29 novembre 2018

La mia (s)quadra

Oggi ho lavorato 9 ore e mi sono ricordata il significato di squadra.
A parte che in questi giorni ho ricevuto messaggi vocali molto carini dai miei colleghi "Carla, ci manchi, quando torni?" (sono stata impupata 3 giorni) e oggi avevamo un obiettivo record che a detta di tutti non avremmo mai raggiunto.
Eppure quando la responsabile ha chiesto chi fosse disponibile a restare un'ora in più oltre le 4 ore di straordinario già concordate, pochi sono andati via. Più che altro per i figlioli, penso, ma anche tra chi li aveva qualcuno è riuscito a smollarli al familiare libero di turno. E alla fine, indovinate, ce l'abbiamo fatta.

Io non ho avuto la fortuna di fare sport. Ma nella sfortuna sono stata comunque fortunata.
Leggi pure "fottesega dello sport, io". I miei compagni sfoggiavano belle medaglie per le gare di nuoto, coppe per le partite di pallavolo e/o calcio e/o basket.
Per fare sport servivano soldi e qualcuno che ti venisse a riprendere la sera.
Io non avevo né l'una né l'altra cosa.

Così quelle poche volte che a scuola organizzavano partite di pallavolo o altro ero scoglionata due volte. Non sono mai stata competitiva, e sono sempre stata l'ultima a essere scelta per formare una squadra di qualsivoglia sport.

Non so se siete stati i classici sfigatelli come me, ma in quei frangenti io penso che i ragazzini non riescano a fare gioco di squadra. Pur di vincere gli sfigati vengono lasciati in fondo, senza dar loro nessuna possibilità di miglioramento. E in questo probabilmente gli allenatori fanno la loro parte. Dico male? Chissà.

Dai, siate sinceri, avete passato la palla al compagno che è stato scelto per ultimo, pur sapendo che magari non avrebbe azzeccato un tiro? Pur sapendo che vi avrebbe tolto il punto che vi avrebbe portato alla vittoria?
Io ero quel compagno. E avrei avuto anche gli occhiali se non mi fossi categoricamente rifiutata di portarli fino a che non mi sono resa conto di salutare (o no) la gente a caso per la strada (quindi parecchi anni dopo).

Una delle mie amiche era la persona più competitiva che conoscevo. Anche a basket, dove il passaggio della palla è essenziale, lei era capace di correre da una parte all'altra del campo da sola, senza fare alcun passaggio e fare canestro.
Era snervante.

In genere, quando accadeva, io mi sedevo annoiata in fondo al campo attendendo la fine della partita, con l'insegnante di educazione fisica che diceva "Dai Colombo, almeno sta' in piedi".

Non avevo medaglie, avevo solo voglia di giocare a palla prigioniera scavalcando il recinto per entrare nel campetto della chiesa del "Fungo" (così veniva chiamato il parchetto di zona). O a nascondino. O a qualsiasi cosa dove ci si potesse divertire e muovere senza per forza dover vincere, o dove comunque la vittoria non era lo scopo.

Lei no. Riusciva a essere competitiva anche a nascondino.
Barava a visual game.
Si arrabbiava quando perdeva, stravolgendo le regole a suo favore.

Oggi eravamo lì e anche se sappiamo tutti che non è il lavoro della vita, è stato carino affrontare questa giornata devastante insieme. Mangiando come dei maiali, scherzando come se non ci fosse un domani, e lavorando per una vittoria comune.

Questo, per me, è un bel lavoro di squadra.

Canzone del giorno: Sick Tamburo Il fiore per te

28 novembre 2018

5 tons

Ho il cuore pesante. Così pesante che se nel letto dal quale faccio fatica ad alzarmi, riesco perlomeno a rotolare, come una larva, sul fianco sinistro, mi pesa sulle costole della gabbia toracica. E se mi giro sul fianco destro, idem, E se la forza mi assiste e riesco ad alzarmi, il diaframma è spinto verso il basso, come nella tensione di un grido che fa fatica a uscire.
Allora penso a una unica soluzione: se avessi una macchina guiderei fino a dove mi porta la benzina. Poi una volta ferma la parcheggerei e andrei avanti fino a dove mi portano le gambe. Poi, che ci sia luce o buio, mi fermerei a contemplare cosa ho attorno. Probabilmente niente, come adesso. Ma un niente più vasto.
Allora urlerei con tutta la forza che ho in corpo, che è così che si libera un cuore pesante. E piangerei fino a esaurire le lacrime.

Non ho mai compreso perché le persone decidessero, a un certo punto, di togliersi la vita. Ora un po' lo capisco. Perché senza avere la possibilità di rialzarsi, con un minimo di serenità e stabilità (pur immaginandola e contemplandola da lontano, come uno spettatore che vede la propria vita da dietro le quinte), ma ricevendo colpi forti, diretti e interminabili alla fine si esauriscono le forze. Che di me si può dire tutto ma non che non abbia lottato, pur uscendone perdente, a pezzi, insanguinata ed esanime. Di me si può dire ogni cosa ma non che non sappia lottare per le cose che ritengo importanti, e che sia pronta anche a subire l'ennesima umiliazione. E che quando smetto di lottare è solo perché sono troppo ferita e devo scegliere di sopravvivere.
Ma, alla fine, forse è quello. Lottare da soli ha poco senso.
Non mi toglierò mai la vita, non preoccupatevi. Dico solo che comprendo. Che capisco quale sia il peso che porti a un gesto così estremo.

Non sono sparita, sto scrivendo un racconto lungo. Che non so se terminerò perché sono abituata a scrivere in massimo un'oretta i miei post e invece sono giorni che ci sto sopra.

Io, a differenza di ciò che qualcuno dice, non so scrivere bene. Quando mi rileggo a volte mi infastidisco: ma ho una capacità, immagino e visualizzo tanto. E quindi io scrivo solo ciò che vedo, per quello mi riesce facile parlare della mia vita. Perché è qui, e ora.

Ma ogni tanto la visualizzazione di contesti non reali prende il sopravvento e allora se c'è un amico che ti stimola a buttarla giù sotto forma di un racconto non puoi non cedere alla tentazione della sfida. E quando verbalizzi le tue visioni ti rendi conto che forse si può fare, anche se la strada alla fine è ancora lunga, un po' in salita (ma non troppo) e non sai dove ti porterà.

Io penso che questo anno mi abbia portato troppa sofferenza e troppo a lungo. E sono stanca anche fisicamente.
Spero che questo anno di sofferenza finisca presto, perché la resilienza per cui ero famosa mi sta abbandonando. Non riesco più a rimettermi in piedi bene senza uscirne ammaccata.

Ammaccata come quelle mele magari buone eh? Ma che sono state troppo sballottate ed esteticamente per niente appetibili.

Che sia, lo spero, davvero l'ultimo post triste. Che anche a rileggerli mi viene la nausea.

17 novembre 2018

Ready

Mi scrive una email I.
Io e I. non ci siamo conosciuti per caso. L'ho contattato diversi anni fa, dopo aver letto un suo articolo per il giornalino dell'UGI. Parlava del suo tumore adolescenziale, un aggressivo Osteosarcoma. Lo scrivo con l'iniziale in maiuscolo perché il suo nome possa essere letto con la reverenza che la malattia merita. Un ospite cattivo, aggressivo, inatteso.
Lo contattai, dicevo, perché noi ex tumorati di dio abbiamo un filone comune nelle nostre storie, per quanto arriviamo da ambienti diversi, educati in modi diversi, abbiamo tutti la stessa modalità di cercare il nostro posto nel mondo. Alla fine io e I. non ci siamo visti molto spesso, posso dire che forse ci siamo visti 2 o 3 volte nell'arco di questi 10 anni e più.
Vivevo a Bologna quando mi mandò la prima bozza del libro che stava scrivendo sulla sua storia. Decisi di leggerlo in modo matematico, 20 pagine al giorno almeno, per poterlo terminare in circa una ventina di giorni, si trattava infatti di una prima versione di ben 400 pagine e, mi diceva, era solo la prima parte.
Nel corso di questi anni mi ha inviato altre versioni che io non ho mai letto. Ho avuto questo periodo di rifiuto relativamente lungo in cui ho allontanato ogni connessione con qualcosa di inerente alla mia malattia.
Oggi mi arriva una sua email, con una sua più recente versione. Ecco, mi sento pronta a leggerlo.

