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26 gennaio 2023

Amarti mi riposa

Tutta la stanchezza del mondo

Tutta la stanchezza del mondo by Enrica Tesio
My rating: 2 of 5 stars

Libro che avevo abbandonato ad aprile e ripreso pochi giorni fa. Ho fatto fatica a terminarlo; è scritto come un blog, quindi in un modo frizzante che si abbina davvero bene al blog ma poco alla carta stampata. Confesso poi di aver trovato noiosi gli innumerevoli passaggi sui suoi figli (mi spiace, è un mio limite anche quotidiano con le persone che mi circondano).

Probabilmente con un altro stile e senza bambini di mezzo avrei dato delle stelle in più perché ci sono degli spunti davvero interessanti (mi sono appuntata i vari libri citati). Uno tra tutti, "Amarti mi riposa". Penso sia una delle definizioni più belle sull'amore mai lette.

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Questo libro stazionava lì da un po'. Con il covid di mezzo ho deciso di finirlo.

Non posso negarlo, un po' mi ha annoiata. Ma quando ho letto Amarti mi riposa, ho pensato subito al mio Cliff. E' così che mi sento con lui. Penso che sia per quello che alcune mie relazioni sono finite. Amare mi affaticava. Mi prendeva così tante energie che ho mollato il colpo.

Cliff è il mio riposo, non devo stare in allerta con lui, non devo avere timore che si arrabbi, in ogni suo gesto c'è amore e comprensione. Persino nei suoi regali, mai banali e scontati, c'è amore. Non solo l'amore di avere cercato il pensiero giusto ma l'amore di aver realizzato una cosa con sue mani. Serate per saldare tutte le piste della tastiera che mi ha montato, giornate a realizzare il mate con il legno di ulivo. La fatica dei viaggi di notte in treno (spesso seduto perché non c'è la cuccetta) per venire da me, e lo stesso viaggio per andare via e lavorare immediatamente. 

Giovanni Lindo Ferretti diceva Amarti m'affatica.

Per me Cliff è un sollievo al cuore. E' quel sospiro che precede il Meno male

C'è sempre stata in me una sorta di ansia da separazione, una paura un po' nascosta e male accettata di perdere la persone con cui sto se non faccio determinate cose. E' come quando da piccolo ti convinci che calpestare le righe tra le mattonelle porterà a morte certa (ma in quel caso sai che non è vero). 

Ecco.

Con lui questa cosa non accade. Se non posso rispondere subito a un messaggio risponderò appena posso e so che non ci saranno conseguenze. Non ci sarebbero state nemmeno in altri momenti della vita, lo so. Ma ora lo sento, so che è così. E' difficile da spiegare.

Ma amarti mi riposa davvero.

26 gennaio 2022

Il mio piccolo miracolo tardivo di Natale

(L'assistenza di) Trenitalia c'è. 

Sarò breve in questo piccolo post prima di tentare di riprendere in mano questo mio blog.

Sto preparando molte cose, alcune in bozza da secoli (almeno un anno), altre invece nuove.

Non che abbia questo gran pubblico, ma mi sarebbe spiaciuto perdere la mano, nella scrittura, sulla tastiera, davanti a questo schermo che c'è (ed è forse l'unica cosa fissa della mia vita) dal 2006 ad oggi.

Questa, in realtà, voleva essere una piccola recensione positiva per (rullo di tamburi) l'assistenza di Trenitalia. Eh sì, se ne dicono peste e corna, i treni sono sempre in ritardo ma che volete, questa volta hanno tirato fuori il jolly e non potevo far finta di niente.

Voglio dire, dopo tutte le imprecazioni di una vita passata sui treni in ritardo, e via di coincidenze perse, addio a ore di sonno, ci stava una nota positiva.

Long story short.

Prendo un treno il 30 dicembre sera per una imprecisata località del centro Italia che tornerà nei prossimi post. In genere prendo un treno notturno. Se posso, con la cuccetta (sì, esistono ancora, e a causa del Covid ora non si possono condividere, quindi nonostante i letti scomodi come panchine di cemento, posso estendere i miei confini spargendo ovunque le mie cose).

