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26 aprile 2020
Apocalipse nau
Penso che questo sia il compleanno più strano mai passato.
Mi sono svegliata col pensiero di avere già 39 anni e di essere chiusa in casa da un tempo indefinito. Da quando hanno deciso di chiudere la Lombardia, quindi verso l'8 marzo, mi sono mossa pochissimo. Forse il brivido di andare a fare la spesa o l'emozione di portare giù la spazzatura.
La mia ultima spesa risale a un paio di giorni fa ma era da più di un mese che non andavamo insieme. Ora vige l'obbligo della mascherina, un carrello a testa anche se si va insieme, la distanza sociale, l'obbligo dei guanti (quelli per prendere la frutta, per intenderci, gentilmente forniti all'ingresso). È una società strana che non riconosco ma alla quale mi sono abituata subito. Non mi pesa stare a casa, non mi pesa lavorare da casa, non mi pesa dover rinunciare ai contatti sociali, all'ora e mezza di bus per andare fisicamente al lavoro. Forse l'unica cosa che un po' mi manca è non poter vedere la mia famiglia, il mio cane, i miei amici. Sono fortunata perché quando tutto è successo ero qui, da Cristiano, e qui sono rimasta. Un po' a fatica perché la mia azienda voleva che rientrassi ma non poteva obbligarmi, in ogni caso non potevo perché Madre ha più di 70 anni e l'avrei messa a rischio. Cristiano mi sta preparando una dolcissima torta, il cuculo canta, i CCR suonano, il sole splende. Forse l'apocalisse non sarà così tremenda.
28 marzo 2020
Sabato
Faccio sogni strani, dicevo.
Sogno di essere in Russia, di finire in un appartamento al quinto o sesto piano e restarne imprigionata. I miei carcerieri non parlano una parola della mia lingua e dal quinto o sesto piano posso scendere solo con ascensore che è rotto. Sono bloccata.
Stamani mi sono riaddormentata sul divano.
Dei bambini vanno a caccia di nazisti, nazisti che li hanno imprigionati e torturati.
Mostrano loro degli scrittoi, con libri su cui hanno segnato le torture a loro impartite. Bambini fuggiti, bambini coraggiosi.
Emicrania.
È sabato.
Sogno di essere in Russia, di finire in un appartamento al quinto o sesto piano e restarne imprigionata. I miei carcerieri non parlano una parola della mia lingua e dal quinto o sesto piano posso scendere solo con ascensore che è rotto. Sono bloccata.
Stamani mi sono riaddormentata sul divano.
Dei bambini vanno a caccia di nazisti, nazisti che li hanno imprigionati e torturati.
Mostrano loro degli scrittoi, con libri su cui hanno segnato le torture a loro impartite. Bambini fuggiti, bambini coraggiosi.
Emicrania.
È sabato.
Sezione:
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coronavirus,
Emicrania,
quarantena,
sars-cov-2,
Sogni
25 marzo 2020
QuaranTenia
I miei sogni sono diventati molto simili tra loro. C'è una situazione di pericolo e devo portare tutti in salvo. Mi sveglio in una situazione casalinga e tranquilla, in cui la percezione del pericolo è pari a zero, eppure i TG e i giornali (e i social) mi riportano drasticamente alla realtà.
Siamo nel bel mezzo di una pandemia.
La premessa al sogno che ho fatto stanotte in aggiunta al mio solito è che continuo a non volere figli, quindi non preoccupatevi.
Ma sono di essere nel letto in cui dormo in queste notti, accanto a C e che sto partorendo.
Non sento dolore e non vedo cosa accade lì sotto, ma non ricordo la presenza di medici o situazioni ospedaliere. C'è una bella luce, le lenzuola sono candide. Guardo C e dico "Taglia il cordone".
Lui prende le stesse forbici che usiamo per qualsiasi cosa, dal taglio del pacco di pasta al taglio dei negativi in comode strisce da 6 foto.
Mi sveglio.
"Sai, ho sognato che partorivo"
"Ah sì?"
La protezione civile ci invita a non uscire, dalla sua camionetta con megafono incorporato. So che nelle grandi città sono presenti i militari in gran numero che effettuano i dovuti (e doverosi) controlli.
Forse sono fortunata a essere bloccata qui in questo momento, in cui non si sente forte la pressione delle forze dell'ordine (ma soprattutto non si sentono i vicini di casa cantare dai balconi).
Sembra che il tempo sia sospeso e nonostante i miei sogni alla Zombieland (in alcuni qualcuno muore e, come da regia tarantiniana, spruzza sangue ovunque) il bimbo sconosciuto di questa notte è un messaggio rassicurante.
Sarebbe vero se non fossi io, ma il sogno della nascita di un pupo è per me più inquietante di una qualsiasi copia di un horror truculento a base di emergenze sanitarie e incidenti mostruosi.
Questa è la cosa preoccupante.
Siamo nel bel mezzo di una pandemia.
La premessa al sogno che ho fatto stanotte in aggiunta al mio solito è che continuo a non volere figli, quindi non preoccupatevi.
Ma sono di essere nel letto in cui dormo in queste notti, accanto a C e che sto partorendo.
Non sento dolore e non vedo cosa accade lì sotto, ma non ricordo la presenza di medici o situazioni ospedaliere. C'è una bella luce, le lenzuola sono candide. Guardo C e dico "Taglia il cordone".
Lui prende le stesse forbici che usiamo per qualsiasi cosa, dal taglio del pacco di pasta al taglio dei negativi in comode strisce da 6 foto.
Mi sveglio.
"Sai, ho sognato che partorivo"
"Ah sì?"
La protezione civile ci invita a non uscire, dalla sua camionetta con megafono incorporato. So che nelle grandi città sono presenti i militari in gran numero che effettuano i dovuti (e doverosi) controlli.
Forse sono fortunata a essere bloccata qui in questo momento, in cui non si sente forte la pressione delle forze dell'ordine (ma soprattutto non si sentono i vicini di casa cantare dai balconi).
Sembra che il tempo sia sospeso e nonostante i miei sogni alla Zombieland (in alcuni qualcuno muore e, come da regia tarantiniana, spruzza sangue ovunque) il bimbo sconosciuto di questa notte è un messaggio rassicurante.
Sarebbe vero se non fossi io, ma il sogno della nascita di un pupo è per me più inquietante di una qualsiasi copia di un horror truculento a base di emergenze sanitarie e incidenti mostruosi.
Questa è la cosa preoccupante.
Sezione:
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22 marzo 2020
Cronache dalla zona rossa
Mi sarei immaginata qualsiasi scenario in questa vita, ma mai di vivere nel bel mezzo di una pandemia.
Non immaginate scene alla Sliding doors?
Io sì, cosa sarebbe capitato se, ad esempio, al momento della chiusura della Lombardia io mi fossi trovata a Torino?
Torno un attimo indietro: dato che ho usato spesso questo spazio come diario personale in cui ho scritto davvero di tutto, visite mediche, cose buffe capitate, colloqui di lavoro, racconti, sfoghi, ecc, non posso evitare di scrivere un piccolo appunto su una pandemia.
Sì, una pandemia.
È cominciato tutto verso fine dicembre 2019, credo. Lo spillover, il salto di specie del virus, ora identificato come SARS-CoV-2 (ma più comunemente conosciuto come Coronavirus - termine generico che indica un gruppo di virus a cui appartengono anche il virus del raffreddore e dell'influenza) è partito, pare, dalla città cinese di Wuhan. Molto spesso cominciano così, nei mercati in cui viene venduta e/o consumata carne di animali selvatici. Saranno stati i soliti pipistrelli? I serpenti? Chissà.
Fatto sta che i primi sintomi di un certo tipo di polmonite virale sono stati rinvenuti tra le persone che lavoravano in questi mercati che vendevano carne fresca di bestie selvatiche.
Il virus in breve ha fatto il giro del mondo. La malattia provocata dal virus (Covid-19) è stata presto riscontrata in altre zone del mondo e l'Italia è stata duramente colpita.
La cosa buffa è che ci sentiamo sempre estranei a queste cose, soprattutto perché spesso capitano dall'altra parte del mondo. Penso alla reazione che potrebbe aver avuto un italiano medio di fronte all'epidemia di Ebola avvenuta in Africa credo nel 2014-2015 (Tanto qui non arriverà mai).
La reazione iniziale al Covid-19 è stata più o meno questa: è un influenza, che me frega? Abbiamo continuato tutti a uscire, io stessa, a fare aperitivi con gli amici, a ironizzare e scherzarci su, a bere Corona, a pensare di preparare cartelli con su scritto #guariremotutti.
Presto hanno messo in quarantena piccole realtà in cui nuovi focolai stavano esplodendo. A Codogno (che manco sapevo dove cazzo stava) ad esempio, le strade erano bloccate. Non si entrava né si usciva.
Da qui arriviamo al weekend del 7 marzo. Sarei dovuta tornare a Torino l'8 marzo, domenica, quando sabato sera nella chat di lavoro mi scrivono che la Lombardia verrà chiusa.
Ero (e sono) in Lombardia.
In qualche modo alcuni giornali erano venuti in possesso della bozza del decreto che sarebbe uscito il giorno dopo e, a quanto pare, avevano intenzione di bloccare i movimenti da e verso la Lombardia a meno che non si fosse trattato di rientro al domicilio, di situazioni di lavoro oppure di salute.
Ero stata invitata a partire quella sera stessa ma ho fatto bene a non farlo. In stazione, presi dal panico, si sono riversate migliaia di persone che sono andate ad affollare i treni spargendo l'epidemia un po' ovunque (anche al Sud che fino ad allora era relativamente tranquillo).
Il giorno dopo, a decreto ufficializzato, ho deciso di non rientrare a Torino. Scelta un po' forzata dal fatto che Madre ha più di 70 anni e tornando l'avrei messa a rischio.
Quindi, scuole chiuse fino al 3 aprile e la follia della gente corsa al supermercato a fare incetta di generi alimentari. Seguono a ruota sui vari social le foto degli scaffali vuoti ai supermercati (tranne per le penne lisce, quelle non se l'è inculate nessuno, che cazzo a me piacciono un sacco le penne lisce). Il giorno successivo tutta l'Italia viene chiusa. Nessuno spostamento da e per nessuna località, necessità di autocertificazione per eventuali spostamenti (concessi solo per spesa, emergenze, lavoro e rientro a domicilio). Spesa uno per volta e a distanza di sicurezza di un metro (con code immense fuori dai supermercati per le grandi città). Niente assembramenti. Niente vicinanza. No in macchina in due. Le mascherine sono finite. Controlli a gogò sulle persone in giro. Sanzioni per chi fosse risultato con autocertificazione falsa.
L'apocalisse.
D'improvviso tutti in giro con la mascherina chirurgica (but, i virus hanno bisogno di filtri migliori e quindi non serve a un cazzo. La mascherina protegge dai batteri ma ai virus gli fa un baffo). Qualcuno con i guanti in nitrile.
Un buon romanzo distopico lo avrebbe già predetto (peccato non aver terminato e pubblicato il mio racconto cominciato più di un anno fa in cui parlo di un futuro - immaginario? - in cui non si può uscire di casa se non con la maschera antigas). Il contenimento è attuato, ogni giorno ci viene tolta un po' di libertà individuale (sì, è vero, ma concordo sul fatto che sia necessario). Ovviamente non si può più viaggiare.
Del va e vieni delle sbarre è stanco
L'occhio, tanto che nulla più trattiene.
Mille sbarre soltanto ovunque vede
E nessun mondo dietro mille sbarre.
Molle ritmo di passi che flessuosi e forti
Girano in minima circonferenza,
è una danza di forze intorno a un centro
ove stordito un gran volere dorme.
Solo dalle pupille il velo a volte
S'alza muto - . Un'immagine vi pènetra,
scorre la quiete tesa delle membra -
e nel cuore si smorza.
Noi siamo fortunati: oltre a essere in due abbiamo mille cose da fare e mille passioni. Proprio ieri abbiamo scattato delle foto a pellicola in casa e le abbiamo sviluppate, scansionate, catalogate. Sto leggendo tantissimo, sto seguendo un corso di javascript, suono (e a tratti scrivo).
Ma leggo notizie raccapriccianti sull'aumento delle violenze domestiche, di depressione, e anche nelle varie chat di Whatsapp la situazione non è delle migliori.
Ogni tanto videochattiamo tra amici, ci raccontiamo cosa cuciniamo (perché sì, ormai cucinare è uno dei pochi piaceri concessi e ci si impegna parecchio in questo senso).
Ma chi è il virus della SARS-Cov-2? Non se ne sa molto se non cose che tutti possono apprendere facendo una piccola ricerca. Intanto fa parte della famiglia dei retrovirus e del gruppo dei Coronavirus che come scrivevo poco più su provoca problemi respiratori. Dei coronavirus fanno parte le varie influenze stagionali, il raffreddore, e anche sindromi simili già vissute come la SARS-CoV.
Cosa sono i Coronavirus? Virus a RNA. I virus a RNA rispetto a quelli a DNA non hanno un enzima, la DNA polimerasi, che aggiusta le coppie di basi azotate in caso di errori (anche perché sono a catena singola e non a doppia catena, anche se esistono virus a RNA a doppia catena). Quindi i virus a DNA mutano di meno, perché si autocorreggono. I virus a RNA sono a singola catena, non hanno un enzima che li corregga perché non hanno "coppie" sbagliate quindi mutano più spesso. Ecco perché l'influenza stagionale è sempre diversa, muta ogni anno e ogni anno deve essere creato un vaccino ad hoc. Quanto in fretta muta il virus? Una volta preso ci si immunizza oppure muta così in fretta che ci si può di nuovo ammalare? Quando sarà pronto un vaccino?
Pronostici pessimisti parlano di normalità tra circa un anno, qualcuno spera ancora di farsi una pasquetta da qualche parte.
Intanto per divagare e tenermi impegnata scrivo questi appunti, per ricordarmi come è ora quando tutto sarà passato.
E se fossi rimasta a Torino?
Sicuramente non avrei visto C per tanto tempo, avrei continuato a lavorare (il fronte lavoro merita un capitolo a parte, lunghissimo e non ancora terminato). Per andare al lavoro avrei preso almeno 4 bus al giorno con il rischio di infettarmi e di infettare Madre e Nipote che ora sono nella stessa casa. Di certo non mi sarei bruciata tutte le ferie. Non sarei riuscita a leggere/scrivere/suonare. Forse finora sarebbe cambiato poco. Avrei passato molto meno tempo al telefono. Forse mi sarei imbruttita (cerco di sistemarmi ogni giorno, truccarmi e vestirmi, anche se spesso è dura). Avrei cercato di imparare ad andare in bici nel cortile di casa. Avrei dovuto recuperare probabilmente una mascherina.
Sarei stata costretta a sentire questi stupidi concerti dal balcone (vi piacciono? Anche no. Essere obbligati ad ascoltare musica per me è una forma di violenza).
La verità è che la vita è cambiata radicalmente. Non si tratta solo di "abitudini" ma proprio del modo che abbiamo di portare avanti le cose, dei nostri schemi mentali.
La frustrazione ci porta a odiare chi può uscire o chi finora era autorizzato a farlo (i runners ad esempio). La camionetta della protezione civile passa sotto casa ricordando a tutti di non uscire se non per estrema urgenza.
Ci si ritrova in chat con gli amici a chiedersi quale mascherina sia meglio, se la fpp2 o la fpp3 (la prima è più che sufficiente, la seconda se stai in laboratorio, ecco). Scopri nuovi complottisti tra le conoscenze di Facebook e sei indeciso se bloccarle o meno, ma poi bestemmi tra te e te perché alla fine queste minchiate complottiste ti fanno ridere e magari fai pure un like così si convincono di avere ragione e continueranno a scrivere cose che poi screenshotterai per condividerle con amici più solidi che rideranno insieme a te. Improvvisamente ti viene voglia di uscire quando nella vita i tuoi weekend avresti voluto passarli morendo sul divano con una tisana e Netflix, o una birra e Netflix, o patatine e Netflix. Di sicuro vorremmo più abbracci quando li abbiamo snobbati finora da bravi asociali.
Ecco forse io soffro meno in questo momento perché siamo in due e non vivo personalmente situazioni a rischio nemmeno dei miei cari. Conosco poche persone a Bergamo o dintorni (che sono al sicuro perché sento), i sani di mente a Milano non escono, la mia famiglia a Torino la sento tutti i giorni e sono relativamente al sicuro anche se poco tranquilli.
Fuori dalla finestra un paio di laghi, montagne che creano vallate, gazze che si rincorrono in cielo.
A Venezia i delfini si affacciano in laguna che, finalmente, ha l'acqua trasparente.
Certe cose accadono per una ragione, direbbe il mio collega meditativo, e oggi più che mai mi sembra che abbiamo perso davvero di vista le cose importanti, che dobbiamo ristabilire delle priorità ed è davvero un peccato che cia voluta quasi una zombie apocalypse a ricordarcelo.
Canzone del giorno:
One Metallica
Io sì, cosa sarebbe capitato se, ad esempio, al momento della chiusura della Lombardia io mi fossi trovata a Torino?
Torno un attimo indietro: dato che ho usato spesso questo spazio come diario personale in cui ho scritto davvero di tutto, visite mediche, cose buffe capitate, colloqui di lavoro, racconti, sfoghi, ecc, non posso evitare di scrivere un piccolo appunto su una pandemia.
Sì, una pandemia.
È cominciato tutto verso fine dicembre 2019, credo. Lo spillover, il salto di specie del virus, ora identificato come SARS-CoV-2 (ma più comunemente conosciuto come Coronavirus - termine generico che indica un gruppo di virus a cui appartengono anche il virus del raffreddore e dell'influenza) è partito, pare, dalla città cinese di Wuhan. Molto spesso cominciano così, nei mercati in cui viene venduta e/o consumata carne di animali selvatici. Saranno stati i soliti pipistrelli? I serpenti? Chissà.
Fatto sta che i primi sintomi di un certo tipo di polmonite virale sono stati rinvenuti tra le persone che lavoravano in questi mercati che vendevano carne fresca di bestie selvatiche.
Il virus in breve ha fatto il giro del mondo. La malattia provocata dal virus (Covid-19) è stata presto riscontrata in altre zone del mondo e l'Italia è stata duramente colpita.
La cosa buffa è che ci sentiamo sempre estranei a queste cose, soprattutto perché spesso capitano dall'altra parte del mondo. Penso alla reazione che potrebbe aver avuto un italiano medio di fronte all'epidemia di Ebola avvenuta in Africa credo nel 2014-2015 (Tanto qui non arriverà mai).
La reazione iniziale al Covid-19 è stata più o meno questa: è un influenza, che me frega? Abbiamo continuato tutti a uscire, io stessa, a fare aperitivi con gli amici, a ironizzare e scherzarci su, a bere Corona, a pensare di preparare cartelli con su scritto #guariremotutti.
Presto hanno messo in quarantena piccole realtà in cui nuovi focolai stavano esplodendo. A Codogno (che manco sapevo dove cazzo stava) ad esempio, le strade erano bloccate. Non si entrava né si usciva.
Da qui arriviamo al weekend del 7 marzo. Sarei dovuta tornare a Torino l'8 marzo, domenica, quando sabato sera nella chat di lavoro mi scrivono che la Lombardia verrà chiusa.
Ero (e sono) in Lombardia.
In qualche modo alcuni giornali erano venuti in possesso della bozza del decreto che sarebbe uscito il giorno dopo e, a quanto pare, avevano intenzione di bloccare i movimenti da e verso la Lombardia a meno che non si fosse trattato di rientro al domicilio, di situazioni di lavoro oppure di salute.