Quando lo lessi la prima volta mi chiesi se ci fosse stato bisogno di un ALTRO libro sul cancro. Ora poi, che Nadia Toffa (purtroppo per lei e chi le sta accanto) si è ammalata, qualsiasi altro ingresso sul mercato letterario sembra superfluo.
Un personaggio famoso e malato di cancro.
Però io penso che la vicenda di I. sia diversa. Un po' perché, a differenza mia e della qui sopra specificata presentatrice, c'è un totale rifiuto della malattia. Mentre io sfoggiavo la mia pelata con orgoglio a dimostrare la battaglia interiore e anche esteriore, ben visibile, che stavo affrontando, I. ha nascosto tutto, con l'accuratezza di un prestigiatore che mostra solo ciò che vuole mostrare. La parrucca, emblema di questo sodalizio con i suoi segreti, ne è testimone. Accuratamente acconciata e sistemata per non essere spostata in nessun modo, nemmeno se qualcuno avesse dovuto scompigliargli i capelli, in un gesto di affettuosa amicizia o altro.

Sono stata fortunata. Io ho compreso subito di essere una guerriera, I. ha purtroppo scoperto questa cosa molto dopo. Lo si legge tra le righe, dell'orgoglio attuale per quel ragazzino che sente così lontano, così diverso da lui ma allo stesso tempo ne è stato parte.
Voglio molto bene a I, anche se non ci vediamo quasi mai.

Con tutto questo volevo solo chiedergli sinceramente scusa per non esserci stata, ma... No, nessun ma, nessuna giustificazione. Ora sono pronta.

Ora posso leggerti.

16 novembre 2018

Hai vinto tu

"Stasera mi sa che prenoto un viaggio per Berlino. Partenza venerdì 18 gennaio, ritorno domenica sera. Me ne vado da sola, tranquilla"
"Non puoi imprigionare nel palmo ne' una rondine ne' Carla"

Sono a Torino ma sembra Cömo. In quella landa desolata che è il terreno dei sogni, dove ogni cosa è uguale a se stessa ma sempre diversa. Mutamenti visibili e percettivamente non spiegabili.
Mi vieni a trovare, tu. Ma non sei tu. Io so chi sei, ma il tuo aspetto è esattamente l'opposto. Sei alto, biondo, occhi azzurri.
Passeggiamo, per stare un po' insieme finché una persona che identifico essere Papadopoulos (io la chiamo così ma non è il suo nome, è un'amica di un amico e io non l'ho ancora mai conosciuta) ci spiega che se vogliamo possiamo partecipare a una specie di concorso, e fare in modo che i nostri nomi siano tra i 12 prescelti. Non ricordo per cosa.
Le dico che se si tratta di una gara di resistenza fisica, con me, non attacca.

Ma tu sei entusiasta.

Ci portano in un campo fangoso, e tutti cominciano a correre. Dritto davanti a noi ci sono delle persone in tenuta militare che ci lanciano addosso dei frisbee. Continuo a correre ma percorro pochi metri prima di essere investita da uno di questi oggetti volanti. Mesta torno al punto di partenza uscendo dal campo di gioco, convinta di essere stata squalificata.
Io non so le regole.
Così un membro della giuria mi dice che non è questo il modo per essere squalificati e posso proseguire. Riprendo a correre, il percorso è tortuoso e non so come ti ritrovo accanto a me. Anzi, poco più avanti. Solo che la strada è chiusa e c'è una specie di portavetri per accedere al resto del percorso, penso. Scrivo penso perché in realtà non so, non so cosa sto facendo, non so dove sto andando, non so per cosa sto gareggiando, non so cosa potrei vincere.
Tu sembri così sicuro.

Ti arrampichi in cima al muretto di terra che è accanto a te, ti seguo. In cima c'è una botola, la apri e dentro è buio. "So io dove andare" e mi tendi la mano.
Mi guardo attorno, non mi fido ma non ho molta scelta. Cominci tu a scendere per questa scala a pioli di legno. Scendo io.
Buio.


Ti scrivo una email, chiedendoti come mai non rispondi ai miei messaggi.
A quel punto mi rispondi. Ti chiedo:
"Perché mi hai bloccata?"
"Ma io non ti ho bloccata, avevo spento il telefono perché sto reinstallando tutti i server dell'azienda e non potevo tenere il telefono acceso"
"Ma tu non ti occupi di server"
"No, lo so, ma in questo caso sì, credimi"
"No"


Non so le regole del gioco a cui giochiamo. Non potrò mai vincere, né pareggiare. Sono destinata al fallimento.

Canzoni del giorno: Chris Isaak Wicked Game, Cranberries Dreaming my Dreams



13 novembre 2018

La persistenza del cavo

Mi dispiace.
So che a volte sorridi.
Anche se quello che hai dentro non e' un sorriso.
Che a volte non dici una parola perche' per spiegare quella sola parola ne servirebbero un milione di parole, e poi ci sarebbero delle domande, e sono un milione di parole a domanda, per questo non ne dici neanche una.
So che a volte ti senti sola.
E a volte non ti piaci.
Ma io ti ammiro. Sei un'anima tormentata ma libera. Piena di cicatrici ma forte. Sei una di quelle persone speciali che 20 anni dopo che non le vedi piu' te le ricordi ancora, e pensi: "Chissa' cosa sta facendo, probabilmente e' su un'isola ad allevare paguri".


Vivo circondata da oggetti.
Finirò come quei tizi sepolti in casa, trovata morta sotto una pila di libri, il peso che schiaccia la cassa toracica, manca il respiro, cala il sipario.
Gli oggetti mi danno conforto quando conforto attorno a me non c'è.

Riempiono, per poco, per pochissimo, un vuoto.

Ed è per questo che vi racconterò de

Le mie scelte irrazionali.

Fresh'n Rebel color indigo
Fry mi ha sempre ripetuto, a ragione, che l'Homo oeconomicus non esiste. Cioè l'uomo razionale.
Noi tutti facciamo delle scelte secondo logiche per lo più irrazionali.
Inutile che diciate "no, io no" e poi andiate a spendere 900 e rotti euro per un iPhone che fa le stesse identiche cose (e non meglio) di un Xiaomi preso al mercato nero dei telefoni.
Inutile fare tabelle con pro e contro per comprare una macchina, qualsiasi cesso con quattro ruote che abbia dei buoni sistemi di sicurezza andrebbe bene, ma ci soffermiamo poi sui dettagli, il colore, la plancia.
Ricordo bene quando Fry doveva comprare una macchina. Riceveva consigli apparentemente razionali a destra e a manca. "Prendila assolutamente nuova, a rate e che sia a metano, mi raccomando".
Lui andò in tilt.
Poi mi chiese consiglio: "Io vorrei questa macchina ma consuma tanto, non so"

L'ho guardato. "Fry, che macchina vuoi?"
"Bhe questa"
"Pigliati quella, non sarà quel poco di benzina in più che spendiamo, ci devi mettere tu il culo sopra, non gli altri"

Quel semplice consiglio, semplicissimo eh? Era un "Compra quello che ti piace, quello che vuoi TU", lo sbloccò.

Io sono più semplice, so già in partenza che tutte le mie scelte sono irrazionali. Quindi non bado moltissimo al resto. Quando scelgo un vino, a meno di non conoscerlo, decido in base all'etichetta e al prezzo, molti libri comprati dal nulla, senza avere nemmeno letto l'incipit, si basano sul titolo e l'armonia dei colori della copertina.

Circa due anni fa: devo comprare delle cuffie nuove. In genere cerco di non prendere roba che costi pochissimo a meno che non si tratti di marchi conosciuti. E le ho viste: Fresh'n rebel. Auricolari. Color azzurro. Il logo mi piace un sacco, il colore anche. Le prendo, suvvia.

L'incresciosa questione del cavo.

Non ricordo quanto sono durate, comunque a breve il cavo si è rotto e non ho più potuto sentire la mia amata musica, quella che non mi lascia sola mai e poi mai.
Era il periodo di Sense8, la serie.
Cominciata bene, poi l'ho mollata. Però, esteticamente, Riley, quanto era bella? Quanto erano fighe quelle cuffie?


