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01 settembre 2018

Tornare.

Avrei voluto scrivere cose immensamente belle. Sono tornata il 21 agosto, ed ero così triste in viaggio. Pensavo a quanto mi era piaciuta questa piccola esperienza, a quanto avrei voluto fosse durata di più, a quanta inutile paura avessi prima di partire e a quanto, malgrado i piccoli imprevisti, sia riuscita a far quadrare tutto nonostante la mia scarsa conoscenza dell'inglese. E la mia timidezza nel parlarlo.

Però ero felice di averlo fatto, di avere lasciato alle spalle alcune cose ed essere partita. Poi, in Italia, dei messaggi che non aspettavo. Una ferita emotiva che si riapre piano piano fino a sanguinare di nuovo. La necessità di bloccare con tutti i mezzi la possibilità di ricevere altri contatti di quel tipo e, credeteci o meno, la riapertura della mia ferita fisica.

È come se il mio cuore si fosse spostato da sinistra a destra e ogni volta che sanguina il mio cuore emotivo, lo fa anche quello fisico.

La mia ferita fisica che aveva retto bene per tutto il mio viaggio si è riaperta.

Non credo nella psicosomatica, temo che possa trovare cause fittizie in situazioni dove è bene non cercare e invece lasciare che medicina, corpo e chimica creino la loro magica alchimia. Eppure.

Quando oggi ho rivisto il circolino rosso mi veniva da piangere. Anche se mi è stato consigliato di rimedicarlo, per me è un abisso: significa tornare indietro e non voglio. Così ci ho messo un cerottino di quelli marroni piccolini, mi sono rimessa il reggiseno imbottito dato che finalmente avevo abbandonato quello sportivo decathlon (che mi fasciava così stretta da lasciarmi i segni sulla pelle) e ho fatto finta di niente.
Se io dico che è guarita, è guarita. Non si torna indietro. Non dopo 6 mesi di medicazioni, lavaggi a pezzi, sconforto.

E se dicessi che ora sento anche dolore? Un dolore interno, come se la ferita, dentro, avesse qualcosa. Un dolore che ieri sera mi impediva di addormentarmi. Per non sentirlo mi pizzicavo la pancia ed è stato subito deja-vù. L'ho fatto anche appena uscita dalla sala operatoria. Prima che la morfina facesse il suo effetto sentivo dolore e per non pensarci mi pizzicavo forte la pancia.

E la gola bruciava. E pensavo, ora è tutto finito, qualche giorno ancora e avrò solo un'altra cicatrice da aggiungere alla mia collezione.

Invece.


13 agosto 2018

Lunedì 13

Questo è un giorno da segnare sul calendario. Dopo 6 mesi la mia ferita si è finalmente chiusa. Mi viene da piangere.

Avevo previsto che si sarebbe chiusa ad agosto, e ho indovinato. La pelle che la ricopre fa schifo, è coriacea, dura, ha un colore strano, sembra una crosta dal colore rosa scuro. Ma non c'è più la carne viva.

Piango e sono felice, perché prevedevo che fosse collegata a quell'altra situazione da chiudere, a quella ferita interiore che mi impediva qualsiasi guarigione, qualsiasi progresso.

Quando l'ho vista, quando ho tolto la vecchia medicazione per sostituirla, non ci potevo credere. Ho guardato più e più volte, sicuramente ora sanguina di nuovo, sicuramente c'è 1 mm di carne viva da qualche parte e io non riesco a vederla, sono andata alla finestra per guardare meglio con quel poco di luce rimasta e invece nessuna ombra di carne viva, di sangue, di niente.

Non credo (troppo) nella psicosomatica. Si rischia di trovare delle cause che non esistono a problemi che hanno in verità altre origini, ma proprio nel post prima lo scrivevo. Lo sentivo.

In un mese la mia ferita è migliorata a vista d'occhio e non posso che essere più felice di così. Domani parto, viaggio in solitaria, destinazione: Polacchia.

Ovviamente scriverò ogni cosa, magari al ritorno. Voglio godermi questo istante magico, questo viaggio strano, deciso all'ultimo, risistemato in pochi giorni.

Spero di vedere qualche bisonte nella foresta di Bialowieza, conto di perdermi con i vari trasporti perché girerò un po' ma in questo istante non mi preoccupa più nulla.

