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04 novembre 2024

Il mio anno per il rotto della cuffia

 Ho scoperto oggi di aver passato, per il rotto della cuffia, un esonero di psicologia dello sviluppo avanzato. Non avrei dato 1000 delle vecchie e ricchissime lire per questo risultato. Ultimamente è il mio motto: mantenere in piedi tutte le cose che faccio, con l'impegno minimo sindacale per non impazzire.

L'università? Ok: l'esame è scritto? Lo diamo. Orale? Si darà quando e se mi passerà l'ansia di parlare in pubblico, probabilmente mai. Lo scritto? Leggiamo distrattamente qualche giorno prima dell'esame gli appunti presi qua e là da gentilissime compagne universitarie.

Vorrei avere, per gli esami orali, la stessa sicurezza nell'eloquio di quando cito la mia pseudopassione per la cultura ebraica (che nulla ha a che vedere con ciò che sta succedendo eh), snocciolando autori, presunti messia e folklore vario.

Lo studio si incrocia però con il nuovo lavoro, sfiancante mentalmente. Almeno per me. Anche qui il minimo indispensabile sperando che non mi licenzino, anche se continuo a fare colloqui.  Negli ultimi 3 anni avrò cambiato tre lavori, ma continuano a cercarmi. E da quando ho l'invalidità siamo ai livelli di stalking.

"Buongiorno, stiamo cercando una categoria protetta nello sviluppo in Java"

"La ringrazio ma ho appena cambiato impiego e valuterei un colloquio solo per un lavoro in ambito sistemistico"

"Va bene lo stesso, mi dica quando possiamo contattarla"

Disperati, più di me.

Nell'ultimo colloquio mi sono capitate cose che mai nella vita. La primissima domanda dopo le presentazioni e ormai il classico "DIAMOCIDELTÙ" è stata "Quanti anni hai?". Io spiazzata.

Poco più avanti però la situazione è peggiorata notevolmente con un "Posso chiederti perché sei invalida?" e quando, dopo essermi arrampicata sugli specchi perché il mio cervello desidera sempre dare una risposta ma non volevo specificare tutto perché, regà, è una domanda piuttosto illegalina, la signorina diamocideltù mi ha chiesto la RAL e ha specificato che forse era un po' alta per loro, e la fatidica domanda "Di quanto saresti disposta a scendere?" non ha tardato a fare capolino. Ovviamente la questione è stata corredata da una giustificazione del tipo "In effetti se questo è il lavoro dei tuoi sogni magari puoi scendere un po', tanto poi con l'esperienza ci arrivi di nuovo a quella RAL". Nini, non funziona così: se è alta mi fai un'offerta e io decido.

Ci mancava solo "Ma è fidanzata? Ha intenzione di restare incinta?".

Quando il recruiter che ci aveva messo in contatto mi ha chiesto un feedback è rimasto basito dal mio resoconto ma ha comunque più o meno cercato di porre rimedio. E qui, la fierezza di una persona che tende a non mettersi mai di traverso in queste situazioni: "Scusa se ti interrompo, ma non sono d'accordo".

Loro vorrebbero proseguire e io, dopo queste premesse, 'nsomma.

Già mi vedo a chiedere la mutua e la signorina diamocideltù che fa capolino chiedendomi "MA COME MAI STAI MALE?".

In tutto questo, per il rotto della cuffia ho ripreso violino. Ho fatto la prima lezione con una nuova insegnante a cui ho chiesto di riprendere da capo, dalle corde vuote perché per un anno intero non avevo fatto nulla. Poi ho saltato le successive due lezioni.

Esami, troppe cose da fare. Troppe cose da tenere in piedi per il rotto della cuffia.

Finalmente io e Cliff riusciremo a fare il nostro secondo viaggio insieme (non conto Venezia per il mio compleanno del 2022 perché è stata più una gitarella) e abbiamo optato per San Pietroburgo, perché ci piace complicarci la vita.

Abbiamo preso i voli per Tallinn da cui poi partiremo con il bus della speranza per attraversare la frontiera. Ah no, aspettate: la frontiera sta su un ponte che è chiuso per lavori fino, forse, al 2026, così il bus ci lascia prima della frontiera, la attraverseremo come dei piccoli fiammiferai a piedi, e poi prenderemo un altro bus per San Pietroburgo.

Amiamo complicarci la vita.

I circuiti Visa e Mastercard non funzionano e per non viaggiare con troppi contanti penso che apriremo una specie di conto russo che però non potrà essere ricaricato online quindi attendo risposta da un paio di banche a cui ho chiesto informazioni.

Un mio amico mi ha comunicato di avere segnati i posti descritti ne "Il Maestro e Margherita" e non posso lasciarmi sfuggire l'occasione di passarci. (edit: il libro è ambientato a Mosca, ma si sa mai nella vita, magari riusciamo ad andare anche lì).

Inoltre Cliff è un grande appassionato di letteratura russa (o "i grandi mattoni russi", come li chiamo, sembra non possa leggere cose meno lunghe di 700 pagine) e da tempo pensavamo di fare un salto lassù.

P.s. Sto attraversando un periodo curioso che chissà se è depressione o cosa, in cui faccio fatica a lavarmi, pranzo e ceno con le patatine, mi addormendo sempre più tardi, mi sveglio due minuti prima di accendere il pc. Ho anche fatto foto a un matrimonio nel vano tentativo di tenere in piedi una quarta cosa, partita con le migliori intenzioni ORAFACCIOSUBITOILSITOEMISPONSORIZZO.

Inutile dire che le foto sono rimaste in qualche cartella sperduta - la mia nuova Fujifilm x-t5 fa foto pesantissime -  e se sono riuscita a elaborarne qualcuna, indovinate? Ebbene sì, è solo per il rotto della cuffia.

Per fortuna c'è Cliff che in questo caos autogeneratosi da me stessa, medesima, tale, è un porto sicuro. Ma lui, e solo lui, non per il rotto della cuffia.

26 maggio 2024

I biscotti della discordia

 Dopo il fantomatico digiuno ho deciso di proseguire con la dieta chetogenica, più comunemente chiamata keto. Questo mi ha permesso di mangiare e sentirmi sazia senza prendere un grammo. Sono entrata in vestitini e gonne che non mettevo da secoli. 

L'unica rottura è evitare i carboidrati: #sapevatelo, sono ovunque. Si nascondono in tantissimi piatti e quando si va a mangiare fuori navigano in vari composti incogniti dai nomi più variegati, come salsa dello Chef, sughetto ai mirinzetti spaiati, contorno di pura fantasia primaverile. Lo zucchero, nemico numero uno, è in quasi tutte le salse (senza le quali i piatti cotti della cucina fusion dei finti ristoranti giapponesi non avrebbero più sapore). 

NON SI DOVREBBE FARE UNA KETO FAIDATE, i vari gruppi di fissati impongono.

Esattamente quello che ho fatto, seguendo il mio diktat Sii ribelle - ma solo sulle cose inutili, of course.

Dopo il digiuno e cominciata la keto, il buon Cliff deve aver notato il cambiamento e, conoscendo la mia sensibilità sulla forma fisica, non lo ha esplicitato. Ma ha inziato anche lui la sua guerra silenziosa contro i carboidrati (perdendo svariati kg).

Questo lungo preambolo era necessario per raccontare l'assurda serata di ieri in cui ho lasciato Cliff ai fornelli per fargli preparare una luganica alla piastra con contorno di friarielli mentre io mi dedicavo alla preparazione dei biscotti per fare un tiramisù.

Ricordate la guerra ai carboidrati?

Non potevo usare i classici savoiardi, ma nella keto sono permesse farina di mandorle e farina di cocco, nonché dolcificanti (con parsimonia, il famoso eritritolo che Cliff chiama sempre tritolo). E mentre lui armeggia ai fornelli, io accendo il forno e comincio a mescolare gli ingredienti.

Se c'è una cosa che non faccio mai, è pulire il forno. È un compito che lascio volentieri ad altri (ma vivendo da sola non serve continuare per spiegarvi le sue condizioni). Purtroppo il mio forno contiene vari caduti in battaglia di mozzarelle sciolte e precipitate sul fondo da pizze precotte, formaggi colati, impasti spalmati e ormai carbonizzati in una sorta di crosta nera e dura che non saprei neanche come levare. Ed è per questo che quando lo accendo lui mi ricorda di pulirlo sbuffando un fumo grigio e denso che mi costringe ad aprire la finestra e chiudere la porta che dà verso la camera da letto.

Avendo una sola aria succede a volte che mi capiti di aprire l'unica finestra opposta a quella che dà sulla strada, che però è sulle scale. Tutto abbastanza bene, finché con la coda dell'occhio non vedo un lampeggiante blu dalla finestra della cucina, sulla strada.

Vivo in una zona molto trafficata e le ambulanze sono non all'ordine del giorno, ma all'ordine del minuto. Così confesso di non aver prestato attenzione alla sirena che si era fermata poco prima appena sotto casa. Pensavo che qualcuno si fosse sentito male nel palazzo, così mi sono affacciata e ho visto questo:


Un secondo per fare due più due.

Forno con residui e fumo, molto fumo. Finestra aperta sulle scale. Fumo per le scale. Pompieri che arrivano con sirena accesa.

Il tempo di comprendere questo e sento bussare fortissimo alla porta, come se qualcuno stesse colpendo con il palmo della mano e non con le nocche.

Vi lascio il tempo di immaginare la scena, il rumore di gente che parlotta sulle scale, io in ciabatte e minigonna che intanto avevo fatto in tempo a chiudere la finestra che affaccia sulle scale e che vado ad aprire con aria innocente mentre un vigile del fuoco mi incalza "SIGNORA TUTTO BENE A CASA?".

Con aria innocente replico "Probabilmente siete accorsi per colpa mia, stavo facendo dei biscotti ma il forno fa un po' di fumo perché ci sono dei residui".

Entrano in due, confermano il fatto. Cominciano a spalancare lo spalancabile (in tutto questo Cliff chiuso in bagno perché non stava bene). Spostano il portascarpe per aprire la seconda anta del portone, mi chiedono le chiavi per aprire il balconcino per le scale. Mi chiedono i documenti e compilano un verbale "Mi farete una multa?"

"Certo le arriva poi il conto a casa." risponde quello.