Alvaro compra delle cuffie, con questo colore, sempre della Fresh'n Rebel. Mi piacciono un casino, poi preferisco le cuffie agli auricolari. C'è quel perfetto isolamento anche fisico col resto del mondo che non mi spiace affatto.
Non sono le cuffie di Riley, che costano molto di più. Quella di Alvaro hanno un prezzo decente e funzionano abbastanza bene, poi lui è fissato con l'audio quindi gli do' fiducia.
Le compro, mi piacciono. Un cavo a doppio jack si collega da una parte alle cuffie e dall'altra al cellulare. È il periodo dello stage dal fotografo di Milano. Tutti i giorni prendo il treno da Cömo, poi metro ammassata, poi studio fotografico, poi metro, poi treno. In tutti questi ammassamenti il cavo viene un po' tirato e strapazzato. Il cavo, di nuovo, si rompe.

Alla seconda qualsiasi persona lievemente razionale avrebbe detto "E mo' basta, cambio marca".
Nein!

Scrivo direttamente alla Fresh'n Rebel chiedendo dove avrei potuto comprare un cavo in sostituzione, non mi andava di smontare la colorimetria dell'apparato prendendo un cavo nero o uno bianco.

Mi scrivono chiedendomi l'indirizzo. Me lo spediscono gratuitamente.

qui si vede bene il cavo

Attacco il nuovo cavo e niente, sembra andare bene ma se volto la testa e il cavo si piega lievemente sento che il suono si amplifica. È come se normalmente mancassero una parte di "alti" che vengono attivati quando il cavo si piega. Non va bene un cazzo, soprattutto oggi mi stavano facendo impazzire.


Fresh'n Rebel bordeax (color rubino)
E quindi oggi mi è presa un'improvvisa voglia di cuffie bluetooth. Elimino alla radice il problema del cavo e posso tenere quel marchio che mi piace tanto.

Però non so se indigo ancora, ci sono bordeaux, che fighe. Essì fighe. Oddio su Amazon sono scontate di 20 euro, mica pizze e fichi, ma ci sono indigo e quei colori pastello che mi fanno cacare. Il bordeaux ce l'hanno solo con cavo. Uff.
Se le compro online da un'altra parte ci mettono secoli ad arrivare.
Basta, stasera prima di andare a casa passo in un negozio di elettronica e le cerco.

Alla fine le trovo, non costano 20 euro in meno ma 10, è ottimo. Ora però sono davanti a scatole con un sacco di colori e il bordeaux mi pare scuro. Se le riprendessi azzurre? Oddio c'è il verde militare.
Dopo aver passato 5 minuti a guardare le scatole mi convinco per il bordeaux. E non perché mi piaccia di più, occhio, il color indigo per me è sempre il meglio. Ma volevo qualcosa di diverso e ho spaccato le balle a tutti oggi per avere il bordeaux. E bordeaux sia.

Ora è sotto carica, non ci sono cavi da rompere anche se uno è incluso nella confezione (in caso si scarichi la batteria) che sicuramente romperò, ma che potrei usare anche sulle cuffie indigo in caso di abbinamenti particolari.
Scherzo, non abbino mai niente io.

Comunque tornando a casa, sul bus, un ragazzotto gentile si è spostato dal posto corridoio a quello finestrino per farmi sedere. E ha attaccato a parlare. In 20 minuti la sua vita, anche se dopo i classici preliminari sul tempo ha incalzato con un imprevisto "Sei sposata?".
Babbo a Marsiglia, mamma in Marocco a Marrakech, prima faceva il macellaio, ora l'imbianchino. A 15 anni ha smesso di studiare, ha imparato l'italiano partendo dal francese che conosceva bene, ogni tanto interrompeva i suoi discorsi chiedendomi come mai non fossi sposata "sei così bella". Dice che non ha amici qui, chiede se possiamo scambiarci il numero "No, il mio numero non lo do' mai a nessuno". Mi prende in contropiede chiedendo se ci andiamo a prendere un caffè, un sabato o una domenica.
"Ti lascio il mio numero, mi scrivi su whatsapp, io però mando vocali che non so scrivere bene in italiano".
Gli ripeto che non lascio il mio numero e che nessuno mi aveva chiesto così in fretta di uscire ma se vuole può aggiungermi su facebook. Mi rassicura, è in amicizia. Gli scrivo su un vecchio scontrino il mio nome e cognome sul social (che non sono nome e cognome reali ma quasi, molto quasi). Poi quando scendo penso che boh, probabilmente non mi troverà mai dato che come immagine del profilo ho un disegno.
Torno a casa, mangio, apro facebook e trovo 5 like, una richiesta di amicizia e un messaggio privato.

È vero che un caffè non si nega a nessuno, ma la mia asocialità scalpita.

Canzone del giorno: 4 Non Blondes What's up (Sense8 version)

12 novembre 2018

Troppo tardi

Sei il classico caso su un milione, un'aberrazione statistica, che però per fortuna esiste.

È così, mio caro indagatore dell'incubo. Si vive spezzati a metà. Se non hai dei dubbi fatteli venire.
E così ogni tanto mi sento sola e se da una parte respiro la libertà, dall'altra vorrei poter fare qualcosa con qualcuno, con cui condividere un pezzo di strada. Lungo, magari, lunghissimo.
Magari così lungo che richieda una vita, l'invecchiare insieme, fare progetti a medio-lungo termine. E se non sono brava nei progetti a lungo termine, qualcuno che sappia rassicurarmi e dirmi che è fattibile senza lasciarmi da sola, con le mie paure, a metà strada.
Sì, sono triste.
Sì, vorrei un abbraccio.
No, ma non lo voglio.
Vivo circondata da persone splendide che fanno da barriera ai mentecatti che stanno oltre il muro da loro composto.
Mentecatti, sì. È il termine più affettuoso che possa utilizzare.

Vorrei solo qualcuno che si sdrai accanto a me, in questo istante e mi abbracci (e no, non lo voglio). E mi dica che tutto andrà bene.

[qualcuno dice che il tempo limite per innamorarsi di una persona è 6 mesi. Poi è altamente improbabile che questo accada]

Sono arruffata come un piccolo Woodstock che non trova più il suo caro amico Snoopy.


Passerà, me lo dico da un paio di anni ormai.
Passerà.

Canzone del giorno: Bud Spencer Blues Explosion Troppo Tardi

11 novembre 2018

Tajine

"Dai vengo al Gran Balôn allora, riesco a essere lì per le 11"
Guardo l'orologio: sono quasi le 10.
Devo ancora farmi la doccia, truccarmi, sistemarmi, prendere il bus, arrivare.
"Cavoli! Dammi un po' di tempo, mi ci vuole almeno mezz'ora, quaranta minuti per essere lì, più doccia e resto. Secondo me prima delle 11.30-12 non ce la faccio"
"Ti passo a prendere, tanto mi cambia poco"

Leonard sta diventando un ottimo amico. Ormai siamo in sintonia. Lui e Dado sono forti punti di riferimento per me. Del tipo che se conoscessi qualcuno mi chiederei "Ok, Dado o Leonard farebbero mai questa cosa? E quest'altra?"
Una sorta di metro di paragone, anche perché io ormai non sono più in grado di valutare in maniera obiettiva.
In modo del tutto razionale mi sono accorta che uso delle scorciatoie mentali assolutamente arbitrarie e non veritiere (sì sono i fottutissimi Bias, Fry mi direbbe "Hai visto? Te l'avevo detto").

No, Carla, no.

Leonard è il mio bottonologo preferito. Esperto del nulla, collezionista di cose inutili, sensibile come pochi.
Ho 14 euro e questo sarà il mio budget per oggi. Esclama deciso.

Perché al Balôn o al Gran Balôn funziona così: vai con un budget predefinito, altrimenti rischi di lasciarci anche le mutande. Tutto quello che trovi diventa improvvisamente indispensabile. Una macchina da scrivere Olivetti 32, un grammofono del 1945, un videogioco non funzionante per la PS1, un vecchio Dylan Dog a cui manca la copertina, un manuale sulla perfetta donna di casa, un guanto solitario.

Pioviggina.

Gli avevo detto di venire perché trovo sempre tante cose e so che lui è un esperto di prime edizioni e quello sarebbe il suo habitat naturale. Riesce a comprare a 10 euro cose che ne valgono 400.