21 giugno 2018

Il mio specchio

C'è stato un periodo, quando ero più piccolina, in cui avevo paura degli specchi. Mi lavavo la faccia molto velocemente e cercavo sempre di alzare lo sguardo su di essi in modo lento. Temevo di vedere qualcosa che potesse non piacermi.
C'erano tante altre paure, ma io non le esprimevo mai.
Erano tutte irrazionali, ma non sapevo ai tempi che la maggior parte delle paure lo sono.
Così sentivo dei rumori strani e restavo immobile per capire se potesse essere stata solo una sensazione.
La TV a volte si accendeva da sola e io lentamente mi avvicinavo alla camera da letto per capire cosa fosse successo. Una volta le ante dell'armadio del posto dove dormivo si sono chiuse all'improvviso da sole.
Non scappavo mai, non manifestavo mai niente. Cercavo di razionalizzare.

La paura degli specchi è durata un po': la paura che mi restituissero una visione non gradita.

Mi lavo accuratamente le mani.

Ogni tanto con la coda dell'occhio vedo qualcosa. Ma so bene che non è nulla. Potrebbe anche solo essere qualche insetto, ecco perché seguo quella visione con lo sguardo. Magari è un Geotrupidae. O una semplice formica.

Tolgo il vecchio cerotto. Con esso viene via la garza con fitostimoline, Piena di essudato secco, ma anche vivo. È giallo, lo annuso. Non puzza, non è pus, non è infezione.
La ferita è un occhio rosso che mi osserva.

Quando ero piccola mia madre mi ha insegnato a usare l'olfatto per capire se un cibo era andato a male. 

"Se la ferita si infetta sappi che la prima cosa che sentirai è l'odore, prima ancora della febbre".

La camera da letto dei miei in particolare non era un luogo molto amato. Ci entravo di corsa, facevo ciò che dovevo fare e uscivo di corsa.
C'era un grosso specchio davanti al letto che era in realtà l'anta di un mobiletto. Dentro c'erano delle cose.

Fotografo tutto. Non mi sembra migliorata anche se faccio tutto quello che mi viene chiesto.
Mi lavo di nuovo le mani, un po' di essudato ha sporcato la pelle attorno alla ferita. Apro la soluzione fisiologica, recupero qualche garza e la bagno con la fisiologica. Pulisco delicatamente solo la pelle attorno. Non posso lasciare macchie di essudato attorno alla ferita.
Sanguina.
Di nuovo.

Mi guardo allo specchio.
Mi guardo allo specchio.

La ferita è tonda, rossastra. Sembra un'isola piena di materiale ferroso circondata da un mare rosato.
Un solco attraversa il seno da quasi il centro dello sterno fino al capezzolo, come un'avvallamento che si evidenzia ogni qualvolta muovo il braccio.
Un orribile avvallamento.

Col cerotto non si vede.

Decido di provare con la connettivina invece che con le fitostimoline. Non la amo particolarmente ma non so cosa fare. Ogni volta che tolgo la connettivina mi lascia un segno delle fibre della garza. Un reticolato, impresso nella mia isola rossa.
Ne taglio un pezzetto, la piego a metà e la posiziono sulla ferita.
Prendo il cerottone. Ne taglio via un angolino per lasciare respirare il capezzolo. Lo posiziono con cura e con delicatezza lo faccio aderire bene alla pelle. E quasi subito il cerotto si colora di giallino. Sta venendo su qualcosa.

Sono passati quasi 4 mesi.

Mando le foto a RagnoB, le ritaglio accuratamente perché non si veda il capezzolo. Le mando anche la foto dell'essudato. Le dico di non badare al rosso, la fotocamera di questo telefono (che ha fatto anche fatica a mettere a fuoco) satura molto i colori. È meno rossa anche se alla fine ha sanguinato.

"Ho scritto per ulteriore consulto ad alcuni professionisti tra cui l'infermiera con cui hai parlato... Se riesce prova a procurarsi una medicazione avanzata (acquacel AG). Se non ci sono intoppi ci vediamo martedì ed io settimana prossima te la porto. Proviamo a fare medicazione avanzata per un po' e vediamo come va, eventualmente si prova altro"

Il mio corpo si ribella, non vuole guarire.

Lo specchio si ribella e mi restituisce un'immagine di me che non voglio vedere. Il mio occhio rosso, il mio avvallamento, non paesaggi fantastici ma il mio corpo.
Sono arrabbiata.

Una volta ho visto qualcosa nello spazio che divideva il mio lettino dal letto di mia sorella. Probabilmente era una piccola allucinazione, forse dovuta a una fase di sonno leggero.
Era un volto con gli occhiali.

Chiusi gli occhi e quando li riaprii non c'era più niente.
Non c'è spazio per la paura.
Ma ne ho molto, moltissimo, per la rabbia.

17 aprile 2018

La motivazione

Non mi bastava essere incasinata con la salute: ho dovuto cercarmi ben due lavori.
Sono tornata in un'azienda presso cui lavoravo (pensavo erroneamente nel 2006 e invece) nel 2007-2008. Mi trovavo bene ma la mole di lavoro era tanta e appena ho trovato altro mi ci sono fiondata.
Ma a volte ritornano.