Ero stata invitata a partire quella sera stessa ma ho fatto bene a non farlo. In stazione, presi dal panico, si sono riversate migliaia di persone che sono andate ad affollare i treni spargendo l'epidemia un po' ovunque (anche al Sud che fino ad allora era relativamente tranquillo).
Il giorno dopo, a decreto ufficializzato, ho deciso di non rientrare a Torino. Scelta un po' forzata dal fatto che Madre ha più di 70 anni e tornando l'avrei messa a rischio.
Quindi, scuole chiuse fino al 3 aprile e la follia della gente corsa al supermercato a fare incetta di generi alimentari. Seguono a ruota sui vari social le foto degli scaffali vuoti ai supermercati (tranne per le penne lisce, quelle non se l'è inculate nessuno, che cazzo a me piacciono un sacco le penne lisce). Il giorno successivo tutta l'Italia viene chiusa. Nessuno spostamento da e per nessuna località, necessità di autocertificazione per eventuali spostamenti (concessi solo per spesa, emergenze, lavoro e rientro a domicilio). Spesa uno per volta e a distanza di sicurezza di un metro (con code immense fuori dai supermercati per le grandi città). Niente assembramenti. Niente vicinanza. No in macchina in due. Le mascherine sono finite. Controlli a gogò sulle persone in giro. Sanzioni per chi fosse risultato con autocertificazione falsa.
L'apocalisse.
D'improvviso tutti in giro con la mascherina chirurgica (but, i virus hanno bisogno di filtri migliori e quindi non serve a un cazzo. La mascherina protegge dai batteri ma ai virus gli fa un baffo). Qualcuno con i guanti in nitrile.
Un buon romanzo distopico lo avrebbe già predetto (peccato non aver terminato e pubblicato il mio racconto cominciato più di un anno fa in cui parlo di un futuro - immaginario? - in cui non si può uscire di casa se non con la maschera antigas). Il contenimento è attuato, ogni giorno ci viene tolta un po' di libertà individuale (sì, è vero, ma concordo sul fatto che sia necessario). Ovviamente non si può più viaggiare.
Del va e vieni delle sbarre è stanco
L'occhio, tanto che nulla più trattiene.
Mille sbarre soltanto ovunque vede
E nessun mondo dietro mille sbarre.
Molle ritmo di passi che flessuosi e forti
Girano in minima circonferenza,
è una danza di forze intorno a un centro
ove stordito un gran volere dorme.
Solo dalle pupille il velo a volte
S'alza muto - . Un'immagine vi pènetra,
scorre la quiete tesa delle membra -
e nel cuore si smorza.
Noi siamo fortunati: oltre a essere in due abbiamo mille cose da fare e mille passioni. Proprio ieri abbiamo scattato delle foto a pellicola in casa e le abbiamo sviluppate, scansionate, catalogate. Sto leggendo tantissimo, sto seguendo un corso di javascript, suono (e a tratti scrivo).
Ma leggo notizie raccapriccianti sull'aumento delle violenze domestiche, di depressione, e anche nelle varie chat di Whatsapp la situazione non è delle migliori.
Ogni tanto videochattiamo tra amici, ci raccontiamo cosa cuciniamo (perché sì, ormai cucinare è uno dei pochi piaceri concessi e ci si impegna parecchio in questo senso).
Ma chi è il virus della SARS-Cov-2? Non se ne sa molto se non cose che tutti possono apprendere facendo una piccola ricerca. Intanto fa parte della famiglia dei retrovirus e del gruppo dei Coronavirus che come scrivevo poco più su provoca problemi respiratori. Dei coronavirus fanno parte le varie influenze stagionali, il raffreddore, e anche sindromi simili già vissute come la SARS-CoV.
Cosa sono i Coronavirus? Virus a RNA. I virus a RNA rispetto a quelli a DNA non hanno un enzima, la DNA polimerasi, che aggiusta le coppie di basi azotate in caso di errori (anche perché sono a catena singola e non a doppia catena, anche se esistono virus a RNA a doppia catena). Quindi i virus a DNA mutano di meno, perché si autocorreggono. I virus a RNA sono a singola catena, non hanno un enzima che li corregga perché non hanno "coppie" sbagliate quindi mutano più spesso. Ecco perché l'influenza stagionale è sempre diversa, muta ogni anno e ogni anno deve essere creato un vaccino ad hoc. Quanto in fretta muta il virus? Una volta preso ci si immunizza oppure muta così in fretta che ci si può di nuovo ammalare? Quando sarà pronto un vaccino?
Pronostici pessimisti parlano di normalità tra circa un anno, qualcuno spera ancora di farsi una pasquetta da qualche parte.
Intanto per divagare e tenermi impegnata scrivo questi appunti, per ricordarmi come è ora quando tutto sarà passato.
E se fossi rimasta a Torino?
Sicuramente non avrei visto C per tanto tempo, avrei continuato a lavorare (il fronte lavoro merita un capitolo a parte, lunghissimo e non ancora terminato). Per andare al lavoro avrei preso almeno 4 bus al giorno con il rischio di infettarmi e di infettare Madre e Nipote che ora sono nella stessa casa. Di certo non mi sarei bruciata tutte le ferie. Non sarei riuscita a leggere/scrivere/suonare. Forse finora sarebbe cambiato poco. Avrei passato molto meno tempo al telefono. Forse mi sarei imbruttita (cerco di sistemarmi ogni giorno, truccarmi e vestirmi, anche se spesso è dura). Avrei cercato di imparare ad andare in bici nel cortile di casa. Avrei dovuto recuperare probabilmente una mascherina.
Sarei stata costretta a sentire questi stupidi concerti dal balcone (vi piacciono? Anche no. Essere obbligati ad ascoltare musica per me è una forma di violenza).
La verità è che la vita è cambiata radicalmente. Non si tratta solo di "abitudini" ma proprio del modo che abbiamo di portare avanti le cose, dei nostri schemi mentali.
La frustrazione ci porta a odiare chi può uscire o chi finora era autorizzato a farlo (i runners ad esempio). La camionetta della protezione civile passa sotto casa ricordando a tutti di non uscire se non per estrema urgenza.
Ci si ritrova in chat con gli amici a chiedersi quale mascherina sia meglio, se la fpp2 o la fpp3 (la prima è più che sufficiente, la seconda se stai in laboratorio, ecco). Scopri nuovi complottisti tra le conoscenze di Facebook e sei indeciso se bloccarle o meno, ma poi bestemmi tra te e te perché alla fine queste minchiate complottiste ti fanno ridere e magari fai pure un like così si convincono di avere ragione e continueranno a scrivere cose che poi screenshotterai per condividerle con amici più solidi che rideranno insieme a te. Improvvisamente ti viene voglia di uscire quando nella vita i tuoi weekend avresti voluto passarli morendo sul divano con una tisana e Netflix, o una birra e Netflix, o patatine e Netflix. Di sicuro vorremmo più abbracci quando li abbiamo snobbati finora da bravi asociali.
Ecco forse io soffro meno in questo momento perché siamo in due e non vivo personalmente situazioni a rischio nemmeno dei miei cari. Conosco poche persone a Bergamo o dintorni (che sono al sicuro perché sento), i sani di mente a Milano non escono, la mia famiglia a Torino la sento tutti i giorni e sono relativamente al sicuro anche se poco tranquilli.
Fuori dalla finestra un paio di laghi, montagne che creano vallate, gazze che si rincorrono in cielo.
A Venezia i delfini si affacciano in laguna che, finalmente, ha l'acqua trasparente.
Certe cose accadono per una ragione, direbbe il mio collega meditativo, e oggi più che mai mi sembra che abbiamo perso davvero di vista le cose importanti, che dobbiamo ristabilire delle priorità ed è davvero un peccato che cia voluta quasi una zombie apocalypse a ricordarcelo.
Canzone del giorno:
One Metallica
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01 giugno 2018
No makeup: day #5 & #6
Io invece ti propongo una cosaNessuno dica che non ci ho provato, ma da domani riprenderò ad abbellirmi il visino. Questa settimana mi sono sorbita ogni cosa. Dal blando "Ma perché non ti trucchi più?" al "Miodio che faccia sbattuta" passando per "Ma poi riprendi a truccarti, vero?".
La prossima settimana aggiungi solo un trucco
Poi la settimana dopo un altro
Mi uccidi così
Troviamo un punto d'incontro
Se lo scopo è abbassare la mia autostima già sotto le scarpe, ci stai riuscendo bene eh
Non è colpa mia se sei circondata da rincoglioniti la cui massima aspirazione è tornare a casa la sera per mettersi le ciabatte nuove prese alla rinascente pagate 150 euro e mettersi a guardare uomini e donne.
Eh magari fosse come tu dici
Il mio intento era farti capire che stai bene senza trucco. Però per fare sta roba bisogna procedere per gradi, quindi per questo ti proponevo di aggiungere un solo trucco. Scoprire in che modo puoi sentirti bene senza necessariamente coprirti.
Non siamo abituate a non truccarci, e i maschietti sono abituati a vederci colorate. In un mondo che gira un po' al contrario (in molte specie animali sono i maschi ad abbellirsi per conquistare la femmina, ma anche in molte tribù selvagge) ci sentiamo anche merce da mettere in mostra. Un po' per noi stesse, i canoni estetici li subiamo anche noi, e un po' per seduzione.
Nel mio caso (anche) per tamponare la mia infinita insicurezza.
Devo ammettere che è stato comodo potersi strofinare gli occhi, potersi preparare al mattino in meno tempo, potersi anche grattare la guancia senza levarsi strati di fondotinta e sembra una sorta di zebra rosata.
Ma il gioco non vale la candela. Il mio stato esteriore riflette il mio stato interiore. E vedermi così ha provocato un rimando non piacevole.
Che ognuno stia bene come si sente, senza doversi coprire o scoprire, truccare o smacchiare. Che si possano indossare jeans o gonne, corte e lunghe, che ci si possa pettinare o spettinare alla meno peggio, che ognuno si senta bella o bello come meglio crede.
Io, che sto facendo un grosso lavoro di riqualifica esteriore (perché dentro sono già bellissima, me l'ha detto il radiologo - bhe, schiena a parte - ah ah ah), in questa settimana ho subito un regresso che volevo provare ma ripeto non ne è valsa la pena.
Sì alla riduzione, in caso di fretta o di viaggi dall'altra parte del mondo. Evviva per le fortunate che sventolano la propria bellezza acqua e sapone (che, a meno di non avere viso perfetto ed età intorno ai 20 anni, è frutto di un makeup ad hoc più lungo e accurato del mio) ma per chi si deve arrangiare e non è proprio miss Italia che faccia un po' come gli pare, ecco.
Mi piacerebbe pensare, e una parte di me è molto arrabbiata con me stessa per quanto sto per scrivere, che il mondo sia un posto dove le persone si incrociano per interessi più che per prime impressioni o che, meglio, le prime impressioni estetiche non siano così impattanti da impedire o permettere futuri incontri e chiacchiere. Ma non è così. Per lo meno per me non è mai stato così.
Forse lo potrebbe essere ma ho speso troppo tempo a cercare di schivare i colpi che arrivavano, lievi come palle da baseball dirette sul capo dal campione lanciatore di baseball, che ora non posso immaginare di fare altrimenti.
O almeno non basta una settimana senza trucco.
E, temo, nemmeno 1 anno di psicoterapia.
Un post condiviso da Carla Colombo (@cleena) in data:
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Ma domani, gita a Cömo. Ho bisogno.
05 gennaio 2018
Capodanno in Family e di altre cose
Non avete idea che gioia essere stata invitata dalla Family di Cömo per festeggiare capodanno tutti insieme. Mi mancano, mi mancano tanto. È vero, qui a Torino ho tante persone e amici che frequento, mi sto costruendo piano piano una mia realtà. È più difficile vivere una quotidianità con un gruppo di amici perché sono piccoli gruppi scollegati tra loro che però avrei piacere di unire.
Ecco perché l'altroieri sono uscita insieme a persone in apparenza scollegate tra loro ma con molto in comune (e mi pare ci siamo trovati tutti bene, confido in altre divertenti uscite).
Ma torniamo a capodanno.
L'idea era quella di una serata tranquilla da Flavio e Tahio, dove Alvaro e AlessanFro (detto kebab per i motivi che spiegherò) ci avrebbero raggiunto.
Fare un falò tranquilli e una bella grigliata. Il freddo non ci ha fermati, la pioggia non ci ha fermati, anche se AlessanFro si girava in continuazione per scaldarsi il davanti e il retro (ecco perché "kebab") e si lamentava in continuazione del freddo. Sì, faceva freddo, sì pioveva. Tutti lo sentivamo, ma in quel fuoco in cui io vedevo un anno passato da abbandonare, scaldava più di quanto potessi immaginare.
La serata è stata tranquilla ed è proseguita in casa giocando a Cards Against Humanity (Cards Against Humanity is a party game for horrible people), un gioco di cattiveria e perfidia in cui io perdo sempre, non perché io non sia perfida e cattiva, ma l'inglese mi frega. Maledetta linguaccia.
Tutti abbiamo espresso desideri che non abbiamo rivelato, ho ricevuto tanti auguri copiaincolla da Whatsapp e ho risposto con altrettanti auguri stizziti in cui rivelavo in modo ironico che questo tipo di augurio non era gradito.
Se mi stai pensando, pensi a me, e scrivi a me. Se sei troppo pigro per farlo, non farlo.
Eravamo già un po' distruttini dopo mezzanotte e così verso le 2 siamo andati a nanna e io il giorno seguente sono ripartita. Un po' il raffreddore, un po' anche il desiderio di rientrare, un po' il fatto che viaggiando con i treni lenti ci metto minimo 3 ore.
Ma sono tornata in quella che ora identifico come casa, seppur condivisa, seppur vivendo in un minuscolo stanzino.
In tutto questo sono rientrata su Facebook, che avevo cancellato il mio account. Chiedo poche amicizie ma me ne arrivano tante e Med non mi conferma l'amicizia. Sarà che il nome non è il mio?
Forse Med è una delle poche ragioni per cui sono tornata, dato che non ho altri mezzi per rintracciarlo.
Comunque.
Torno e ci mettiamo d'accordo per andare al MEF: io, Vale, Lys e il sardosabaudo. Vale però non può, così siamo in tre e andiamo a vedere la mostra sui Tarocchi: molto bella.
Proseguiamo poi andando al bar sardo, dove beviamo un paio di bicchieri e mezzo di Nepente (un cannonau) e infine al Pastis dove non posso non prendere il pastis. La compagnia che si è creata è davvero mitica e mi piacerebbe poter passare altro tempo insieme. Così progettiamo di andare a una serata frocia al bar dei froci (mi permetto di dirlo ma non posso spiegarlo), e di andare a una serata kinky. Perché no, magari anche al centro sociale. Questa unione di menti così diverse mi stimola.
Il giorno dopo mal di testa e nausea. Ma cavoletti, possibile che io non regga così tanto da stare male dopo aver bevuto così poco?
Un goccio di caffè che pare faccia passare il mal di testa e niente, vomito.
Peccato che alla sera il water sia diventato mio amico, così penso di aver preso quella terribile forma influenzale che sta girando ma nonostante tutto, i rumori della mia pancia (che continua a mormorare GluGlu), la sensazione di pienezza di stomaco e via dicendo, FINORA non è successo nulla.
Mi drogo di fermenti lattici e vediamo, magari scopro di avere il fisico (se se come no) più resistente di quanto possa credere.
Nel frattempo manca una settimana per ritirare il referto, incrociamo le dita e speriamo che non sia niente.
Ora, perdonatemi, ma corro alla toilette.
Ecco perché l'altroieri sono uscita insieme a persone in apparenza scollegate tra loro ma con molto in comune (e mi pare ci siamo trovati tutti bene, confido in altre divertenti uscite).
Ma torniamo a capodanno.
L'idea era quella di una serata tranquilla da Flavio e Tahio, dove Alvaro e AlessanFro (detto kebab per i motivi che spiegherò) ci avrebbero raggiunto.
Fare un falò tranquilli e una bella grigliata. Il freddo non ci ha fermati, la pioggia non ci ha fermati, anche se AlessanFro si girava in continuazione per scaldarsi il davanti e il retro (ecco perché "kebab") e si lamentava in continuazione del freddo. Sì, faceva freddo, sì pioveva. Tutti lo sentivamo, ma in quel fuoco in cui io vedevo un anno passato da abbandonare, scaldava più di quanto potessi immaginare.
La serata è stata tranquilla ed è proseguita in casa giocando a Cards Against Humanity (Cards Against Humanity is a party game for horrible people), un gioco di cattiveria e perfidia in cui io perdo sempre, non perché io non sia perfida e cattiva, ma l'inglese mi frega. Maledetta linguaccia.
Tutti abbiamo espresso desideri che non abbiamo rivelato, ho ricevuto tanti auguri copiaincolla da Whatsapp e ho risposto con altrettanti auguri stizziti in cui rivelavo in modo ironico che questo tipo di augurio non era gradito.
Se mi stai pensando, pensi a me, e scrivi a me. Se sei troppo pigro per farlo, non farlo.
Eravamo già un po' distruttini dopo mezzanotte e così verso le 2 siamo andati a nanna e io il giorno seguente sono ripartita. Un po' il raffreddore, un po' anche il desiderio di rientrare, un po' il fatto che viaggiando con i treni lenti ci metto minimo 3 ore.
Ma sono tornata in quella che ora identifico come casa, seppur condivisa, seppur vivendo in un minuscolo stanzino.
In tutto questo sono rientrata su Facebook, che avevo cancellato il mio account. Chiedo poche amicizie ma me ne arrivano tante e Med non mi conferma l'amicizia. Sarà che il nome non è il mio?
Forse Med è una delle poche ragioni per cui sono tornata, dato che non ho altri mezzi per rintracciarlo.
Comunque.
Torno e ci mettiamo d'accordo per andare al MEF: io, Vale, Lys e il sardosabaudo. Vale però non può, così siamo in tre e andiamo a vedere la mostra sui Tarocchi: molto bella.
Proseguiamo poi andando al bar sardo, dove beviamo un paio di bicchieri e mezzo di Nepente (un cannonau) e infine al Pastis dove non posso non prendere il pastis. La compagnia che si è creata è davvero mitica e mi piacerebbe poter passare altro tempo insieme. Così progettiamo di andare a una serata frocia al bar dei froci (mi permetto di dirlo ma non posso spiegarlo), e di andare a una serata kinky. Perché no, magari anche al centro sociale. Questa unione di menti così diverse mi stimola.
Il giorno dopo mal di testa e nausea. Ma cavoletti, possibile che io non regga così tanto da stare male dopo aver bevuto così poco?
Un goccio di caffè che pare faccia passare il mal di testa e niente, vomito.
Peccato che alla sera il water sia diventato mio amico, così penso di aver preso quella terribile forma influenzale che sta girando ma nonostante tutto, i rumori della mia pancia (che continua a mormorare GluGlu), la sensazione di pienezza di stomaco e via dicendo, FINORA non è successo nulla.
Mi drogo di fermenti lattici e vediamo, magari scopro di avere il fisico (se se come no) più resistente di quanto possa credere.
Nel frattempo manca una settimana per ritirare il referto, incrociamo le dita e speriamo che non sia niente.
Ora, perdonatemi, ma corro alla toilette.
19 giugno 2017
La scuola è finitaAndate in pace.