Il secondo pompiere mi fa cenno di no e sorride, io continuo a chiedere scusa imbarazzatissima e non sapendo che fare chiedo se vogliono un caffè. Sono realmente mortificata ma la situazione è così assurda che ho uno strano sorriso stampato sul volto.

Il secondo intanto fa "Non vogliamo usare il sistema di ventilazione elettronica per areare?"

"No, lasciamo tutto aperto. Signora lasci aperto per almeno un'ora, poi però pulisca il forno che qui la gente non sapendo cosa era successo si è preoccupata" - sorride - "Vede cosa succede a fare i biscotti?".

La gente intanto ammassata per le scale chiede "Ma cosa è successo?".

Il pompiere esce: "Tutto a posto, la signorina ha bruciato la cena"

Chiacchiericcio "Oh che peccato". Continuo a scusarmi, se già potevo non stare simpatica per la mia tendenza a non socializzare e il mio aspetto da punkabbestia integrata in società, ora è definitiva la mia esclusione anche dai saluti imbarazzati in ascensore.

I pompieri vanno via e mi lasciano sola a riflettere sull'accaduto e sento per le scale residui di vociare:

"Ma chi è? Son giovani?"

"Sì son giovani (grazie), quella con i capelli viola, no blu, ha i capelli blu"

"Eh succede".

Fine della cena: io e Cliff (finalmente uscito dal bagno) che non riusciamo a smettere di ridere, con finestra e porta d'ingresso spalancate.

Oggi però mi sono sentita un po' una cacca pensando a quanto gli altri inquilini possano essersi preoccupati, così ho finalmente deciso di pulire il forno (nei prossimi giorni) acquistando un prodotto apposito:


Sempre che, prossimamente, abbia ancora una casa.

27 giugno 2023

La nostra maturità

 C'è una certa massima che spopola nell'ambito del self-help, ed è "Impara ad accettarti per quello che sei, solo così potrai essere felice". Almeno, più o meno la sintesi è questa.

Posso dirlo? Non sono d'accordo. La strada per l'autoaccettazione è un po' come quell'incubo delle scuole superiori. Non potrai andare bene in tutto. Il trucco sta lì, nel capire quale materia dovrai tenere sotto per dedicare le tue energie a cosa ti riesce meglio.

Se in inglese sei una pippa, perché sforzarti a ottenere un 5? Tieniti il 4 e dedicati a un'altra materia (sì lo so che i fedeli dell'impegno massimo in tutto stanno storcendo il naso, ma non si può patire sempre, impegnarsi sempre, sudare sempre. C'è anche il meritato riposo in questa merdosa società che corre).

L'autoaccettazione funziona alla stessa maniera. Ci saranno delle cose di te che adori, altre che potrai accettare e altre ancora che dovrai tenere sotto perché la fatica che fai per farti fare "meeeh" (sospiro di sopportazione) a quella cosa che di te proprio detesti, non vale la candela.

Proprio come per le altre persone: fan dell'amore incondizionato, vi rivelo un segreto: la cosa che detestate di quella persona non riuscirete ad accettarla. Sarà lì, oggi, domani, dopodomani, finché morte non vi separi a farvi dare le capocciate nel muro. Ma una volta trovato l'elemento disturbante (prendete con le pinze questa parola) potrete concentrarvi su ciò che vi piace davvero dell'altra persona. Tutto quello che vi farà dire "wow ma che figata!" (come la matita labbra "sfilata" che Neve Cosmetics mi ha regalato nell'ordine ricevuto oggi).

Quindi imparate ad amarvi, anche se non vi accettate totalmente. Lasciatela qualche materia sotto, e concentratevi sul resto.

E sarete comunque promossi.


P.S. facendo workout a casa mi sono fatta male alla gamba destra, ma questo è un altro post (pieno di inutili lamentele sul fallito matrimonio tra me e l'esercizio fisico). Ma ho perso 3 kg, quindi appena mi rimetto in forma, riprendo.

08 maggio 2023

La mia giornata ai confini della realtà

 Un paio di cari amici sono stati diagnosticati ADHD. Uno dei due, convintissimo lo sia anche io (mi offre ogni giorno punti di similitudine con lui, chiari ed evidenti sintomi della parte disattentiva del problema) mi ha consigliato di avviare un Bullet Journal. Nome in codice: Bujo.

Il Bujo è un semplicissimo quaderno puntato che diventa una agenda scritta a mano e personalizzata. Il premio? La soddisfazione personale di spuntare le cose fatte, programmate per quel giorno.

Così a inizio di questo mese sono partita. A razzo direi, tanto che il primo giorno non mi bastava lo spazio per scrivere le cose da fare (l'amico mi ha detto che è normale, all'inizio è così, poi ci si ridimensiona). Ogni volta che si completa qualche task si traccia una X alla sinistra. Uh, le sentite anche voi le piacevoli endorfine scatenate da questa semplice operazione? In caso non serva più farlo, si può cancellare con una linea sopra. Altrimenti se lo spostiamo in avanti nel tempo, ma sempre in questo mese, mettiamo un simbolo di maggiore: >.

Se invece siamo costretti a farlo molto più avanti, quindi nei mesi a venire, mettiamo il simbolo di minore: <. I simboli sono personalizzabili ed è bene tenere una legenda.

La differenza con Google Calendar è palese. Le cose scritte a penna lì restano. Le notifiche del calendario si possono posticipare fino a non farle apparire più.

Molte cose le trascrivo anche su Google Calendar, mi è comodo sapere al volo quando è stata una precedente visita senza sfogliare un'agenda cartacea. Ma nel Bujo scrivo tutto. Anche le cose più banali ("buttare l'umido" ad esempio).

Inutile dire che sono venute fuori delle cose lasciate indietro da mesi e che ho dovuto recuperare in pochissimo tempo.

Mi sono resa conto di avere delle visite urgenti da fare, ma non avere più l'esenzione del ticket per patologia, scaduta a ottobre del 2022. Senza l'esenzione non posso farmi dare le impegnative dal medico curante, senza le impegnative non posso prenotare le mie visite.

Il primo giorno di Bujo


Oggi

In più ho deciso di provare a inoltrare la domanda per l'invalidità civile (che una volta avevo) quindi il mese scorso mi ero fatta fare la richiesta dal medico ("Mi raccomando, ha 60 giorni di tempo per inoltrare la domanda sul portale" - senza accorgermene ne erano passati già 30).

Ho cercato di distribuire tutto alla meno peggio, e avendo la risonanza magnetica al seno il 12 maggio (prenotata telefonicamente e senza impegnativa, storia lunga, ma ormai sono della famiglia ospedaliera), la priorità doveva essere quella della richiesta dell'esenzione.

Fatti due calcoli il giorno migliore poteva essere oggi, dato che è lunedì e lavoro da casa. L'ASL apre alle 8 quindi con tanto culo, forse posso salvarmi con una sola ora di permesso, dato che comincio a lavorare alle 9.

Decido di recarmi all'ASL con il riepilogo del mio endocrinologo, se non ricordo male 5 anni prima era bastato quello, e di andare prestissimo, sgomitando tra vecchiarelli e gente che sta lì prestissimo per i prelievi.

In effetti la strategia funziona, sono la seconda, arrivo grulla con la mia documentazione e la fotocopia dei miei documenti (arrivata preparatissima) ma la solerte impiegata mi dice che la documentazione non va bene, ci vuole una richiesta del medico curante. Specifico che sui vari siti dell'ASL non era specificato, che avevo già l'esenzione ma che è scaduta, che ho delle visite urgenti da fare e che, come può vedere dalla documentazione ospedaliera firmata e timbrata dal mio endocrinologo, la mia è una situazione cronica, per la quale avrò sempre bisogno di visite.

Niente, se vuole posso lasciarle la documentazione ma se ho bisogno di qualcosa di urgente, devo tornare (o fare una delega a qualcuno) con la documentazione del medico curante.

Mi fa ridere, perché in effetti il mio medico curante non mi ha mai curata.

Guardo male l'impiegata, so che non è colpa sua, ma vorrei dare fuoco a ogni cosa. Così sento inizialmente mia sorella per cercare di capire se può tornare lei, intanto mando un whatsapp alla mia moderna dottoressa per chiedere se può produrmi in fretta un certificato.

Lei, invece, inoltra direttamente domanda per l'esenzione. Così, in 10 minuti, ho finalmente il foglio che mi serve, caricato sul portale sanità della regione Piemonte.

Ne approfitto e le chiedo, sempre via Whatsapp, se può inoltrarmi le impegnative per la risonanza, la visita dermatologica di controllo (dei nei, più che altro, per il tessuto irradiato dalla radioterapia), svariati esami del sangue.

Provvede celermente ma noto che sia nell'impegnativa della visita dermatologica che in una delle due impegnative per gli esami del sangue manca totalmente il codice della mia esenzione. Alla richiesta di spiegazione mi dice che non può inserire l'esenzione per una patologia vecchia di 26 anni. Può inserirmi l'esenzione solo per richieste di visite legate al carcinoma al seno.

WHAT?

L'80% delle mie visite mediche riguarda il Linfoma di Hodgkin che si, è vecchiarello, ma non si sa mai. Il carcinoma al seno è arrivato a causa delle cure per l'Hodgkin, mica pizze e fichi.

Non so che fare, la dottoressa non risponde più. Scrivo ai miei endocrinologi.

La risposta è celere anche da parte loro. Al telefono il mio endocrinologo è incazzato come una jena, se il mio medico non vuole inserire il codice dell'esenzione nell'impegnativa, dice, è un problema suo. È assodato che persone come me che hanno avuto un tumore in età pediatrica devono sottoporsi a un follow up che dura tutta la vita. Mi chiede, inoltre, i recapiti del mio medico, dell'ASL in cui mi sono recata, e promette di mandarmi a brevissimo le impegnative corrette. In più ha attaccato vari politici ma la mia attenzione era già altrove. 

Se non altro sono riuscita a rientrare al lavoro in tempo e il permesso non mi era più necessario. Così ho eseguito sulla intranet aziendale uno dei test sul GDPR da fare ma dopo aver risposto a 5 domande, il sistema mi slogga e al nuovo accesso non mi fa proseguire col test perché risulta "completato" o "non passato".