Per questo lavoro ho fatto un corso di formazione full-time di 5 giorni, quindi per una settimana ho abbandonato l'altro lavoro.

Da ieri al mattino faccio il lavoro nuovo nella vecchia azienda, e al pomeriggio il lavoro che non ho ancora capito quanto mi pagheranno.

Nelle mie allegre scorribande in ospedale ho parlato con M l'infermiere con cui ci siamo scambiati i numeri e che mi ha invitata a uscire, senza impegno (e gli credevo, stranamente, fino a quando non mi ha detto che se avessimo fatto troppo tardi e abitando io dall'altra parte della città potevo restare a dormire da lui e lui avrebbe dormito sul tappeto, o sarebbe rimasto a dormire lui sul mio tappeto e quindi mi sono chiusa a riccio) al quale ho chiesto "Ma che fine ha fatto il mio istologico?".
Alla fine mi sono operata il 26 febbraio. Lunedì era il 9 aprile, mi sembrava che fosse passato abbondantemente il tempo massimo per saperne qualcosa. Così mi dà un altro numero da chiamare. Era lunedì mattina prestissimo. Per non perdere nemmeno un minuto di corso, due volte alla settimana sono andata in ospedale alle 8 del mattino. Quindi uscita da casa alle 6.30 del mattino.

Una volta al corso ho chiamato il numero e mi hanno comunicato che non c'era ancora nulla ma che avrebbero cercato e mi avrebbero chiamata. E il giorno dopo eccoli (che, si stavano perdendo il mio referto?).

Mi hanno chiesto di passare da loro giovedì per il ritiro dell'istologico e la visita ma non potevo perdere nemmeno un'ora al corso e così ho chiesto se avevano spazio in un altro momento. E domani è il giorno X. Pare che mi veda uno dei capocci del reparto.

Non saprei dire se sono spaventata. In ogni caso sarò arrabbiata. Se non è niente dovrò accettare il fatto di aver subito un intervento al seno (con una ferita ancora aperta e tutte le conseguenze del caso) per nulla. Se è qualcosa dovrò accettare di avere (ancora qualcosa). In ogni caso al momento io la vedo come una sconfitta. Minore nel primo caso, certo. Ma.

Ho tante piccole novità belle o brutte che siano. Le mie piccole ferite al cuore non si stanno riemarginando.
Una persona ieri mi ha ridato motivazione a scrivere, ma sarò sincera. In verità sono un paio.
Ed è strano che siano capitate la stessa sera: evidentemente avevo bisogno di più motivazione possibile, anche se il solo commento al mio precedente post è stato sufficiente a farmi capire che ci sono cose che non ha senso mollare.

Mi sono un po' commossa perché pensavo non passasse più nessuno da queste parti. Una volta pullulava di persone che presto o tardi sono spariti. L'avvento dei social, la mia non continuità, gli argomenti sempre più cupi, o magari nulla di tutto questo.

Ho dei nuovi esserini a tenermi compagnia. Due ragnetti salterini (Phidippus regius) e una lumaca gigante africana che però è di mia mamma (l'ha chiamata Debra). Ah e una quantità di Drosophila da dare da mangiare a tutti i ragnetti salterini del pianeta. Tutti presi a EntoModena questo weekend.

Non contenta e dato che ho due lavori (oggi ho controllato il conto in banca, è stato un Ohhhh che bello è arrivata parte dello stipendio di un lavoro. Ohhh ma è arrivata anche la carta di credito e sono sotto di 33 euro) mi sono presa un obiettivo macro vintage (in realtà l'obiettivo macro: un kiron 105 mm 2.8) al comodo prezzo di 239 euro etipassalapaura ma ne avevo bisogno. Voglio fare delle foto ai miei ragnetti ed è ripartita la frustrazione del "ora che lavoro e non ho più tempo almeno spendo i soldi".

Ah e visto che oltre ai soldi mi avanzava del tempo (sono ironica ovviamente) mi sono iscritta a un corso online sul Web Design. Non si sa mai nella vita, tanto ho capito che con la fotografia ci posso fare poco, ho un carattere di merda. Intanto cerco di rientrare nella grafica dalla porta di servizio.

In più, l'azienda vecchia che mi ha dato il nuovo lavoro chiude ben tre settimane ad agosto. È ripartito il trip del viaggio in solitaria ed ero partita con l'idea del Laos, ma è un viaggio che non sento mio. Non so spiegare, ma è una cosa molto chiara in me. Il Madagascar l'ho cercato, l'ho voluto, l'ho atteso per 10 anni. L'ho studiato piano. Era partito con l'idea dei camaleonti che volevo vedere in natura. Poi è diventata curiosità verso il luogo, le persone. Verso la natura, verso i problemi.
Non so niente del Laos, se non qualche spezzone del libro di Terzani Un indovino mi disse. Bello tralaltro, eh?