Questo weekend appena passato è stato l'ultimo ufficiale di scuola. Dopo più di un anno passato a vivere a Firenze un weekend ogni due tra corse, treni, risate, bevute, separazioni, arrancamenti, fotografie belle e orrende, chiacchierate tra amici, compagni e (spero) futuri colleghi mi trovo ora a tirare le somme di questo anno scolastico e fare i dovuti ringraziamenti.
Le persone non sono assolutamente in ordine di importanza, per me è necessario semplicemente ricordare cosa ognuno ha fatto per me, direttamente o indirettamente, per portare a termine la scuola.
Amici latinos: dentro ci metto tutti, anche i non latinos perché il mio cuore è del Sud. Perché mi avete ricordato come gioire delle piccole cose, perché se è risolvibile non è grave.
La mia piccola cattiveria in formato concentrato, Tahio, perché l'ho adorata dal primo istante per la sua ironia, la sua spontaneità e perché mai si è negata quando avevo bisogno.
Flap per quella volta che ci siamo messi tutti a piedi nudi seduti sul lungolago (prendendoti come esempio, ovviamente). La libertà è fatta di queste piccole cose. E perché mi hai proposto come fotografa quando c'è stato bisogno, hai alimentato lo sblocco delle mie paure.
AlessanFro: il mio rude tatuato con il cuore di panna, che non ama essere abbracciato ma c'è quando ho avuto bisogno. Alcuni tuoi consigli sono stati utili anche se io sono sempre la tua amica inutile (dai capelli colorati).
Àlvaro: la tua creatività è sorprendente e anche se capisco la metà di quello che dici (lo sai che scherzo - "risposta incomprensibile") la tua aggiunta al gruppo è stata fondamentale. Sai più cose tu di fotografia di quante ne so io alla fine della scuola e sarai sempre una fonte inesauribile di spunti per me. Grazie.
Amici torinesi, mi avete aiutata in questo difficile ritorno.
Gigi, sai quanto sei importante per me. Mi hai aiutata a ridere, ad andare in bici (ehm), a tornare in pattini. Mi hai rimesso in mano il basso e mi hai sorretta in tutto questo periodo. Posso tranquillamente dire che se non sono troppo stanca da tutto è perché mi hai praticamente portata in braccio per tutto questo tempo. Sono cose che non scorderò mai: la tua dolcezza potrebbe salvare il mondo (ora puoi tornare a fare il cattivo e arrabbiato metallaro, vai). Grazie per aver guardato le mie foto con le emozioni e senza la tecnica, perché quest'ultima si può applicare con il tempo e l'impegno ma se in una foto non c'è emozione non c'è nulla. Lorenzo, hai il potere di farmi ridere di gusto e in maniera sguaiata. Hai pubblicato mie foto che non erano stupende ma credi in me e questa è una cosa bellissima. E grazie a entrambi per il trasloco. Non so come avrei fatto senza di voi.
Ragno B, che mi sei venuta a prendere a Cömo replicando il viaggio fatto 6 anni prima dalla Toscana a Firenze. Per fortuna non è stata l'esatta replica e il ritorno ha avuto un sapore alla Thelma e Louise ma con lieto fine. Sei con me dalle elementari e ti voglio più bene di quanto riesca a dimostrarti.
Cristiano, un capitolo a parte, il mio mentore. Dietro quel guscio da orso si nasconde un occhio sensibile e attento, non solo per le foto. Ti ringrazio, mille e anche più volte, per aver criticato le mie foto nel bene e nel male, per avermi aiutato mettendoci del tuo senza mai chiedere nulla in cambio e per avermi dedicato tempo, la cosa più preziosa che abbiamo.
Amici fiorentini, Marco, Giada, Gianni, Laura, Germana, Steno. Non vi siete tirati indietro quando ho avuto bisogno di ospitalità a Firenze, una volta tornata a Torino senza lavoro e con pochi soldi. Avete ascoltato con interesse i miei racconti sulla scuola, abbiamo condiviso bellissime serate e mi avete persino portata a mangiare un'ottima fiorentina come avevo promesso di fare a termine dell'anno scolastico. Mi avete convinta a portare a termine la scuola nonostante io stessi quasi per mollare ("Tanto non mi serve il diploma, dai") e devo dire che è stato un ottimo consiglio.
Compagni di classe. Il confronto con voi è stato un terrore quasi paralizzante all'inizio, eppure il mio pragmatismo mi ha portato in là e le nostre discussioni sulle foto, sui progetti e sul futuro mi hanno fatto migliorare tantissimo. Con quasi tutti ho stretto un rapporto incredibile e soprattutto con i ragazzi del B&B (che abbiamo occupato praticamente tutti insieme) le storie si sono intrecciate, le confidenze ingarbugliate e alla fine, sì, siamo diventati amici. Daniela, come avrei fatto senza di te? Sapevi cosa dirmi e quando dirlo e ogni volta che mi hai chiesto un consiglio fotografico o un consulto è per me stata una pietrolina di autostima in più.
Grazie.
Professori! Per voi un capitolo a parte ma SOLO una volta completato l'esame, suvvia, non mi voglio conquistare voti a caso.
Familiari, Madre e sorellanza, cosa posso dire che non possiate già sapere?
Ultimo nell'elenco ma assolutamente primo in ordine di importanza, Fry, ovvero Iolao.
Iolao senza di te non sarebbe stato possibile nulla di tutto ciò. Quasi in lacrime ti avevo parlato di questo sogno tenuto nel cassetto da quando vivevamo a Bologna perché temevo lo reputassi un sognomatto, un altro dei miei, una cosa da fare a metà come tutto il resto. Invece no, mi hai appoggiata, eri entusiasta almeno come me all'inizio anche se ti ho chiesto di rimanere in disparte, di non darmi consigli perché non volevo che mi influenzassi e non volevo fare cose solo per compiacerti.
Hai creduto tanto in me, mi hai permesso di lasciare il lavoro e di dedicarmi solo alla scuola.
Sono cose che non potrò mai dimenticare.
Vi amo, vi amo, vi amo fortemente tutti.
Se ho scordato qualcuno non fatemene una colpa: la mia memoria non è grande come il mio cuore.
Canzone del giorno: Amen Dunes Song to the Siren
Le persone non sono assolutamente in ordine di importanza, per me è necessario semplicemente ricordare cosa ognuno ha fatto per me, direttamente o indirettamente, per portare a termine la scuola.
Amici latinos: dentro ci metto tutti, anche i non latinos perché il mio cuore è del Sud. Perché mi avete ricordato come gioire delle piccole cose, perché se è risolvibile non è grave.
La mia piccola cattiveria in formato concentrato, Tahio, perché l'ho adorata dal primo istante per la sua ironia, la sua spontaneità e perché mai si è negata quando avevo bisogno.
Flap per quella volta che ci siamo messi tutti a piedi nudi seduti sul lungolago (prendendoti come esempio, ovviamente). La libertà è fatta di queste piccole cose. E perché mi hai proposto come fotografa quando c'è stato bisogno, hai alimentato lo sblocco delle mie paure.
AlessanFro: il mio rude tatuato con il cuore di panna, che non ama essere abbracciato ma c'è quando ho avuto bisogno. Alcuni tuoi consigli sono stati utili anche se io sono sempre la tua amica inutile (dai capelli colorati).
Àlvaro: la tua creatività è sorprendente e anche se capisco la metà di quello che dici (lo sai che scherzo - "risposta incomprensibile") la tua aggiunta al gruppo è stata fondamentale. Sai più cose tu di fotografia di quante ne so io alla fine della scuola e sarai sempre una fonte inesauribile di spunti per me. Grazie.
Amici torinesi, mi avete aiutata in questo difficile ritorno.
Gigi, sai quanto sei importante per me. Mi hai aiutata a ridere, ad andare in bici (ehm), a tornare in pattini. Mi hai rimesso in mano il basso e mi hai sorretta in tutto questo periodo. Posso tranquillamente dire che se non sono troppo stanca da tutto è perché mi hai praticamente portata in braccio per tutto questo tempo. Sono cose che non scorderò mai: la tua dolcezza potrebbe salvare il mondo (ora puoi tornare a fare il cattivo e arrabbiato metallaro, vai). Grazie per aver guardato le mie foto con le emozioni e senza la tecnica, perché quest'ultima si può applicare con il tempo e l'impegno ma se in una foto non c'è emozione non c'è nulla. Lorenzo, hai il potere di farmi ridere di gusto e in maniera sguaiata. Hai pubblicato mie foto che non erano stupende ma credi in me e questa è una cosa bellissima. E grazie a entrambi per il trasloco. Non so come avrei fatto senza di voi.
Ragno B, che mi sei venuta a prendere a Cömo replicando il viaggio fatto 6 anni prima dalla Toscana a Firenze. Per fortuna non è stata l'esatta replica e il ritorno ha avuto un sapore alla Thelma e Louise ma con lieto fine. Sei con me dalle elementari e ti voglio più bene di quanto riesca a dimostrarti.
Cristiano, un capitolo a parte, il mio mentore. Dietro quel guscio da orso si nasconde un occhio sensibile e attento, non solo per le foto. Ti ringrazio, mille e anche più volte, per aver criticato le mie foto nel bene e nel male, per avermi aiutato mettendoci del tuo senza mai chiedere nulla in cambio e per avermi dedicato tempo, la cosa più preziosa che abbiamo.
Amici fiorentini, Marco, Giada, Gianni, Laura, Germana, Steno. Non vi siete tirati indietro quando ho avuto bisogno di ospitalità a Firenze, una volta tornata a Torino senza lavoro e con pochi soldi. Avete ascoltato con interesse i miei racconti sulla scuola, abbiamo condiviso bellissime serate e mi avete persino portata a mangiare un'ottima fiorentina come avevo promesso di fare a termine dell'anno scolastico. Mi avete convinta a portare a termine la scuola nonostante io stessi quasi per mollare ("Tanto non mi serve il diploma, dai") e devo dire che è stato un ottimo consiglio.
Compagni di classe. Il confronto con voi è stato un terrore quasi paralizzante all'inizio, eppure il mio pragmatismo mi ha portato in là e le nostre discussioni sulle foto, sui progetti e sul futuro mi hanno fatto migliorare tantissimo. Con quasi tutti ho stretto un rapporto incredibile e soprattutto con i ragazzi del B&B (che abbiamo occupato praticamente tutti insieme) le storie si sono intrecciate, le confidenze ingarbugliate e alla fine, sì, siamo diventati amici. Daniela, come avrei fatto senza di te? Sapevi cosa dirmi e quando dirlo e ogni volta che mi hai chiesto un consiglio fotografico o un consulto è per me stata una pietrolina di autostima in più.
Grazie.
Professori! Per voi un capitolo a parte ma SOLO una volta completato l'esame, suvvia, non mi voglio conquistare voti a caso.
Familiari, Madre e sorellanza, cosa posso dire che non possiate già sapere?
Ultimo nell'elenco ma assolutamente primo in ordine di importanza, Fry, ovvero Iolao.
Iolao senza di te non sarebbe stato possibile nulla di tutto ciò. Quasi in lacrime ti avevo parlato di questo sogno tenuto nel cassetto da quando vivevamo a Bologna perché temevo lo reputassi un sognomatto, un altro dei miei, una cosa da fare a metà come tutto il resto. Invece no, mi hai appoggiata, eri entusiasta almeno come me all'inizio anche se ti ho chiesto di rimanere in disparte, di non darmi consigli perché non volevo che mi influenzassi e non volevo fare cose solo per compiacerti.
Hai creduto tanto in me, mi hai permesso di lasciare il lavoro e di dedicarmi solo alla scuola.
Sono cose che non potrò mai dimenticare.
Vi amo, vi amo, vi amo fortemente tutti.
Se ho scordato qualcuno non fatemene una colpa: la mia memoria non è grande come il mio cuore.
Canzone del giorno: Amen Dunes Song to the Siren
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29 aprile 2017
A Cömo c'è il mare
A Cömo c'è il mare. Per lo meno nel mio sogno.
Stiamo andando lì, guidando per strade in discesa tra villini bianchi e palme, un misto tra Guglionesi e San Francisco, finché non mi accorgo di non avere il costume addosso. Mi rimproveri e torniamo indietro, a casa, a prenderlo. Ma mi scordo di nuovo e dopo avermi rimproverato ancora andiamo in farmacia, sul mare. Parcheggiamo male la macchina che non è rossa come nella realtà ed entriamo. Ma non è una farmacia, sembra vendere rimedi esoterici e anche lì mi scordo del costume. Penso che sia uno spreco di soldi prenderne uno nuovo quando ce ne sono due a casa ad aspettarmi, quasi nuovi, per lo più. Mi chiedi come facciamo ad arrivare al mare, e ti dico che ci saranno dei gradini o qualcosa del genere per scendere.
Guardo il mare di sotto, il cielo è nuvoloso, le onde alte e minacciose. Quando raggiungono la riva l'acqua arriva lontano e crea una seconda pozzanghera di acqua poco più avanti.
Non vorrei scendere.
Scendiamo.
C'è un asciugamano in un posto riparato e ci sediamo lì, anche se ben presto arriva una donna dai tratti sudamericani con una bambina piccola che ci fa cenno di rimanere.
Penso che anche con le mutandine e in topless posso entrare in acqua ma quando apro la patta dei pantaloni è subito chiaro che non è possibile. Sono minuscole e lasciano tutto scoperto.
Guardo il mare, ne ascolto il suono e sento il vento freddo sulla pelle. E sento una tristezza infinita addosso.
Stiamo andando lì, guidando per strade in discesa tra villini bianchi e palme, un misto tra Guglionesi e San Francisco, finché non mi accorgo di non avere il costume addosso. Mi rimproveri e torniamo indietro, a casa, a prenderlo. Ma mi scordo di nuovo e dopo avermi rimproverato ancora andiamo in farmacia, sul mare. Parcheggiamo male la macchina che non è rossa come nella realtà ed entriamo. Ma non è una farmacia, sembra vendere rimedi esoterici e anche lì mi scordo del costume. Penso che sia uno spreco di soldi prenderne uno nuovo quando ce ne sono due a casa ad aspettarmi, quasi nuovi, per lo più. Mi chiedi come facciamo ad arrivare al mare, e ti dico che ci saranno dei gradini o qualcosa del genere per scendere.
Guardo il mare di sotto, il cielo è nuvoloso, le onde alte e minacciose. Quando raggiungono la riva l'acqua arriva lontano e crea una seconda pozzanghera di acqua poco più avanti.
Non vorrei scendere.
Scendiamo.
C'è un asciugamano in un posto riparato e ci sediamo lì, anche se ben presto arriva una donna dai tratti sudamericani con una bambina piccola che ci fa cenno di rimanere.
Penso che anche con le mutandine e in topless posso entrare in acqua ma quando apro la patta dei pantaloni è subito chiaro che non è possibile. Sono minuscole e lasciano tutto scoperto.
Guardo il mare, ne ascolto il suono e sento il vento freddo sulla pelle. E sento una tristezza infinita addosso.
01 febbraio 2017
L'ordine naturale delle (mie) cose
Capitolo 1: Firenze.
Firenze è e sarà sempre una città a cui sono molto legata. Nonostante sia difficile legare con i fiorentini, quei pochi che mi hanno lasciata entrare mi hanno totalmente aperto e fatto aprire il cuore.
Firenze è la città della mia scuola, sgangherata, costosa, inaffidabile. Quella però che comunque mi ha aiutata a modificare il mio sguardo, a migliorarlo anche se mi aspettavo probabilmente di più.
A luglio la mia scuola terminerà e a breve comincerò lo stage, ma di questo vi racconterò dopo.
Quello che mi mancherà di questo nuovo capitolo di Firenze è l'essermi affezionata a persone che non rivedrò probabilmente più. Che poi sono stronza, non lo ammetto volentieri ora, ma il pensiero già fa un po' male.
Ci tengo così tanto che nonostante lo sciopero dei treni regionali in Lombardia questo venerdì, ho accettato di provare blablacar per andare giù: tutto bene, sono viva. Ma uno dei passeggeri con l'alito di birra non è stato facile da reggere. Soprattutto l'odore, ahah.
Capitolo 2: Torino.
Torino è la mia città. Quando dico la mia città, non intendo la mia città preferita: sarebbe banale. È quella in cui ho riposto i miei punti strategici, quelli di riferimento. È quella che riscopro ogni volta che ci torno, è quella che amo passeggiare più di tutte. Ci sono stata un paio di settimane fa, il cielo era limpido e la vista delle Alpi innevate mi mancava come l'ossigeno. E così ho respirato quel panorama, così ho girato angoli diversi: capannoni abbandonati, collina, paesaggi lunari di vecchie fabbriche. E ho rivisto amici che erano solo conoscenti ma mi hanno regalato un paio di serate in cui ricordo di avere riso come era tantissimo tempo che non accadeva. E nulla di elaborato attorno: un pub economico, un vecchio tavolino, un personaggio assurdo. Un mesetto fa circa un mio compagno di corso mi raccontava di non avere amici, ma solo conoscenze. Un unico amico che abitava lontano.
Mi sentivo anche io così selettiva ma ora quando qualcuno mi dedica del tempo e mi regala qualche risata, mi sta facendo il dono più grande che posso immaginare.
Ho riso con accento gianduiotto, tra un "Diofà", un "neh" e un "bom" e l'avere riscoperto queste due persone mi ha tranquillizzato come non potevo nemmeno immaginare.
Per cui grazie.
Ah ho partecipato a uno stage di Naginata, una sorta di spada giapponese. Chi mi ci ha trascinato? L'unica comparabile a me, come follia: mia sorella.
P.s. La visita tuttapposto: al solito nodulini attorno alla tiroide. Al solito "non preoccuparti".
Capitolo 3: Cömo.
Mi piace Cömo ma è come se qui non ci fosse più nulla da vedere. Scalpito per andare via, come se sentissi che questo posto, che comunque adoro, che comunque mi piace, non fosse più la mia città. In media dopo un po' sento il bisogno di vivere in un altro luogo e il posto in cui vorrei è decisamente Berlino. Ma Fry detesta il freddo, che io invece comincio ad apprezzare. Spostarsi poi così lontano è complicato. A fine marzo farò 4 giorni lassù, sarà per me la quarta volta. Le persone mi chiedono cosa io ci trovi ma non lo so spiegare. Probabilmente perché Berlino non è Germania, probabilmente per la storia contradditoria, per la separazione interna, per l'ambiente multiculturale che si respira, per l'arte, la musica, la capacità di rinnovarsi che noi non abbiamo. Ma è così: si respirano opportunità a Berlino, che non significano soldi, significano possibilità. La Svizzera ci ha regalato del denaro ma Berlino mi regala sogni.
Capitolo 4: Facebook.
Ho disattivato l'account da qualche settimana. L'iniziale decisione era di non riattivarlo prima di un mese, ma sto pensando di non riattivarlo più.
Sapete cosa mi manca, anzi chi? L'unica persona che non posso raggiungere su altri sistemi: Med.
Quando l'ho avvisato che sarei stata un po' fuori dal giro e gli ho dato il mio numero per potermi aggiungere su whatsapp mi ha detto un malinconico "Mi mancherai".
Non so perché non mi scriva con altri mezzi, però il 9 febbraio è la scadenza del mese e dovrei decidere. Giusto perché siamo in tema, Medioformato è la pagina in cui ci sono le mie foto, se volete dare loro un occhio.
Capitolo 5: Me.