Devo contattare l'amministratore di sistema e fare resettare tutto (con il mero sospetto che questo "Sì sì, va bhe, il sistema ti ha sloggato, come no").

Per concludere questa piacevole giornata vado a correre (sì, ho cominciato a correre - ed è vera quella cazzata che dicono, che poi ti prende e non riesci a smettere, ma più che altro ho preso due taglie, e dato che odio lamentarmi senza cercare un minimo di porre rimedio, eccomi qui), mi fa male l'incavo del ginocchio, me ne batto la ciolla e continuo, torno a casa trascinando la gamba con un dolore che niente. Mi tocca fermarmi per un po'.

Giuro che di giornate così non me ne capitavano da secoli. Se non altro col Bujo sono riuscita a rimettere in ordine un po' la mia vita e a programmare cose che procrastinavo da così tanto che mi ero totalmente scordata (compreso un referto di una mammografia rimasto in ospedale da inizio ottobre).

Insomma, meglio tardi che mai.

Ah quasi dimenticavo. Nell'inviare la richiesta di invalidità, mi è apparsa la notifica nella pagina di invio documentazione. Peccato che uno dei campi presenti la voce ND, inserita direttamente dal sistema. Vado a vedere la legenda e "ND" è inserito per gli ultrasessantacinquenni. Giuro.

Ma allora pensionatemi, via.

13 dicembre 2022

Malevento

Ci vuole a volte un po' di coraggio e sconsideratezza nella vita.

Se no non potrei scrivervi da un appartamento condiviso, senza WiFi, in quel di Benevento dopo aver lasciato un lavoro che cominciavo seriamente a detestare e senza nulla di certo nel futuro.

Ma partiamo dall'inizio, o dalla fine. A volte coincidono.

Da inizio pandemia il mio lavoro che tutto sommato non odiavo particolarmente ma era una sorta di impegno che mi permetteva comunque una rendita sicura, ha cominciato lentamente a cambiare. I cambiamenti nelle cose a volte sono così piccoli e lenti che dopo qualche anno ti ci trovi a chiederti: "Ma com'è successo?".

In primis hanno attivato una linea telefonica specializzata, destinata a pochi di noi, che serviva a raccogliere chiamate da clienti che avevano bisogno di assistenza. In concomitanza, e sempre lentamente, è stato attivato un passo, tenere il passo era quindi divenuta cosa fondamentale ma anche la qualità non sarebbe dovuta mancare. Qualità e velocità: due aggettivi che male si accoppiano.

Poi il centralino è stato esteso a tutti, ma solo per i siti e-commerce. Poi una parte è stata destinata a un altro centralino che si occupava di un altro prodotto relativo ai social. Poi il passo è diventato sempre più stretto, con un semaforo che potevamo regolarmente guardare per poterci costantemente migliorare.

Poi tutti han cominciato a prendere entrambi i tipi di chiamate. Intanto, già da tempo, era stato inserito l'obbligo di chiamare per ogni tipologia di ticket.

E in men che non si dica, contro ogni previsione e sotto effetto di una potentissima gastrite, ero tornata a lavorare in un call center.

Inutile raccontarvi come non fossi né veloce né felice di essere rimessa al telefono, dopo una vita di svariati call center e con la contentezza di non lavorare in un settore in cui fosse previsto l'aggancio al filo del telefono. E inutile dirvi anche delle svariate chiamate ricevute dai vari livelli gerarchici sopra di me, per ricordarmi quanto fossi lenta e, quindi, inadeguata.

Mi sono chiesta se davvero avessi voglia di passare la mia vita al telefono, a cercare di essere veloce senza riuscirci e ad attendere la chiamata di lavata di capo da cui non se ne veniva fuori.

Con questo spirito d'animo mi sono detta basta.

E ho ripreso a studiare Java.

Come mai vi scrivo da questa stanzetta?

Semplice, a metà ottobre ho fatto un colloquio per un'azienda e l'ho passato. 10 settimane di formazione, mi forniscono l'appartamento in condivisione, e se tutto va bene andrò a lavorare presso uno dei loro clienti a Torino. 

Ieri ho festeggiato la prima settimana che ho passato con il desiderio di mollare tutto e di piangere un istante sì e l'altro pure. Oggi sono più tranquilla, continuo a non capire moltissimo ma ogni tanto, come piovuto dal cielo, ho un lampo di illuminazione e ho l'illusione che sia tutto più chiaro.

Ho scritto a un centro per chiedere quale sia l'iter per la diagnosi di autismo in età adulta (ma è un'altra storia).

Ho chiesto a Cliff di sposarmi. 

Cercherò, salvo serate immerse dallo studio, di raccontare tutto un po' meglio quando riesco. Sappiate solo che il mio trolley (preso in prestito perché non ne ho) era così pesante che mi han dovuta aiutare, e che tra zaino, violino, valigione ero più imbranata che mai.


Canzone del giorno: Amen Halestorm

04 maggio 2022

Fallisci ancora, fallisci meglio

Allora, è quello giusto? - Decisamente sì 


Mi ci è voluto un po' per capire di aver bisogno di una mano. Se a 40 anni la mia vita procede ancora lungo un'ellisse in un loop continuo, non sono di certo in grado, da sola, di dare uno stop, fermarmi, procedere in linea retta.

Così ho deciso di andare da un terapeuta. A volte quando mi siedo di fronte a lui (che sembra David Gnomo, gigante però) mi dico di non averne bisogno. Ci facciamo grosse risate (ma so che le battute sono un mio efficientissimo strumento di difesa).

È un investimento grosso per me, in questo momento, ogni tanto glielo chiedo Allora, come procede la villa con piscina?

Ride, rido.

Ma intanto qualcosa si è mosso. Penso che il solo andarci è stato l'inizio di un processo di cambiamento, e in parte lo devo a Cliff. Mi vedo tra qualche anno rovinare qualcosa di molto bello, e non voglio. Non voglio più.

Ci sono delle cose che vanno cancellate. I due anni e mezzo che precedono l'ingresso in casa Tasso non li ricordo quasi più. Probabilmente un altro meccanismo di difesa. La vergogna per aver permesso a un altro essere umano di trattarmi in un certo modo. Chissà.

Mi dice che le strategie che ho usato fino ad ora sono servite, del resto, mi dice, stiamo parlando nel mio studio e non in un carcere femminile.

Ma ora le mie strategie vanno riviste, non sono più idonee. Forse è per quello che non trovo vie di uscita?

E mi rendo conto di essere sempre insicura sul mio aspetto e su quello che sono, ma molto più obiettiva. Accetto me stessa, e accetto l'altro. Accetto anche la rabbia degli altri, purché non sia rivolta verso di me, divento più accudente, più empatica.

Anche con me stessa, l'oggetto principale della mia rabbia.

Se qualcuno dovesse chiedermi consiglio su come migliorare la sua vita, in primis direi di trovare un lavoro, se non c'è. Poi di fare un percorso di terapia anche breve. Perché no.

Oggi è passato Dado a prendere un caffè in pausa pranzo da lavoro. Mi ha portato un libro per il mio compleanno (un libro che sarà utilissimo per procedere con lo studio - parlerò anche di questo - e per tante altre cose). La sua dedica è una citazione:

Ho sempre tentato. Ho sempre fallito. Non discutere. Prova ancora. Fallisci ancora. Fallisci meglio.

È proprio come mi sento. Ma il fallire non mi abbatte, continuo imperterrita. Potrò non riuscire mai ma come dice David Gigante Gnomo, bisogna complimentarsi con se stessi non solo quando si riesce ma anche solo per il fatto di averci provato.

Non volevo fare il saggio di violino, ma parlandone con lui ho capito che l'unico modo per andare avanti in una cosa è porsi nuovi obiettivi sfidanti. E provarci, non per forza raggiungerli.

Così sì, farò il saggio di violino, continuerò a studiarlo anche l'anno prossimo, e oggi ho ordinato un violino nuovo.

Sensei Massimo dice che per un discreto violino il prezzo si sarebbe aggirato intorno ai 500 euro. Così ne ho trovato uno che sembrava fare al caso mio, ho bestemmiato perché non me lo potrei permettere, ma grazie alle rate di Paypal (odio pagare a rate, ma tant'è) tutto è possibile. Ovviamente prima di acquistarlo ho scritto al Sensei e solo una volta avuta la sua benedizione sono andata avanti con l'acquisto.

Il mio violino da studio lo porto da Cliff così posso studiare e suonare anche quando sono da lui.

Insomma, sono pronta a fallire di nuovo, a fallire meglio. Ma invece di preoccuparmi del fallimento e di sentirmi inutile a ogni errore, cerco di grattare via un po' di errori ogni volta. Lentamente.

Come una scultura che piano piano prende forma togliendo gli eccessi, idem farò con il resto delle cose. Scavo piano il marmo per scoprire ciò che nasconde. E se ci vorrà tempo, pazienza.

Non ho più fretta.



01 maggio 2022

Sembrava fosse un gatto in calore e invece era un violino

violino e spartito

 Quando le persone mi chiedono quale fosse stato il mio primo amore musicale rispondo quasi istantaneamente "il basso". Ma un bacio perugina mi allertò, un giorno, dicendomi che l'amore vero è quello che muore se non rivelato.

Ed ecco che tornata in gianduiottolandia scovo il mio violino, ben chiuso nella custodia, buttato sotto la scrivania, totalmente impolverato. Decido di portarlo a casa Tasso, la mia tana. Mal che vada posso appenderlo, penso.

La mia storia d'amore con questo strumento è, per l'appunto, di quelle mai dichiarate. Ha cominciato a piacermi da piccina, forse facevo le scuole medie, qualche volta ho osato chiederlo in regalo ma al suo posto è arrivata una chitarra classica, comunque apprezzatissima, finché non me lo regalarono nel Natale del lontano 2000. 

Qualche anno dopo ci provai, ma il corteggiamento durò poco. Come per alcuni libri, per i quali non sempre è il momento giusto di affrontarli, il violino tornò nella sua custodia e lì ci rimase fino a questo ottobre quando, dopo una preiscrizione piena di dubbi al Centro di formazione musicale di Torino, ho cominciato effettivamente a prendere le lezioni sotto lo sguardo attento del Maestro (che chiameremo Sensei Massimo).

Del resto una supplente di musica delle scuole medie me lo disse: "Continua a studiare musica, sei portata".