Quindi ci penso ancora un attimo anche se agosto è dopodomani, praticamente. Vorrei tornare in Madagascar anche se so che ci sono tanti altri posti da vedere. Però il Madagascar è stato l'unico posto da cui non volevo ripartire per tornare a casa. È l'unico posto che mi fa venire i lucciconi se ci penso, più dell'Australia, con i suoi canguri e i wallaby e gli aborigeni che fanno la spesa scalzi al supermercato e l'odore di eucalipto ovunque.
Madagascar non è Africa ma è Africa. È una costola piena di tribù diverse, animali diversi, piante diverse. Madagascar è camaleonti e insetti stecco, Baobab e lemuri.

Io non sono certa di voler andare in altro posto se non quello, e girare nuove zone, magari cercando l'Aye-aye nell'unica zona dove può ancora essere avvistato. E sentirmi un po' esploratrice come nei miei sogni di bambina, quando guardavo i documentari quelli di una volta fatti bene e sognavo di fare quello: viaggiare e stare con i miei animali. Che i miei amici immaginari sono sempre stati animali, mai umani. E spiegare alle persone come è fatto quel fantastico mondo così lontano e così vicino. E l'africa dalla vegetazione gialla e secca, e il deserto di sabbia, e i serpenti squamati, e i koala dolci.


Canzone dei giorni: Amen Dunes Satudarah

   

Questa canzone (e tutto l'album) mi accompagna nelle mie copiose letture di questo periodo. Leggo sul bus, leggo mentre corro da una parte all'altra della città, leggo a casa a letto, a volte leggo camminando per la strada, rischiando la vita. Leggo in pausa, fosse anche per 10 minuti. Non ho più tempo per la vita sociale, che già stava diventando (per mia scelta, eh?) pressoché inesistente, e nemmeno per film e serie. Come farò quando riprenderò a suonare? Mi porterò l'ukulele per strada? Magari sì, e ci guadagno anche qualche soldo.

24 marzo 2018

Dissociazione cognitiva

La mia ferita non poteva aspettare e sabato 17 era nuovamente piena di siero. Ma sabato il reparto è chiuso.
Avevo già chiamato il giorno prima per qualche gocciolina sospetta ma mi avevano detto di non preoccuparmi, qualche gocciolina è normale.

Sabato non sapevo cosa fare, ma non volevo andare al pronto soccorso, temevo facessero peggio. Così sono andata in farmacia a comprare dei cerottoni per rimedicarmi, ovvero togliere il cerottone garza sopra, lasciando gli sterilstrip sotto, e rimettere un altro cerottone.
Lunedì sono tornata, stessa scena della volta scorsa, l'infermiera chiama una dottoressa perché una volta spacchettata, nella zona in cui prima c'era una crosta abbastanza spessa c'è una sorta di liquido giallo verdastro che a una prima occhiata sembra pus.
La dottoressa dice di non preoccuparmi, a volte succede, è fibrina e viene prodotta per riparare i tessuti ma impedisce la cicatrizzazione, bisogna toglierla.
Prende un bisturi, una pinza e armeggia. Sento tirare e non troppo dolore ma quando la leva rimane un buco. Profondo.

Da sdraiata non riesco a vederne la profondità ma i margini non sono belli. Sarà un ovale lungo due cm e largo un cm. Mi richiude con gli sterilstrip e mi impacchetta esattamente come il dopo intervento.
Chiedo della cicatrice, se rimarrà brutta "Ma no, usiamo apposta gli sterilstrip che chiudono bene i margini della ferita, purtroppo a volte accade. Ha mai avuto problemi con i punti?"
No mai avuti, e sono stata tagliata tante volte.

Dovrò tornare giovedì 22 come stabilito.

Torno giovedì che il pacchettone fatto dalla dottoressa era quasi tutto scollato, ma l'ho riparato alla meno peggio con un rotolo di cerotto trovato in casa e col seno compresso da un reggiseno sportivo. Così mi hanno consigliato.

Le solite domande: chi l'ha operata, quando, ecc ecc

Faccio notare che è rimasto un punto ed è strano, sono punti riassorbibili, così decide di toglierlo, però nel momento in cui lo tira via, parte del filo che riconduce a quel punto è interno e tirando viene in su un pezzo di carne del "dentro" la tetta. Meno male solo sdraiata. "Non guardi!".

