tutto è accaduto. Ora non ricordo cosa è successo in queste settimane di buio. So che lunedì ho ricominciato a lavorare ma è come se non avessi mai staccato. Ho passato una settimana lunghissima.
La seconda settimana, ovvero questa, è quella della pausa lunga. Ho ripreso pian pianino a studiare tedesco dopo quasi due settimane di stacco. Una mia (carinissima e dolcissima) collega si è ricordata di portarmi i suoi libri di tedesco delle superiori che sono ancora imbustati e non so quando avrò tempo di aprirli. C'è stata una grossa nevicata in questi giorni ma non ricordo quando. Abbiamo prenotato un viaggio per Berlino dal 7 al 13 Maggio e progettiamo un secondo viaggio on the road (stile quello che abbiamo fatto in Corsica) per Luglio. Stiamo stringendo le chiappe ma siamo riusciti a mettere da parte due soldini che ci permetteranno di fare questi viaggetti senza troppi pensieri.

Oggi ho avuto un colloquio, ma non voglio dirvi nulla. Solo che è andato bene e che non è stato un vero e proprio colloquio.

Da domani cambierò postazione e sarò vicino alla responsabile. Sono sicura che lei sarà tranquillissima, ma lo stress psicologico di avere il capo quasi in braccio sarà palpabile. Quindi passeranno almeno 2 mesi (che è il tempo medio che ha di cambiare le postazioni) in cui sarò lagnosa e intrattabile. Per la gioia di Fry.

Ho rinnovato il viola ai capelli perché alcune ciocche davano sul bianco.
Prima

Dopo

Confesso: questi capelli mi piacciono da matti. Spero di non trovarmi costretta a tingerli di un cosiddetto colore normale perché sono anche questo. E mi piace essere così.

Seguirà un post molto più serio. Ma solo quando avrò voglia di scriverlo.

30 ottobre 2016

La mia memoria (corta), la mia nuova Mantova

Chissà quanti post doppi ci sono su questo blog: ho una memoria tremenda. Ho però una memoria abbastanza visiva: mi ricordo i volti, le situazioni, ma non riesco a collegare le situazioni con le date o i volti con i nomi. A volte cancello delle cose e il mio cervellino le sostituisce con altre.
Sarei un pessimo testimone durante un processo.
Al lavoro mi ha sempre dato problemi questa cosa:
"Te l'ho spiegato un mese fa!"
"Ma sei sicura?"

E qui arriviamo al nocciolo della situazione. I supporti di memoria. Non potendo usufruire di un HD esterno dove poter andare a salvare i dati in eccesso, lascio che lo facciano per me altre cose.
Il supporto principale è per me la scrittura. Anche questo blog. Quando non ricordo quando è successa una cosa la cerco qui. Fino a poco tempo fa al mio (ex) lavoro ci era vietato prendere appunti per una questione di paura (terrore) di furto di dati. Era la mia fine.

Ricordate Twin Peaks? Quando lo davano ero piccola: capivo la metà delle cose e me ne sono accorta riguardandolo poco tempo fa.
Amo Lynch perché nei suoi film non si capisce un cazzo. Quindi ognuno ha titolo per dire quello che gli pare tipo "Secondo me in Mulholland Drive la seconda parte è l'incubo della prima e la scatolina è una metafora della scatola di fagioli che aveva mangiato il giorno prima e che le era risultata un po' indigesta".
Nein, amo Lynch perché amo i sogni e il suo mondo onirico mi affascina da morire.
Comunque in Twin Peaks il protagonista aveva un registratore. Ohibò, non appena l'ho visto ho capito che dovevo possederlo. Fu così che i miei cedettero al mio capriccio e mi presero un piccolo registratore a microcassette. Lo portavo ovunque. Nelle gite parrocchiali, nelle gite di classe, all'oratorio, forse anche a scuola (non ricordo) e lo usavo per studiare.
Non avendo una cameretta mi chiudevo nel cesso, leggevo le pagine del sussidiario e riascoltavo la mia voce tante volte da farmi venire la nausea, finché non riuscivo a far entrare le nozioni nella mia testolina da criceto. Il mio primo supporto alla memoria. Erano le elementari.