Me stessa è il luogo che più amo e più odio. È difficile da spiegare. Mi sento come il nastro di Möbius, che pare a una sola facciata ma a metà percorso ti accorgi di essere dall'altro lato. E ogni giorno, sto bene e sto male, voglio una cosa ma anche un'altra, desidero stare qui e desidero partire. Faccio così fatica a starmi dietro che alla fine lascio che ogni cosa vada come deve andare.
Ultima cosa ma non meno importante, sono felicemente in possesso di una fuji X-T1, ho venduto la canon eos 7D e presto scriverò una recensione. Adoro questa macchina ma ha dei piccoli limiti superabili.
Canzone del giorno: What's up 4 non blondes
Firenze è e sarà sempre una città a cui sono molto legata. Nonostante sia difficile legare con i fiorentini, quei pochi che mi hanno lasciata entrare mi hanno totalmente aperto e fatto aprire il cuore.
Firenze è la città della mia scuola, sgangherata, costosa, inaffidabile. Quella però che comunque mi ha aiutata a modificare il mio sguardo, a migliorarlo anche se mi aspettavo probabilmente di più.
A luglio la mia scuola terminerà e a breve comincerò lo stage, ma di questo vi racconterò dopo.
Quello che mi mancherà di questo nuovo capitolo di Firenze è l'essermi affezionata a persone che non rivedrò probabilmente più. Che poi sono stronza, non lo ammetto volentieri ora, ma il pensiero già fa un po' male.
Ci tengo così tanto che nonostante lo sciopero dei treni regionali in Lombardia questo venerdì, ho accettato di provare blablacar per andare giù: tutto bene, sono viva. Ma uno dei passeggeri con l'alito di birra non è stato facile da reggere. Soprattutto l'odore, ahah.
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Firenze, Piazza Santa Croce |
Capitolo 2: Torino.
Torino è la mia città. Quando dico la mia città, non intendo la mia città preferita: sarebbe banale. È quella in cui ho riposto i miei punti strategici, quelli di riferimento. È quella che riscopro ogni volta che ci torno, è quella che amo passeggiare più di tutte. Ci sono stata un paio di settimane fa, il cielo era limpido e la vista delle Alpi innevate mi mancava come l'ossigeno. E così ho respirato quel panorama, così ho girato angoli diversi: capannoni abbandonati, collina, paesaggi lunari di vecchie fabbriche. E ho rivisto amici che erano solo conoscenti ma mi hanno regalato un paio di serate in cui ricordo di avere riso come era tantissimo tempo che non accadeva. E nulla di elaborato attorno: un pub economico, un vecchio tavolino, un personaggio assurdo. Un mesetto fa circa un mio compagno di corso mi raccontava di non avere amici, ma solo conoscenze. Un unico amico che abitava lontano.
Mi sentivo anche io così selettiva ma ora quando qualcuno mi dedica del tempo e mi regala qualche risata, mi sta facendo il dono più grande che posso immaginare.
Ho riso con accento gianduiotto, tra un "Diofà", un "neh" e un "bom" e l'avere riscoperto queste due persone mi ha tranquillizzato come non potevo nemmeno immaginare.
Per cui grazie.
Ah ho partecipato a uno stage di Naginata, una sorta di spada giapponese. Chi mi ci ha trascinato? L'unica comparabile a me, come follia: mia sorella.
P.s. La visita tuttapposto: al solito nodulini attorno alla tiroide. Al solito "non preoccuparti".
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Capitolo 3: Cömo.
Mi piace Cömo ma è come se qui non ci fosse più nulla da vedere. Scalpito per andare via, come se sentissi che questo posto, che comunque adoro, che comunque mi piace, non fosse più la mia città. In media dopo un po' sento il bisogno di vivere in un altro luogo e il posto in cui vorrei è decisamente Berlino. Ma Fry detesta il freddo, che io invece comincio ad apprezzare. Spostarsi poi così lontano è complicato. A fine marzo farò 4 giorni lassù, sarà per me la quarta volta. Le persone mi chiedono cosa io ci trovi ma non lo so spiegare. Probabilmente perché Berlino non è Germania, probabilmente per la storia contradditoria, per la separazione interna, per l'ambiente multiculturale che si respira, per l'arte, la musica, la capacità di rinnovarsi che noi non abbiamo. Ma è così: si respirano opportunità a Berlino, che non significano soldi, significano possibilità. La Svizzera ci ha regalato del denaro ma Berlino mi regala sogni.
Capitolo 4: Facebook.
Ho disattivato l'account da qualche settimana. L'iniziale decisione era di non riattivarlo prima di un mese, ma sto pensando di non riattivarlo più.
Sapete cosa mi manca, anzi chi? L'unica persona che non posso raggiungere su altri sistemi: Med.
Quando l'ho avvisato che sarei stata un po' fuori dal giro e gli ho dato il mio numero per potermi aggiungere su whatsapp mi ha detto un malinconico "Mi mancherai".
Non so perché non mi scriva con altri mezzi, però il 9 febbraio è la scadenza del mese e dovrei decidere. Giusto perché siamo in tema, Medioformato è la pagina in cui ci sono le mie foto, se volete dare loro un occhio.
Capitolo 5: Me.
Me stessa è il luogo che più amo e più odio. È difficile da spiegare. Mi sento come il nastro di Möbius, che pare a una sola facciata ma a metà percorso ti accorgi di essere dall'altro lato. E ogni giorno, sto bene e sto male, voglio una cosa ma anche un'altra, desidero stare qui e desidero partire. Faccio così fatica a starmi dietro che alla fine lascio che ogni cosa vada come deve andare.
Ultima cosa ma non meno importante, sono felicemente in possesso di una fuji X-T1, ho venduto la canon eos 7D e presto scriverò una recensione. Adoro questa macchina ma ha dei piccoli limiti superabili.
Canzone del giorno: What's up 4 non blondes
14 dicembre 2016
Per quest'anno non cambiare,la mammografia ti tocca fare
Da quando sono stata operata la sentenza definitiva è: visita alle tette una volta l'anno.
Inizialmente si pensava a fare solo delle mammografie ma dato che il tumore era stato radioindotto (da questo post "due radioterapie di cui una a mantellina a 36 Gy e 2 chemioterapie - per intenderci, per fare 1 Gy ci vogliono le radiazioni di 100 radiografie al torace") c'è stato un condono ad alternare risonanza magnetica al seno e mammografia.
La risonanza magnetica è un terno al lotto, tantoché mi sono rassegnata a farle a Monselice in provincia di Padova, in una struttura che fa solo risonanza. Perché?
Perché la risonanza magnetica al seno può essere fatta solo tra il settimo e il quattordicesimo giorno di ciclo altrimenti può dare falsi positivi E dato che gli appuntamenti in un qualsiasi ospedale per la RM vengono dati da qui a 6 mesi, capite come sia impossibile calcolare i giorni esatti del ciclo.
A Monselice, in questa struttura, riescono a darti appuntamento da una settimana all'altra perché fanno davvero solo quello.
Ovvio, ci impiego una giornata intera ma tant'è, finora non ho trovato altre strutture equivalenti in zona.
Pro della RM: no radiazioni. Contro: devono bucarmi per iniettare il liquido di contrasto e l'ultima volta ha bruciato da matti perché, secondo me, non era perfettamente in vena l'ago.
La mammografia è più semplice. Prenoti in qualsiasi struttura nel comasco o nel milanese, prendi e vai.
Pro della mammografia: non ti bucano. Contro: ti schiacciano le tette fino a farti male e ovviamente le radiazioni.
L'ospedale designato è Villa Aprica, sulla strada per andare a Chiasso.
Già da fuori ha un aspetto assolutamente degradato ma poco male, potrebbe essere interessante.
Entro e cerco l'accettazione: in tutti gli ospedali funziona così; entri, fai due chiacchiere con la tipa che controlla tesserino sanitario, impegnativa medica e orario dell'appuntamento e poi, teek, a sedersi in punizione.
Ma non è così, faccio la mia bella codina e quando è il mio turno l'allegra signora mi dice che devo andare alla "cassa".
La cassa?
Va bhe, non sto a sindacare anche se non devo pagare nulla perché ho la mia bella esenzione.
Vado alla cassa, non c'è nessuno. Due sportelli di cui uno impegnato con una signora.
Prendo comunque il numerino.
Mi avvicino alla cassa libera: "Mi scusi?"
"Chiamiamo noi il numero!"
Faccio un passo indietro.
La signora nel frattempo sembra non stare facendo nulla, ma anche qui non sto a sindacare.
Aspetto qualche minuto e compare il mio numerino sul display.
"Prego venga"
Sistemate le solite faccende vado al seminterrato dove sempre, in tutti gli ospedali, c'è il reparto radiologia. Quando mi chiamano, una voce nascosta nel nulla, io effettivamente non so dove andare. Così mi muovo a caso finché una dottoressa, giovane e bionda, non mi fa accomodare in uno stanzino minuscolo che comprende una seggiola dove posare i miei vestiti e l'apparecchio per la mammografia. Rimango delusa, in tutti gli altri ospedali spogliatoio e stanza con l'attrezzo sono separati, inoltre di solito la stanza è abbastanza ampia e comprende anche altri macchinari. E io che speravo di poter chiedere di fare una foto decente, ma in quello stanzino non c'è quello che vedevo nella mia testa. Così rinuncio.
Il resto non sto a descriverlo, per chi ha il seno piccolo è abbastanza una tortura la mammografia. La dottoressa mi sprimaccia le tette per cercare di schiacciarle all'interno dell'apparecchio. Il gesto potrebbe sembrare quello di un contadino che munge una mucca: acchiappa, tira e spreme. Da sopra per tutt'e due le gine, di lato per tutt'è due le gine.
Mica finita: ecografia.
L'ecografa è giovane, probabilmente polacca dall'accento. Come la radiologa mi chiede info sul mio trascorso di salute e scartabella gli altri esami che le ho portato. Chiede se ho familiarità per il tumore al seno, dico che no, mia mamma ha avuto un tumore all'utero. Ma essendo certa della mancanza di familiarità per quello, mi sento piuttosto serena.
Scrive sul monitor "Familiarità per K all'utero". MA COME? MI AVEVANO DETTO CHE NON C'ERA FAMILIARITÀ. Uff, non devo bestemmiare.
Procediamo.
Fa i complimenti ai chirurghi di Torino perché la mia cicatrice non si vede dall'esame mammografico, infatti si volta per guardarmi il seno e capire dove si trovi il taglio.
L'ecografia principia. Dopo tanti anni posso dire che l'ecografia è l'esame che mi rilassa di più. Sei sdraiata, cosparsa di questo gel tutto sommato non sgradevole ed essendo io magra di solito non devono premere troppo con lo scanner a ultrasuoni e così mi godo quel piacevole massaggio che ne deriva e, se ci sta, qualche chiacchiera sul più e sul meno.
L'ecografia che preferisco in assoluto è quella al cuore.
Soprattutto se l'ecografo è disponibile e ti spiega le cose.
Non solo sei sdraiato a goderti il massaggio, ma se hai il monitor a portata di vista, vedi proprio il pulsare della vita, e il suono del battito del tuo cuore (e nel mio caso la valvola mitralica un po' prolassata, ma niente di compromettente per la salute).
Il suono del cuore è più o meno questo: pschhtt pssschchttt psschhttt.
Una volta mi sono rilassata così tanto che l'ecografa mi ha chiesto se fossi una sportiva, perché il mio cuore batteva molto lentamente. No, ero solo in fase di relax totale.
Finito, mi chiede di accomodarmi fuori che presto arriverà il referto, "E in bocca al lupo!".
Per farla breve il mio seno è sanissimo, probabilmente lo sono anche io, quindi mi concedo di tornare a casa a piedi (un'ora circa di cammino).
Venerdì mattina probabilmente farò il mio prelievo annuale così finisco gli esami da fare nel comasco, mentre a gennaio mi attende l'ecografia della tiroide e la visita a Torino.
Oggi sono ottimista.
Inizialmente si pensava a fare solo delle mammografie ma dato che il tumore era stato radioindotto (da questo post "due radioterapie di cui una a mantellina a 36 Gy e 2 chemioterapie - per intenderci, per fare 1 Gy ci vogliono le radiazioni di 100 radiografie al torace") c'è stato un condono ad alternare risonanza magnetica al seno e mammografia.
La risonanza magnetica è un terno al lotto, tantoché mi sono rassegnata a farle a Monselice in provincia di Padova, in una struttura che fa solo risonanza. Perché?
Perché la risonanza magnetica al seno può essere fatta solo tra il settimo e il quattordicesimo giorno di ciclo altrimenti può dare falsi positivi E dato che gli appuntamenti in un qualsiasi ospedale per la RM vengono dati da qui a 6 mesi, capite come sia impossibile calcolare i giorni esatti del ciclo.
A Monselice, in questa struttura, riescono a darti appuntamento da una settimana all'altra perché fanno davvero solo quello.
Ovvio, ci impiego una giornata intera ma tant'è, finora non ho trovato altre strutture equivalenti in zona.
Pro della RM: no radiazioni. Contro: devono bucarmi per iniettare il liquido di contrasto e l'ultima volta ha bruciato da matti perché, secondo me, non era perfettamente in vena l'ago.
La mammografia è più semplice. Prenoti in qualsiasi struttura nel comasco o nel milanese, prendi e vai.
Pro della mammografia: non ti bucano. Contro: ti schiacciano le tette fino a farti male e ovviamente le radiazioni.
L'ospedale designato è Villa Aprica, sulla strada per andare a Chiasso.
Già da fuori ha un aspetto assolutamente degradato ma poco male, potrebbe essere interessante.
Entro e cerco l'accettazione: in tutti gli ospedali funziona così; entri, fai due chiacchiere con la tipa che controlla tesserino sanitario, impegnativa medica e orario dell'appuntamento e poi, teek, a sedersi in punizione.
Ma non è così, faccio la mia bella codina e quando è il mio turno l'allegra signora mi dice che devo andare alla "cassa".
La cassa?
Va bhe, non sto a sindacare anche se non devo pagare nulla perché ho la mia bella esenzione.
Vado alla cassa, non c'è nessuno. Due sportelli di cui uno impegnato con una signora.
Prendo comunque il numerino.
Mi avvicino alla cassa libera: "Mi scusi?"
"Chiamiamo noi il numero!"
Faccio un passo indietro.
La signora nel frattempo sembra non stare facendo nulla, ma anche qui non sto a sindacare.
Aspetto qualche minuto e compare il mio numerino sul display.
"Prego venga"
Sistemate le solite faccende vado al seminterrato dove sempre, in tutti gli ospedali, c'è il reparto radiologia. Quando mi chiamano, una voce nascosta nel nulla, io effettivamente non so dove andare. Così mi muovo a caso finché una dottoressa, giovane e bionda, non mi fa accomodare in uno stanzino minuscolo che comprende una seggiola dove posare i miei vestiti e l'apparecchio per la mammografia. Rimango delusa, in tutti gli altri ospedali spogliatoio e stanza con l'attrezzo sono separati, inoltre di solito la stanza è abbastanza ampia e comprende anche altri macchinari. E io che speravo di poter chiedere di fare una foto decente, ma in quello stanzino non c'è quello che vedevo nella mia testa. Così rinuncio.
Il resto non sto a descriverlo, per chi ha il seno piccolo è abbastanza una tortura la mammografia. La dottoressa mi sprimaccia le tette per cercare di schiacciarle all'interno dell'apparecchio. Il gesto potrebbe sembrare quello di un contadino che munge una mucca: acchiappa, tira e spreme. Da sopra per tutt'e due le gine, di lato per tutt'è due le gine.
Mica finita: ecografia.
L'ecografa è giovane, probabilmente polacca dall'accento. Come la radiologa mi chiede info sul mio trascorso di salute e scartabella gli altri esami che le ho portato. Chiede se ho familiarità per il tumore al seno, dico che no, mia mamma ha avuto un tumore all'utero. Ma essendo certa della mancanza di familiarità per quello, mi sento piuttosto serena.
Scrive sul monitor "Familiarità per K all'utero". MA COME? MI AVEVANO DETTO CHE NON C'ERA FAMILIARITÀ. Uff, non devo bestemmiare.
Procediamo.
Fa i complimenti ai chirurghi di Torino perché la mia cicatrice non si vede dall'esame mammografico, infatti si volta per guardarmi il seno e capire dove si trovi il taglio.
L'ecografia principia. Dopo tanti anni posso dire che l'ecografia è l'esame che mi rilassa di più. Sei sdraiata, cosparsa di questo gel tutto sommato non sgradevole ed essendo io magra di solito non devono premere troppo con lo scanner a ultrasuoni e così mi godo quel piacevole massaggio che ne deriva e, se ci sta, qualche chiacchiera sul più e sul meno.
L'ecografia che preferisco in assoluto è quella al cuore.
Soprattutto se l'ecografo è disponibile e ti spiega le cose.
Non solo sei sdraiato a goderti il massaggio, ma se hai il monitor a portata di vista, vedi proprio il pulsare della vita, e il suono del battito del tuo cuore (e nel mio caso la valvola mitralica un po' prolassata, ma niente di compromettente per la salute).
Il suono del cuore è più o meno questo: pschhtt pssschchttt psschhttt.
Una volta mi sono rilassata così tanto che l'ecografa mi ha chiesto se fossi una sportiva, perché il mio cuore batteva molto lentamente. No, ero solo in fase di relax totale.
Finito, mi chiede di accomodarmi fuori che presto arriverà il referto, "E in bocca al lupo!".
Per farla breve il mio seno è sanissimo, probabilmente lo sono anche io, quindi mi concedo di tornare a casa a piedi (un'ora circa di cammino).
Venerdì mattina probabilmente farò il mio prelievo annuale così finisco gli esami da fare nel comasco, mentre a gennaio mi attende l'ecografia della tiroide e la visita a Torino.
Oggi sono ottimista.
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08 dicembre 2016
Il mio "banchiere ambulante"
Quando, tra marzo e aprile, la mia storica banca (ex Sanpaolo, poi Intesa Sanpaolo, poi CarisBo quando mi sono trasferita a Bologna) ha deciso che io non potevo più accedere al mio conto online (io quasi mai andata fisicamente in banca), nonostante abbia cercato di risolvere qui a Cömo senza esserci riuscita ho deciso di fare il salto nel buio. Banca Etica.
Ci sono alcune scelte che impiegano anni per maturare, come quella di non mangiare carne, per le quali mi impongo limiti assurdi.
Per la carne è stato: "Ok, compro il libro 'Se niente importa' - lo tengo lì e so già che una volta terminato di leggere non mangerò più carne".
Per la banca è stata pigrizia. Non volevo riaprire un nuovo conto presso la Banca Intesa come suggeritomi dal ragazzotto della banca comasca.
Nonostante la nuova chiavetta per l'accesso e i passaggi che io, da brava nerd, ho seguito pedissequamente, l'accesso non mi era consentito.
Così ho dato il benservito alla CarisBo a Bologna e mi sono avventurata all'apertura del conto presso Banca Etica.
Perché Banca Etica? Me ne aveva parlato millenni fa un amico (molto alternativo, un ragazzotto che lavorava prima come barista per stare a contatto con la gente, poi si è rotto i coglioni e ha fatto un corso di programmazione java ed è diventato programmatore, aveva i dread ma se li era tagliati per andare in tibet in vacanza, ecc), io ero affascinata da questo nuovo concetto di banca che investe su energia alternativa, progetti locali e che ti offre la possibilità di essere socio e votare alle loro assemblee.
Dai, gambe in spalla e facciamo questo salto nel vuoto. Decido di aprire il conto online per medici senza frontiere. Ogni tot vengono devoluti mi pare 6 euro a medici senza frontiere.