Chiama un medico esclamando "so già cosa fare!".

Il buco è sempre lì. Se la ferita fosse a sinistra potrei dire che è il mio cuore che sta sanguinando e potrebbe non essere sbagliata come affermazione, ma è a destra. Mai una gioia.

Arriva il medico, lei dice "Con un'altra signora che aveva la stessa cosa ho usato le fitostimoline, ci vuole un mesetto ma si sistema"

"Non mi mettete gli sterilstrip?"

"No signora" dice il medico "la ferita deve guarire in profondità. Se lo chiudiamo ora, si riparano i margini ma sotto resta aperta. Deve venire in su".

Che cosa intenda con quel Deve venire in su è tutto un programma. Ma ho già le lacrime agli occhi. Senza che possa dire niente incalza "Purtroppo rimarrà una brutta cicatrice".

"Che fortuna eh?"

"Io preferisco essere chiaro con le pazienti, purtroppo sarà evidente"

Ormai ho gli occhi pieni di lacrime ma cerco di trattenermi come meglio posso. L'infermiera mi dice che molto dipende dal trattamento che farò dopo.

Mi dice che per questo tipo di medicazione dovrò essere in ospedale due mattine a settimana quindi mi ridà appuntamento per lunedì e giovedì.
Esco e resto seduta ancora un po' in sala d'attesa, che poi non è una sala d'attesa, è solo il corridoio davanti alla porta, a testa bassa.

Esco dal reparto a testa bassa, prendo il bus e ho gli occhi ancora gonfi di lacrime che però tengo, come un segreto che però faccio fatica a non rivelare.

Arrivo a casa di G e piango, piango di un pianto che non mi capitava da quando ero piccola. Piango e non riesco a smettere. Mi prepara un the e due muffins e guardiamo "Hot shots 2".
È una riparazione momentanea ma funziona, riesco ad andare al lavoro nel pomeriggio.

E lo so cosa pensate, è solo estetica. Ma non è una questione di estetica, è una questione di integrità fisica. Non riesco a fare in tempo ad accettare un piccolo problema che se ne presenta un altro. Avete presente quando in un film un uomo è a terra perché gli hanno appena sparato? Ecco, a fatica cerca di rialzarsi ma il cattivone gli spara di nuovo. Cade nuovamente ma non si perde d'animo, a fatica cerca di sollevarsi sulle braccia per strisciare, ma un altro colpo lo stende di nuovo.
Mi sento come sotto una raffica di piccoli proiettili (e deve ancora arrivare l'istologico).

Oggi vado a Genova, è una piccola gita di un giorno ma ho bisogno di staccare dalla mia stanza. Ho degli amici dolcissimi che vorrebbero starmi molto vicino ma per il carattere di merda che ho, questa vicinanza ha il risultato opposto di farmi sentire soffocata.

Così mi isolo ma consapevolmente, sapendo che ben presto anche loro si stancheranno di questo mio atteggiamento. La verità è che di solito sono più brava con queste cose, ma sono anche un po' stanca.
E in tutto questo mi sono innamorata proprio di una persona di cui non avrei dovuto.

15 marzo 2018

Il mio siero (della rottura di cazzo)

Qualche giorno fa al mattino, al centro dello sterno, ho visto delle goccioline di non so cosa.
Su internet pare che a volte si formi del siero sotto la ferita ed è assolutamente normale: quello che non mi è parso normale è stato svegliarsi ieri mattina con la garza completamente impregnata di questo siero.
Così ho chiamato l'ospedale e mi hanno detto di andare.

La ferita tralaltro mi pareva ancora aperta, un po' di crosta stava andando via ma sotto sembrava slabbrato, non so come spiegarvi. In ospedale hanno massaggiato fino a fare uscire tutto il siero e in effetti alcune aree che mi parevano più gonfie si sono sgonfiate. I margini della ferita non erano bene adesi, negli strati sottostanti e questo ha creato una sacca di siero. L'apertura poi della ferita creerà una cicatrice più visibile, ha detto l'infermiera.

Dopo avere spurgato tutto ha messo i cerottini sterilstrip per fare aderire meglio i bordi del taglio "Salviamola un po' almeno" e ha messo un cerottone "Non toccare niente e torna giovedì 22 a farti medicare". Mi ha anche consigliato di andare dal medico a farmi prescrivere un antibiotico ad ampio spettro per evitare infezioni.

9 anni fa nulla di tutto questo. In più ieri è morto Stephen Hawking.
In più mi sto reinfilando nel giro dei lavori di merda.

Ne avete altre di cose in serbo per me, per questo 2018? No perché eh? Mi sono già rotta le balle e siamo solo a marzo.