Essere portati però col violino serve a poco, a volte è più uno smadonnamento (anche dei vicini di casa) fatto di stridii senza alcun senso e di lezioni composte solo di "No, è stonato, ripeti", "No, ancora", "Calante, ricomincia".

Come nella migliore delle mie tradizioni dopo qualche mese stavo per mollare, non vedevo miglioramenti ma proprio nell'ottica di un cambiamento radicale della mia persona ho insistito. E insistere è servito.

Mi sono imposta almeno mezz'ora di suonata/stridìo al giorno, all'inizio le dita mi facevano malissimo, ma non ho smesso. 

Finito il turno di lavoro imbracciavo il violino e andavo avanti, anche se non avevo voglia, anche se ero stanca. Lo avevo preso come un secondo lavoro, il turno della suonata. Era l'unico modo in cui potessi affrontarla.

Il mio grosso problema con le cose è che sono relativamente brava quando comincio. Al corso di Tedesco l'insegnante mi chiese se lo avessi già studiato perché la mia pronuncia era molto buona. Al corso Java erano tutti stupiti da come mi destreggiassi con la programmazione strutturata (sieee, una volta arrivata alla programmazione a oggetti mi sono arenata irrimediabilmente).

Poi arriva il momento in cui serve impegnarsi per andare oltre, e a quel punto mi chiedo se il gioco vale la candela. Voglio davvero impegnarmi per fare questa cosa, oppure posso cominciare a impararne una nuova?

Inutile che ve lo racconti perché lo avrò scritto un milione di volte su questo blog, passo oltre e comincio una cosa nuova.

Per tutta una serie di cose, questa volta non solo non è successo, l'impegno costante mi ha dato nuova energia, tanto che ora suonare non è più un lavoro ma un piacere, la lezione non è più una forzatura ma attendo con ansia quel giorno della settimana. 

Suono da sei mesi, son pochi, pochissimi, eppure non vado male. Ovvio, se mi sentiste suonare  vi dovreste munire di tappi per le orecchie per proteggere i timpani ma ho le mie buonissime ragioni per dirvi e dirmi che poteva andare molto peggio (e se lo dico io che son bravina, c'è solo da fidarsi). Questo strumento del demonio sta diventando mio amico e non solo parteciperò al saggio (cosa che fino a un paio di mesi fa avrei evitato volentieri) ma proseguirò con la scuola l'anno prossimo e so già quale nuovo violino acquistare (a rate, il mio secondo acquisto a rate, viva la povertà e i debiti, miei prossimi amici).


Vi odio e poi vi amo e poi vi odio e poi vi amo...

Vorrei consigliare a tutti di imparare a suonare uno strumento, uno qualsiasi. Difficile, strano, stupido, qualsiasi cosa che permetta di capire cosa significhi amare e odiare nello stesso tempo, che spinga ad affrontare l'ansia e la paura di sbagliare e mettersi in gioco. 

Sono soddisfatta, per lui e per tante altre cose.
Cliff mi sopporta e supporta, ascolta pazientemente le mie steccate ed era con me alla prima lezione quando, uscendo saltellando, gli dissi quanto fossi entusiasta e come la lezione fosse andata bene. E quando uscivo affranta e frustrata mi ricordava quanto fossi brava e che in poco tempo avevo raggiunto ottimi risultati. Che l'impegno dava i suoi frutti. Che il violino è uno strumento difficile.

E ora mi tocca affrontare la mia balena bianca: il vibrato.


26 gennaio 2022

Il mio piccolo miracolo tardivo di Natale

(L'assistenza di) Trenitalia c'è. 

Sarò breve in questo piccolo post prima di tentare di riprendere in mano questo mio blog.

Sto preparando molte cose, alcune in bozza da secoli (almeno un anno), altre invece nuove.

Non che abbia questo gran pubblico, ma mi sarebbe spiaciuto perdere la mano, nella scrittura, sulla tastiera, davanti a questo schermo che c'è (ed è forse l'unica cosa fissa della mia vita) dal 2006 ad oggi.

Questa, in realtà, voleva essere una piccola recensione positiva per (rullo di tamburi) l'assistenza di Trenitalia. Eh sì, se ne dicono peste e corna, i treni sono sempre in ritardo ma che volete, questa volta hanno tirato fuori il jolly e non potevo far finta di niente.

Voglio dire, dopo tutte le imprecazioni di una vita passata sui treni in ritardo, e via di coincidenze perse, addio a ore di sonno, ci stava una nota positiva.

Long story short.

Prendo un treno il 30 dicembre sera per una imprecisata località del centro Italia che tornerà nei prossimi post. In genere prendo un treno notturno. Se posso, con la cuccetta (sì, esistono ancora, e a causa del Covid ora non si possono condividere, quindi nonostante i letti scomodi come panchine di cemento, posso estendere i miei confini spargendo ovunque le mie cose).

Ma ho scoperto questo treno che parte alle 19 e mi permette di arrivare a un orario che se avessi 20 anni meno potrei definire presto. Nel mio caso dirò soltanto che resto sveglia e non perdo la fermata per miracolo, ma va bene.

Ha un unico difetto: uno scarto di 15 minuti per il cambio treno a Roma Tiburtina.

Sì lo so. Pur essendo fedele allo spaghetto volante a volte spero nei miracoli, quelli che ti fanno gridare "Ah ma allora Dio c'è".

E invece.

Appena superate un paio di città mi rendo conto che il ritardo è irrecuperabile, il treno che avrei dovuto prendere a Roma è l'ultimo per la mia destinazione finale e già mi vedevo rubare spazio ai senzatetto romani, sdraiata sopra lo zaino e ricoperta di disinfettante.

Fermo il capotreno.

"Mi scusi, devo prendere il treno per **** a Roma Tiburtina e ormai l'ho perso, sarebbe l'ultimo treno e non so come arrivare a destinazione".

La mia soluzione è semplice. Fermate il treno, farà un po' di ritardo ma che sarà mai.

Questo pensavo, mentre il solerte capotreno in divisa mi avvertiva che sarebbe tornato a breve per farmi sapere.

Già lo immaginavo svanire come neve al sole, un ritorno improvviso di primavera e invece no, torna. Mi chiede i dati, il numero di telefono e il nome, si accerta che io abbia già il biglietto per il treno da Roma a ****, "Ne è sicura?", oddio certo ma ora mi fa venire il dubbio, mi faccia controllare.

"Allora faccia così, scenda a Roma Termini, la chiameranno e le diranno cosa fare"

Cioè in che senso cosa fare, e se non mi chiamano che faccio?

"No no la chiamano, c'è l'assistenza a Termini, le diranno come proseguire il viaggio"

Io, sola a Termini, abbracciata a uno zaino e ricoperta di disinfettante.

 - Ma no vengo a Roma a prenderti - 

 - Diamogli fiducia e vediamo che succede - 

 - Ma che scherzi? A Termini da sola? No no io vengo a Roma - 

In che senso 'come proseguire il viaggio'

"Eh le chiameranno un taxi"

Un taxi? Non mi fido molto di questa soluzione. Non potete chiedere di far aspettare l'altro treno?

"No signora, i treni non aspettano"

Mentre pensavo alla solennità di questa frase e a come starebbe bene come epigrafe sulla mia tomba dopo una notte passata a Termini, squilla il telefono.

"Buongiorno, parlo con *****? È l'assistenza Trenitalia di Termini, ho bisogno del codice prenotazione del biglietto da Roma a *****, quando arriva a Termini viene al nostro sportello e le chiamiamo il taxi"

Ma quindi non devo pagare niente?

"No no le diamo il voucher"

Quando arrivo a Termini ci metto un po' a trovare il gabbiotto ma eccolo, povere, due ragazze che avrebbero dovuto smettere di lavorare a mezzanotte e invece mi hanno dovuta aspettare. Mi chiamano il taxi, mi dicono dove aspettarlo (via Marsala, davanti al caffè Trombetta) e non faccio in tempo a uscire dalla stazione che bhe, eccolo, è già lì.

Mi piazzo seduta dietro (è deciso, anche se non parte io resto qui) e vedo che il tassista ha un po' di difficoltà a inserire il codice del voucher nel loro sistema. Chiama la centrale e dopo un'attesa infinita (e io già mi ero quasi pentita di non essermi fatta venire a prendere) gli dicono che non serve inserire il codice, che dovrà chiamarli a corsa terminata per comunicare l'importo e sarà rimborsato.

Si parte.

Il viaggio dura più di un'ora, per di più il tassista riceve anche la chiamata di un amico che chiede di andarlo a prendere (non ce lo chiediamo mai, ma com'è la vita del tassista? Quando è di turno gli amici lo chiamano? Si fan venire a prendere? Si sbronzano perché sanno che c'è chi li riporta a casa? Eh? Eh?) e più di una volta, con lievissimo accento romano, gli fa presente che non può, che sta portando una cliente fuori Roma, "ma ti aspetto" (immagino gli dica) - "Ma guarda che ci metto un sacco, fai prima a chiamare un altro taxi".

Quando arrivo guardo il tassametro, 150 euro.

Saluto il tassista e mi scuso, del resto a causa mia ha guidato un sacco e lui "MACCHÉ IO ME SO' FATTO LA GGIORNATA CO 'SSTA CORSA".

E mentre corro svelta verso il futuro, abbracciando quasi il nuovo anno, penso che sì, Dio magari non c'è ma l'assistenza di Trenitalia per una volta c'è

26 ottobre 2021

Chiedi alle rughe

I miei 40 anni sono passati quasi inosservati: c'è una ragione a tal proposito. Temevo di morire.

In parte è quasi un gioco, ne ho parlato altre volte qui, in parte un po' è stato così. Quando dico che è stato un gioco si è trattato proprio di una lettura di mano che mi feci da piccina: la mia linea della vita spezzata in quello strano modo, con una croce, non mi dava scampo secondo il libro. Sarei morta di una morte improvvisa a 40 anni. Anche se non ci ho mai creduto, per me i 40 anni sono diventati, da quel momento in poi, una sorta di deadline. Segnavano un limite per qualcosa.

E seppur non volendolo, così è stato.

A partire da circa sei mesi prima, una sorta di voragine scura ha cominciato a inghiottirmi. Sentivo una pesantezza addosso mai provata, tentacoli di un essere che mi trascinava via, dai quali non riuscivo a liberarmi.