Immagino un documentario sulla sua vita: "In questo passaggio potete vedere l'habitat naturale di un bottonologo, il mercatino dell'usato"

Prima bancarella: spulcia dei fumetti.
Quanto vuoi per tutti questi? Con una sua mano (che piccola non è) recupera una serie indefinita di volumetti con copertine colorate.
Mhm facciamo 35?
Me li metta da parte, vado a ritirare.

Funziona davvero così, al Balôn.
Funziona che mentre lui ritira i soldi al bancomat penso "Va bhe dai 20 euro li prendo anche io, che non si sa mai, tanto dopo andiamo a mangiare, almeno non devo impazzire a cercare una banca".
E funziona che mentre cammini c'è la solita bancarella con le maschere antigas e Leonard ti dice che occhio, quella è tenuta bene, è della prima guerra mondiale sai.
Ed è qui che viene fuori l'esperto bottonologo.
Vedi le cinghie? Nella seconda guerra mondiale erano in cuoio mentre qui sono in stoffa, ha anche la sacchetta, non è niente male.
"Scusi, quanto viene questa maschera?"
"25 euro"
La guardo.
"Ho solo 20 euro"
"Va bene, prima vendo tutto e prima me ne vado"

La infila nel sacchetto di stoffa insieme a un filtro, mette tutto in un sacchetto di plastica. Leonard mi guarda: "Una bambina felice".

A quanto pare gli unici entusiasti di questo mio acquisto siamo noi due, ed E che ci raggiunge dopo pranzo. Al resto del mondo non interessa. Né comprende perché io voglia usarla per le foto. Né capisce a che cazzo possa servire un oggetto per il semplice piacere di possederlo.

E che i miei 20 euro non siano durati nemmeno 10 minuti.

Alla sua domanda "Dove andiamo? A destra o a sinistra?" rispondo "Che domande mi fai? A sinistra, ovvio"
Ride.

Prendiamo a stomaco vuoto del Vin Brulè, ci sediamo sulle panchine messe lì per gli avventori. Ci saluta un insetto volante nero e giallo.
"Sarà una Polistes?"
"No, forse un Sirfide"
"Non aveva il volo del Sirfide"
"Sarà un'ape?"
"Ma non era pelosa"
"Ce ne sono alcune che non lo sono"
e via così.

Decidiamo di fermarci a mangiare da Al Jazira, è un posto economico e molto buono.
Per 7 euro prendo un'ottima tajine, la carne morbidissima, si scioglie in bocca, la verdura ottima, io che faccio versi da film porno.
"Se lo vuoi sapere questa è la mia faccia da orgasmo"
Ride.

Siamo all'esterno, nel dehor che è un po' rialzato rispetto alla strada. Riesco a vedere il mondo che si muove tra le bancarelle sotto di me.
Sorseggio the alla menta e penso che in fondo questo è un posto dove mi piacerebbe restare, dove ho imparato a vivere con colori diversi, odori e culture diverse dalle mie. Un posto che vorrei che fosse di esempio, tutti dovrebbero passare di qua, il mondo in cui Anna non era una pazza che ballava al ritmo di qualsiasi musica, ma dove era la ballerina ufficiale del Balôn. È un luogo in cui non esiste spazio e tempo, dove non esistono confini o barriere, o forse è tutto solo illusorio.
Ma è un'illusione che fa bene al cuore.

Ci raggiunge E, decide di fare una passeggiata mentre noi finiamo di mangiare. La recuperiamo dopo in stato di euforia perché ha trovato un paio di stivali a 5 euro e una gonna a tubino. Leonard ci saluta, torna a casa.
"Ti serve un passaggio o resti?"
"No resto dai, faccio un altro giro con E".

E è in forma: troviamo dei ragazzotti che suonano, le dico che sono carini, peccato piccoli. "Ma vero" conferma "dovremmo avere adesso 20 anni, ci sono dei fighi della madonna. Ma ora io non lo voglio il ventenne, voglio il quarantenne o il cinquantenne che però se gli si rizza è già un miracolo" e illustra la sua filosofia a due signore che si sganasciano dalle risate.

Torniamo da Al Jazira a prenderci un the, parliamo. Prendo in giro il suo gatto, che è piccino di età ma ha un faccione da criceto che prende provviste per l'inverno. Gli suggerisco di mettergli il mascara a colorargli delle improbabili sopracciglia e di soprannominarlo Pavarotti.

Sta facendo passi da gigante. Da quando l'ho conosciuta sembra un'altra persona.
Lo capisco da una banale frase. "Ho la pancetta, ma non mi importa. A 40 anni un po' di pancetta posso concedermela, alla fine sono magra, vado bene così".
"Ti rendi conto del percorso che stai facendo? Ero già pronta al solito dramma della pancetta e della dieta e della palestra, ma niente"
La abbraccio, sono orgogliosa di lei.

Ci sono comportamenti autodistruttivi che sembrano piccoli e insignificanti, ma come il tarlo rode piano piano il legno facendo fuori in breve tempo intere case, questi atteggiamenti rodono le fondamenta di quella che potrebbe essere una vita serena. Sembra banale ma non lo è: questo è solo il contorno di tanti suoi cambiamenti più radicali e profondi che, sono certa, la porteranno a una vita diversa.

Sta facendo un percorso di analisi importante, faticoso, doloroso. Ma quando la vedo e ogni volta che la vedo, è sempre più luminosa, sempre più bella.
"Sono pure stata dall'estetista e non ho fatto la ceretta integrale. Alla fine è dolorosa e sai che c'è? Qualche peletto me lo posso pure lasciare"

Io ed E ridiamo un sacco, parliamo tanto, e mi è stata sempre molto vicina in questo anno. Anche accompagnando i miei silenzi che sono stati innumerevoli. Anche dietro ai miei secchi Non ne voglio parlare. Non ne voglio più sentire parlare. Siamo due persone complesse e lunatiche, forse per quello ci siamo piaciute subito.

L'accompagno alla macchina, torno a prendere il bus, ho la festa di compleanno di mio nipote.
Salgo sul 4.

Torino è casa mia.

[piccole note di telepatia tra sorellanze. Mi sono fatta bionda. Lo ha fatto anche mia sorella qualche giorno fa e non ci siamo parlate, non ce lo siamo dette. Qualche settimana fa a un evento siamo andate vestite uguali. Inutile dire che solitamente ci vestiamo in modo diverso. Qualche volta sono triste, qualche volta lo è anche lei e non ne sa la ragione]

Canzone del giorno: Slipknot Duality

10 novembre 2018

Don't Call Me White

Non è assolutamente vero che sbagliando si impara. Sbagliando si cementificano le strade che portano agli stessi errori. Quelle strade diventano conosciute e praticabili così, a fronte di strade non battute, preferiamo la stessa identica strada che ci porterà al fallimento più totale. Tanto la conosciamo, non possiamo restare delusi dalla meta, non abbiamo un granché di aspettative.
Quindi, ripeto, ci mettiamo gambe in spalla su quella strada, quasi ignari di ciò che invece puntualmente accadrà.

Io sono una frana.
Praticamente in tutto.
Quando cucino mi riesce bene qualcosa, ma qualcos'altro sarà un tremendo errore anche se quello sbaglio non verrà notato nell'amalgama dei gusti.
Quando mi trucco, nonostante mi dicano che sappia truccarmi bene, un occhio non sarà mai uguale all'altro (e mi trucco da quando ho 14 anni, quindi torda proprio), metà della bocca avrà un rossetto messo in modo diverso e il blush sarà diverso sulle guance.

C'è un errore in cui casco ogni tot anni.
Quella strada lastricata (di buone intenzioni e risultati di merda) prende il nome di OggiMiTingoICapelliDiBianco.

La penultima volta che ci avevo provato il risultato era stato questo:


Sì, sono bianchi, ma talmente rovinati che ogni volta che li pettinavo svolazzavano in giro tipo peli di gatto durante la muta stagionale.
Dopo quattro decolorazioni a 40 volumi si sono frantumati loro e un po' anche le mie balotas e alla fine li ho praticamente rasati a zero.
Dopo anni di decolorazioni però almeno ho imparato a capire come reagisce il mio capello ai trattamenti, e so anche quando non dare ascolto ai consigli dei parrucchieri.