Ovviamente non è durata molto, anche se nelle vecchie cassettine si possono ascoltare ancora canzoni cantate in gruppo, barzellette sconce raccontate dagli amichetti, stralci di noiosissime nozioni.
Il supporto che più ho amato e che ancora adesso è con me è la macchina forografica.
Un giorno mi regalarono una Ricoh automatica. Una di quelle macchinette che scatti e non devi fare altro, con flash incorporato. Una scatola (nera) magica.
Ben presto molti istanti furono immortalati. Capodanni, natali, compleanni, grigliate, follie tra amici (chissà dove ha messo il mio caro amico - ora fotografo - una foto di me quindicenne in cui indosso i suoi boxer, ho le pinne ai piedi e il collare con le borchie al collo, seduta sul water chiuso mentre faccio finta di bere da una bottiglia qualcosa di imprecisato e coi capelli acconciati con una cresta imperfetta). Il mio nuovo supporto: immagini che potevo codificare. Non importava quando erano accadute quelle cose, c'erano state e non erano una fantasia della mia mente.
Ho cantato in un gruppo metal, ho le foto a dimostrarlo. Stavo insieme al bassista.
Giravo con dei ragazzotti punk, sìsì check.
Una volta avevo i capelli lunghi fino al sedere.
La mia migliore amica aveva una bellissima casa in campagna.

Con il digitale è stato diverso. La compatta era sempre con me. Processionarie in fila: click. Cartello strano: click. Sbronza allucinante: click (un po' mossa, eh?)

Sono sul treno per Firenze e sto procedendo a zig zag senza una direzione, vediamo dove arriviamo.
Oddio IO procedo a zig zag, non il treno. Ci tengo a specificare.

Comunque ho abbandonato la compatta per la mia fedelissima Canon 7d.

Mantova: centro storico patrimonio Unesco.
Concorso.
Andiamo a Mantova.

Ho un vago ricordo di Mantova. Palazzo Te e i suoi disegni, la camera degli sposi del Mantegna. Le vie acciottolate (che fanno urlare porca***onna a ogni passo) piccole.
Un mondo sospeso tra passato remoto e presente.

Con me la fedelissima T, testimone anche al Monte Sacro di Varese. Decidiamo di vederci al mattino per fare colazione in via borgovico e poi andare alla stazione con calma.
Mentre usciamo dal bar capiamo che la situazione di quella giornata non sarebbe stata normale. Un vecchino, con i tubicini dell'ossigeno al naso, stava cascando in terra appena ci ha viste. Ripresosi all'ultimo ha esclamato: "Non mi spaventate eh?".
Io e T ci guardiamo, il vecchino semimorente riprende la strada come se nulla fosse accaduto e rimaniamo in quell'attimo in cui ci chiediamo se effettivamente abbiamo sentito bene o se è stato tutto frutto della nostra immaginazione. Facciamo spallucce e andiamo in stazione.
Cömo - Milano Centrale
Milano Centrale - Mantova.
Lungo il tragitto salgono sul treno due poliziotti. Il secondo non riesco a inquadrarlo, non riuscivo a staccare gli occhi di dosso a quello che parlava con noi. GENTILISSIMO.
"Ragazze, cortesemente, posso chiedervi i documenti?"
Eh, certo, una mezza tossica e un'extracomunitaria, avrà pensato, ho fatto bingo.
Consegno i miei documenti, T il suo visto. Scaduto.
"Questo è scaduto"
"Eh sì sto aspettando che mi arrivino i documenti"
"Ma ha già avviato le pratiche?"
Quando T è nervosa ride. Comincia a ridere.
"No non ancora"
Il poliziotto fa una smorfia tra il compiaciuto e l'indeciso.
T continua "Sono sposata, sto aspettando i documenti"
"Ahhh va bene"
Altra veloce occhiata e se ne vanno.
Poco prima T mi aveva confessato di sentirsi a disagio quando c'erano poliziotti in giro perché sa che stanno cercando qualcuno e lei non ha ancora i documenti che però dovrebbero essere già suoi da tempo. Lentezze sudamericane.
Arriviamo a Mantova e, tempo due minuti, ci perdiamo. Dopo ovviamente aver incrociato un intero scuolabus con bambini appiccicati ai vetri che ci salutano e dei ragazzini che esclamano "Che cazzo hai fatto ai capelli?".
Google maps non ha nessun potere sul nostro istinto malevolo di orientamento. Gira a destra, gira a sinistra, e nulla. Il coso per mangiare tramezzini non c'è. T chiede informazioni ma una signora le risponde male.
Meno male da qui in avanti i Mantovani si dimostreranno persino eccessivamente gentili. Troviamo appunto di che mangiare e proprio i ragazzotti che ci servono ci danno qualche indicazione spontanea su Mantova. Dove prendere le mappe, cosa vedere, ecc.