Anche se apro il conto online ho comunque bisogno di recarmi presso i loro uffici per firmare alcune robe.
Peccato che la loro sede più vicina sia a Milano.
Peccato che in quel periodo stessi lavorando.
Così sul sito trovo una soluzione che fa al caso mio: il banchiere ambulante!
Non potete immaginare per quanto tempo io abbia fantasticato su questa figura mitologica, per me a metà tra un carrello della spesa piena di fogli e metà banchiere. E su come sarebbe avvenuto l'incontro: avrebbe allestito un banchetto in mezzo alla strada? Nel mio immaginario era nel mezzo di piazza Vittoria a Cömo, con una bandierina del colore di banca etica, blu e gialla. Un omino con gli occhiali, stile rag. Filini.
Ovviamente le mie (ex) colleghe ancora mi prendono in giro per questa cosa, commentando il fatto con "Solo tu, Carla, solo tu!". Prendo appuntamento con il banchiere ambulante che può incontrarmi, manco a dirlo, in un negozio di prodotti equo-solidali in via Milano.
Anche questo è stato oggetto di scherno pesante, ma come dar loro torto?
Mi reco nel luogo X (OT: stavo cercando in questo istante su Google il sito di Banca Etica e, lapsus, ho digitato Bamba etica) ed entro. L'omino è impegnato e io girovago nel negozio trovando già due capi di abbigliamento che poi comprerò effettivamente e che mi daranno l'aria da scappata di casa che tanto mi piace - un vestitino che pare cucito usando le tovaglie a quadri della nonna e una maglietta stile indiano arancione che, lavato, darà quell'aria di foto vintage a tutti gli altri capi di abbigliamento compagni di sventura presenti all'interno della lavatriste.
L'omino è in effetti somigliante al rag. Filini, ha gli occhiali come immaginavo, ha una sorta di banco tutto suo, con un computer, una stampante e ricoperto di fogli.
Non ho molte domande da fargli, voglio solo firmare e andare via. Anzi, no, ho una sola domanda che però lo mette in agitazione assoluta: ricevendo io un bonifico dalla Svizzera, quanto mi costa questo passaggio?
Silenzio.
"Ah-ehm, devo controllare".
Cömo è zona frontalieri, il passaggio di soldi dalla Svizzera all'Italia è roba quotidiana, rimango un po' basita, ma tant'è. Scartabella il contratto (il pdf online che ho anch'io tralaltro ma che per pigrizia non ho guardato) e mi dice che non dovrebbero esserci spese. "È sicuro?"
Silenzio.
Non voglio metterlo in difficoltà, così lo liquido con un "Bhe non importa, al primo versamento controllerò io".
Firmo i miei fogli, saluto e me ne vado.
A parte l'esperienza buffa del banchiere ambulante, per ora con questa banca mi trovo molto bene, le operazioni online sono semplici, l'app (dopo un primo momento di smarrimento) è fruibile. Per cambiare i massimali della carta di credito è stato sufficiente mandare loro un messaggio tramite la piattaforma online.
Se volete provare un'esperienza mistica e avere una banca davvero differente io ve la consiglio. Poi, oh, vuoi mettere, conoscere la figura mitologica del terzo millennio?
Ora vi saluto, vado dal parrucchello, ma solo perché sol capello liscio e a metà lunghezza mi paio la madonna. Un po' punk ma pur sempre madonna.
Canzone del giorno: Lo schiaccianoci Tchaikovsky (eh bhe oggi l'è così)
Chiedo scusa per gli errori, non ho avuto modo di rileggere
Ci sono alcune scelte che impiegano anni per maturare, come quella di non mangiare carne, per le quali mi impongo limiti assurdi.
Per la carne è stato: "Ok, compro il libro 'Se niente importa' - lo tengo lì e so già che una volta terminato di leggere non mangerò più carne".
Per la banca è stata pigrizia. Non volevo riaprire un nuovo conto presso la Banca Intesa come suggeritomi dal ragazzotto della banca comasca.
Nonostante la nuova chiavetta per l'accesso e i passaggi che io, da brava nerd, ho seguito pedissequamente, l'accesso non mi era consentito.
Così ho dato il benservito alla CarisBo a Bologna e mi sono avventurata all'apertura del conto presso Banca Etica.
Perché Banca Etica? Me ne aveva parlato millenni fa un amico (molto alternativo, un ragazzotto che lavorava prima come barista per stare a contatto con la gente, poi si è rotto i coglioni e ha fatto un corso di programmazione java ed è diventato programmatore, aveva i dread ma se li era tagliati per andare in tibet in vacanza, ecc), io ero affascinata da questo nuovo concetto di banca che investe su energia alternativa, progetti locali e che ti offre la possibilità di essere socio e votare alle loro assemblee.
Dai, gambe in spalla e facciamo questo salto nel vuoto. Decido di aprire il conto online per medici senza frontiere. Ogni tot vengono devoluti mi pare 6 euro a medici senza frontiere.
Anche se apro il conto online ho comunque bisogno di recarmi presso i loro uffici per firmare alcune robe.
Peccato che la loro sede più vicina sia a Milano.
Peccato che in quel periodo stessi lavorando.
Così sul sito trovo una soluzione che fa al caso mio: il banchiere ambulante!
Non potete immaginare per quanto tempo io abbia fantasticato su questa figura mitologica, per me a metà tra un carrello della spesa piena di fogli e metà banchiere. E su come sarebbe avvenuto l'incontro: avrebbe allestito un banchetto in mezzo alla strada? Nel mio immaginario era nel mezzo di piazza Vittoria a Cömo, con una bandierina del colore di banca etica, blu e gialla. Un omino con gli occhiali, stile rag. Filini.
Ovviamente le mie (ex) colleghe ancora mi prendono in giro per questa cosa, commentando il fatto con "Solo tu, Carla, solo tu!". Prendo appuntamento con il banchiere ambulante che può incontrarmi, manco a dirlo, in un negozio di prodotti equo-solidali in via Milano.
Anche questo è stato oggetto di scherno pesante, ma come dar loro torto?
Mi reco nel luogo X (OT: stavo cercando in questo istante su Google il sito di Banca Etica e, lapsus, ho digitato Bamba etica) ed entro. L'omino è impegnato e io girovago nel negozio trovando già due capi di abbigliamento che poi comprerò effettivamente e che mi daranno l'aria da scappata di casa che tanto mi piace - un vestitino che pare cucito usando le tovaglie a quadri della nonna e una maglietta stile indiano arancione che, lavato, darà quell'aria di foto vintage a tutti gli altri capi di abbigliamento compagni di sventura presenti all'interno della lavatriste.
L'omino è in effetti somigliante al rag. Filini, ha gli occhiali come immaginavo, ha una sorta di banco tutto suo, con un computer, una stampante e ricoperto di fogli.
Non ho molte domande da fargli, voglio solo firmare e andare via. Anzi, no, ho una sola domanda che però lo mette in agitazione assoluta: ricevendo io un bonifico dalla Svizzera, quanto mi costa questo passaggio?
Silenzio.
"Ah-ehm, devo controllare".
Cömo è zona frontalieri, il passaggio di soldi dalla Svizzera all'Italia è roba quotidiana, rimango un po' basita, ma tant'è. Scartabella il contratto (il pdf online che ho anch'io tralaltro ma che per pigrizia non ho guardato) e mi dice che non dovrebbero esserci spese. "È sicuro?"
Silenzio.
Non voglio metterlo in difficoltà, così lo liquido con un "Bhe non importa, al primo versamento controllerò io".
Firmo i miei fogli, saluto e me ne vado.
A parte l'esperienza buffa del banchiere ambulante, per ora con questa banca mi trovo molto bene, le operazioni online sono semplici, l'app (dopo un primo momento di smarrimento) è fruibile. Per cambiare i massimali della carta di credito è stato sufficiente mandare loro un messaggio tramite la piattaforma online.
Se volete provare un'esperienza mistica e avere una banca davvero differente io ve la consiglio. Poi, oh, vuoi mettere, conoscere la figura mitologica del terzo millennio?
Ora vi saluto, vado dal parrucchello, ma solo perché sol capello liscio e a metà lunghezza mi paio la madonna. Un po' punk ma pur sempre madonna.
Canzone del giorno: Lo schiaccianoci Tchaikovsky (eh bhe oggi l'è così)
Chiedo scusa per gli errori, non ho avuto modo di rileggere
Sezione:
Banca Etica,
Capelli,
Como,
disAvventure,
Etica,
Filmati,
frontalieri,
Musica,
video
24 ottobre 2016
Il vaso di Pandora
Quando ero piccola lessi un racconto illustrato sul vaso di Pandora. Mi rimase impresso.
Siamo tutti dei vasi di Pandora che, una volta scoperchiati, non possono più essere richiusi.
Oggi andrò a ritirare il mio obiettivo ordinato su ebay. È, vintage, è russo, sì, è un Helios.
Dopo aver visto gli scatti del mio compagno di classe russo - di solito chiamato semplicemente "compagno russo" e le immagini nel mio cervello si sprecano - mi sono decisa. Un amico fotografo mi ha detto la marca dell'obiettivo che ha "quello sfuocato molto particolare" e il compagno russo l'ha confermato così, dopo qualche consiglio su quale modello prendere mi sono decisa.
Per ben 30 euro mi sono aggiudicata un obiettivo che potrebbe regalarmi delle gioie.
Posso anche dire che le foto fatte dal mio compagno russo alla sottoscritta hanno qualcosa di decente, alcune sono molto belle; l'abilità del fotografo si vede. Anche perché mi ritengo un soggetto infotografabile: in genere non mi riconosco nelle foto. Quella che vedo è una persona più vecchia, rugosa e brutta di quella che ho davanti allo specchio.
Eppure lui trova il momento giusto per non farmi apparire come nelle tradizionali foto ma riesce a riportarmi a un livello simile alla immagine che sento di avere di me.
E così mi chiedo: chi sono io? Il soggetto infotografabile, l'immagine riflessa allo specchio o una proiezione che ogni tanto, mentalmente, faccio di me?
Ho ricominciato a sognare. I sogni di questo periodo prevedono corridoi abbastanza scuri illuminati con faretti e porte che non si aprono, strade sbagliate e posti remoti in cui rimango sola.
Tutto sommato una manna dal cielo rispetto ai morti, al sangue, ai mostri che di solito popolano il mio mondo notturno.
A Cömo è ricominciata la stagione dei monsoni. Pioggia interminabile, tempaccio, freddo.
Più che freddo lo chiamerei fresco.
Poi se ci pensi bene è quasi una sensazione interiore, questa pioggia. Non so se io sono influenzata dal tempo o se la mia interpretazione del meteo viene influenzata da come mi sento.
Sono un grigio al 18%, piovosa e vulnerabile.
Come Cömo.
Aggiungo questa poesia che di tanto in tanto mi torna in mente:
Calmati!
Shhht, no, non guardare fuori dalla finestra. Il rumore è dentro
Siamo tutti dei vasi di Pandora che, una volta scoperchiati, non possono più essere richiusi.
Oggi andrò a ritirare il mio obiettivo ordinato su ebay. È, vintage, è russo, sì, è un Helios.
Dopo aver visto gli scatti del mio compagno di classe russo - di solito chiamato semplicemente "compagno russo" e le immagini nel mio cervello si sprecano - mi sono decisa. Un amico fotografo mi ha detto la marca dell'obiettivo che ha "quello sfuocato molto particolare" e il compagno russo l'ha confermato così, dopo qualche consiglio su quale modello prendere mi sono decisa.
Per ben 30 euro mi sono aggiudicata un obiettivo che potrebbe regalarmi delle gioie.
Posso anche dire che le foto fatte dal mio compagno russo alla sottoscritta hanno qualcosa di decente, alcune sono molto belle; l'abilità del fotografo si vede. Anche perché mi ritengo un soggetto infotografabile: in genere non mi riconosco nelle foto. Quella che vedo è una persona più vecchia, rugosa e brutta di quella che ho davanti allo specchio.
Eppure lui trova il momento giusto per non farmi apparire come nelle tradizionali foto ma riesce a riportarmi a un livello simile alla immagine che sento di avere di me.
E così mi chiedo: chi sono io? Il soggetto infotografabile, l'immagine riflessa allo specchio o una proiezione che ogni tanto, mentalmente, faccio di me?
Ho ricominciato a sognare. I sogni di questo periodo prevedono corridoi abbastanza scuri illuminati con faretti e porte che non si aprono, strade sbagliate e posti remoti in cui rimango sola.
Tutto sommato una manna dal cielo rispetto ai morti, al sangue, ai mostri che di solito popolano il mio mondo notturno.
A Cömo è ricominciata la stagione dei monsoni. Pioggia interminabile, tempaccio, freddo.
Più che freddo lo chiamerei fresco.
Poi se ci pensi bene è quasi una sensazione interiore, questa pioggia. Non so se io sono influenzata dal tempo o se la mia interpretazione del meteo viene influenzata da come mi sento.
Sono un grigio al 18%, piovosa e vulnerabile.
Come Cömo.
Aggiungo questa poesia che di tanto in tanto mi torna in mente:
Calmati!
Shhht, no, non guardare fuori dalla finestra. Il rumore è dentro
23 ottobre 2016
I miei siti Unesco
Ho deciso di partecipare a un concorso fotografico; devo fotografare alcuni siti patrimonio Unesco in Lombardia e mettere gli scatti (massimo 10) sui social.
Mi sembra una bella iniziativa, anche per conoscere qualche altro posto che non sia il centro di Cömo, il Birrivico, il Pura Vida d'estate, ecc.
Gambe in spalla e si va.
Il primo sito che scelgo di fotografare è il Sacro Monte di Varese. Trattasi di una montagnolina su cui sono piazzate 15 cappelle (sì, ho cercato un sinonimo ma niente) in salita. Una sorta di percorso spirituale insomma, fino ad arrivare al paesino in cima che è davvero una favola.
Per arrivare lassù io e la mia amica T dobbiamo prendere il bus da Cömo a Varese e poi un altro bus che ci lascia alla prima cappella da cui, proseguendo e salendo a piedi, vedremo tutte le altre. In prima battuta pensiamo di prendere la comoda funivia che ci avrebbe lasciato in cima per poi scendere con calma e fare foto in santa pace. Ma l'autista ci comunica che la funivia non va. Apprendiamo solo in seguito che viene attivata solo nei weekend.
Con (mio) grande disappunto cominciamo a salire. Vorrei descrivervi le chiesette ma sono davvero quasi tutte uguali e anche fotografarle non rende. Patrimonio Unesco sì, ma mi viene l'incazzo se penso al castello di Sammezzano che invece sta lì così in attesa: di cosa, poi, non so.
Il paesello in cima invece è molto carino (ma sarà patrimonio Unesco? Mha) solo che dopo un breve giro ci tocca scendere. La fame chiama e vogliamo qualcosa di veloce da mangiare a Varese.
Non ho mai amato Varese: probabilmente l'ho già scritto ma quando io e Fry eravamo in procinto di trasferirci nel profondo nord stavamo cercando casa a Varese. Poi Zion mi disse "Perché non cercate a Como? È più carina e ci sono anche meno leghisti".
Nonostante Il luogo di lavoro di Fry sia più vicino a Varese ci siamo lasciati convincere soprattutto dalla seconda affermazione. Come poi abbiamo scoperto, a Varese celebrano anche il compleanno di Hitler.
Devastante.
Tornando ai miei siti Unesco la seconda avventura che vi propongo è stata al villaggio operaio di Crespi d'Adda. Convinta di dover fare meno chilometri me la sono presa con calma. La mattina in cui ho deciso di andare ho preso il treno alle 11.16. Fu così che ci misi 3 ore.
3 fottutissime ore.
Como Nord Lago - Milano Nord Cadorna
Metro verde fino a Gessate (lontanissima)
Autobus fino a Trezzo sull'Adda
E, dulcis in fundo, buona mezzoretta a piedi.
In tutto questo ho incontrato persone con istinti omicidi (oltre me) che sembravano ostacolare la mia già difficile propensione all'ottimismo, in una giornata in cui scattare foto (con quel cazzo di cielo bianchissimo) sembrava impossibile.
Il controllore di Trenord sembrava essere strafatto di caffeina. Io uso solo biglietti digitali comprati online che mostro poi a chi di dovere dall'app.
L'app di trenitalia è lentissima, per cui ci mette quei suoi buoni 30 secondi per aprirsi.
In tutto questo io portavo le mie dolcissime cuffione da isolamento sociale, insomma, la mia fabbrica di ottimismo (anche se non tutti comprendono che tenere sulle orecchie delle cuffione con musica metal a tutto volume significa "Non rompermi le palle, sono un'antisociale di merda e odio tutti" e cercano di calpestarmi i piedi ogni due secondi chiedendomi se il bus/il treno/la madonna sono passati).
Errore mio: non le ho tolte, ma in genere non serve.
Passa quindi il controllore e io cerco di aprire l'app.
Cerco.
Attendo.
A un certo punto vedo che muove la bocca: mi levo le cuffie e attacca così: "Certo, se io le parlo e lei ha le cuffie è ovvio che non mi sente. Ce l'ha o no questo biglietto?"
Quasi partito l'embolo.
"Certo, le indicavo lo schermo del cellulare per dirle di attendere un attimo che l'app si stava avviando"
"Eh certo ma se uno le parla e lei ha le cuffie!"
Bene, così mi sento anche in torto.
Procedo nel mio viaggio, arrivo a Milano Nord Cadorna e vado per prendere la metro. Peccato che sulla app non si possano prendere i biglietti per Gessate che è già fuori Milano. Così vado in tabaccheria e chiedo se è possibile fare da lì già i biglietti per Trezzo sull'Adda.
Controlla.
Non sa.
Mi dice che forse è meglio fare prima il biglietto per Gessate e poi lì fare quello per Trezzo sull'Adda.
Conto: 1, 2, 3
"Sa magari le do il biglietto sbagliato"
20, 21, 22..
Scendo in metro e la metro per Gessate passa dopo circa 10 minuti. Non so quantificare il tempo impiegato per il tragitto, invece.
Mi tocca quindi fare il biglietto per Trezzo sull'Adda e andare alla fermata. Il mio amato cellulare intanto è già al 60% di batteria.
Ovviamente so il nome della fermata a cui scendere ma non so dov'è, così dopo un tempo ragionevole chiedo all'autista dove posso scendere per la fermata Biffi.
"È la prossima!" risponde lui secco.
Dato che dopo 5 minuti o forse meno si ferma, chiedo conferma della cosa. "È questa?"
E lui "Ma se le ho detto che è la prossima! Non questa, la prossima!"
1, 2, 3...
Da che mondo e mondo per me "la prossima fermata" è quella che sta arrivando (e per capire se sono io che sto impazzendo ho chiesto conferma a tutti di questa cosa e sì, sono ancora quasi sana di mente).
"Dove sta andando?"
Gli spiego.
"Ah che bello, ma di dov'è lei?"
"Di Como"
"Ah bhe carina Como, però sono molto chiusi perché blabla io ogni tanto vado a Milano che blabla sono più aperti, blabla invece in queste cittadine, blabla per esempio lei coi capelli così blabla la guardano male invece a Milano nessuno ci bada blablabla"
"Mi scusi devo scendere"
"Sìsì, conti che c'è ancora un quarto d'ora buono di cammino da qui"
Detto che mi stava dando le indicazioni sbagliate ci ho comunque messo mezz'ora passando in strade non asfaltate, su ponticini di legno sopra fiumi, in mezzo a sentierini quasi di bosco alberati. L'umidità era talmente alta che presto i miei capelli sono diventati un nido arruffato per moscerini morti e le zanzare mi hanno sbranata.