02 marzo 2018

Prima medicazione

Caro Blog,
oggi sono andata al Sant'Anna a fare la mia medicazione. Seconda e ultima a quanto pare. I punti sono riassorbibili e non devo tornare a farmeli togliere. Il chirurgo mi ha detto che posso lavarmi, che posso già massaggiare la zona con una crema ma anche con dell'olio d'oliva: come tradizione vuole ho ricomprato il costosissimo olio di Rosa Mosqueta.
Dice il medico devo massaggiare spingendo bene, devo sentire male, devo muovere la cicatrice all'interno. Ci ho provato mio caro Blog, ma non sono più la stessa persona di 9 anni fa, evidentemente. La ferita mi fa impressione, il dolore mi blocca e guardarmi allo specchio, così, quasi dimezzata non mi fa bene.
Ho chiesto al chirurgo se potevo mettermi una protesi ma me lo ha vivamente sconsigliato. Se già ora per ogni nodulo mi fanno fare una biopsia, con una protesi di mezzo potrebbero non capirci nulla e vedere cose che non ci sono.
Sono un po' triste, caro Blog. Temo di avere fatto la scelta sbagliata operandomi. Forse potevo, e dico forse, aspettare. Magari non era niente. Ma non posso non pensare alla signora che dopo un anno si era trovata un cancro metastasizzato. Ora però il mio seno destro è la metà di quello sinistro e si vede tantissimo, e ora è anche un po' gonfio per l'intervento: tra qualche settimana sarà ancora più piccolo.

Mio caro Blog, cosa si può fare in questo caso?

Oggi sono stata a trovare A, il mio amico di chemio. In ospedale.
Invidioso del mio intervento ha deciso di farsi operare anche lui, per la decima volta.

Lo abbraccio, e penso che la vita a volte è un po' ingiusta. Vivi, sì, ma sempre in bilico: non abbiamo mai avuto la fortuna di conoscere la salute per troppo tempo di seguito.

Gli ho portato un peluche che mi aveva regalato Alelè, un mio grandissimo amico delle superiori che era venuto a trovarmi a 16 anni in ospedale.
Quel peluche, a forma di scimmietta e con il cappellino da esploratore, mi ha seguito in tutte le case in cui ho vissuto. È venuto a Firenze, a Bologna, a Cömo.

Mi dicono di non abbattermi ma forse ho un'unica fortuna: essendo sola posso finalmente piangere quanto voglio.

Caro Blog, non ho espresso tante volte il desiderio di potermi finalmente sfogare? Il 2018 non voleva essere l'anno del mio egoismo? Ecco, ora posso fare ciò che voglio di me stessa.
Perché non devo proteggere nessuno.

28 febbraio 2018

La solitudine dell'intervento

Il 26/2 è il giorno X.
Sveglia presto, in ospedale alle 6.45, calze antitrombo (di nome e di fatto) già indossate. Doccia fatta, ansia non troppa ma il giusto.
Dormito via da casa, nella stessa presa per la scorsa data, proprietario un hippie insegnante di yoga che, venuto a conoscenza della mia storia, ha cercato di parlarmi di varie terapie alternative.
Io, che sono brava a gestirmi da sola, per fortuna non ero da sola: questa volta (come per la scorsa data) una persona mi ha tenuto gli artigli.
Però questa volta non c'è l'influenza ad allontanare la paura dell'eventuale intervento, così una volta fatto (di nuovo) il prelievo io e altre 3 donnine siamo spedite a fare il reperaggio, dopo averci dato la stanza (sono in stanza da sola, almeno quello).

Il posizionamento in repere 9 anni fa era una iniezione di carbone vegetale che colora la parte da togliere ma a quanto pare questa volta sarebbe stato un gancio metallico infilato nella zona da asportare. Era stato questo esame che solo 10 giorni prima aveva bloccato il tutto. Stavo andando con l'infermiera a fare il reperaggio quando le ho chiesto un fazzolettino e le ho detto che non mi sentivo molto bene. Così ha chiesto la visita dell'anestesista in quanto lasciami un ago dentro senza sapere quando sarebbe stato fatto l'intervento (in caso avessero deciso di non farlo) non sarebbe stata un'ottima idea. Potete immaginare lo stato d'animo di farmi infilare una cosa del genere dentro il seno, ma comunque attendiamo, e sono l'ultima. Per complicare il tutto ho anche le mie cose, ovviamente.

Quando mi chiamano ero andata un attimo in bagno e tornata, colui che chiamerò il marito perché così è stato definito dagli infermieri, mi dice di andare in sala ecografica 1 dove però mi dicono di attendere fuori.