Io uso il mio nuovo (vecchio) obiettivo Helios e mettere a fuoco è un'impresa.

Ma non siamo qui per parlar di foto. Trottiamo come delle pazze per cercare di imprimere qualcosa di interessante ma  riesco a ricavarne poco. Bici. Foglie autunnali. Le solite cazzo di cose.

Con un po' di stanchezza, e dopo aver comprato della sbrisolona farcita da portare agli amici, arriviamo a Palazzo Te. Stormi di volatili in cielo.
Sembra di essere dentro una sceneggiatura del film di Hitchcock.

Presto o tardi sarebbe capitato.
Splat.
Sulla mia testa e sul cappotto e lo zaino di T.

Pulendoci alla meglio andiamo in stazione dove compriamo i biglietti per Cömo in biglietteria. Non quella automatica, c'era proprio l'omino. Ho vaghi ricordi di questa cosa, forse l'ultima volta che è successo è stato nel 2008. Ricordo sì, parlai con uno di questi omini mitologici, metà uomo e metà sedia, per un biglietto per Firenze.

Comunque T mi guarda e mi chiede: "Dobbiamo timbrarlo?"
"Ma va, ora anche i regionali hanno degli orari, figurati tranquilla.

Saliamo sul treno, controllore: "Questo doveva essere obliterato lo sapete?"
"Colpa mia, ero convinta che non si dovesse"
"Quindi la paghi tu la contravvenzione?"
Ride, gli chiedo di chiudere un occhio. "Ma per voi chiudo tutti e due gli occhi, si vede che avete fatto il biglietto oggi, tranquille"
Fiù

Salgono 3 capotreni/controllori Trenord. Uno con un accento del sud molto forte.
Attaccano bottone.
Stavo quasi per dire "Almeno voi no, ve prego" quando mi sono trattenuta. Alla fine siamo state al gioco, non hanno chiesto il numero o simili, cercavano solo di chiacchierare.
È una cosa che alla fine capisci al volo, dove vogliono andare a parare le persone che hai di fronte. Soprattutto dopo centinaia di approcci (anche senza alcun doppio fine, ovvio). All'inizio sei sperduto, specialmente quando ti insegnano che le persone cercano sempre di avere un ritorno e ci metti anni per fidarti nuovamente delle persone.

La nostra giornata è stata questa, la mia vita è quasi sempre questa. Una giornata lunghissima piena di avventure che continuerà nel prossimo post di Firenze.
Stay Tuned.

24 ottobre 2016

Il vaso di Pandora

Quando ero piccola lessi un racconto illustrato sul vaso di Pandora. Mi rimase impresso.
Siamo tutti dei vasi di Pandora che, una volta scoperchiati, non possono più essere richiusi.

Oggi andrò a ritirare il mio obiettivo ordinato su ebay. È, vintage, è russo, sì, è un Helios.

Dopo aver visto gli scatti del mio compagno di classe russo - di solito chiamato semplicemente "compagno russo" e le immagini nel mio cervello si sprecano - mi sono decisa. Un amico fotografo mi ha detto la marca dell'obiettivo che ha "quello sfuocato molto particolare" e il compagno russo l'ha confermato così, dopo qualche consiglio su quale modello prendere mi sono decisa.

Per ben 30 euro mi sono aggiudicata un obiettivo che potrebbe regalarmi delle gioie.

Posso anche dire che le foto fatte dal mio compagno russo alla sottoscritta hanno qualcosa di decente, alcune sono molto belle; l'abilità del fotografo si vede. Anche perché mi ritengo un soggetto infotografabile: in genere non mi riconosco nelle foto. Quella che vedo è una persona più vecchia, rugosa e brutta di quella che ho davanti allo specchio.

Eppure lui trova il momento giusto per non farmi apparire come nelle tradizionali foto ma riesce a riportarmi a un livello simile alla immagine che sento di avere di me.

E così mi chiedo: chi sono io? Il soggetto infotografabile, l'immagine riflessa allo specchio o una proiezione che ogni tanto, mentalmente, faccio di me?

Ho ricominciato a sognare. I sogni di questo periodo prevedono corridoi abbastanza scuri illuminati con faretti e porte che non si aprono, strade sbagliate e posti remoti in cui rimango sola.