Ma ho scoperto questo treno che parte alle 19 e mi permette di arrivare a un orario che se avessi 20 anni meno potrei definire presto. Nel mio caso dirò soltanto che resto sveglia e non perdo la fermata per miracolo, ma va bene.

Ha un unico difetto: uno scarto di 15 minuti per il cambio treno a Roma Tiburtina.

Sì lo so. Pur essendo fedele allo spaghetto volante a volte spero nei miracoli, quelli che ti fanno gridare "Ah ma allora Dio c'è".

E invece.

Appena superate un paio di città mi rendo conto che il ritardo è irrecuperabile, il treno che avrei dovuto prendere a Roma è l'ultimo per la mia destinazione finale e già mi vedevo rubare spazio ai senzatetto romani, sdraiata sopra lo zaino e ricoperta di disinfettante.

Fermo il capotreno.

"Mi scusi, devo prendere il treno per **** a Roma Tiburtina e ormai l'ho perso, sarebbe l'ultimo treno e non so come arrivare a destinazione".

La mia soluzione è semplice. Fermate il treno, farà un po' di ritardo ma che sarà mai.

Questo pensavo, mentre il solerte capotreno in divisa mi avvertiva che sarebbe tornato a breve per farmi sapere.

Già lo immaginavo svanire come neve al sole, un ritorno improvviso di primavera e invece no, torna. Mi chiede i dati, il numero di telefono e il nome, si accerta che io abbia già il biglietto per il treno da Roma a ****, "Ne è sicura?", oddio certo ma ora mi fa venire il dubbio, mi faccia controllare.

"Allora faccia così, scenda a Roma Termini, la chiameranno e le diranno cosa fare"

Cioè in che senso cosa fare, e se non mi chiamano che faccio?

"No no la chiamano, c'è l'assistenza a Termini, le diranno come proseguire il viaggio"

Io, sola a Termini, abbracciata a uno zaino e ricoperta di disinfettante.

 - Ma no vengo a Roma a prenderti - 

 - Diamogli fiducia e vediamo che succede - 

 - Ma che scherzi? A Termini da sola? No no io vengo a Roma - 

In che senso 'come proseguire il viaggio'

"Eh le chiameranno un taxi"

Un taxi? Non mi fido molto di questa soluzione. Non potete chiedere di far aspettare l'altro treno?

"No signora, i treni non aspettano"

Mentre pensavo alla solennità di questa frase e a come starebbe bene come epigrafe sulla mia tomba dopo una notte passata a Termini, squilla il telefono.

"Buongiorno, parlo con *****? È l'assistenza Trenitalia di Termini, ho bisogno del codice prenotazione del biglietto da Roma a *****, quando arriva a Termini viene al nostro sportello e le chiamiamo il taxi"

Ma quindi non devo pagare niente?

"No no le diamo il voucher"

Quando arrivo a Termini ci metto un po' a trovare il gabbiotto ma eccolo, povere, due ragazze che avrebbero dovuto smettere di lavorare a mezzanotte e invece mi hanno dovuta aspettare. Mi chiamano il taxi, mi dicono dove aspettarlo (via Marsala, davanti al caffè Trombetta) e non faccio in tempo a uscire dalla stazione che bhe, eccolo, è già lì.

Mi piazzo seduta dietro (è deciso, anche se non parte io resto qui) e vedo che il tassista ha un po' di difficoltà a inserire il codice del voucher nel loro sistema. Chiama la centrale e dopo un'attesa infinita (e io già mi ero quasi pentita di non essermi fatta venire a prendere) gli dicono che non serve inserire il codice, che dovrà chiamarli a corsa terminata per comunicare l'importo e sarà rimborsato.

Si parte.

Il viaggio dura più di un'ora, per di più il tassista riceve anche la chiamata di un amico che chiede di andarlo a prendere (non ce lo chiediamo mai, ma com'è la vita del tassista? Quando è di turno gli amici lo chiamano? Si fan venire a prendere? Si sbronzano perché sanno che c'è chi li riporta a casa? Eh? Eh?) e più di una volta, con lievissimo accento romano, gli fa presente che non può, che sta portando una cliente fuori Roma, "ma ti aspetto" (immagino gli dica) - "Ma guarda che ci metto un sacco, fai prima a chiamare un altro taxi".