In tutto questo, una pandemia che non accennava (e accenna) a finire e altri problemi che non sto qui a riportare. Il mondo si era fermato, e con una certa lucidità stavo cercando di fermarmi anche io. Il mio diario riporta piccoli appunti di questo progetto, diario che lasciavo accuratamente in giro sperando, non so cosa, forse che qualcuno mi facesse rinsavire. Poi d'improvviso, come destata da un brutto sogno, mi sono chiesa che cosa stessi facendo. E seppur ancora intrappolata tra le spire d'un mostro che continuava a portarmi giù con sé, seppur senza forze che mi permettessero di ribellarmi ho lasciato andare quel progetto disastroso con l'unico effetto di chiudermi ancora di più nel mio bozzolo dove nulla arriva, da dove nulla esce e che salvo rarissimi casi, mi impediva di esternare qualsiasi sensazione o emozione.

Del resto i miei 40 anni stavano arrivando, la mia deadline era vicina e io non avevo e non ho concluso nulla.

Ma tirando sempre fuori i nostri tarocchi, la carta della Morte non è una carta negativa, indica un cambiamento. Troppi mi stavano crollando addosso e pochi realizzando con le mie mani. In una lettura è importante controllare le carte che seguono quella del triste mietitore: belle carte indicano un cambiamento positivo. Ma le mie carte giacevano ancora coperte sul tavolo e io non volevo, né potevo, girarle.

Ed è così, cercando di girare quelle carte, che mi sono trovata, appena una settimana prima del mio compleanno, in una casa vuota ma tutta mia. Con un letto, un divano, un tavolo e quattro sedie.

Sola.

Poche volte ci si sofferma sulla tristezza di chi fugge, di quanto il cuore sia pesante, delle notti insonni e le lacrime di un progetto fallito, il senso di rabbia per non aver colto prima i segnali o di non averli voluti proprio vedere. Sentirsi addosso la responsabilità della tristezza di un altro essere umano a cui ci si sente intimamente legati. 

E una casa vuota.

E l'ennesimo fallimento.

Ci sono persone che si amano, si amano davvero, ma con le quali non riusciamo a comunicare. I loro pensieri vengono espressi nei modi peggiori e insieme si crea un connubio di potenza e devastazione che distrugge ogni cosa. Si entra in una risonanza negativa dove ci si fa del male.

Qualcuno mi disse, anni fa, eoni fa, che per produrre il minor numero di danni possibili, in quei casi, bisogna essere deserto. E così ho fatto.

Con tutte le difficoltà del caso di una persona che non nega mai una parola a nessuno, nemmeno allo sconosciuto che la ferma per la strada. 

Ci sono cose che però si rompono dentro, con microfratture che piano piano vanno a intaccare la struttura portante e succede che si cade. E possono accadere due cose. Si continua a scavare per seppellirsi o ci si rialza. Con grande fatica.

Mi sono rialzata, con grande fatica. Passando mesi di lacrime e lotte intestine in cui nemmeno io sapevo più chi fossi e cosa volessi e che ci facessi qui. Momenti in cui pensavo sarei rimasta sola per sempre e forse mi sarebbe anche andato bene, in cui pensavo che l'amore non esistesse e che anche la felicità (il famoso brambonodonte) fosse una chimera. 

In verità i miei 40, quel famoso compleanno festeggiato in una casa vuota con qualche amica più cara, non sono ancora passati. È come se quella lunghissima giornata stesse ancora scorrendo, verso però un futuro più luminoso, verso una notte senza tenebre, in attesa di un vero risveglio.

In verità i 40 anni non hanno decretato la mia morte. Sono viva, più viva.

Aspetto la fine di questo interminabile compleanno cominciato il 26 aprile del 2021 per poter assaporare questo nuovo anno. Consapevole di ciò che è stato, tenuto ciò che volevo tenere, buttato ciò che andava buttato.

Lo specchio mi restituisce (finalmente) l'età che ho.

19 giugno 2020

Il dolce Stilnox

(tempo di lettura: 4 minuti)

Ricevo una email da un medico.
In allegato, la ricetta per un farmaco.
C'è il nome nell'intestazione, ma non sono io. L'anno di nascita è diverso, la residenza, insomma una mia povera omonima sta aspettando la ricetta di questo farmaco ma non l'avrà mai.
In calce un avviso scritto in maiuscolo: QUESTO MESSAGGIO E' INTESO PER I SOLI INTERESSATI E CONTIENE INFORMAZIONI CONFIDENZIALI E SENSIBILI; SE RICEVUTO PER ERRORE, SI PREGA DI AVVISARE IMMEDIATAMENTE IL MITTENTE E CANCELLARE IL MESSAGGIO SENZA TRATTENERNE COPIA. GRAZIE.

Rispondo: Buongiorno, si tratta di un errore di omonimia. Il mio codice fiscale è diverso e non uso il farmaco della ricetta

Buona giornata


Qualche ora dopo mi viene inoltrata nuovamente la stessa ricetta.
Rispondo: Buonasera. Sono sempre la Colombo Carla sbagliata. Si faccia dare l'indirizzo email corretto, probabilmente nome e cognome sono invertiti o c'è qualche numero in fondo alla user

Buona giornata 


Passano due settimane tranquille, ricevuto due email dallo stesso medico con ricette per due farmaci diversi.
Lo chiamo. Non risponde.
Lo chiamo il giorno dopo. Risponde la segreteria telefonica in cui mi comunicano che sono chiusi e di chiamare negli orari indicati.
Chiamo negli orari indicati. Non risponde.

Mentre decido il da farsi per la mia omonima che sta aspettando questi farmaci importanti devo affrontare un nuovo piccolo trauma: il mio medico è cambiato.

Lo aggiungo ai piccoli microtraumi già affrontati e mal superati in passato, e racconto un breve sunto di questa piccola avventura.

Ho 16 anni e il mio tumore è tornato, che sfiga. Ma ho la fortuna di essere ancora seguita dall'ospedale pediatrico. Le pareti azzurre, il personale gentile, nessun vecchio che scatarra in giro. Nella sfiga sono relativamente fortunata.
Quando ho qualsiasi problema di qualsiasi tipo chiedo ai miei medici, mi trovano sempre uno specialista pronto a torturarmi per capire cosa c'è che non va.

Pochi mesi prima della mia ricaduta un mio caro amico si ammala di una roba simile alla mia, un po' più merdosa però. Lui finisce dritto all'ospedale dei vecchi.
Lo vado a trovare, pieno di vecchi, per l'appunto, pareti gialle (non si capisce se ingiallite o dipinte in quel modo), medici e infermieri che se hai culo becchi quello gentile.

A seguito del mio rientro in ospedale ce la meniamo.
"Nel mio ci sono le pareti azzurre e ci vengono i clown (bhe io i clown li odio, proprio per questa ragione ma se ne parlerà in un altro momento)"
"Nel mio ci sono specialisti affermati"
"Bhe io ho una stanza tutta mia e tv con videoregistratore"
"Dai, solo perché stanno ristrutturando oncologia e dato che sei una delle pazienti più grandi ti hanno spedito al reparto isolamento"
E via così.

Accadono cose che mi fanno vincere a tavolino.
Prima dell'intervento per errore, al mattino, gli danno la colazione. Non potendo fargli l'anestesia totale, decidono di procedere per la locale, anestetizzando strato dopo strato mentre procedono. Una brutta cicatrice, a quanto pare.
Vero, anche io sono stata aperta dove non dovevo, ma avevo già una cicatrice sotto, fatta 3 anni prima, per cui non lo considero un grave danno.

In più mentre gli mettono una flebo, il tubicino cade, e senza disinfettare il gommino dentro cui avrebbero inserito il farmaco con la siringa, procedono lo stesso.

Lo sfanculizzo "Vedi in che ospedale di merda sei finito?".
Ride.

Arrivano i 18 anni, cominciano a vedere che la mia tiroide da' di matto, mi programmano altre analisi, comincia la mia neverending story con l'Eutirox, mi stringono la mano e annunciano "È ora di passarti al nomeospedalepervecchi". È così ingiusto crescere.
Primo trauma.

L'endocrinologo da cui vengo spedita è guardato con sospetto per i primi 3 anni. In verità fa un lavoro figo, segue le persone che hanno avuto un tumore in età pediatrica per tutta la vita. Mi sento quasi importante, i miei dati potranno servire per risistemare terapie e tossicità ai piccoli pazienti del futuro, dimenticandomi che già in quegli anni le terapie sono migliorate, la famigerata radioterapia a mantellina è un brutto ricordo dell'era di Chernobyl e molti protocolli sono già cambiati.

Facendo un rapido calcolo ad oggi sono 21 anni che mi segue. Ci vediamo una volta l'anno e ormai mi sono abituata al suo modo di reagire agli eventi "Non vorrei esagerare e farla preoccupare, ma nemmeno che prendesse questa cosa sottogamba".

E penso che lui si sia abituato alle mie dimenticanze di visite, esami vari ("ma la visita dalla senologa non l'ha fatta? E la visita dermatologica? Gli esami del sangue me li invia la settimana prossima?"), ai miei ritardi, ai miei cambiamenti di città ("Dove vive ora?").

Da circa 3 anni mi visita costantemente insieme a un dottorino più giovane (di cui ho forse già parlato). Quando gli mando le email lo inserisce sempre in copia conoscenza e ben presto ha cominciato a rispondere direttamente il dottorino ai miei quesiti.

Ricevo una email qualche giorno fa dal dottorino. Il mio endocrinologo non è in copia. Cattivo segnale.

Sarà andato in pensione senza salutare i suoi pazienti?

È come una separazione non consensuale, dove uno prende armi e bagagli e se ne va e l'altro rimane pensando che 21 anni non sono pochi. Che ora dovrà affrontare questo viaggio merdoso con uno sconosciuto, chi lo dirà ai bambini?
Nessuno pensa mai ai bambini.

Canzone del giorno: Janis Joplin Piece Of My Heart


27 gennaio 2020

Il posto dietro

Dovresti stare tra le mie braccia.