Tutto sommato una manna dal cielo rispetto ai morti, al sangue, ai mostri che di solito popolano il mio mondo notturno.

A Cömo è ricominciata la stagione dei monsoni. Pioggia interminabile, tempaccio, freddo.
Più che freddo lo chiamerei fresco.

Poi se ci pensi bene è quasi una sensazione interiore, questa pioggia. Non so se io sono influenzata dal tempo o se la mia interpretazione del meteo viene influenzata da come mi sento.

Sono un grigio al 18%, piovosa e vulnerabile.
Come Cömo.

Aggiungo questa poesia che di tanto in tanto mi torna in mente:

Calmati!
Shhht, no, non guardare fuori dalla finestra. Il rumore è dentro


23 ottobre 2016

I miei siti Unesco

Ho deciso di partecipare a un concorso fotografico; devo fotografare alcuni siti patrimonio Unesco in Lombardia e mettere gli scatti (massimo 10) sui social.
Mi sembra una bella iniziativa, anche per conoscere qualche altro posto che non sia il centro di Cömo, il Birrivico, il Pura Vida d'estate, ecc.
Gambe in spalla e si va.
Il primo sito che scelgo di fotografare è il Sacro Monte di Varese. Trattasi di una montagnolina su cui sono piazzate 15 cappelle (sì, ho cercato un sinonimo ma niente) in salita. Una sorta di percorso spirituale insomma, fino ad arrivare al paesino in cima che è davvero una favola.

Per arrivare lassù io e la mia amica T dobbiamo prendere il bus da Cömo a Varese e poi un altro bus che ci lascia alla prima cappella da cui, proseguendo e salendo a piedi, vedremo tutte le altre. In prima battuta pensiamo di prendere la comoda funivia che ci avrebbe lasciato in cima per poi scendere con calma e fare foto in santa pace. Ma l'autista ci comunica che la funivia non va. Apprendiamo solo in seguito che viene attivata solo nei weekend.
Con (mio) grande disappunto cominciamo a salire. Vorrei descrivervi le chiesette ma sono davvero quasi tutte uguali e anche fotografarle non rende. Patrimonio Unesco sì, ma mi viene l'incazzo se penso al castello di Sammezzano che invece sta lì così in attesa: di cosa, poi, non so.

Il paesello in cima invece è molto carino (ma sarà patrimonio Unesco? Mha) solo che dopo un breve giro ci tocca scendere. La fame chiama e vogliamo qualcosa di veloce da mangiare a Varese.

Non ho mai amato Varese: probabilmente l'ho già scritto ma quando io e Fry eravamo in procinto di trasferirci nel profondo nord stavamo cercando casa a Varese. Poi Zion mi disse "Perché non cercate a Como? È più carina e ci sono anche meno leghisti".
Nonostante Il luogo di lavoro di Fry sia più vicino a Varese ci siamo lasciati convincere soprattutto dalla seconda affermazione. Come poi abbiamo scoperto, a Varese celebrano anche il compleanno di Hitler.
Devastante.
Tornando ai miei siti Unesco la seconda avventura che vi propongo è stata al villaggio operaio di Crespi d'Adda. Convinta di dover fare meno chilometri me la sono presa con calma. La mattina in cui ho deciso di andare ho preso il treno alle 11.16. Fu così che ci misi 3 ore.
3 fottutissime ore.

Como Nord Lago - Milano Nord Cadorna
Metro verde fino a Gessate (lontanissima)
Autobus fino a Trezzo sull'Adda
E, dulcis in fundo, buona mezzoretta a piedi.
In tutto questo ho incontrato persone con istinti omicidi (oltre me) che sembravano ostacolare la mia già difficile propensione all'ottimismo, in una giornata in cui scattare foto (con quel cazzo di cielo bianchissimo) sembrava impossibile.
Il controllore di Trenord sembrava essere strafatto di caffeina. Io uso solo biglietti digitali comprati online che mostro poi a chi di dovere dall'app.
L'app di trenitalia è lentissima, per cui ci mette quei suoi buoni 30 secondi per aprirsi.
In tutto questo io portavo le mie dolcissime cuffione da isolamento sociale, insomma, la mia fabbrica di ottimismo (anche se non tutti comprendono che tenere sulle orecchie delle cuffione con musica metal a tutto volume significa "Non rompermi le palle, sono un'antisociale di merda e odio tutti" e cercano di calpestarmi i piedi ogni due secondi chiedendomi se il bus/il treno/la madonna sono passati).
Errore mio: non le ho tolte, ma in genere non serve.
Passa quindi il controllore e io cerco di aprire l'app.
Cerco.
Attendo.
A un certo punto vedo che muove la bocca: mi levo le cuffie e attacca così: "Certo, se io le parlo e lei ha le cuffie è ovvio che non mi sente. Ce l'ha o no questo biglietto?"
Quasi partito l'embolo.
"Certo, le indicavo lo schermo del cellulare per dirle di attendere un attimo che l'app si stava avviando"
"Eh certo ma se uno le parla e lei ha le cuffie!"