Il repere per me, per fortuna, sarà solo un segno di pennarello e non ci sarà nessun ago uncinato perché, dice il santo medico, non è necessario.

Attendiamo l'infermiera che ci riporti in reparto e una volta in stanza, nell'attendere la chiamata per la sala operatoria ci appisoliamo. È previsto gran freddo, fuori.

Il marito si informa sugli orari, pare che siano in ritardo in sala operatoria e che il mio intervento era previsto per le 12 ma andrò su alle 13 passate. Infatti poco dopo le 13 una corpulenta infermiera mi fa togliere il mio pigiama trendy composto da camicione verde a quadri e pantaloni a righe rosse e bianche per mettermi il camicione blu da intervento, aperto sul retro. "Deve togliersi anche le mutande" - "Ma ho le mie cose".
Mugugna qualcosa di incomprensibile ma me le lascia tenere addosso. Ci avventuriamo a piedi per la sala operatoria che credo sia al terzo piano. Le chiedo quanto durerà l'intervento e mi dice circa 3 ore. Sono preoccupata per il marito, sapeva circa un'oretta e non posso nemmeno avvisarlo.

Le pareti sono arancioni. Non devono avere fatto un grosso studio sui colori, l'arancione non è un colore tranquillizzante. Arrivo a quello che sembra essere un grosso gabbiotto di una biglietteria, senza il vetro a separare le due zone ma con una sorta di lettino abbassabile a piacimento di colore azzurro.
"Ha tolto le mutande?"
"No, ho le mie cose"
"Le deve togliere comunque"
Le sfilo da sotto il camicione e piego l'assorbente affinché non si veda. L'infermiera corpulenta di cui capisco una parola ogni due le mette in un sacco trasparente in cui c'è anche quella che doveva essere una vestaglia ma è un maglione aperto sul davanti. Posizionano una traversina sul lettino e lo abbassano affinché io mi ci possa sedere e da lì mi fanno passare su una barella, mi mettono la cuffietta per i capelli e mentre mi trasportano via sento che dicono che mi tocca la sala operatoria numero 5.
Prima però mi parcheggiano in una sorta di zona franca che conoscerò anche nel post operatorio. Alla mia sinistra c'è una fanciulla con una flebo che sembra dormire. Rimango lì un po', cercando di non pensare e sonnecchiando, finché un giovane infermiere o anestesista, non ho idea, in camice verde arriva per mettermi la cannula.
"Dove devi essere operata?"
"Seno destro"
"Allora devo mettere la cannula al braccio sinistro"
Non prova nemmeno a vedere nell'incavo del gomito perché, dice, potrebbe essere scomodo e potrei non piegare bene il braccio. Individua, poco sopra il polso, una vena che dice però "non capisco dove vada". "Faccia un bel respiro" - e mi infilza. Ma respirare è servito anche se poi maneggia l'ago e mi fa male.
"È andata?"
"No, si è rotta"
Sospiro.
Guarda nell'altro braccio ma arriva quello che invece potrebbe essere l'anestesista che dice "Non lì, deve essere operata da quel lato"
"Eh, ma non ha vene"
Torna al braccio sinistro.
"Proviamo sulla mano, è un po' fastidioso ma non abbiamo scelta, ti metto la cannula più piccola che abbiamo, se non va chiamo l'anestesista"
Infila, maneggia e sembra andare. Mi attacca a una flebo.

Mi trasportano in sala operatoria, dove mi mettono un pannolone ("Sollevi il sedere") e posizionano entrambe le braccia su due braccioli laterali per cui assumo la posizione comodissima da crocefissa. Apparecchio per la pressione su una caviglia, pulsossimetro sull'indice destro. Ho freddo ma sono anche agitata e comincio a tremare come una foglia.
L'infermiere giovane dice che mi mettono un bocchettone dell'aria calda per scaldarmi e mi chiede di cosa ho paura.
Ma le paure non sono per la maggior parte irrazionali?
Scherzo con loro dicendo che attendo con ansia le droghe legali che mi inietteranno.

"Coluccia c'è?" chiede qualcuno.
"Non l'ho ancora visto" risponde qualcun altro.
Ma all'improvviso compare. "Come mai siamo in ritardo sulla tabella di marcia, oggi?"
"Una signora doveva operarsi ma l'hanno riportata in stanza"
"Come va?" mi chiede
"Potrebbe andare in un altro milione di modi meglio, ma via, facciamolo..."

L'anestesista mi inietta un liquido giallo fosforescente e mi dice "Ora le girerà la testa"
"Come dopo una sbronza?"
"Esatto"
In effetti gira tutto ma senza la nausea della sbronza. Mi mettono una mascherina "È ossigeno, faccia respiri profondi, ecco brava, così, bravissima..."