Quando vivevo a Cömo sono andata dal parrucchiere a farli, ma sono tornati gialli (biondo chiaro) nel giro di poco.

Però ho in mente una foto da fare e mi servono i capelli bianchi. Cioè, ho comprato anche un gel colorato di bianco, ma mi sono detta "Bhe dai, ormai sono bionda, che ci vorrà mai a farli bianchi?"
Seguito dal solito OggiMiFaccioICapelliBianchi! Ho messo il punto esclamativo per enfatizzare.

Vado in centro, in un negozio fornito di roba per parrucchieri. Ho bisogno di decolorante, toner antigiallo, possibilmente che viri all'argento (uh sì mi garberebbero tanto Silver) e non so cos'altro.

Così mi faccio consigliare ed esco con:
Toner Silver
Toner Lilla (funziona anche come antigiallo)
Decolorante
Fiale di cheratina
Mi regala anche shampoo e maschera ristrutturante
Mi scrive su un foglietto le istruzioni passo passo per i due toner (da non fare assolutamente insieme).

Innanzitutto mi dice di decolorare i capelli a 20 volumi. Ricordatevelo perché più tardi scriverò cosa invece ho fatto.
Per chi non lo sapesse, i volumi indicano la potenza dell'ossigeno da miscelare con la polvere decolorante (passatemi la parola potenza, non ho voglia di googlare per cercare altro).
Un 10 volumi è blando, un 40 volumi è la devastazione (lo sconsigliano tutti, per i capelli di cui sopra, che svolazzavano in giro, avevo fatto due deco di seguito a 40 volumi. La pelle del cuoio capelluto si staccava sotto forma di grosse squame ed è andata avanti così per qualche giorno).

Dopodiché per il toner Silver, che è quello che volevo provare stasera, un ossigeno 10 volumi da miscelare insieme.

Prima del toner, shampoo, poi maschera mescolata alla cheratina da tenere in posa 10 minuti.

Se non me l'avesse scritto io ora avrei mescolato lo shampoo col toner, decolorato il cane a 40 volumi, sniffato la polvere decolorante e corso per casa tutta nuda gridando "Satana prendimi".

al centro il tonalizzante Silver

in basso a destra quello violetto
Finito lo shopping mi vedo con Dado, sono contenta, è un po' che non ci si becca. Ma come sempre il tempo è poco, sempre troppo poco. Perdiamo tempo (colpa mia) a parlare di altre persone e a prenderci a mezze testate perché non ci si trova perdendo di vista la cosa importante, ovvero parlare di noi, della nostra settimana, di come stiamo.

Quando mi riaccompagna a casa arriva l'ora X.

OggiMiTingoICapelliDiBianco (anzi di Argento, non Asia, però).

Fase preparatoria, cerco di infilare i guanti bestemmiando meno del solito. Ho visto in un video in cui si impomatano i capelli di olio di cocco per proteggerli prima della deco. Provvedo.
Sono unta e odoro di schifo ma continuo. Forza e coraggio.
Lei mi aveva detto di usare ossigeno a 20 volumi. NEIN.
Uso quello a 30, a me il 20 volumi fa pernacchie rumorose. Prrrr.
(Vi dovrete sorbire le foto della mia faccia, mi spiace, non odiatemi).

Prima, devastazione

decolorazione a 30 volumi per mezz'ora

Attendiamo gli alieni (i fogli di alluminio tengono bene il calore, con il calore la decolorazione funziona meglio)

yellow

Faccia di merda a parte, maschera ristrutturante

super gialla
Pausa cena.
NOMNOMNOMNOM

Comincia la parte con il tonalizzante silver.
La tizia del negozio mi aveva detto ossigeno a 10 volumi più il toner.
Io ossigeno a 20 volumi più toner.
Mi aveva detto di lasciarlo in posa 20 minuti, lo lascio mezz'ora.



macché, argento nella fantasia
Nemmeno OggiMiTingoICapelliDiBianco e manco di Silver. Il risultato è biondo svampita. Ma non demordo, finché non cadono come i peli di un gatto durante la muta stagionale ho ancora lo shampoo antigiallo e secondo me col prossimo tonalizzante ci saremo, li devo solo lasciare riposare.
Anche se mi odio bionda.

Come diceva il buon Roccio "Sai chi è una bionda intelligente? Un Labrador"
Per la foto che voglio fare però mi servono, e poi sono un'ottima base per tutti i colori che vorrò farmi. Indiposcia, ben venga.

Per il resto che vi devo dire? Vivo alla giornata. Non lurko, non stalkero, vivo nel mio guscio.
Ogni istante è una scelta.
Se sto bene? No.

Ma potrebbe sempre essere peggio.

Canzone del giorno: Die Antwoord Alien

09 novembre 2018

Ich Will

Oggi mi hanno commissionato un post. Ed è buffo perché chi me l'ha commissionato non potrà leggerlo, perché non ha il link a questo blog.
I miei colleghi si divertono parecchio con le mie storie, composte da stalker, maniaci, (dis)avventure.
Stavo appunto ricordando loro del vecchio che ha toccato, sul bus, l'unico rettangolino di pelle nuda del mio corpo, ovvero il ginocchio che spunta fuori dai jeans strappati.
Il che ha causato ilarità perché non è l'unica cosa che mi è capitata. Ogni giorno porto in scena le mie avventure e oggi mi è stato detto "Dovresti scrivere un libro".
Me lo dicono spesso, ma in realtà anche se per qualcuno scrivo bene, io mi sento un po' caghereccia.
Sicuramente Moccia scrive meglio di me.
E ci fa i soldi, mortacci.

"Bhe io ho un blog, da 12 anni"
"Davvero? Vogliamo il link"

Certo che no, perché parlo anche del lavoro, di alcuni colleghi, dei fatti miei, e non si sa mai in che mano a chi potrebbe capitare il link.

"Eddai"
"Non se ne parla"

Qualche settimana fa sono andata a vedere una partita di volley con un mio collega. Purtroppo a entrambi piacciono i maschietti, quindi nemmeno da dire "Oh Carla finalmente sei uscita con qualcuno". Nein, nada, nisba. Ma mi sta simpatico e condividiamo l'odio per il Natale e per il mondo in generale. E ci piacciono i maschietti, appunto come dicevo.
Non condividiamo affatto la sua smodata passione per la pallavolo.
"Carla, ti sei iscritta al fantavolley?"
"Avevo da fare"
"Cosa c'è di più importante del fantavolley"
"Mi dovevo tagliare le unghie dei piedi"

Però una volta siamo andati a vedere insieme una partita: un altro mio collega, che ho scoperto essere il direttore sportivo della squadra, ci ha dato i biglietti scontati a un euro.
"Uh che bella cosa, e come mai la pallavolo come sport per fare il direttore sportivo?"
"Bhe a me non interessa, volevo solo vedere culi"
(è stata la prima frase che ci siamo scambiati, potete immaginare la mia reazione a riccio immediatamente successiva).

"Sì ma Carla devi fare il tifo se vieni"
"Guarda se c'è una cosa che so fare, è fare casino"

Ed è vero, sono andata a vedere diversi eventi sportivi di cui mi importava marginalmente (leggi: "me ne battevo altamente la ciolla") eppure sono stata l'unica udita a chilometri di distanza.
Ho rotto il clacson della mia vecchia Y10 Fila facendo carosello non ricordo nemmeno più per quale squadra di calcio (e io detesto il calcio).

Così andiamo a vedere questa partita e resto subito sconcertata, non esiste più il cambiopalla.
"Eh Carla, sono 20 anni che non c'è più il cambiopalla"
Nel frattempo ho già scordato le due regole che mi ha insegnato.

Così ecco, lui, proprio lui, mi dice "Dai, perché non parli di ToroFurioso?"
Esiste un nuovo sex symbol in azienda. E' eterosessuale, ha un bel viso, una bella voce, ma troppo grossino per me.
A lui invece piace un sacco.

Sarà forse per l'aspetto da ispanico, o per quello sguardo profondo, lo ha ribattezzato ToroFurioso. Ogni volta che passa, sbuffa dalle narici e accompagna questo suono con la frase "Senti come sbuffa il nostro Toro".
Così finisce che lo guardo più io di lui, e sicuramente penserà male, e potrebbe essere uno dei miei racconti fatti alle colleghe nel breve-medio termine.