Quando arrivo guardo il tassametro, 150 euro.

Saluto il tassista e mi scuso, del resto a causa mia ha guidato un sacco e lui "MACCHÉ IO ME SO' FATTO LA GGIORNATA CO 'SSTA CORSA".

E mentre corro svelta verso il futuro, abbracciando quasi il nuovo anno, penso che sì, Dio magari non c'è ma l'assistenza di Trenitalia per una volta c'è

27 ottobre 2019

Dove vanno a morire i cigni?

Cristiano mi sta insegnando a prendermi cura delle cose.
Pensavo di essere abbastanza brava in questo, ma vedendo la cura che ci mette quotidianamente a non lasciare segni fisici del suo passaggio sugli oggetti, mi rendo conto di non essere mai stata così accorta.
Ogni sera, quando lo zaino fotografico si svuota, c'è il rito della pulizia delle macchine fotografiche e delle loro ottiche che poi vengono riposte in maniera ordinata nella libreria.
Penso alla mia macchina fotografica, poggiata sul divano, con scheda e batteria sempre all'interno che sì, ha la custodia, ma non ha mai visto un panno umido. E le ottiche vengono pulite solo se sono sporche.
In compenso io sto aiutando Cristiano a prendersi cura di me. E "me" è una persona piuttosto esigente.
Ho sempre fame, esigo continuamente attenzioni, soprattutto fisiche, non sopporto l'abbraccio brevettato da lui "a un braccio solo" e molte volte glielo deve ricordare: "a due braccia".
E, in ogni caso, anche l'abbraccio "a due braccia" non dura mai più di due Mississipi, a meno che non ci si trovi a letto o sul divano. A quel punto i Mississipi non si contano perché sono tantissimi.
Contare i Mississippi, allora, può essere propedeutico al sonno, meglio che contare le pecore.
Cristiano mi sta insegnando ad avere pazienza, a capire che non tutte le persone sono come me e reagiscono come me. Questo mi aiuta relativamente quando le relazioni interpersonali non vanno come spero.
Io gli sto insegnando un altro tipo di pazienza, quello più pratico, qualcosa come "conta fino a 10" o "non vale la pena arrabbiarsi per questo".
Lui mi sta insegnando a presentarmi al mondo, io a essere rilassato nei peggiori panni.
Dall'esterno sembriamo una coppia disfunzionale, l'Alpha e l'Omega ma in qualche modo funzioniamo.
Quando penso a noi penso a un impegno maggiore di quello che ho avuto di solito.
Quando penso a noi penso alle lentiggini sulle sue spalle che vedo ogni sera quando lo abbraccio e mi dà la schiena.
C'è una lentiggine più scura e più grande, quasi a metà di quel percorso un po' sinuoso che dalla spalla arriva al collo a cui mi sono particolarmente affezionata.
Se la sera non riesco a dormire la guardo, mentre le mie lunghe ciglia sfiorano la sua pelle.
È un piccolo percorso di cura e attenzione, pieno di buche e scivoloni annessi, ciò che quella lentiggine mi dice.
È una lingua antica come il mondo, la cura che si ha verso un altro essere umano.
E lui? A quale angolo di pelle parlerà quando vede le mie spalle? Al piccione tatuato? Alla mia cicatrice a metà schiena? Al mio esile collo?
A quale lembo di me si rivolge nel ricordo delle notti passate insieme?
Sono domande che non esigono una risposta ma che lasciano porte aperte a infinite possibilità.
Come le cellule epiteliali che rivestono la cute nascono, muoiono e si rinnovano, ogni giorno ha in sé una promessa non dichiarata ma comunque importante.
È forse questo l'amore. L'attesa di una risposta a una domanda mai fatta, una promessa non formulata ma sottintesa, la costruzione di un desiderio più profondo.
E ora, una lentiggine con un nome.