Quando ero piccina, il risultato di uno stupido test sentenziò:
Che cazzo ci stai a fare dietro le quinte a vedere scorrere la tua vita? Sii il protagonista della tua vita. Cazzo.
Non sono certa dell'esattezza delle parole ma più o meno il significato era quello.
E mi rivedo oggi a 38 anni (ehi, oggi me ne hanno dati 30, 5 in più rispetto a qualche anno fa ma sono quasi 10 anni in meno, f*ck) pensando al risultato di quello stupido test.
Mi immagino dietro le quinte in attesa di entrare in scena e di recitare un copione che, finora, ho soltanto seguito, osservando stupide comparse dai capelli colorati susseguirsi al mio posto.
Nella mia docile indole mi sono adagiata, lasciando che caterpillar di vario spessore gravassero su di me, senza muovermi, immobile. Remissiva.

Sono in Umbria, una terra che non conosco, un clima che non conosco, con persone che ho appena conosciuto, adagiata sul sedile posteriore di un'auto mentre il conducente e il passeggero accanto a lui chiacchierano del più e del meno.
Mi piace il posto dietro, mi permette di non dover sottostare alla regola della conversazione forzata (non ho molto da dire, e quando parlo non dico in realtà nulla) e di guardare fuori dal finestrino. Adoro guardare fuori dal finestrino mentre viaggio.
Le persone sembrano imbarazzate dal silenzio e cercano di riempirlo in ogni modo.

Vuoi ascoltare della musica o preferisci il silenzio?
Il silenzio, grazie.

E io mi sento in imbarazzo a percepire l'imbarazzo, in un circolo vizioso che si interrompe con la chiacchiera di circostanza.
Dicono che domani farà bello.

Del resto, con gli anni ho imparato a stare bene anche in mezzo alle persone e a chiacchierare non solo del tempo. Si è trattato di sopravvivenza. Certo, piuttosto che fare l'ascensore con qualcun altro mi faccio 10 piani a piedi Ma non hai detto che odi l'attività fisica? - Sì ma sono a corto di endorfine, ciao.
Dal non proferire parola coi colleghi che nulla sapevano di me se non il mio nome al, persino, intrattenerli con giocose battute e bevute di tutto rispetto.
Lo sai chi ti saluta? Stocazzo.

Il sedile dietro offre spunti di riflessione degni di nota, ma anche visioni magnifiche.
Il buio, la notte, il gelo. Anche l'asfalto sbuffa dal freddo, e la terra crea quella nebbiolina bassa da film horror, lieve.

Penso al titolo per un horror ambientato in queste terre, come Un lupo mannaro scheggino e pascelupano a Buotano, o Le streghe di Norcia. O un fantasy intitolato Cronache di Narni.

I fari illuminano chilometri di niente fino a quando, in una curva, una macchia bianca attira la mia attenzione.
Ci siamo, penso, finalmente un fantasma. Potrò vivere di rendita, come ospite a inutili trasmissioni pomeridiane della mediasettitudine, dove grasse signore si fanno dare consigli ovvi Dovrebbe mangiare un po' meno, e ragazzine brufolose di 12 anni piangono l'amore perduto Non amerò mai più così.

E io: Ho visto un fantasma
Signora (ormai sono signora anche nella mia immaginazione), com'era fatto?
Mha, una macchia bianca, in una stradina tra le campagne umbre.
E le ha detto qualcosa?
Sì, lo sai chi ti saluta? Stocazzo.

Quando l'auto curva e la macchia bianca è posizionata proprio davanti ai miei occhi (dovrò dare quanti più dettagli possibili quando me lo chiederanno) mi accorgo che in realtà si tratta di una bestia immensa, bianca, con le corna. È una vacca, probabilmente chianina.

Le storie che si possono raccontare su una vacca, in strada, nel nulla, di notte, al gelo sono infinite.

Ma la prima, primissima cosa a cui ho pensato è stata Dioniso. Uno degli animali a lui sacro e in cui si era trasformato, era il toro.

E a guardare, in quell'attimo, quella macchia bianca tramutatasi in un toro, o vacca, ho pensato a una trasmutazione voluta.

Così, mio caro Dioniso, da quale baccanale sei fuggito per trovarti in quella strada buia e fredda?

Sai, ho visto una vacca bianca.
Ma dove?
Per strada
Ah sì? Non l'ho vista.
Eh, sì, eri sul sedile davanti.

14 luglio 2019

Le mie misure sbagliate

Non ho sonno.


Ho un corpo strano, io.
Se da sempre indosso il 37 di piede può capitare che da un giorno all'altro diverse scarpe con quel numero mi vadano strette. Ma che provandole in negozio la cosa non si palesi.
È dopo aver camminato tanto, su questi piedacci larghi, che il problema si manifesta. Che sia il tallone sfregato e rosso, o il mignolino accartocciato, o la pianta del piede devastata perché troppo incurvata (post del 21 settembre 2015 su Facebook La podologa ha sentenziato: addio converse, addio scarpe con il collo del piede basso (in effetti mi fanno malissimo, Virginia vuoi un po' di scarpe numero 37?), solo scarpe running (queste di decathlon che ho addosso vanno benissimo - mi dicono: "Ma sono orribili!"). Inoltre ho il piede cavo, molto cavo, TROPPO cavo e quindi, vista questa mia deformità, in futuro forse potrei soffrire di alluce valgo, dito a martello, morte improvvisa per piede orrendo. Una di queste o tutte e tre, non ricordo. E io che credevo di avere avuto problemi di salute più gravi! Scherzi a parte, bravissima la podologa ad aver sopportato i miei assurdi discorsi da stress da timidezza acuta. Ora almeno saprà come coltivare piante carnivore!).
E il reggiseno? Uguale.
Una prima non è sempre una prima, sapevatelo.
Cambia, e la mia è una prima molto piccola, diciamo una mezza. Passo dall'averle schiacciate a navigarci dentro.

Le misure sono un problema anche nei prodotti tecnologici, smartwatch che non vanno bene (grandi da uomo - che però a me piacciono) o non fanno cosa dico.
Telefoni da usare con due mani e poi, tornando al vestiario, il vestitino nuovo taglia 38 o 40? Nella 38 respiro a malapena, nella 40 mi sembra di navigarci.

E così vale anche per il resto. Nelle relazioni, dove non posso usare la matematica, ne esco sconfitta e perdente. Laddove non esiste una procedura standard non riesco a capire come comportarmi. Mai.
Nelle misure delle emozioni, della tristezza, del languore ma anche dell'eccitazione, della gioia, mi sembra sempre di non essere opportuna, all'altezza.
Riscopro che non c'è da piangere se voglio piangere e che non c'è da ridere nei momenti in cui voglio farlo. Che invitata a parlare non dovrei farlo, che invitata al silenzio dovrei esprimermi.

In questa confusione di scarpe strette, vestiti larghi, smartwatch che smettono di funzionare (e ti costringono a cercare riparo alla svelta, sbagliando), lacrime facili, c'è un disegno che mi sfugge.
Anche se tento velocemente di afferrarlo, svanisce come un brutto sogno al risveglio.

Intanto nel depilarmi le ascelle venerdì mi è parso di sentire un linfonodo. Ogni tanto lo controllavo, ci sei? Non ci sei? In questo weekend sembrava palesarsi e svanire e così ho fatto finta di non averlo sentito.
Tanto se ho ben capito, domani è già ieri e l'avvicinarsi a un buco nero determina un rallentamento del tempo che lo porta quasi a fermarsi.
E per uscire dal buco nero dovremmo viaggiare nel presente.
È in questa frase del cazzo che il mio tatuaggio Qui e Ora assume un senso.
Non è possibile viaggiare nel presente perché il tempo va in una unica direzione.
Ma se il tempo si ferma non restiamo sospesi in una sorta di infinito presente?

Il mio linfonodo non esiste, i pianti sono inutili, i reggiseni saranno sempre diversi e non avrò mai una taglia che si conformi al mio corpo bizzarro, magro sopra e normale sotto.

Le scarpe non saranno 37 quando dovranno esserlo, e quando cercherò un 38 saranno larghe e lunghe tipo scarpe da clown.

Il tempo non si ferma. Ogni evento ha un suo passato e un probabile futuro e niente sarà scordato.

Il mio cono di luce è questo. Io mi sento un punto (un evento) che sa bene il passato e può a malapena vedere la probabilità degli eventi futuri che gli si manifesta davanti.

08 luglio 2019

Il prezzo della felicità

Sai cosa mi impensierisce, cosa mi fa pensare?
Che non lo nomini mai.
E' come se temessi.
Di rompere qualcosa.
Questo mi impensierisce.

"Documenti prego"
Si guardarono come se fosse stato nell'aria. Lo percepisci quando c'è qualcosa che non va.
Lei sospirò piano, come a farsi coraggio. Durerà poco vedrai, non perderai il treno, siamo partiti con tanto anticipo.
La poliziotta che lo accompagnava aveva gli occhi chiari e un trucco semplice.
"Anche il libretto della macchina"
Glieli sporse.
"Arrivo subito"
La poliziotta invece restò lì.
"Può abbassare i finestrini dietro?"
Lei percepì il nervosismo di Lui, gli tremava la mano più del solito.
"Meno male siamo partiti prima"
"Già" disse Lui.