"Però lo vedo sempre con una sciacquetta al bar" mi aggiorna.
"Uh no mi sa che ha una relazione a distanza" replica la collega alla sinistra "perché lo becco sul bus ed è sempre al telefono che parla".
Io sto nel mezzo e confermo il completo disinteresse per il soggetto. Solo quando ci passa davanti sgomito verso il collega "Guarda, c'è il tuo Toro"
E lui sbuffa. Sempre.

Anche io sbuffo oggi, perché sono anni che vorrei andare a vedere i Rammstein a Berlino e da ieri a oggi i biglietti sono soldout e ho addosso una frustrazione che non si spiega.
Ci volevo andare, ma andare da sola ai concerti è una cosa che mi mette tristezza e dato che faccio già una marea di cose da sola... ecco.

Ich Will.

07 novembre 2018

Il principio di incoerenza

Pioggia pioggia via di qui
Torna pure un altro dì
La piccola Carla vuol giocar.

Stamani c'era il sole. Nubi lontane minacciavano il nostro domani odierno (semicit.) ma il parco Dora era illuminato dai raggi del sole.

Al lavoro ero a maniche corte.

Non l'ho scritto, ma mi hanno rinnovata fino a ottobre del 2019, sarei scaduta e stata gettata nell'umido a fine dicembre 2018 in caso contrario.
La precarietà è il mio forte, mi piacerebbe dire.
In verità ho avuto contratti lunghi.
Quando lavoravo come grafica avevo un contratto di apprendistato, idem quando lavoravo a Firenze, di ben 4 anni.
Ho avuto un indeterminato qui a Torino, prima di andare a vivere a Firenze.
E ho avuto l'indeterminato in Schfizzera, dove però rischiavo di entrare ed essere nuovamente accompagnata alla porta pochi minuti dopo.
La verità infima e tosta è che non riesco a vedermi fare lo stesso lavoro per tutta la vita, come è successo al mio babbo, per dirne una eh?

Così guardo con ammirazione i miei colleghi che lavorano lì da 10 o 15 anni, e li studio come potrei fare con le mie piccole bestiole a 6 zampe.

Annoto nel mio taccuino immaginario le strategie di sopravvivenza adottate sperando che possano essermi utili in caso decidessi di impegnarmi a fare una cosa che mi costerebbe molto, per esempio chiedere nuovamente l'invalidità.

Dopo che a Firenze mi era stata tolta, sono rimasta così delusa e sfiduciata che non ho più voluto tentare. O meglio, avevo fatto un mezzo tentativo ma ero rimasta a terra, perché rifiutato in malo modo (ne parlo qui, ma anche qui e in altri svariati post).
Questo potrebbe legarmi in maniera quasi indissolubile a Torino ma mi darebbe l'opportunità di trovare lavoro più facilmente, magari anche un lavoro più vicino a ciò che vorrei, e perché no arricchire il mio curriculum vitae di cose utili, che ora sembra un pout pourrì di robe messe a caso.

Tra il dire e il fare c'è di mezzo e il, e io, che so benissimo quanto sia falso l'assunto per cui valga sempre la pena provarci e che non si abbia nulla da perdere (male, male, falso, si ha sempre molto da perdere: tempo, speranze, energie), sto mettendo sui piatti della bilancia i pro e i contro.
E anche se ci sono svariati pro, non so quanto io possa essere pronta a un altro rifiuto.
"Questo è il mio anno dei rifiuti. Ormai sono bravissima"
"Dai, ormai puoi lavorare all'AMIAT"
Ho cominciato a studiare per prendere la certificazione Google. Non mi servirà, o sì? Nel dubbio la prendo. Dovrò impostare il mio sito, anche se praticamente non scatto più foto.

Ora capisco il mio amicollega quando dice che ha la nausea di fare foto. Anche quando mi porto dietro la Fuji resta così, come l'ho messa. Non mi sento ispirata, non mi sento fotografa, non mi sento. Punto.

Ogni tanto ho qualche idea, che per lo più è su me stessa non volendo/potendo permettermi modelle ma l'idea lì rimane, esattamente come la mia Fuji nello zaino.
Entità che non può prendere forma, schiacciata da altri pensieri che in questo momento non riesco a mettere via.


Canzone del giorno: Anouk Who Cares

06 novembre 2018

Va tutto bene, è solo una merda

Oggi ho pranzato con Leonard, l'entomologo.
Mi fa piacere averlo conosciuto, è una delle persone più calme che io conosca. Ma quella calma che ti fa intuire che se mai dovesse arrabbiarsi farebbe a pezzi tavoli, mangerebbe persone, getterebbe bombe a mano e si cucirebbe le ferite da solo (probabilmente appena imparerà a cucire lo farà davvero).
Dicevo, abbiamo mangiato le stesse cose, tantissimo. Eravamo sazi da matti, tanto che se io ero tentata di slacciarmi i pantaloni per cercare di evitare di morire soffocata, lui comunque stava piuttosto bene e dato che di solito mangia il triplo di me ho capito di avere dato il mio meglio in cibo.
Cioè di aver mangiato come una scrofa grassa.
Mi fa tenerezza, lui. Perché come me vive in un mondo tutto suo. Come me e la maggior parte delle persone che conosco. E non è un insulto. Secondo me siamo dei supereroi che vorrebbero salvare il mondo ma non riescono nemmeno a salvare se stessi. Il che fa ancora più tenerezza.
Dicevo dopo aver mangiato come due bufali grassi lui torna al lavoro e io vado a vedere il World Press Photo. Ci ero già stata con un'amica ma era un giorno di festa ed era stracolmo di gente.
Oggi eravamo pochi così ho avuto modo di vedere più e più volte le foto di mio interesse. Capire con che obiettivo erano state scattate. Cercare di leggere le didascalie ma oh, quello non è proprio il mio forte. Lasciarmi andare ai lucciconi e ricominciare da capo.

Non contenta ho deciso di comprare un'altra crema corpo. Quelle che ho stanno finendo e io ho bisogno di qualcosa di un po' più grasso per il corpo, una crema cicciona perché se la pelle del viso è cicciona di suo, quella del corpo ha bisogno di più idratazione.

Così vado da naturasì e subito vengo braccata da una commessa.
"Posso aiutarla?"
"Ehm no, guardi, sto solo dando un'occhiata" (e dentro di me "Ma dove cazzo le avete messe le creme corpo?").
Così cedo, è un male cedere alle commesse, ve lo dico con esperienza. Io le ammiro, loro. Hanno un sacco di pazienza, darei fuoco alla gente per molto meno.
"No scusa, senti, dove sono le creme corpo? Avrei bisogno di un barattolone di crema un po' grassa per il corpo"
Mi segue, mi scruta, mi guarda la pelle delle mani, mi tira su le maniche del giacchino, mi tocca la pelle delle braccia. "Eh ma guardi che non è così secca".
"Bhe sì un po' sì, dopo la doccia ho bisogno di qualcosa di corposo"
"Eh ma rischia di otturare i pori, di impedire alla pelle di creare il film fosfolipidico, insomma poi la fa seccare ancora di più"
La guardo.
Mi guarda.

Mi torna in mente che ho sempre da discutere per avere quello che voglio, pur pagando.
Come quando vado dalla parrucchiera.
"Vorrei solo tinta e piega, grazie, non li voglio tagliare" - anticipando quello che poi, puntualmente, avverrà.
"Ma sarebbero da tagliare un pochino, solo spuntare, un centimetro. Sono rovinate le punte"
Le parrucchiere donne sono andate a lezione da parrucchieri uomini, per i quali si sa, le dimensioni contano e vengono sempre amplificate. Un centimetro di una parrucchiera corrisponde a quasi cinque centimetri reali.
"No, non li voglio tagliare"
"Eh ma poi la tinta non prende sulle punte"
"Me ne assumo la responsabilità, faccia pure" (poi mi chiedono perché me li tingo a casa)
"Eh ma poi non ottiene il risultato sperato"
E così via ad libitum.