Finalmente arrivo ed è un po' una delusione. A parte che i villaggi operai mi mettono tristezza (evviva! Il "padrone" di lavoro ti costruisce una casa accanto alla fabbrica così sarai schiavo per sempre, e felice di esserlo!) questo non è particolarmente bello. La fabbrica centrale è chiusa, alcuni edifici abbandonati. Le case non hanno un'architettura particolare e ci sono anche scolaresche in gita che mi impediscono alcune inquadrature.
Vado in quello che, sul loro sito, è indicato come il punto da cui iniziare la visita. Una sorta di centro turistico di accoglienza.
Appena arrivata trovo delle mappe della zone sparpagliati sul bancone e chiedo "Posso prenderne una?"
"Sì certo, sono 50 centesimi"
Mappe a pagamento? Alla fine me la regala.
Scopro che c'è un cimitero e il mio cervello comincia a calcolare quanto tempo mi ci vorrà a tornare a casa e in che ora devo fuggire da quel luogo per essere a casa a un orario decente.
Insomma giornata pessima, foto orribili, tempo indecente. Se non altro sono andata in giro che, sapete, per me chi si ferma è perduto.
Torno a casa alle 19.30 pensando che se voglio fare delle foto che spieghino la bellezza del patrimonio Unesco in Lombardia è bene che mi faccia venire in mente qualcosa perché finora il risultato è pessimo.
Così pessimo che nemmeno io ci vorrei andare!
Mi sembra una bella iniziativa, anche per conoscere qualche altro posto che non sia il centro di Cömo, il Birrivico, il Pura Vida d'estate, ecc.
Gambe in spalla e si va.
Il primo sito che scelgo di fotografare è il Sacro Monte di Varese. Trattasi di una montagnolina su cui sono piazzate 15 cappelle (sì, ho cercato un sinonimo ma niente) in salita. Una sorta di percorso spirituale insomma, fino ad arrivare al paesino in cima che è davvero una favola.
Per arrivare lassù io e la mia amica T dobbiamo prendere il bus da Cömo a Varese e poi un altro bus che ci lascia alla prima cappella da cui, proseguendo e salendo a piedi, vedremo tutte le altre. In prima battuta pensiamo di prendere la comoda funivia che ci avrebbe lasciato in cima per poi scendere con calma e fare foto in santa pace. Ma l'autista ci comunica che la funivia non va. Apprendiamo solo in seguito che viene attivata solo nei weekend.
Con (mio) grande disappunto cominciamo a salire. Vorrei descrivervi le chiesette ma sono davvero quasi tutte uguali e anche fotografarle non rende. Patrimonio Unesco sì, ma mi viene l'incazzo se penso al castello di Sammezzano che invece sta lì così in attesa: di cosa, poi, non so.
Il paesello in cima invece è molto carino (ma sarà patrimonio Unesco? Mha) solo che dopo un breve giro ci tocca scendere. La fame chiama e vogliamo qualcosa di veloce da mangiare a Varese.
Non ho mai amato Varese: probabilmente l'ho già scritto ma quando io e Fry eravamo in procinto di trasferirci nel profondo nord stavamo cercando casa a Varese. Poi Zion mi disse "Perché non cercate a Como? È più carina e ci sono anche meno leghisti".
Nonostante Il luogo di lavoro di Fry sia più vicino a Varese ci siamo lasciati convincere soprattutto dalla seconda affermazione. Come poi abbiamo scoperto, a Varese celebrano anche il compleanno di Hitler.
Devastante.
Tornando ai miei siti Unesco la seconda avventura che vi propongo è stata al villaggio operaio di Crespi d'Adda. Convinta di dover fare meno chilometri me la sono presa con calma. La mattina in cui ho deciso di andare ho preso il treno alle 11.16. Fu così che ci misi 3 ore.
3 fottutissime ore.
Como Nord Lago - Milano Nord Cadorna
Metro verde fino a Gessate (lontanissima)
Autobus fino a Trezzo sull'Adda
E, dulcis in fundo, buona mezzoretta a piedi.
In tutto questo ho incontrato persone con istinti omicidi (oltre me) che sembravano ostacolare la mia già difficile propensione all'ottimismo, in una giornata in cui scattare foto (con quel cazzo di cielo bianchissimo) sembrava impossibile.
Il controllore di Trenord sembrava essere strafatto di caffeina. Io uso solo biglietti digitali comprati online che mostro poi a chi di dovere dall'app.
L'app di trenitalia è lentissima, per cui ci mette quei suoi buoni 30 secondi per aprirsi.
In tutto questo io portavo le mie dolcissime cuffione da isolamento sociale, insomma, la mia fabbrica di ottimismo (anche se non tutti comprendono che tenere sulle orecchie delle cuffione con musica metal a tutto volume significa "Non rompermi le palle, sono un'antisociale di merda e odio tutti" e cercano di calpestarmi i piedi ogni due secondi chiedendomi se il bus/il treno/la madonna sono passati).
Errore mio: non le ho tolte, ma in genere non serve.
Passa quindi il controllore e io cerco di aprire l'app.
Cerco.
Attendo.
A un certo punto vedo che muove la bocca: mi levo le cuffie e attacca così: "Certo, se io le parlo e lei ha le cuffie è ovvio che non mi sente. Ce l'ha o no questo biglietto?"
Quasi partito l'embolo.
"Certo, le indicavo lo schermo del cellulare per dirle di attendere un attimo che l'app si stava avviando"
"Eh certo ma se uno le parla e lei ha le cuffie!"
Bene, così mi sento anche in torto.
Procedo nel mio viaggio, arrivo a Milano Nord Cadorna e vado per prendere la metro. Peccato che sulla app non si possano prendere i biglietti per Gessate che è già fuori Milano. Così vado in tabaccheria e chiedo se è possibile fare da lì già i biglietti per Trezzo sull'Adda.
Controlla.
Non sa.
Mi dice che forse è meglio fare prima il biglietto per Gessate e poi lì fare quello per Trezzo sull'Adda.
Conto: 1, 2, 3
"Sa magari le do il biglietto sbagliato"
20, 21, 22..
Scendo in metro e la metro per Gessate passa dopo circa 10 minuti. Non so quantificare il tempo impiegato per il tragitto, invece.
Mi tocca quindi fare il biglietto per Trezzo sull'Adda e andare alla fermata. Il mio amato cellulare intanto è già al 60% di batteria.
Ovviamente so il nome della fermata a cui scendere ma non so dov'è, così dopo un tempo ragionevole chiedo all'autista dove posso scendere per la fermata Biffi.
"È la prossima!" risponde lui secco.
Dato che dopo 5 minuti o forse meno si ferma, chiedo conferma della cosa. "È questa?"
E lui "Ma se le ho detto che è la prossima! Non questa, la prossima!"
1, 2, 3...
Da che mondo e mondo per me "la prossima fermata" è quella che sta arrivando (e per capire se sono io che sto impazzendo ho chiesto conferma a tutti di questa cosa e sì, sono ancora quasi sana di mente).
"Dove sta andando?"
Gli spiego.
"Ah che bello, ma di dov'è lei?"
"Di Como"
"Ah bhe carina Como, però sono molto chiusi perché blabla io ogni tanto vado a Milano che blabla sono più aperti, blabla invece in queste cittadine, blabla per esempio lei coi capelli così blabla la guardano male invece a Milano nessuno ci bada blablabla"
"Mi scusi devo scendere"
"Sìsì, conti che c'è ancora un quarto d'ora buono di cammino da qui"
Detto che mi stava dando le indicazioni sbagliate ci ho comunque messo mezz'ora passando in strade non asfaltate, su ponticini di legno sopra fiumi, in mezzo a sentierini quasi di bosco alberati. L'umidità era talmente alta che presto i miei capelli sono diventati un nido arruffato per moscerini morti e le zanzare mi hanno sbranata.
Finalmente arrivo ed è un po' una delusione. A parte che i villaggi operai mi mettono tristezza (evviva! Il "padrone" di lavoro ti costruisce una casa accanto alla fabbrica così sarai schiavo per sempre, e felice di esserlo!) questo non è particolarmente bello. La fabbrica centrale è chiusa, alcuni edifici abbandonati. Le case non hanno un'architettura particolare e ci sono anche scolaresche in gita che mi impediscono alcune inquadrature.
Vado in quello che, sul loro sito, è indicato come il punto da cui iniziare la visita. Una sorta di centro turistico di accoglienza.
Appena arrivata trovo delle mappe della zone sparpagliati sul bancone e chiedo "Posso prenderne una?"
"Sì certo, sono 50 centesimi"
Mappe a pagamento? Alla fine me la regala.
Scopro che c'è un cimitero e il mio cervello comincia a calcolare quanto tempo mi ci vorrà a tornare a casa e in che ora devo fuggire da quel luogo per essere a casa a un orario decente.
Insomma giornata pessima, foto orribili, tempo indecente. Se non altro sono andata in giro che, sapete, per me chi si ferma è perduto.
Torno a casa alle 19.30 pensando che se voglio fare delle foto che spieghino la bellezza del patrimonio Unesco in Lombardia è bene che mi faccia venire in mente qualcosa perché finora il risultato è pessimo.
Così pessimo che nemmeno io ci vorrei andare!
Sezione:
Amici,
Como,
disAvventure,
Fotografia,
Fry_e_Leela,
Unesco,
Viaggi
22 dicembre 2015
Intermezzo odierno che nulla ha a che fare col Madagascar
Oggi 3 compleanni al lavoro.
Quindi significa: paste, pasticcini, torta e patatine. Nonché panettone e brindisi aziendale.
E stasera altro compleanno a cena.
Diventerò una botte.
Stasera vado da Gamestop a comprare un giochino e prendo il bus per tornare a casa: ohi non ti becco la vicina del piano di sopra che vuole sapere sempre tutto di me? E che quando manda gli sms a Fry lo chiama mescolando tutte le vocali del suo nome, aggiungendone anche nuove? Qualcosa come Ioloa, Ialoa, e via discorrendo?
E' carina, è gentile, ma sapete quando è NO?
Quindi medito di scendere alla fermata prima, ma sono troppo pigra per farlo. Così mentre scendiamo dal bus insieme (e non mi ha ancora vista) la batto sul tempo.
Ciao G
Oh ciao, ma tu chi sei? La cantante?
.... cioè ve lo giuro chiede sempre di me a Fry
Ehm, no sono Carla
Ahhhh Carla ma come faccio? Ti fai sempre questi colori assurdi ai capelli! E come va il lavoro? E quindi hai trovato? Eh sei proprio determinata brava: hai visto che stanno ripiastrellando il balcone?
Io, non avendo modo di rispondere, faccio sempre cenno di sì con la testa.
Arriviamo sotto casa, qualcuno ha DI NUOVO spostato l'etichetta del nostro campanello sul citofono da un'altra parte.
Mi lamento (prendere nota: con i vicini è sempre bene lamentarsi quando gli argomenti scarseggiano) e mentre arriviamo alla porta dell'ascensore, pieno di bei graffiti incisi mi fa notare che c'è scritto qualcosa su dio. Ora non mi ricordo cosa.
In effetti in controluce troneggia tronfia una enorme scritta DIO tutta maiuscola.
No perché c'era anche scritto qualcos'altro, ma forse l'hanno tolto.
Ecco guarda, c'è scritto PORCO.
Ah: salutami Ioloa.
Vicini.
Quindi significa: paste, pasticcini, torta e patatine. Nonché panettone e brindisi aziendale.
E stasera altro compleanno a cena.
Diventerò una botte.
Stasera vado da Gamestop a comprare un giochino e prendo il bus per tornare a casa: ohi non ti becco la vicina del piano di sopra che vuole sapere sempre tutto di me? E che quando manda gli sms a Fry lo chiama mescolando tutte le vocali del suo nome, aggiungendone anche nuove? Qualcosa come Ioloa, Ialoa, e via discorrendo?
E' carina, è gentile, ma sapete quando è NO?
Quindi medito di scendere alla fermata prima, ma sono troppo pigra per farlo. Così mentre scendiamo dal bus insieme (e non mi ha ancora vista) la batto sul tempo.
Ciao G
Oh ciao, ma tu chi sei? La cantante?
.... cioè ve lo giuro chiede sempre di me a Fry
Ehm, no sono Carla
Ahhhh Carla ma come faccio? Ti fai sempre questi colori assurdi ai capelli! E come va il lavoro? E quindi hai trovato? Eh sei proprio determinata brava: hai visto che stanno ripiastrellando il balcone?
Io, non avendo modo di rispondere, faccio sempre cenno di sì con la testa.
Arriviamo sotto casa, qualcuno ha DI NUOVO spostato l'etichetta del nostro campanello sul citofono da un'altra parte.
Mi lamento (prendere nota: con i vicini è sempre bene lamentarsi quando gli argomenti scarseggiano) e mentre arriviamo alla porta dell'ascensore, pieno di bei graffiti incisi mi fa notare che c'è scritto qualcosa su dio. Ora non mi ricordo cosa.
In effetti in controluce troneggia tronfia una enorme scritta DIO tutta maiuscola.
No perché c'era anche scritto qualcos'altro, ma forse l'hanno tolto.
Ecco guarda, c'è scritto PORCO.
Ah: salutami Ioloa.
Vicini.
15 aprile 2015
Succede che Succede
Succede che succede.
Domenica sono stata alla comunione/cresima di Carlotta, lei sempre bellissima, tutti bellissimi, Leonardo con il cravattino, Fry con il suo abbigliamento finto sportivo ma studiato, persino il pretino di colore aveva un viso angelico (ma sicuri davvero che vuole fare il prete?). Io che sono stata sgridata in chiesa da una pedante signora in tailleur celeste, terrorizzata all'idea di passare quasi un'intera giornata in famiglia tra zii zie, cugini e cugine che tutto sommato non è stato così male, anzi, direi quasi piacevole.
Succede che mio zio, il fratello di mia mamma mi ha portato due litri d'olio molisano e ovviamente gli immancabili salumi comprati dal macellaio di fiducia,
Succede che succede, che dopo aver guidato da casa di mia mamma e casa nostra (ed erano 4 anni che non guidavo se non un paio di volte su piccolissimi tratti) e aver trovato due incidenti e quindi averci messo almeno un'ora e mezza in più del dovuto ci siamo finalmente seduti a tavola. E bhe, lo sapete no? Sono due anni che non mangio carne.
Ma ho fatto un patto con me stessa, da quando ho iniziato non mi sono mai imposta degli obblighi. E' per questo che ho ricominciato a bere latte, lo volevo. Dopo la nostra prima reunion, piuttosto drammatica ora va meglio. Così quando ho visto quelle salamelle che per Fry sono solo delle gustosissime salamelle non ho potuto resistere. Per me sono un legame con l'infanzia, le estati al mare, quel periodo senza preoccupazioni, quel certo grado di indipendenza che mi davano i miei, dovuta alla sicurezza del paesino.
Così ho mangiato carne.
Quel salame.
E non mi sono pentita affatto. In fondo posso essere quasi certa che quella carne non provenga da allevamenti intensivi.
Il mio stomaco però si è pentito eccome!
Non ho digerito, ho avuto allucinazioni ipnagoghe di tipo uditivo (sentivo la voce di mia mamma in folle ansia pre-comunione di Carlotta), fortissimo senso di nausea. Tant'è che il giorno dopo non sono andata al lavoro. Ho chiesto anche alla dottoressa se il tutto fosse dovuto al fatto che non mangio carne da due anni ma mi ha detto che probabilmente le salamelle forse erano solo troppo grasse. In effetti anche Fry non aveva digerito.
Così alle 19 sono andata in centro a procacciare un po' di cibo per la cena e in via Lecco, all'incrocio con la strada che costeggia le mura del centro di Como, mi si avvicina un ragazzo di colore. Mi dice qualcosa quindi mi tolgo le mie mega cuffie Sennheiser per sentirlo. Non capisco cosa dice e si solleva la maglietta. Abbasso lo sguardo e vedo che dalla patta aperta dei pantaloni esce tutto. Pene e testicoli, insomma tutto l'apparato riproduttore maschile. Spaventata dico qualcosa come "Ohmioddio" (e no, non per la grandezza del tutto, anzi, mi ha sfatato un mito), giro i tacchi e me ne vado. Poco dopo mi volto per vedere se mi stava seguendo ma no. Non è una cosa normale.
Però ammetto di essermi spaventata, in centro, a Como, col sole. Bha.
Poco più tardi (dev'essere l'ora in cui non è sicuro uscire dalla propria magione) incontro una giovane coppia di ragazzi. Lui boh? Lei molto carina, età intorno ai 20 anni forse meno. Pantaloni coloratissimi alla turca, bionda coi dred (i dred non ne sono sicura). Mi ferma e mi dice "Tu che hai dei capelli fighissimi (pausa) sai mica dove possiamo trovare della roba?"
Sgrano gli occhi e per non fare la figura della poco giovane rispondo così "Io, ehm, no guarda, ehm, vivo qui da un anno e non ho ancora trovato.. ecco, non so"
Lei mi guarda con aria tristissima e mi dice "Ohhh" e poggiandomi una mano sulla spalla in un gesto universalmente consolatorio, continua "Mi dispiace tanto che tu sia rimasta senza, se vuoi ti do' qualche numero di telefono"
Risgrano gli occhi "No, no, gentilissima grazie, non c'è bisogno"
Lei si volta per andare via, mi saluta e ridendo si gira ancora una volta verso di me facendomi il gesto con le dita della vittoria esclamando "una di noi!"
Basita, assolutamente basita.
Altre news. Continuo basso. Continuo danza del ventre anche se ho saltato le ultime due lezioni perché stavo poco bene, una per l'indigestione da salsiccia (penso che potrei interrompere la mia dieta vegetariana solo per questi salamini e per la bistecca alla fiorentina) e un'altra perché avevo mal di testa fortissimo al lavoro che mi è passata solo dopo 5 ore dall'ora in cui avevo preso la mia miracolosa pastiglia. E uscita non ero proprio in forma.
Non so poi se l'avevo scritto, a dicembre avevo preso appuntamento per un nuovo tatuaggio a Bologna. Il ragazzotto che mi ha fatto quel meraviglioso papavero!
Appuntamento a maggio: sì avete capito. 5 mesi di attesa.
Ormai la data si avvicina, se non altro lui pubblica su fb la sua entusiasta partecipazione al convegno tatto di Roma. Indovinate in che date? Bravi esatto! Proprio in quel weekend!
Sangue dagli occhi.
Mi scrive in privato dicendomi che purtroppo in quel weekend non può ma mi sposta alla settimana successiva.
"Bene" penso "Quando puoi?" mi chiede. Sabato e domenica. Ovvio.
"Potete tutti di sabato!"
Sììììì, caspita lavoro, in un'altra città, arrivo apposta! AAAAAH.
"Sabato ho un altro appuntamento, vediamo se riesco a inserirti"
Risbotto. "Senti dimmi se puoi o no, se no disdico e basta"
"Va bhe ti faccio sabato a costo di fare notte"
"Va bhe ti faccio sabato a costo di fare notte"
Benone, penso.
Poi però ci rimugino su e mi sono ricordata che il 14 è festa in Svizzera, quindi non lavoro, quindi glielo dico. Specificando che non posso finire oltre le 18-19 perché poi devo tornare a Como che il giorno successivo lavoro.
"Bene", mi dice. Ma ancora non so l'orario.