Il poliziotto tornò con i documenti in mano. "Seguitemi"
Lei lo guardò.
Sono controlli di routine, fatti randomicamente. Eppure ci si sente sempre come se si fosse in difetto.
"Portate cellulari e zaini".
Lei ridacchiò pensando a un'avventura peggiore in Australia, quando le lessero i diritti e temette di non tornare più a casa. Ma quella è un'altra storia.
"Poggiate gli zaini sul tavolo, sedetevi laggiù" indicando una panca bianca. Bianca come le pareti, bianca come il tavolo di quel minuscolo stanzino.
La poliziotta si infilò i guanti monouso blu.
"Facciamo un piccolo test stupefacenti" il poliziotto ruppe il silenzio.
"Fate uso di stupefacenti?"
"No" esclamò sicuro Lui. "Ma ha visto dove lavoro?"
"Sì"
Quando a Lei toccava scegliere cosa mangiare, o che meta scegliere in un viaggio, poteva metterci diversi minuti prima di intraprendere una strada. Ma quando si trattava di scegliere in fretta, sapeva benissimo cosa dire. Era come se i pensieri prendessero un circuito cerebrale più breve.
"No" disse lei dubbiosa.
In un nanosecondo si chiese se fosse stato meglio dire la verità o mentire e con quale grado di sicurezza affermarlo. Aveva già una scusa in caso di test positivo, probabilmente poco plausibile, ma forse loro non se ne sarebbero accorti.
"Mi dia le mani"
Lui porse le mani, lei fece altrettanto. Ma con quell'anticipo a dichiarar quasi la sua colpevolezza.
"Signora, lei dopo".
Aprì una confezione monouso con un tampone e lo passò sulle mani di Lui.
Lei cominciò a sudare.
Quando toccò a Lei pensò, ecco, ci siamo. Ci fermeranno per altri test, perderò il treno, mi dirà qualcosa che non voglio sentire, lo incasinerò col lavoro, non vorrà più parlarmi.
Mentre la poliziotta frugava tra la sua roba, Lei cominciò a sudare.
Il poliziotto uscì, come a controllare un test dubbio.
Lei sudava.
"Sono negativi".
La poliziotta cercò di sistemarle lo zaino "No faccio io, le cose sono in un ordine, io, bhe. Non ci entrano dopo".
Ultimo controllo alla macchina.
Non erano in molti a passare il varco spaziotempo che divideva questa dimensione con quell'altra, di cui non era dato sapere nulla.
Il treno interdimensionale sarebbe stata l'unica occasione di fuggire da quel mondo malato, in cui il parassitismo dell'uomo lo aveva reso quasi del tutto arido e sterile.

La poliziotta schiacciò un pulsante e aprì un cancello in cui un vortice nero li chiamava nell'oscurità totale.
Lui la baciò "Non posso venire con te ora, ti raggiungerò quanto prima. Devo ancora concludere qualcosa al lavoro, qualcosa di molto importante".
Se quel test si fosse rivelato positivo, se qualcosa fosse andato storto, sarebbero stati condannati entrambi a restare lì. Ripeto, non erano in molti a passare.

Lo guardò a lungo prima di essere risucchiata via dal vortice nero. E poi, com'era venuto, scomparve.

Lui lanciò uno sguardo di disapprovazione ai poliziotti, lo mascherò un po'. Non voleva avere grane. Mancava poco anche per lui e presto si sarebbero riuniti.

Scomparve nella notte, in quella strada che chissà dove lo avrebbe portato.

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"Ehi, questo è il test...?"
"Sì". La guardò.
"Ma è positivo"
"Lo so ma mi sembrava abbastanza disperata. Abbiamo tutti una ragione per avere paura, per essere disperati. Non me la sono sentita di procedere. Non ricapiterà, dall'altra parte"
Lo squadrò con i suoi giovani occhi azzurri. Dietro quella divisa informe si sentiva affascinante e piena di potere, ma così piccola di fronte a quella scelta. Lei avrebbe eseguito gli ordini.
"Dai, bruciamo i test. Tra 15 minuti ci sarà una nuova partenza, dobbiamo essere pronti".


In un luogo lontano, in una galassia lontanissima, pare ci sia una fanciulla dall'aspetto mansueto e lo sguardo languido che attende una nuova vita.
La scelta apparentemente insignificante di un omino in divisa azzurra ha permesso un nuovo scenario, un nuovo futuro.
Un nuovo tutto.

In un luogo molto vicino, qualcuno sta lavorando per rendere possibile tutto questo.
Non dimentichiamolo.


Canzone del giorno: Addicted To Chaos Megadeth

03 luglio 2019

Bella dentro

SEI VOLGARE.

Ci sono giorni in cui c'è poco lavoro e per chi ha maturato tanti permessi, come la sottoscritta, c'è la possibilità di uscire prima.
Da circa 8 giorni avevo male al mignolo, probabilmente avevo preso una botta, ma va a capire. Erano successe tante cose quella notte che non riesco a ricordarle bene tutte.
Inizialmente si era un po' gonfiato. Poi era venuto su il livido e in ogni caso ancora oggi se stringo la mano a pugno, la base del mignolo mi fa male.
Così decido di impiegare le mie ore libere avventurandomi al pronto soccorso.
Andare dal medico non aveva senso, mi avrebbe al massimo fatto un'impegnativa per una visita ortopedica per la quale avrei avuto appuntamento tra 5 mesi.
Mi avevano avvertita che per un codice bianco del genere avrei atteso ore.

Poi al Centro Traumatologico Ortopedico non ero mai stata e ho girato un bel po' di ospedali non solo in questa città. Perché non andare anche lì?

Mi dirigo all'accettazione.
Un signore dall'aria severa mi guarda da sopra i suoi occhiali da presbite.
Che cosa ha fatto?
Penso di aver preso una botta, ho male al mignolo (su, digli che sei una famosa bassista e quel mignolo ti serve per suonare così ti sentirai meno in colpa)
E come è successo?
Non ricordo, boh, avrò battuto.
E ai capelli cosa ha fatto?
(fingo di apprezzare la battuta)
Ho preso una botta anche lì.
Sì ma di vernice! (ride)
Eheh in effetti (desideri omicidi).

Lo so, ma bisogna farci l'abitudine. Tra i capelli e i tatuaggi ognuno si sente in diritto (forse anche in dovere) di dire la propria. Io ci ho fatto il callo.
A Cömo le più carine erano le vecchiette, a volte mi prendevano il viso tra le mani e mi dicevano "Come sei bella, sembri una fatina".
E poi ci sono le secchiate di vernice, ecco.

Tenga il numero, la chiameranno al Triage.

Do per scontato che mi avrebbero chiamata col numero.

Ma in 5 minuti sento gracchiare dal microfono il mio cognome.

Zoppicando cammino verso il Triage. Ci manca pure che mi chieda quando mi sono fatta male alla caviglia. In verità zoppico perché cerco di allargare delle scarpe che ho comprato nel 2015.
Nel 2015.
Faccio un salto indietro di qualche anno. Non ho mai avuto delle Converse. Mai.
Me le regalarono e mi chiesero il numero. Online dicevano che le Converse calzavano grandi e tutti avevano comprato un numero più piccolo rispetto al proprio numero di scarpa.
Mi dico di non esagerare, indosso il 37 e prendo quindi il 36 e mezzo.

Quella scarpa mi fece sanguinare i piedi, solo dopo tanto riuscii a indossarle comodamente.
Forse qualche mese dopo comprai un altro modello (è proprio vero che il dolore fisico si scorda, o forse le donne sono progettate per farlo. Un po' per dimenticare il dolore del parto, un po' per dimenticare il dolore delle scarpe nuove indossate). Non volevo cascare nello stesso errore. Come minimo il 37.
Erano così strette e dolorose che non riuscivo a indossarle nemmeno a casa.

La settimana scorsa decido di cercare un allargascarpe. Dato che sto cercando di non comprare più su Amazon mi affido a Google per capire, a Torino, dove posso trovarlo.
Dmail.
Cazzo, Dmail esiste ancora.
Purtroppo anche se ho tenuto l'allargascarpe più di 24 ore nelle scarpe vi assicuro che avrei voluto strapparmi la pelle dai piedi e una volta a casa ho dovuto fare un pediluvio freddo.

Torniamo insieme al CTO.
Al triage mi chiedono che è successo.
Ho male al mignolo. Devo aver preso una botta. Se chiudo la mano ho male qui.
Va bene, la chiameranno con questo numero.

Vi dirò, non ho aspettato tanto, non c'era molta gente e quei pochi erano quasi tutti in codice bianco.
Chiamano il mio numero e il numero dopo il mio ma per ovvie ragioni lui è più svelto di me, così mi tocca aspettare la visita dell'ortopedico.
Che biascica e pare ubriaco.
Ah sapevo che era lei C******, allora cosa è successo?
(la so a memoria ormai)
Devo aver preso una botta, mi fa male il mignolo se chiudo la mano. Il mignolo mi serve per suonare il basso (aggiungo una battuta all'ormai noiosa tiritera).
Chiuda a pugno la mano, muova il mignolo, pieghi il polso. Lei non ha niente, ha una mobilità eccezionale.
E allora perché mi fa ancora male dopo 8 giorni?
Facciamo una radiografia, non sono un veggente, magari c'è qualcosa che non vedo. Così ci DISPREOCCUPIAMO
Rifletto sull'ultimo termine pronunciato. Rifletto. Rifletto.
Voce del verbo dispreoccupare.
Suona male anche all'infinito.
Comincia a battere una serie di caratteri sulla tastiera e lo fa usando solo l'indice della mano destra. Ora mi spiego le lentezze nei vari ospedali.
Ma no lasci stare, se dice che non è niente non è niente.
No, no, DISPREOCCUPIAMOCI. Ma il mignolo non si usa nel basso.
Come no? Se salto dal primo al quarto tasto lo devo usare.
Ma sì ma nemmeno tanto.
Come no?
Allora sei proprio una musicista brava, eh!
Mentre mi dice queste parole non posso non immaginarlo con una benda sull'occhio, ebbro di Grog e magari una gamba di legno.
Senta visto che siamo qui, ho male al pollice destro da un po'.
Chiuda il pugno, muova il pollice, pieghi il polso. Sono un chirurgo della mano, non c'è niente. Magari un giorno le verrà un po' di rizoartrosi, ma metterà un tutore e andrà bene.
Segua la linea blu, faccia la radiografia e torni da me.

Seguo zoppicando la linea blu, al lavoro sono stata senza scarpe perché non riuscivo a tenerle addosso nemmeno da ferma, da seduta. Aggiungendo ovviamente una stramberia a tutto il mio corredo. Capelli blu, tatuaggi, al lavoro scalza...
Appena arrivo nel corridoio di attesa per le radiografie mi siedo come se avessi corso una maratona stringendo in mano il mio foglio scritto con cura dall'indice destro del Pirata ChirurgoDellaMano.

Nell'arco di una quindicina di minuti arriva un infermiere che mi chiede il foglio.
Lo guardo dubbiosa.
Non sono certa di volerglielo dare.
Ah se non me lo dà può aspettare qui tutto il giorno.
Sorride.
Con aria dubbiosa e scherzosa gli consegno il foglio e davvero in 10 minuti mi chiamano.