"Guardi c'è questa crema che è un po' corposa ma si assorbe subito"
Osservo la scatola verde scuro che sa di prodotto creato negli anni '80. 70 ml, 19 euro. Scritta a lato "Usare solo su parti secche e molto screpolate del corpo ". Sottinteso, se la usi tutti i giorni dopo la doccia su tutto il corpo potrebbe cascarti l'epidermide in toto.
"Ehm no, mi sembra un po' eccessiva"
"Allora, ecco c'è questa Weleda, alla Rosa Mosqueta"
Guardo la scatola, rosa, per pelli da normali a secche, 200 ml 17 euro.
"Sì, meglio"
Mi guarda.
La guardo.

Sono affezionata alla Rosa Mosqueta perché l'olio mi ha aiutata nei periodi post cicatrice dopo il mio primo intervento al seno.

Pago, esco dal negozio, ha ricominciato a piovere. Prendo il bus di corsa, passo vicino a casa sul ponte che da' sul fiume Stura. Il fiume è agitato, fangoso.
È sempre più gonfio.

Un po' come i miei coglioni, se solo li avessi.

A casa, Madre al telefono con qualcuno, esclama "Eh, hanno spento anche i termosifoni, ci hanno lasciati al freddo"
Guardo il termostato: 24,5 gradi in casa. Sono a maniche corte e ho caldo.

Fuori piove più forte.
E piove forte anche dentro.

Canzone del giorno: Deftones Passenger

05 novembre 2018

Il mio fiume in piena

Quando faccio il part time - che sarebbe il mio orario normale - come oggi, alle 13.17 prendo quello che io chiamo il bus proletario perché passa per l'Iveco e ci porta tutti gli operai. Io scendo lì davanti e poi ho quella decina, quindicina di minuti (al mio passo) per arrivare a casa.
Dico al mio passo perché probabilmente voi ci mettereste una ventina di minuti almeno, ma io ho il passo di un carabiniere che sta facendo una marcia di corsa e che intanto pensa a quanti ce ne vogliono per avvitare una lampadina.

Sono passata sul ponte sopra il fiume Stura. Il fiume è quasi in piena.
Ricordo che quando ero piccina questa cosa avveniva ogni anno circa a settembre, mese in cui la pioggia a Torino era incontenibile e c'era sempre qualche rischio piena fiumi.

È un qualche giorno di settembre (o novembre) del 1994.
Madre ogni tanto andava a trovare la sorella e la loro mamma che stava da lei, mia nonna.
In genere ci andava il mercoledì. Ricordo che era mercoledì perché saltavo scuola, e perché era il giorno in cui in edicola usciva Topolino. Da piccola lo leggevo sempre, ma sempre sempre.
A tavola mentre mangiavo, la sera prima di andare a letto, lo portavo in giro e se ci si fermava in qualche dove, in un bar, in una panchina, lo leggevo.
È stato il precursore delle mie attuali barriere sociali (ovvero lettore mp3, cuffie e libro).
E comunque il personaggio di Topolino (amicodelleguardie) l'ho sempre odiato. Preferivo Paperino, era più sfigato, più umano, più iracondo, più simpatico.
Ma è il 1994 e probabilmente ho abbandonato Topolino per dedicarmi ad altre riviste e/o testi.
Focus, sicuramente, a cui sono stata abbonata fino a che non è mancato mio padre. Leggo Edgar Allan Poe, qualcosa di Lovecraft, sicuramente Freud.
C'è la collana 100 pagine 1000 lire e li ho tutti, di Poe. Mi permetto anche di rileggerli e il mio racconto preferito è La mascherata della morte rossa.

Per andare a Milano, come sempre, si parte da Porta Susa. Penso di non avere mai visto Porta Nuova fino a quando non ho fatto un viaggio per conto mio. E la vecchia Porta Susa era più una stazione da paesino che l'attuale e inutile e bellissima stazione che è.
Il regionale ci mette un'ora e quaranta minuti circa. Più avanti per farsi fighi lo chiameranno Regionale Veloce. Ma è lo stesso che ora si chiama Interregionale.

Madre, donna ansia, appena arrivati a Rho esclama "Alla prossima dobbiamo scendere" e ci fa piazzare già accanto all'uscita, così ci tocca farci tutto il tragitto Rho-Milano Centrale in piedi.
Questo vizio non lo perderà col passare degli anni. Anche dopo 20 anni, sui vari bus, pur sapendo che conosco la città molto meglio di lei, non mancherà di dire "Alla prossima dobbiamo scendere" tanto che per il nervoso spesso la anticiperò "Tra due fermate dobbiamo scendere".
Ma alla fermata dopo esclamerà sempre "Alla prossima dobbiamo scendere".

Così arriviamo a Milano Centrale, prendiamo la metro fino al capolinea Cologno Monzese e facciamo il breve tragitto a piedi per arrivare dai miei zii, passiamo la giornata e torniamo in stazione.

Però i treni non partono. Causa alluvione siamo bloccati a Milano.
Io penso che è ok restare a Milano, chissene, ci facciamo ospitare e partiamo il giorno dopo.
No, Madre ha deciso che dobbiamo tornare a tutti i costi a Torino.
Le parte proprio l'embolo.

Così troviamo per caso una coppia di anziani signori che deve tornare a Torino e decidiamo di prendere un taxi.
Sì, avete letto bene, un taxi da Milano a Torino.
Anche il tassista fa difficoltà, piove molto e tante strade sono chiuse, ma alla fine riusciamo a tornare. Per la bellezza di duecentomila lire da dividere in due, metà noi e metà la coppia di anziani signori.

Non so dirvi se Madre ha mai raccontato a Padre dello sproposito di soldi che le sono partiti perché lei si era impuntata di tornare. Non so dirvelo perché Madre nascondeva un sacco di cose a Padre. Penso che Padre sia stato a conoscenza della metà della metà della metà delle cose che avvenivano in quella casa. Mia sorella fumava ma lui non lo sapeva, lei gli apriva le stecche di sigarette, rubava un pacchetto e poi gliele richiudeva.
Padre fumava tre pacchetti di sigarette al giorno, non poteva tenerne il conto.
Tutti nascondevamo un sacco di cose a Padre per evitare lunghissime e inutili discussioni che tanto sarebbero partite comunque. Dal tavolo della cucina in cui sbatteva i piatti arrabbiato, alle urla che continuavano nel corridoio e poi in camera da letto.
E quando invece ci sarebbe stato da discutere non accadeva. Avevo difficoltà a capire cosa fosse giusto e cosa sbagliato.
In ogni caso ci sarebbe stata una sfuriata scaturita da un nonnulla.

Ricordo bene quel 1994 anche per altre ragioni.

È il 2000, vivo con un ragazzotto che mi tratta da schifo ma sono convinta che di meglio non posso trovare.
Viviamo in un palazzo sopra un cinema porno, non troppo lontano dal centro "Dai veniteci a trovare, siamo in via Don Bosco"
"Bha ma dove, non conosco"
"Dai sopra il cinema porno!"
"Ahhh ho capito!"

Poco più in là c'è la Dora Riparia e sono giorni che piove. E io sono sempre più asociale.
Un pomeriggio, sono da sola in casa perché il ragazzotto lavora e io vado ancora a scuola, sento un megafono strillare.
STIAMO EVACUANDO TUTTI I PRIMI PIANI E TUTTI I SECONDI PIANI.
Faccio finta di niente. Sono al terzo piano.
C'è un palazzo diroccato e temono che se dovesse crollare nel fiume faccia casini.
Squilla il telefonino, sono gli zii del mio ragazzotto che abitano poco distante, in verità la nonna, che sta da loro.
"Abbiamo sentito che stanno isolando la zona, perché non vieni da noi?"
Asocialità mode: on "Ma no, sono solo i primi e i secondi piani, sto al terzo, tranquilli"
"Eh ma metti che si inonda tutto, poi dove vai? Se hai bisogno di acqua o qualcosa..."
"Naaah, non preoccupatevi. Sto a casa."

Mi affaccio sul balcone, le strade vuote, omini in arancione che sgomberano, il palazzo semideserto.
Il mondo è quasi mio.

Quell'anno l'acqua invase la zona del Balôn: tanti esercizi rovinati. La scuola, la mia che è proprio lì accanto al Balôn, chiusa a causa fango.

Quell'anno tante cose.
L'anno in cui il mondo fu quasi mio.