Bene, così mi sento anche in torto.

Procedo nel mio viaggio, arrivo a Milano Nord Cadorna e vado per prendere la metro. Peccato che sulla app non si possano prendere i biglietti per Gessate che è già fuori Milano. Così vado in tabaccheria e chiedo se è possibile fare da lì già i biglietti per Trezzo sull'Adda.
Controlla.
Non sa.
Mi dice che forse è meglio fare prima il biglietto per Gessate e poi lì fare quello per Trezzo sull'Adda.

Conto: 1, 2, 3
"Sa magari le do il biglietto sbagliato"
20, 21, 22..

Scendo in metro e la metro per Gessate passa dopo circa 10 minuti. Non so quantificare il tempo impiegato per il tragitto, invece.

Mi tocca quindi fare il biglietto per Trezzo sull'Adda e andare alla fermata. Il mio amato cellulare intanto è già al 60% di batteria.

Ovviamente so il nome della fermata a cui scendere ma non so dov'è, così dopo un tempo ragionevole chiedo all'autista dove posso scendere per la fermata Biffi.
"È la prossima!" risponde lui secco.
Dato che dopo 5 minuti o forse meno si ferma, chiedo conferma della cosa. "È questa?"
E lui "Ma se le ho detto che è la prossima! Non questa, la prossima!"

1, 2, 3...
Da che mondo e mondo per me "la prossima fermata" è quella che sta arrivando (e per capire se sono io che sto impazzendo ho chiesto conferma a tutti di questa cosa e sì, sono ancora quasi sana di mente).
"Dove sta andando?"
Gli spiego.
"Ah che bello, ma di dov'è lei?"
"Di Como"
"Ah bhe carina Como, però sono molto chiusi perché blabla io ogni tanto vado a Milano che blabla sono più aperti, blabla invece in queste cittadine, blabla per esempio lei coi capelli così blabla la guardano male invece a Milano nessuno ci bada blablabla"
"Mi scusi devo scendere"
"Sìsì, conti che c'è ancora un quarto d'ora buono di cammino da qui"

Detto che mi stava dando le indicazioni sbagliate ci ho comunque messo mezz'ora passando in strade non asfaltate, su ponticini di legno sopra fiumi, in mezzo a sentierini quasi di bosco alberati. L'umidità era talmente alta che presto i miei capelli sono diventati un nido arruffato per moscerini morti e le zanzare mi hanno sbranata.

Finalmente arrivo ed è un po' una delusione. A parte che i villaggi operai mi mettono tristezza (evviva! Il "padrone" di lavoro ti costruisce una casa accanto alla fabbrica così sarai schiavo per sempre, e felice di esserlo!) questo non è particolarmente bello. La fabbrica centrale è chiusa, alcuni edifici abbandonati. Le case non hanno un'architettura particolare e ci sono anche scolaresche in gita che mi impediscono alcune inquadrature.
Vado in quello che, sul loro sito, è indicato come il punto da cui iniziare la visita. Una sorta di centro turistico di accoglienza.

Appena arrivata trovo delle mappe della zone sparpagliati sul bancone e chiedo "Posso prenderne una?"
"Sì certo, sono 50 centesimi"
Mappe a pagamento? Alla fine me la regala.

Scopro che c'è un cimitero e il mio cervello comincia a calcolare quanto tempo mi ci vorrà a tornare a casa e in che ora devo fuggire da quel luogo per essere a casa a un orario decente.
Insomma giornata pessima, foto orribili, tempo indecente. Se non altro sono andata in giro che, sapete, per me chi si ferma è perduto.
Torno a casa alle 19.30 pensando che se voglio fare delle foto che spieghino la bellezza del patrimonio Unesco in Lombardia è bene che mi faccia venire in mente qualcosa perché finora il risultato è pessimo.
Così pessimo che nemmeno io ci vorrei andare!