Argh.
Stasera ho basso, porterò la primissima parte di "Little Green Bag". Purtroppo non ho avuto molto tempo di studiare.
Succede che succede,
Sezione:
Argh,
Basso,
brain,
Como,
Danza del Ventre,
dieta,
Lavoro,
Musica,
Parentado,
Vegetarianesimo
16 luglio 2014
Qualche aggiornamento (legale?) mpf
Sono state due settimane abbastanza impegnative, la formazione più lunga che io abbia mai fatto in un lavoro.
Oltre alla formazione fatta nei tre giorni prima dell'assunzione, ce n'è stata un'altra di una settimana appena entrata. Due ore al mattino e due ore al pomeriggio e nelle altre ore ho fatto ascolto passivo.
Questo significa du' palle in sostanza, sonno abbestia e troppe cose non percepite.
A seguito di questa formazione a singhiozzo (fatta con skype perché il nostro responsabile sta in un'altra città e mille "ti sento a singhiozzo - riavvio la chiamata - mi sentite adesso?") abbiamo proseguito col prendere le chiamate, in doppia cuffia coi colleghi esperti accanto. Disastro e ansia totale.
Da lunedì è arrivato appunto il responsabile ad ascoltarci personalmente e domani ci sarà anche la sua responsabile. Una selezione così lunga e così ansiogena non l'avevo mai conosciuta in vita mia. Ho passato notti insonni, stomaco chiuso, intestino nonvidico, mal di testa a fine giornata, sudori caldi e sudori freddi, tremori.
Finché domenica sera mi sono detta "vaffanculo chi se ne frega" e lunedì per quanto fossi ansiosa almeno godevo di una notte di riposo niente male.
Credo sinceramente che le cose stiano andando bene e vorrei fare alcuni paragoni con il lavoro che mi sono lasciata dietro a Bologna.
Ricordate la faccenda di andare uno per volta in bagno, i pupazzetti attaccati alle porte, piantonare la scrivania perché se perdete le chiamate megalavatadicapo, ecc?
Dimenticatevi tutto.
Per quante chiamate arrivino, sono davvero poche, ma davvero pochissime rispetto a Bologna. Hai tempo di completare un discorso, spiegare delle cose, confessarti col vicino.
C'è la musica. Abbiamo una radiolina nella nostra isola: teniamo la musica di sottofondo e dato che non abbiamo telefoni ma solo auricolari attaccati al pc vi assicuro che non c'è nemmeno lo stress dello squillo dei telefoni di sottofondo (che metteva una tale ansia...).
La paga: prendo, per questo periodo di prova, comunque più di quanto prendevo a Bologna (un quarto in più). Finita la prova prenderò quasi il doppio.
Abbiamo pause obbligate di 10 minuti ogni due ore, basta che ci accordiamo tra di noi per non andare tutti insieme (ed è facile dato che siamo in 6).
Abbiamo due turni: dalle 8 alle 17 e dalle 11 alle 20. Alla fine di ogni mese organizziamo quello successivo in base alle esigenze di ognuno di noi. Su questo siamo indipendenti e non è il responsabile a pensarci (finché non ci sarà quel cagacazzo che ribalterà la situazione ma spero non capiti mai).
Sì, c'è un sabato lavorativo al mese. è vero. Ma solo di 4 ore. In realtà l'azienda è aperta due sabati al mese e per ogni sabato lavorativo tre di noi piantonano l'ufficio. Ma lo gestiamo solo ed esclusivamente noi.
Il lavoro, per come è fatto, sostanzialmente mi piace. Non ho un terminale ma un vero PC (mi fate felice con poco), offro una vera assistenza e ho imparato qualcosa di nuovo (che si sa mai, potrebbe essere utile in futuro).
In aggiunta a tutto questo ero così curiosa di fare la frontaliera che anche se impiego un'ora e mezza ad andare e un'ora e mezza a tornare son contenta. Questo finché non prenderò una macchina - mi chiedo, ma possibile che in un luogo dove il 50% della popolazione lavora oltre il confine abbia un sistema di mezzi pubblici così merdoso?
Per non parlare del fatto che con i nostri due stipendi ora siamo davvero scialli, ma sciallissimi. Tant'è che ho preso appuntamento con la mia tatuatrice di Torino per completare l'opera sul braccio destro (continuando il teschio e aggiungendo altri disegni) per il 4/10.
Dopo aver detto della nostra sciallitudine (e farmi in futuro incantare il malocchio da mia mamma, perché dicendo così attiro le "malelingue" come le chiama lei) aggiungo un acquisto di un oggetto davvero stupendo. E' un po' smartwatch, un po' bracciale, un po' figata allucinante e un po' un oggetto di design.
E' questo
Ne abbiamo ordinati due, arriveranno a gennaio. Per ora costano 188$ ma quando entreranno in commercio ne costeranno 300.
Ora vedo il Madagascar più vicino, e tante altre piccole minchiate che, perché no, mi garberebbe fare.
Altra curiosità.
Nel palazzo in cui lavoro ogni tanto vedo ragazzini entrare con strumenti musicali. Quando ho beccato un signore con due custodie rigide, una marcata Fender e l'altra Gibson, l'ho fermato chiedendo se ci fosse uno studio di musica.
"Vieni vieni, nello scantinato".
Senza pensare che quell'uomo potesse essere un rapitore di finte bionde, ho preso una delle due custodie e l'ho seguito finché mi ha portato in questo corridoio nello scantinato, pieno di porte (stile camerini dei divi). Bussa a una e apre un ragazzotto, e sì, c'è uno studio di registrazione, e questo ragazzo dà anche lezioni di chitarra elettrica (dietro mia specifica richiesta anche di basso, volendo).
Immaginate che figo? Quando esco da lavoro alle 17 scendo al piano di sotto e mi faccio la mia ora di basso. A quel punto Fry sarà uscito (lavora a 15 minuti di distanza di macchina da lì) mi passa a prendere e torniamo a casa. Mi ha lasciato un biglietto da visita ma lo vedo spesso e credo che chiederò i costi delle sue lezioni anche se, essendo un artista internazionale - come l'ha chiamato il signore delle chitarre, senza contare che bastano pochi chilometri per passare da una nazione all'altra - potrebbe avere costi altissimi.
Quindi ho quell'entusiasmo di chi comincia (ed è già a metà dell'opera), quell'entusiasmo che a Bologna mi era mancato sin dall'inizio perché mi spossava stare lì, avere quelle restrizioni, essere ripresa senza motivo, o per motivi futili e non poter nemmeno andare in bagno. Ah dimenticavo, qui usano tutti i cellulari, nessuno se ne lamenta, possiamo persino tenerli sulla scrivania. Se vi sembra una cosa normale non avete mai lavorato dove stavo prima.
Mi piacerebbe mandare una email alla mia ex responsabile per parlarle di come si sta qui, e che si lavora comunque, e si ha voglia di dare il massimo (nelle proprie 8 ore) e che quel fucile che tanto tiene puntato alle sue sottoposte, piccole api operaie al cospetto della regina, prima o poi cambierà bersaglio e si rivelerà un'arma esplosiva in mani improprie. Un'arma che esploderà addosso a lei.
Detto questo, vi comunico che anche se lavoro e ho poco tempo per fare tutto, faccio di più che nella noia di stare a casa (anche se stare a casa non mi dispiaceva affatto). Sabato sarò a Roma in giornata a vedere Frida Kahlo insieme ai miei amici di Bologna e sono contentissima, non vedo l'ora).
Fry a fine mese andrà in Belgio per lavoro, mi spiace tantissimo non poter andare...
Canzone del giorno: Valse di Frida Chichimeca
Oltre alla formazione fatta nei tre giorni prima dell'assunzione, ce n'è stata un'altra di una settimana appena entrata. Due ore al mattino e due ore al pomeriggio e nelle altre ore ho fatto ascolto passivo.
Questo significa du' palle in sostanza, sonno abbestia e troppe cose non percepite.
A seguito di questa formazione a singhiozzo (fatta con skype perché il nostro responsabile sta in un'altra città e mille "ti sento a singhiozzo - riavvio la chiamata - mi sentite adesso?") abbiamo proseguito col prendere le chiamate, in doppia cuffia coi colleghi esperti accanto. Disastro e ansia totale.
Da lunedì è arrivato appunto il responsabile ad ascoltarci personalmente e domani ci sarà anche la sua responsabile. Una selezione così lunga e così ansiogena non l'avevo mai conosciuta in vita mia. Ho passato notti insonni, stomaco chiuso, intestino nonvidico, mal di testa a fine giornata, sudori caldi e sudori freddi, tremori.
Finché domenica sera mi sono detta "vaffanculo chi se ne frega" e lunedì per quanto fossi ansiosa almeno godevo di una notte di riposo niente male.
Credo sinceramente che le cose stiano andando bene e vorrei fare alcuni paragoni con il lavoro che mi sono lasciata dietro a Bologna.
Ricordate la faccenda di andare uno per volta in bagno, i pupazzetti attaccati alle porte, piantonare la scrivania perché se perdete le chiamate megalavatadicapo, ecc?
Dimenticatevi tutto.
Per quante chiamate arrivino, sono davvero poche, ma davvero pochissime rispetto a Bologna. Hai tempo di completare un discorso, spiegare delle cose, confessarti col vicino.
C'è la musica. Abbiamo una radiolina nella nostra isola: teniamo la musica di sottofondo e dato che non abbiamo telefoni ma solo auricolari attaccati al pc vi assicuro che non c'è nemmeno lo stress dello squillo dei telefoni di sottofondo (che metteva una tale ansia...).
La paga: prendo, per questo periodo di prova, comunque più di quanto prendevo a Bologna (un quarto in più). Finita la prova prenderò quasi il doppio.
Abbiamo pause obbligate di 10 minuti ogni due ore, basta che ci accordiamo tra di noi per non andare tutti insieme (ed è facile dato che siamo in 6).
Abbiamo due turni: dalle 8 alle 17 e dalle 11 alle 20. Alla fine di ogni mese organizziamo quello successivo in base alle esigenze di ognuno di noi. Su questo siamo indipendenti e non è il responsabile a pensarci (finché non ci sarà quel cagacazzo che ribalterà la situazione ma spero non capiti mai).
Sì, c'è un sabato lavorativo al mese. è vero. Ma solo di 4 ore. In realtà l'azienda è aperta due sabati al mese e per ogni sabato lavorativo tre di noi piantonano l'ufficio. Ma lo gestiamo solo ed esclusivamente noi.
Il lavoro, per come è fatto, sostanzialmente mi piace. Non ho un terminale ma un vero PC (mi fate felice con poco), offro una vera assistenza e ho imparato qualcosa di nuovo (che si sa mai, potrebbe essere utile in futuro).
In aggiunta a tutto questo ero così curiosa di fare la frontaliera che anche se impiego un'ora e mezza ad andare e un'ora e mezza a tornare son contenta. Questo finché non prenderò una macchina - mi chiedo, ma possibile che in un luogo dove il 50% della popolazione lavora oltre il confine abbia un sistema di mezzi pubblici così merdoso?
Per non parlare del fatto che con i nostri due stipendi ora siamo davvero scialli, ma sciallissimi. Tant'è che ho preso appuntamento con la mia tatuatrice di Torino per completare l'opera sul braccio destro (continuando il teschio e aggiungendo altri disegni) per il 4/10.
Dopo aver detto della nostra sciallitudine (e farmi in futuro incantare il malocchio da mia mamma, perché dicendo così attiro le "malelingue" come le chiama lei) aggiungo un acquisto di un oggetto davvero stupendo. E' un po' smartwatch, un po' bracciale, un po' figata allucinante e un po' un oggetto di design.
E' questo
Ne abbiamo ordinati due, arriveranno a gennaio. Per ora costano 188$ ma quando entreranno in commercio ne costeranno 300.
Ora vedo il Madagascar più vicino, e tante altre piccole minchiate che, perché no, mi garberebbe fare.
Altra curiosità.
Nel palazzo in cui lavoro ogni tanto vedo ragazzini entrare con strumenti musicali. Quando ho beccato un signore con due custodie rigide, una marcata Fender e l'altra Gibson, l'ho fermato chiedendo se ci fosse uno studio di musica.
"Vieni vieni, nello scantinato".
Senza pensare che quell'uomo potesse essere un rapitore di finte bionde, ho preso una delle due custodie e l'ho seguito finché mi ha portato in questo corridoio nello scantinato, pieno di porte (stile camerini dei divi). Bussa a una e apre un ragazzotto, e sì, c'è uno studio di registrazione, e questo ragazzo dà anche lezioni di chitarra elettrica (dietro mia specifica richiesta anche di basso, volendo).
Immaginate che figo? Quando esco da lavoro alle 17 scendo al piano di sotto e mi faccio la mia ora di basso. A quel punto Fry sarà uscito (lavora a 15 minuti di distanza di macchina da lì) mi passa a prendere e torniamo a casa. Mi ha lasciato un biglietto da visita ma lo vedo spesso e credo che chiederò i costi delle sue lezioni anche se, essendo un artista internazionale - come l'ha chiamato il signore delle chitarre, senza contare che bastano pochi chilometri per passare da una nazione all'altra - potrebbe avere costi altissimi.
Quindi ho quell'entusiasmo di chi comincia (ed è già a metà dell'opera), quell'entusiasmo che a Bologna mi era mancato sin dall'inizio perché mi spossava stare lì, avere quelle restrizioni, essere ripresa senza motivo, o per motivi futili e non poter nemmeno andare in bagno. Ah dimenticavo, qui usano tutti i cellulari, nessuno se ne lamenta, possiamo persino tenerli sulla scrivania. Se vi sembra una cosa normale non avete mai lavorato dove stavo prima.
Mi piacerebbe mandare una email alla mia ex responsabile per parlarle di come si sta qui, e che si lavora comunque, e si ha voglia di dare il massimo (nelle proprie 8 ore) e che quel fucile che tanto tiene puntato alle sue sottoposte, piccole api operaie al cospetto della regina, prima o poi cambierà bersaglio e si rivelerà un'arma esplosiva in mani improprie. Un'arma che esploderà addosso a lei.
Detto questo, vi comunico che anche se lavoro e ho poco tempo per fare tutto, faccio di più che nella noia di stare a casa (anche se stare a casa non mi dispiaceva affatto). Sabato sarò a Roma in giornata a vedere Frida Kahlo insieme ai miei amici di Bologna e sono contentissima, non vedo l'ora).
Fry a fine mese andrà in Belgio per lavoro, mi spiace tantissimo non poter andare...
Canzone del giorno: Valse di Frida Chichimeca
20 maggio 2014
Ma se vi dicessi che...
Mi piace il lavoro a contatto con la gente, non lo nego.
Anche se in questi giorni ho scoperto che:
- molte persone con problemi d'udito rispondono in ogni caso anche se non sentono una mazza.
io: "Che voto da' alla frequenza delle corse dell'autobus?"
vecchietta 80enne sprint: "Ah no guardi, io frequento poca gente, solo le mie amiche"
io "..., bhe sì, allora l'orario di inizio e fine del servizio?"
vecchietta: "non do' confidenza a nessuno io, sa? buongiorno e buonasera e basta"
- i ragazzini non hanno nozione di significato di terminologie semplici, ad esempio molti non sanno cosa significhi "comfort" o "frequenza delle corse"
- alcuni vecchietti considerano la Lombardia come il centro del mondo.
vecchietto: "ah io ho l'abbonamento per tutta la Lombardia, vado anche in Piemonte"
io: "Bhe, no, l'abbonamento per la Lombardia non le permette di andare anche in Piemonte"
vecchietto, con fare saccente: "bhe perché il Piemonte dov'è scusi? Non è in Lombardia?"
Oggi ho la schiena a pezzi, mi concederò ora della sana lettura, lasciandovi con un dilemma esistenziale. Perché i maschi di ogni età e generazione amano le bionde?
Canzone del giorno: Starman David Bowie
Anche se in questi giorni ho scoperto che:
- molte persone con problemi d'udito rispondono in ogni caso anche se non sentono una mazza.
io: "Che voto da' alla frequenza delle corse dell'autobus?"
vecchietta 80enne sprint: "Ah no guardi, io frequento poca gente, solo le mie amiche"
io "..., bhe sì, allora l'orario di inizio e fine del servizio?"
vecchietta: "non do' confidenza a nessuno io, sa? buongiorno e buonasera e basta"
- i ragazzini non hanno nozione di significato di terminologie semplici, ad esempio molti non sanno cosa significhi "comfort" o "frequenza delle corse"
- alcuni vecchietti considerano la Lombardia come il centro del mondo.
vecchietto: "ah io ho l'abbonamento per tutta la Lombardia, vado anche in Piemonte"
io: "Bhe, no, l'abbonamento per la Lombardia non le permette di andare anche in Piemonte"
vecchietto, con fare saccente: "bhe perché il Piemonte dov'è scusi? Non è in Lombardia?"
Oggi ho la schiena a pezzi, mi concederò ora della sana lettura, lasciandovi con un dilemma esistenziale. Perché i maschi di ogni età e generazione amano le bionde?
Canzone del giorno: Starman David Bowie
18 maggio 2014
Ok, siamo più sociali che a Bologna
E' paradossale, lo so, siamo lontani da tutto ma quando qualcuno si trova da queste parti passa a trovarci, e così mentre a Bologna passavamo mesi senza vedere nessuno, ieri è passato un ex collega di Fry, e i primi di giugno viene sua cugina a trovarci, e insomma, ogni tanto ci troviamo immersi con gente conosciuta o meno. Mi fa felice.
Per cui ieri passeggiata, birrino al solito chioschetto, chiacchieratina, e il pensiero di tornare al lavoro domani.
Però sono contenta, mi sto guadagnando il mio meeting di piante carnivore a Padova, per quanto mi stanchi a fare questo lavoro non mi interessa, va benone così. Si tratta di altri soli cinque giorni e via.
Sto leggendo un libro pesissimo ma altamente interessante: chissà come mai ci rivedo la mia ex vita lavorativa in quel di Bologna, ve lo consiglio caldamente...
Per cui ieri passeggiata, birrino al solito chioschetto, chiacchieratina, e il pensiero di tornare al lavoro domani.
Però sono contenta, mi sto guadagnando il mio meeting di piante carnivore a Padova, per quanto mi stanchi a fare questo lavoro non mi interessa, va benone così. Si tratta di altri soli cinque giorni e via.
Sto leggendo un libro pesissimo ma altamente interessante: chissà come mai ci rivedo la mia ex vita lavorativa in quel di Bologna, ve lo consiglio caldamente...
05 febbraio 2014
Sulla sponda del lago Lario mi sono seduta e ho pianto
Perché molti non lo sanno ma il lago di Como ha un suo nome, si chiama Lario e a piangere non ci penso nemmeno, sto troppo bene.
In un certo senso devo ringraziare l'alienazione del mio ex lavoro se sto così: se fossi riuscita a socializzare come nel lavoro che facevo a Firenze ora sarei un bel po' disperata.
Voglio bene alle persone che ho lasciato a Bologna, ma voglio più bene a me stessa e quella situazione mi stava facendo sentire male. Ma malissimo.
A dir la verità mi ha fatto sentire male dal primo giorno, da quando entri e dici "oh cazzo" - e in genere è un "oh cazzo" di contentezza, finalmente hai trovato un lavoro, non dovete più arrancare per arrivare a fine mese e invece nel mio caso era un "oh cazzo, dove sono finita?"