Una giovanissima undicenne simpsoniana si presta a un servizio fotografico fatto da Padre

Serracapriola (FG)

A testimonianza di quanto scritto sopra, io e il mio inseparabile numero di Topolino (amicodelleguardie)



Alluvione del 2000 (al minuto 0:26 c'è la mia scuola)





Canzone del giorno: Daniele Silvestri Ma che discorsi

01 novembre 2018

Wasted

Oggi è stata la giornata del larvismo. Dopo essermi accuratamente preparata per un appuntamento mancato, mi sono avvolta nelle coperte a guardare un po' quello che passava il convento. Anche se, come dice Zerocalcare, non è che solo perché abbiamo Netflix dobbiamo farci andare bene tutto quello che passa il convento (a me Dark era piaciuto, ma forse perché pensavo che i personaggi fossero due, dato che sono tutti uguali).



Così, nell'ordine, ho finito di vedere Castle Rock, daje che ci sono un botto di citazioni di Stephen King nella sigla (chiedo scusa agli appassionati ma io non lo ritengo nemmeno uno scrittore e sopporto a malapena il modo in cui mette insieme i caratteri alfanumerici - dato che quello per me non è scrivere - però i suoi racconti brevi mi garbano e in genere anche le serie tratte dai suoi caratteri alfanumerici, ecco) e non solo. Così riconosci la prigione, la cittadina, persino una minuscola citazione di Shining.
Va bhe mi è piaciuta però [ALLERTA SPOILER selezionare il testo per leggere] 'sta cosa che quando non sai come terminare una storia inconcludente ci devi per forza mettere un universo parallelo ha un po' sfrangiato i maroni. Come dire "ora metto insieme cose che non hanno senso ma invece di fare come Lynch che ti lascia così di merda da chiederti 'oh mio Dio che cazzo ho appena visto?' razionalizzi con una cosa che tanto va sempre bene, come il cacio sui maccheroni, l'universo parallelo, il portale ecc.
Finito quello e per dare un senso alla mia miserabile vita ho visto una delle cose più tristi che Netflix potesse trasmettere, ovvero Haunted. Praticamente c'è un sacco di gente che piange perché tormentata dai fantasmi. Ma ne intervistano una alla volta. Così c'è uno che è tormentato da una donna che vede impiccata nel suo armadio, ma poraccio, nessuno gli crede. Così lui non dorme più, probabilmente impazzisce e allora sì che la vede davvero la donna impiccata. E poi piangono tutti, perché accanto allo/a sciagurato/a ci sono parenti e amici che esclamano "Oh mio Dio, ma io non sapevo di tutto questo". E giù a lacrimare come dei mentecatti. Così via per 6 puntate da ben 24 minuti l'una. Tutto tempo che ho dovuto recuperare, perché è stato decisamente buttato nel cesso. Anche se la puntata del rapimento alieno mi ha fatto sganasciare così tanto che è valsa l'attesa delle 4 precedenti puntate in cui gente vedeva spiriti di ogni tipo, anche della senzatetto dell'angolo che ogni notte chiede le monetine "Ma io ho finito i soldi" e giù mazzate.
Mi verrebbe voglia di tirar loro in testa alcuni libri a caso, come il DSM-5 dato che vengono tutti da famiglie iper religiose e/o violente e probabilmente le visioni sono dovute a un distacco dalla realtà necessario per identificare il male in qualcosa di esterno.
O vista la stazza sono in iperglicemia (non ce n'era uno magro a pagarlo oro) e vedono marshmallow colorati ovunque, altro che fantasmi.

Dico, quindi, per recuperare quel tempo ho deciso di vedere un film, Mine (quando me l'hanno proposto ho letto main, all'inglese. NO, sono proprio le mine, ecco). [SPOILER qua e là] Se vi può consolare non ci sono universi paralleli, ma per due ore c'è uno inginocchiato nel deserto. No, non sta chiedendo in moglie nessuna però sta così. E ha deciso di farlo dove? Sopra una mina. E così sta immobile per due ore e all'inizio ho pensato che dai, qualcosa sarebbe successo, e invece niente. 
Poi però diventa introspettivo e ovviamente c'è l'happy handing (non quello del centro massaggi cinese) con bacio e amore e cuore e occhiali da sole. Diciamo che la prima metà del film potete gustarvela arrotolandovi una canna e sperando che la vita vada un po' meglio di come è andata finora, poi quando diventa figo (e sale anche l'effetto della droga) potete stare attenti cercando di non sbriciolare (e salivare) sulla tastiera i biscotti che state mangiando per via della fame chimica. Anche perché parte con le allucinazioni e cominci a chiederti cosa sia vero o finto. Poi l'animo da cervello portasapone che è insito in me comincia a chiedersi "Madonna che labbra screpolate, chissà quanto tempo gli ci andrà dopo per reidratarle" e poi ti dici che anche se il film è italiano i personaggi sono sicuramente statunitensi, perché solo una donna made in U.S.A. può pensare a una proposta di matrimonio se vede il suo uomo inginocchiarsi a terra. Capitasse a me lo aiuterei a rialzarsi pensando a una caduta "Te l'avevo detto di stare attento che ho appena lavato a terra, ti sei fatto male?".

Dovendo recuperare altre due ore preziose di tempo ho deciso di andare sul sicuro, e mi sono messa a canticchiare una canzoncina che mi piace, e mi piace perché è la sigla di una serie figa che ho visto tempo addietro: The Bridge.
La serie è danese/svedese, infatti ha doppio titolo originale Bron/Broen ed è un poliziesco. Quando me la consigliarono ero perplessa, i polizieschi non mi piacciono. Però, saranno le ambientazioni delle città nordiche, sarà che la protagonista è uno Sheldon al femminile, mi ci sono affezionata. E poi è vero che una volta visto un poliziesco non ha molto senso rivederlo perché sai già chi è l'assassino, ma qui gioca in mio favore la mia memoria corta e quindi al grido di Chi cazzo sarà mai stato? me lo sto riguardando. Praticamente trovano una donna morta sul ponte Øresund che collega la Danimarca alla Svezia. Peccato che sta proprio a metà, cioè le gambe si trovano su territorio danese e il busto su territorio svedese. Così due poliziotti delle rispettive località (Copenaghen e Malmö) devono collaborare per scoprire chi è stato. Chi sarà mai? Non so, non me lo ricordo, quindi niente spoiler. Pensate che la serie è talmente figa che gli statunitensi l'hanno voluta rifare (su territorio U.S.A - Mexico) e anche gli inglesi (questa versione però non l'ho vista quindi boh?).

In tutto questo mi sono ricordata che non ho paura dei fantasmi perché quando ero piccola mia mamma ci raccontava che la notte di ognissanti i morti si univano al mondo dei vivi e ci faceva lasciare dei biscotti e qualcosa da bere sul tavolo per il loro viaggio. Non ho in effetti mai avuto paura dei morti, dei fantasmi, ovviamente ho un sacco paura dei vivi che quelli sì che ti fanno male abbestia. Che una bastonata sui denti a volte è meglio, eh.

In più ho assistito da remoto a una scaramuccia di due fidanzati, uno dei quali mi ha scritto per chiedermi cortesemente di dire all'altro di sbloccarlo perché "non abbiamo più 5 anni" (e sì proprio per quello vedetevela tra voi e mi sono sentita come l'imperatore Commodo nel film Il Gladiatore che col pollice in giù diceva Scannatevi pure che io mo' mi siedo e guardo) e ho risposto dopo ennemila ore, più o meno tra la fine di Mine e l'inizio di The Bridge per dire che sì, era una giornata di merda anche per me e che non mi pareva il caso di mettermi in mezzo. Pollice verso.

Ora scusate ma torno alla mia maratona di The Bridge che le serie non si finiscono da sole e poi chissà chi cazzo era l'assassino, non me lo ricordo proprio.
Domani mi piacerebbe vedere Labadanzky che, stranamente, non è una serie. Non ci sono assassini dimenticati, né dimensioni parallele che spiegano ogni cosa. Solo robottoni giganti che sono installazioni artistiche.

Mentre il mio pebble mi ricorda che ho fatto 1258 passi (di solito supero i 10mila) plausibilmente tra il letto e il bagno, io torno al mio stadio larvale, mi impupo e attendo di spiegazzare le mie ali in volo.

Se scopro in fretta chi è l'assassino ve lo scrivo eh?

Canzone del giorno: Choir of Young Believers Hollow Talk