È incinta?
No.
Di solito a questo punto insistono. Chiedono più volte. Ma no, si limitano a darmi il camicione di piombo da mettere in grembo. Mi fanno sedere accanto all'apparecchio per le radiografie.
Poggi la mano.
zzzzzzz
Ora metta la mano di lato chiudendo tutte le dita e lasciando solo il mignolo
zzzzzzz
Ora faccia l'ok con le dita
zzzzzzz
Ora giri il palmo verso l'alto
zzzzzzz
Attenda fuori.

Il mio referto dice che non ho nulla. Insieme al referto un cd con le mie foto interne della mano. Da dentro ho una bellissima mano, da fuori un po' meno.
Torno dal Pirata che spero mi offra un goccio di Grog.
Ha visto? Non ha niente!
Io ho male
Ma sarà la botta, passerà. Sa che ho conosciuto il bassista Nome e Cognome? Sa chi è?
Sì, ne ho sentito parlare (mento spudoratamente, ora il dolore ai piedi ha la priorità mentre compare una grande Ara sulla spalla del Pirata).
Suona in NomeGruppo, lo conosce?
Qualcosa mi dice. (fammi andare a casa che devo tagliarmi via i piedi)
Stia bene eh! L'ho scritto anche nel referto che sta benissimo.

Medito se camminare sull'asfalto senza scarpe.

Zoppicando e accaldata arrivo alla fermata del bus. Zoppicando e accaldata mi siedo. Zoppicando e accaldata cammino fino alla fermata del secondo bus. Zoppicando e accaldata salgo sul bus, scendo, cammino verso casa, tolgo le scarpe prima di salire le scale bestemmiando a ogni passo. Zoppicando mi faccio il famoso pediluvio freddo. Avrò perso l'uso del mellino?
È acciaccato e rosso, eppure esiste.





02 luglio 2019

La svolta a sinistra

Sottotitolo:
Come perdere la pazienza cercando di non far perdere una signora.

Ho le cuffie, sto bene. Sono appena stata dal parrucchiere. I miei capelli erano un disastro, dovevo decolorare solo la radice ma la decolorazione ha fatto un po' quel cazzo che gli pareva, decidendo di colare anche sulle punte e lasciandomi un paglierino che non ha più nulla a che vedere con l'allegro crine.
I Rammstein mi tengono compagnia.

Arriva il 49.
Du hast.

Trovo finalmente posto.
Sonne.

Una signora chiede a un vecchietto dove si trova corso Novara. La signora sembra totalmente sperduta, siamo quasi in Barriera di Milano e quando lei afferma di non essere mai stata da queste parti, il vecchietto con fare da cowboy sentenzia Qui è il Bronx.
Chi ci abita afferma la comodità di non dover cercare spacciatori per nessun tipo di sostanze, a volte basta fermarsi sul portone di casa o se sei più fortunato, scendere un piano.

Mi tolgo le cuffie.
Ci troviamo di fronte a un impasse. La signora vuole andare in corso Novara, e vuole scendere alla prima fermata di corso Novara ma ciò che non sa, e che il cowboy non riesce a spiegarle, è che il 49 percorre Corso Novara - quindi scendere in corso Novara diventa un po' vago.
Signora dove deve andare?
In corso Novara.
Sì ho capito, ma il 49 è già su corso Novara.
Devo andare in via Candelo, mi hanno detto di scendere alla fermata Corso Novara.
Sì, signora ma corso Novara è lunga. Mi faccia controllare. 
(estraggo lo smartphone, imposto Google maps, mi oriento col cielo, sgozzo un gallo nero e faccio un cerchio di sale).
Allora signora, il bus va sempre dritto. Quando girerà a sinistra deve scendere. È la prima fermata dopo aver svoltato a sinistra.
Oh grazie grazie.

Il bus procede dritto.
Devo scendere?
No signora. Quando gira.
Le strade a Torino sono parallele e perpendicolari. Puoi raggiungere quasi ogni punto andando sempre dritto e girando a sinistra o a destra. Impossibile perdersi.
Devo scendere?
No signora, quando gira.

Il bus continua le sue fermate.
Devo scendere?
Signora glielo dico io quando scendere (già trema la palpebra). A un certo punto il bus si immetterà sul controviale a destra e poi girerà in via Bologna, e lì deve scendere.

Altre due fermate.

Scendo?
Mi sento un po' austroungarica e mi guardo attorno per capire se sbaglio qualcosa nel mio modello comunicativo. Dovrei sembrare una cazzo di punkabbestia ma evidentemente ho un aspetto rassicurante. Forse dovrei scollegare le mie eleganti cuffie bluetooth Marshall, scostare i capelli colorati freschi di taglio e piega dal parrucchiere [con trattamento idratante, please] e guardarla dall'alto dei miei costosissimi tatuaggi per farla a sentire a disagio.
No.
Sospiro.
No signora, guardi, ecco è la prossima.
Sorrido felice.
E quindi scendo?
Sì.
Sorrido.
Grazie eh? Grazie tante.

Mi rimetto le cuffie, posso tornare a isolarmi dal mondo.

Diamant.
Poesie.

03 giugno 2019

Storia di un tatuaggio

La formica di fuoco.


Ho un periodo pieno di novità. Dopo un 2018 tremendo sto cercando di godermi quello che sembra un anno tranquillo, tra un amore vecchio risbocciato (con strascichi ancora pieni di paure) e un lavoro nella stessa azienda con una piccola promozione in atto.

Vorrei sembrare più entusiasta, ma mi sento un po' come quando torni dalle vacanze (ah eh ecco, devo anche scrivere del recentissimo viaggio a San Francisco e dintorni) e tutti ti chiedono "ALLORA, com'è andata? Voglio sapere TUTTO!" e sono più entusiasti loro che tu, non perché non lo sia, semplicemente hai tenuto un diario dettagliato di viaggio perché non ricordi mai un cazzo, così sbofonchi qualcosa come "Uh sì bella, divertiti, visto un sacco di cose, che ora, bhe sì, cià, ti racconto in pausa", mentre cerchi un racconto che possa soddisfare la loro curiosità. Che tu sei stata bene, che è stato tutto bellissimo, ma sono cose così banali da dire.
Così mi sento per questo nuovo lavoro. "Ma quindi sei stata promossa?"
"Bhe sì, no, boh, faccio un'altra cosa, però dovrei lavorare full time quindi in teoria prenderò di più. Quindi sì, sono logicamente contenta".
E nella mia vita da entusiasta è riduttivo il commento qui sopra: non so cosa sia cambiato in me ma qualcosa è cambiato. È come se molte delle mie emozioni si fossero ridotte a calma piatta apparente, nascoste sotto uno strato di cemento ormai già indurito. Ma che escano fuori prepotentemente e in modo incontrollato in alcuni momenti in cui le emozioni non devono entrare.
Ambiti in cui non mi si scalfisce.
Ambiti in cui mi scalfisco da sola.
Cerco di suonare, cerco di leggere, cerco di scrivere e non riesco a fare nessuna di queste cose.
Non riesco a fotografare, non come prima.

Eppure quando ho scelto questo tatuaggio ho pensato alla ragazzina che ero e che ha affrontato tante cose brutte da sola, almeno a livello emotivo. Che non ha quasi mai pianto. Che se ne batteva la ciolla di stare a casa in isolamento con i globuli bianchi bassi e andava ai concerti. Che pattinava. Che nonostante fosse senza capelli non usciva mai di casa senza trucco, le sopracciglia disegnate con la matita nera, non una parrucca, non un berretto se faceva caldo.

Quella è Carla invicta, e io cosa sono diventata?

A volte i disegni che ti lasci imprimere sulla pelle da un abile tatuatore non sono altro che promemoria. Come in Memento cerchi dei segni grafici che possano rappresentarti per poter ridare il giusto peso alle cose. Per determinare delle priorità e lasciare che le emozioni possano incanalarsi nel verso giusto.

Così ho piagnucolato quando ho spanato una filettatura di una ottica aggiuntiva per la X100F e per una miriade di altre cose.
Ripenso a un'immagine che mi aveva mandato Dado e che avevo pubblicato.
Non devo dimenticarmi chi sono.



Io sono Carla invicta.

Canzone del giorno: Leatherface Can't Help Falling in Love

16 aprile 2019

A volte

A volte ci si sente immensamente soli.
La solitudine in verità è una buona compagna: riesce a fare luce su tantissimi puntini neri fino a mostrarne la trama. Come quando nell'oscurità d'improvviso gli occhi si abituano e improvvisamente si fa tutto più chiaro.
Non luminoso, solo più chiaro.
L'ultimo baluardo di speranza si è spento: il faro, mio unico faro che ancora aveva speranza non c'è più.
Ed è così che ci si sente soli.
Quando alla fine si è davvero costretti a fare i conti con se stessi e con gli altri, senza alcun appoggio esterno.

E poi parte l'ansia, tradotta con una morsa al cuore.
"Mi scusi, vorrei un cuore nuovo, il mio non so cosa sia successo, ma è rotto. E non penso sia più in garanzia. No che non l'ho fatto cadere, ci sto attenta, sa".
Ai polmoni manca il respiro.
"Ah ecco, quasi scordavo. Vorrei riparare i polmoni. Non respiro più bene. Sì, sembrano funzionanti ma le assicuro che... Non mi interessa cosa dicono i suoi strumenti io faccio fatica a... Senta, vada al diavolo, le dico che non funzionano bene!"
Il sonno è perduto.
"Gli oggetti smarriti? Ho perso il sonno. Non ricordo se l'ho lasciato sul bus, sul treno, o è a casa ma ho rovistato dappertutto e nulla. Dovrebbe essere morbido e azzurro. Sì, ha delle figure stampate sopra. Ah, ed è caldo, molto caldo. Senza quello, tempo qualche giorno e divento matta. Ci sono molto affezionata".
L'appetito non è più così importante.
"Sono sempre io, sì mi faccia sapere se ritrova il mio sonno, ma l'appetito lo ha trovato? Forse li ho persi insieme. Non saprei, è più probabile che l'appetito sia qui da qualche parte ma che io lo ignori."

Li chiamano "periodi".
Io, in questi giorni, vorrei una navicella spaziale supersonica che mi porti a 55 milioni di anni luce da qui, verso l'orizzonte degli eventi, in un luogo in cui nemmeno la luce può sfuggire, figurarsi un essere umano di 45 chili cagati.