Mi sveglio da un sogno che non ricordo, nella stessa stanza in cui mi trovavo prima della sala operatoria, tossisco.
"Ora la riportiamo in stanza, è normale se sente un po' di mal di gola"
Penso all'intubazione.
Il seno destro mi fa molto male, mi pizzico la pelle della pancia con la mano destra sperando di prestare meno attenzione al dolore. Resisto per un po' ma poi lo verbalizzo e mi dicono che mi stanno già facendo l'antidolorifico (contramal, famiglia degli oppiacei). Mi riportano in barella allo sportello iniziale dove il lettino che separa quelle due metà di mondo è in realtà anche un rullo per cui vengo letteralmente fatta scivolare su una barella dall'altro lato dove un infermiere mi dice che il marito è preoccupato. Non dico nulla perché mi diverte un po' l'idea e lo trovo ad aspettarmi all'inizio del corridoio. "Ecco il marito" esclama l'infermiere, "non che io sappia" esclama il marito ma l'infermiere non lo sente, tant'è che oggi lo stesso infermiere mi dice "Allora, viene il marito a prenderla?".

Mi rimettono sul letto sollevandomi con il lenzuolo, mi tolgono il pannolone e mi infilano le mutande e questa impotenza è detestabile. "Non muova assolutamente il braccio destro"
Anche se poi un'infermiera mi dice che "devo assolutamente muoverlo se no si gonfia".

Sono ormai le 17, pare che io non possa né mangiare né bere per altre 4 ore. Aspetto che il marito vada via per chiamare l'infermiera e fare la pipì nella padella.

Alla sera in effetti mi portano un po' di the con fette biscottate che mangio volentieri, dopo aver sbranato il bacio perugina del marito.

Passa il medico a visitarmi e poi il dott. Coluccia (in abiti civili, senza camice) che mi dice che ci vedremo venerdì per la medicazione e tasta la ferita.
Gli antidolorifici mi impediscono di tenere gli occhi aperti per più di qualche decina di minuti, così ogni tot crollo in un sonno profondo della durata di circa un'ora o due e poi mi sveglio. Al mattino sono riposatissima e contenta, perché vado a casa.

Arriva nel frattempo una signora anziana, compagna di stanza, che deve fare una nuova procedura che si chiama "elettrochemioterapia". Mi mostra il seno che le hanno asportato e racconta dei suoi 5 anni di chemio.

Mi torna in mente quando volevo fare la volontaria in reparto di oncologia all'ospedale infantile Regina Margherita e mi dissero che gli ex pazienti non possono fare i volontari in reparto e ora capisco perché. Ci vuole una certa delicatezza ad approcciarsi agli altri malati, soprattutto se il male è simile, e vedere quella cicatrice e sentire quella storia non mi ha fatto bene.

Quando mi chiamano per le dimissioni in sala d'attesa c'è con me una signora con i capelli scuri che è stata operata il giorno prima insieme a me. Le chiedo informazioni e mi racconta la sua storia.
11 anni prima dopo una mammografia le trovarono qualcosa ma il medico le disse di stare tranquilla che era solo una ciste e di fare la mammografia l'anno successivo. L'anno dopo videro che era in realtà un tumore che si era metastasizzato e le hanno dovuto togliere tutto il seno e fare la chemio, e ora c'è un nuovo nodulino da esaminare. Non so se è stato questo racconto o cosa, comincia a girarmi la testa. Quando vado in sala visite comincio a vedere i famosi pallini bianchi e dopo la medicazione comincio a sudare e ad agitarmi, dico che non sto bene. Mi misurano la pressione ed è 80-50, mi riattaccano una flebo alla cannula che per fortuna non mi hanno ancora tolto e mi riportano in stanza.

Intanto Lys era venuta a prendermi e resta lì con me aiutandomi a mangiare, mi coccola, mi apre le confezioni di cibo che non riesco ad aprire, mi porta la sua copertina.

Passo quindi un altro giorno in ospedale, con la signora chiacchierona accanto e io che penso al mio seno che al tatto, nonostante la medicazione faccia volume, sembra così piccolo da non esserci quasi più. E penso al lungo percorso che dovrò fare per l'accettazione del mio corpo, penso alla rabbia che provo e alla tristezza nel tornare a casa, circondata sì da amici incredibili che mi dimostrano un affetto senza pari, ma sostanzialmente sola.

In più dovrei cominciare a fare uno stupido lavoro e l'unica cosa che vorrei è invece arrotolarmi nelle coperte calde e dimenticare ogni cosa.

Purtroppo piangersi addosso non serve a nulla, altrimenti ora sarei piena di risorse, quindi si volta pagina, in tutto, e si va avanti.