Da quando il mio collega che mi ha formata mi ha detto sottovoce "ah niente cellulari" e "per andare in bagno devi togliere il pupazzetto dalla porta" ed essere spostata di postazione ogni 3 mesi in modo da non avere modo di non legare per bene con nessuno, l'atteggiamento assolutamente poco consono di persone a un livello più alto di noi, formichine, che si ostinavano a parlare male dei dipendenti con altri nostri pari. Le lavate di testa improvvise che pur senza urla, riuscivano a metterci in difficoltà, a creare situazioni ansiose, paure incomprensibili (ad esempio quando sentivamo pronunciare il nostro nome la prima cosa che ci veniva in mente era "cosa avrò sbagliato?"), i turni spezzati che impediscono di vivere (il che non sarebbe nemmeno tanto terribile se non unito a tutto il resto) e non è sputare nel piatto dove si mangia, che è un'espressione che è mi è venuta a noia. Anzi diciamo pure che la detesto. Che cosa significa mai sputare nel piatto dove mangi? Chi mai sputerebbe nel piatto dove mangia? Una persona psicolabile forse. Le persone mangiano, se hanno fame mangiano anche quello che non gli garba e hanno tutto il diritto di lamentarsene, ma nessuno ci sputa dentro.
Il fatto di fare un lavoro che si detesta e lamentarsene è la stessa cosa. Abbiamo tutti necessità di lavorare, non sempre siamo così fortunati di fare un lavoro che anche minimamente ci interessi o ci piaccia. Se facciamo tutto ciò che è in nostro potere per toglierci da quella situazione e non ci riusciamo abbiam ben diritto di lagnarcene.
Peggio è quando la gente si lamenta e non fa niente per cambiare la situazione. Ma ancora più terribile è quando le persone non possono in nessun modo cambiare la loro condizione.
E non è "sputare nel piatto in cui si mangia". Vivere a Firenze e ammettere di vivere in una città con enormi difetti non è sputare nel piatto in cui si mangia.
Dopo questo sfogo vorrei solo dire a chi sta lì dentro e non merita assolutamente di stare lì dentro... "tenete duro". Davvero.
A volte una botta di culo ti cambia la vita. Altre volte le botte di culo vanno cercate. Altre purtroppo pare non accadere niente, ma magari è solo un'impressione.
Canzone del giorno: Capitan Harlock Banda dei Bucanieri
In un certo senso devo ringraziare l'alienazione del mio ex lavoro se sto così: se fossi riuscita a socializzare come nel lavoro che facevo a Firenze ora sarei un bel po' disperata.
Voglio bene alle persone che ho lasciato a Bologna, ma voglio più bene a me stessa e quella situazione mi stava facendo sentire male. Ma malissimo.
A dir la verità mi ha fatto sentire male dal primo giorno, da quando entri e dici "oh cazzo" - e in genere è un "oh cazzo" di contentezza, finalmente hai trovato un lavoro, non dovete più arrancare per arrivare a fine mese e invece nel mio caso era un "oh cazzo, dove sono finita?"
Da quando il mio collega che mi ha formata mi ha detto sottovoce "ah niente cellulari" e "per andare in bagno devi togliere il pupazzetto dalla porta" ed essere spostata di postazione ogni 3 mesi in modo da non avere modo di non legare per bene con nessuno, l'atteggiamento assolutamente poco consono di persone a un livello più alto di noi, formichine, che si ostinavano a parlare male dei dipendenti con altri nostri pari. Le lavate di testa improvvise che pur senza urla, riuscivano a metterci in difficoltà, a creare situazioni ansiose, paure incomprensibili (ad esempio quando sentivamo pronunciare il nostro nome la prima cosa che ci veniva in mente era "cosa avrò sbagliato?"), i turni spezzati che impediscono di vivere (il che non sarebbe nemmeno tanto terribile se non unito a tutto il resto) e non è sputare nel piatto dove si mangia, che è un'espressione che è mi è venuta a noia. Anzi diciamo pure che la detesto. Che cosa significa mai sputare nel piatto dove mangi? Chi mai sputerebbe nel piatto dove mangia? Una persona psicolabile forse. Le persone mangiano, se hanno fame mangiano anche quello che non gli garba e hanno tutto il diritto di lamentarsene, ma nessuno ci sputa dentro.
Il fatto di fare un lavoro che si detesta e lamentarsene è la stessa cosa. Abbiamo tutti necessità di lavorare, non sempre siamo così fortunati di fare un lavoro che anche minimamente ci interessi o ci piaccia. Se facciamo tutto ciò che è in nostro potere per toglierci da quella situazione e non ci riusciamo abbiam ben diritto di lagnarcene.
Peggio è quando la gente si lamenta e non fa niente per cambiare la situazione. Ma ancora più terribile è quando le persone non possono in nessun modo cambiare la loro condizione.
E non è "sputare nel piatto in cui si mangia". Vivere a Firenze e ammettere di vivere in una città con enormi difetti non è sputare nel piatto in cui si mangia.
Dopo questo sfogo vorrei solo dire a chi sta lì dentro e non merita assolutamente di stare lì dentro... "tenete duro". Davvero.
A volte una botta di culo ti cambia la vita. Altre volte le botte di culo vanno cercate. Altre purtroppo pare non accadere niente, ma magari è solo un'impressione.
Canzone del giorno: Capitan Harlock Banda dei Bucanieri
30 gennaio 2014
E' arrivato l'internet, è arrivato l'internet! Gioiamo insieme fratelli!
Nevica. Stamani pioveva. Per quello e anche per la tempesta emotiva di questo periodo, la canzone di oggi è questa.
Iruben me Zucchero
Prima la canzone e poi i racconti, questa volta.
Come sapete ci siamo trasferiti a Como (con la o chiusa sennò si incazzano), Fry ha cominciato a lavorare in Schfizzera e si trova molto bene. In questi giorni e fino a lunedì è a casa perché ha la faccia gonfissima ma la nuova dottora di Como che sembra più competente di mr. Hitler bolognese, gli ha prescritto antinfiammatori e antibiotici e ora sta già meglio.
Cercherò di descrivere brevemente l'operazione trasloco e il resto. La casa a Bologna è nostra fino al 15 marzo e comunque fino a che non trovano un altro inquilino. Quindi c'è ancora della roba, poca ma c'è.
Mercoledì 22 gennaio ho fatto una cena con colleghi ma anche ex colleghi per salutarli. C'è stata un'adesione che non mi aspettavo. Eravamo in tutto 26, sono stata molto contenta e devo dire non me lo aspettavo.
Il biglietto mi ha commossa
E due regalini entrambi molto molto azzeccati e per niente attesi!
E anche se può sembrare sdolcinato per me il regalo più grosso è che abbiano impiegato la cosa più preziosa che hanno, ovvero il tempo, per salutarmi. Hanno messo da parte progetti, fidanzate/fidanzati o anche solo stare a casa da soli per venire lì.
Siamo andati all'American Graffiti dove si mangiano praticamente solo hamburger ma hanno un menù tutto vegetariano anche per me.
La sera è passata veloce. Eravamo tanti, il tempo era poco, il giorno dopo dovevamo tornare al nostro lavoro grigio e quindi non siamo andati via tardissimo.
Il 24 però, venerdì, è arrivato il momento dei saluti. Vorrei volatilizzarmi all'istante perché non riesco a gestire le emozioni dell'addio. Ero così provata e stanca dal trasloco e dal fatto che Fry fosse già su da due settimane che non vedevo l'ora di andare via. C'era una parte di me che era spiaciuta perché ho conosciuto splendide persone e alcune troppo tardi (non mi lascio avvicinare facilmente e sono inizialmente molto chiusa) solo che la felicità ha preso il sopravvento. E sono ad oggi ancora così indaffarata che non sentirò la botta per un po' di tempo. Ma non ho la capacità di volatilizzarmi così li ho salutati: chi al mattino perché non li avrei rivisti il pomeriggio dato il turno diverso, chi la sera prima di andare a casa. E sono stata una signora: ho salutato anche chi non avrei voluto, ma era una questione di educazione più che di qualsiasi altra cosa.
Ho lasciato questo biglietto sul monitor che in pochi avranno capito.
Mi sono trovata dei bigliettini sul monitor da chi il 24 faceva il turno del mattino e un foglio nel cassetto della scrivania da chi faceva il turno del mattino.
Penso che se il lavoro mi avesse lasciato più spazio e tempo per socializzare sarebbe stato peggio.
Il 25 Fry scende per venirmi a prendere e caricare la macchina con le ultime cose...
La sera usciamo con la mi'Chiarina arrivata da Firenze e Lorenza, andando al macrobiotico. Sì lo so cosa state pensando ma a me piace magiarci (tranne quando mi sgridano perché uso il cellulare perché "quando si mangia si fa il sangue e le onde elettromagnetiche disturbano questo processo" - la scienza qui non è di casa come potete supporre)
Domenica arriviamo quindi a Como, distrutti e felici.
Comincia la fatica numero due. Lunedì viene una mia carissima amica (Zion) ad aiutarmi a fare le pulizie. Io non so da che parte cominciare ma lei è bravissima e molto organizzata. La cucina viene splendida e ordinata!
Passiamo alla sala ma dobbiamo interrompere per l'arrivo dei tecnici fastweb. E alla fine mi insegna a fare delle ottime polpette con le lenticchie (mmmmmm buoneeee) che io e Fry spazzoliamo per bene la sera.
Poi usciamo per andare in stazione ma non capiamo dove ferma il bus così decidiamo di andare a piedi, solo che dobbiamo praticamente volare. E infatti prende il treno al volo.
Non saprei come altro ringraziarla se non dirle ancora grazie!
Mi ha dato una mano enorme e abbiamo passato una bellissima giornata (fatica a parte).
Martedì decido di andare a fare spesa all'esselunga vicino casa. Seeee, vicino casa. Con la busta piena a fare il salitone che porta a casa mia pensavo di non farcela. A 200 mt volevo chiamare un taxi!
Così martedì sera decido di fare la spesa online sul sito Esselunga. Sì lo so ma senza macchina è un delirio.
Mercoledì me l'hanno consegnata, così sono riuscita a prendere anche del vino e delle birre.
La mia missione in questi giorni è esportare (o meglio importare a questo punto) il mascarpone di Bologna. Chiamano mascarpone quella crema appunto al mascarpone usata nel tiramisù. E' solo la crema e nient'altro. Si possono mettere gocce di cioccolato ma è ottima anche così.
Ieri m'è venuta liquida, devo aver trattato male gli albumi montati a neve ma oggi è venuta una delizia.
Teek.
Stamani ci abbiamo fatto colazione. Con un goccio di caffè e non abbiamo avuto fame fino almeno alle 13!
Altre cose: oggi sono andata in posta prendendo il bus. Notare che nevicava.
Prendo il bus e in 9 minuti arrivo (in 20 minuti sarei arrivata a piedi ma con questo tempo...). Dato che lì accanto c'è il Carrefour decido di fermarmi per prendere altro mascarpone.
Intanto l'avventura in posta. Entro, do' i documenti e la delega (il pacco era per Fry) e mi dice "Sì non devi venire qui ma accanto c'è un cortile, entri in quell'ufficio e chiedi a loro"
Esco, vado nel cortile accanto e ci sono diverse porte. A destra una porta con su scritto "E' severamente vietato l'ingresso ai non addetti".
Quando mi dicono che è severamente vietato non posso che prenderne atto.
A sinistra ci sono una serie di porte. Guardando dall'esterno (la parte superiore è in vetro e si vede l'interno) mi pare che solo la prima porta sia praticabile. Entro e ci sono diverse scrivanie ma di persone nemmeno l'ombra. Tralaltro ci sono pacchi e corrispondenza di persone e mi sembra di essere dove non devo.
Chiedo, come nei film, "E' permesso?"
Nessuna risposta
"Permesso?"
Niente
"C'è nessuno?"
Nulla
Decido di percorrere il corridoio tra le scrivanie, magari mi porta in qualche dove. Ma shhtt ecco: c'è un gabbiotto con due persone! E finalmente loro hanno il mio pacco. Maremma sbregola.
Vado al Carrefour e compro ciò che devo comprare in tutta fretta perché poi c'è il bus che mi porta a casa e passa ogni mezz'ora quindi è bene non perderlo!
Così arrivo circa 5 minuti prima e aspetto, aspetto, aspetto. Insomma: passa mezz'ora e il bus ha saltato la corsa! Mega arrabbiata, sotto la neve, con la busta fradicia, non so più che santi tirare giù.
Comunque la giornata è andata bene, la settimana benissimo, ma ora scusatemi tanto. Ho un mascarpone che mi attende.
Iruben me Zucchero
Prima la canzone e poi i racconti, questa volta.
Come sapete ci siamo trasferiti a Como (con la o chiusa sennò si incazzano), Fry ha cominciato a lavorare in Schfizzera e si trova molto bene. In questi giorni e fino a lunedì è a casa perché ha la faccia gonfissima ma la nuova dottora di Como che sembra più competente di mr. Hitler bolognese, gli ha prescritto antinfiammatori e antibiotici e ora sta già meglio.
Cercherò di descrivere brevemente l'operazione trasloco e il resto. La casa a Bologna è nostra fino al 15 marzo e comunque fino a che non trovano un altro inquilino. Quindi c'è ancora della roba, poca ma c'è.
Mercoledì 22 gennaio ho fatto una cena con colleghi ma anche ex colleghi per salutarli. C'è stata un'adesione che non mi aspettavo. Eravamo in tutto 26, sono stata molto contenta e devo dire non me lo aspettavo.
Il biglietto mi ha commossa
E due regalini entrambi molto molto azzeccati e per niente attesi!
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Evvai con le foto di gruppo! |
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Un gioco che non vedo l'ora di provare! |
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Menù vegetariano e vegano |
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Ciao tate! |
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canottierina Desigual |
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Loredana mi ha fatto un pensiero a parte (che sto indossando sempre) - se non si vede sappiate che è una bellissima lumachina! |
Siamo andati all'American Graffiti dove si mangiano praticamente solo hamburger ma hanno un menù tutto vegetariano anche per me.
La sera è passata veloce. Eravamo tanti, il tempo era poco, il giorno dopo dovevamo tornare al nostro lavoro grigio e quindi non siamo andati via tardissimo.
Il 24 però, venerdì, è arrivato il momento dei saluti. Vorrei volatilizzarmi all'istante perché non riesco a gestire le emozioni dell'addio. Ero così provata e stanca dal trasloco e dal fatto che Fry fosse già su da due settimane che non vedevo l'ora di andare via. C'era una parte di me che era spiaciuta perché ho conosciuto splendide persone e alcune troppo tardi (non mi lascio avvicinare facilmente e sono inizialmente molto chiusa) solo che la felicità ha preso il sopravvento. E sono ad oggi ancora così indaffarata che non sentirò la botta per un po' di tempo. Ma non ho la capacità di volatilizzarmi così li ho salutati: chi al mattino perché non li avrei rivisti il pomeriggio dato il turno diverso, chi la sera prima di andare a casa. E sono stata una signora: ho salutato anche chi non avrei voluto, ma era una questione di educazione più che di qualsiasi altra cosa.
Ho lasciato questo biglietto sul monitor che in pochi avranno capito.
Mi sono trovata dei bigliettini sul monitor da chi il 24 faceva il turno del mattino e un foglio nel cassetto della scrivania da chi faceva il turno del mattino.
Penso che se il lavoro mi avesse lasciato più spazio e tempo per socializzare sarebbe stato peggio.
Il 25 Fry scende per venirmi a prendere e caricare la macchina con le ultime cose...
La sera usciamo con la mi'Chiarina arrivata da Firenze e Lorenza, andando al macrobiotico. Sì lo so cosa state pensando ma a me piace magiarci (tranne quando mi sgridano perché uso il cellulare perché "quando si mangia si fa il sangue e le onde elettromagnetiche disturbano questo processo" - la scienza qui non è di casa come potete supporre)
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montagne innevate quasi all'arrivo! |
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le mie formichine ben protette |
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che dire, la macchina era conciata così! |
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la vista serale da casa |
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la vista di giorno col (rarissimo soprattutto in questi giorni) sole |
Passiamo alla sala ma dobbiamo interrompere per l'arrivo dei tecnici fastweb. E alla fine mi insegna a fare delle ottime polpette con le lenticchie (mmmmmm buoneeee) che io e Fry spazzoliamo per bene la sera.
Poi usciamo per andare in stazione ma non capiamo dove ferma il bus così decidiamo di andare a piedi, solo che dobbiamo praticamente volare. E infatti prende il treno al volo.
Non saprei come altro ringraziarla se non dirle ancora grazie!
Mi ha dato una mano enorme e abbiamo passato una bellissima giornata (fatica a parte).
Martedì decido di andare a fare spesa all'esselunga vicino casa. Seeee, vicino casa. Con la busta piena a fare il salitone che porta a casa mia pensavo di non farcela. A 200 mt volevo chiamare un taxi!
Così martedì sera decido di fare la spesa online sul sito Esselunga. Sì lo so ma senza macchina è un delirio.
Mercoledì me l'hanno consegnata, così sono riuscita a prendere anche del vino e delle birre.
La mia missione in questi giorni è esportare (o meglio importare a questo punto) il mascarpone di Bologna. Chiamano mascarpone quella crema appunto al mascarpone usata nel tiramisù. E' solo la crema e nient'altro. Si possono mettere gocce di cioccolato ma è ottima anche così.
Ieri m'è venuta liquida, devo aver trattato male gli albumi montati a neve ma oggi è venuta una delizia.
Teek.
Stamani ci abbiamo fatto colazione. Con un goccio di caffè e non abbiamo avuto fame fino almeno alle 13!
Altre cose: oggi sono andata in posta prendendo il bus. Notare che nevicava.
Prendo il bus e in 9 minuti arrivo (in 20 minuti sarei arrivata a piedi ma con questo tempo...). Dato che lì accanto c'è il Carrefour decido di fermarmi per prendere altro mascarpone.
Intanto l'avventura in posta. Entro, do' i documenti e la delega (il pacco era per Fry) e mi dice "Sì non devi venire qui ma accanto c'è un cortile, entri in quell'ufficio e chiedi a loro"
Esco, vado nel cortile accanto e ci sono diverse porte. A destra una porta con su scritto "E' severamente vietato l'ingresso ai non addetti".
Quando mi dicono che è severamente vietato non posso che prenderne atto.
A sinistra ci sono una serie di porte. Guardando dall'esterno (la parte superiore è in vetro e si vede l'interno) mi pare che solo la prima porta sia praticabile. Entro e ci sono diverse scrivanie ma di persone nemmeno l'ombra. Tralaltro ci sono pacchi e corrispondenza di persone e mi sembra di essere dove non devo.
Chiedo, come nei film, "E' permesso?"
Nessuna risposta
"Permesso?"
Niente
"C'è nessuno?"
Nulla
Decido di percorrere il corridoio tra le scrivanie, magari mi porta in qualche dove. Ma shhtt ecco: c'è un gabbiotto con due persone! E finalmente loro hanno il mio pacco. Maremma sbregola.
Vado al Carrefour e compro ciò che devo comprare in tutta fretta perché poi c'è il bus che mi porta a casa e passa ogni mezz'ora quindi è bene non perderlo!
Così arrivo circa 5 minuti prima e aspetto, aspetto, aspetto. Insomma: passa mezz'ora e il bus ha saltato la corsa! Mega arrabbiata, sotto la neve, con la busta fradicia, non so più che santi tirare giù.
Comunque la giornata è andata bene, la settimana benissimo, ma ora scusatemi tanto. Ho un mascarpone che mi attende.
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