12 dicembre 2019

"Un pallone e la parrucca" di Igor Boggio

Quando, nel 2013, Igor mi annunciò di essere in procinto di scrivere un libro sulla sua esperienza subito mi chiesi "Abbiamo davvero bisogno di un altro libro che parli di cancro?"

Ero però entusiasta, lo sono sempre quando le persone che mi circondano cercano di realizzare un grande progetto e cerco di dare una mano.
"Ti mando la prima bozza".

Furono giorni di intensa lettura, di correzioni mandate via email, di immedesimazione.

Abbiamo davvero bisogno di un altro libro sul cancro?
Era davvero necessario?
Bhe, la risposta è, ovviamente, sì.

Questo è il mio terzo libro sul tema, acquistai "Il male addosso" di Sandra Verda, ormai almeno 15 anni fa, poi "Vado a farmi la chemio e torno" di Paolo Crespi e ora Igor Boggio, con il suo "Un pallone e la parrucca".

Il libro dalla prima bozza ha fatto tanta strada e, confesso, non ho letto le successive bozze che Igor mi aveva inviato. Più che altro perché stavo passando un periodo della mia vita in cui non volevo più sentirne parlare. Era una cosa che aveva permeato la mia vita e la vita delle persone che mi circondavano per cui cercavo di tenermi alla larga da tutto ciò che parlasse del grande C, il grande male, dei tumorati di Dio.
Ma non posso nemmeno descrivere in parte la gioia nel sapere che alla fine ce l'aveva fatta, che alla fine il libro sarebbe stato pubblicato il 28 Settembre 2019.

Alex racconta la sua storia, che poi è la storia di Igor. Che scopre a 13 anni di avere un osteosarcoma.
Non so voi ma pronunciare ad alta voce quella parola mi fa davvero venire in mente qualcosa che mastichi le ossa. Come un pac-man rumoroso che ti sgranocchia dentro.
E Alex/Igor che fa? Da promettente futura stella del calcio comincia con rabbia a lottare e dentro questa lotta ci sono tutte le avventure di un ragazzino della sua età che vorrebbe e dovrebbe avere come unica preoccupazione quella di baciare una ragazza, per esempio.
E invece.
Osteosarcoma, a ripeterlo fa paura.
Osteosarcoma, difficile da dire e da sconfiggere.
Eppure con una protesi e con uno zaino da 50 litri pieno zeppo di buona volontà Igor/Alex si arrabbia, si fa forza, reagisce, tiene fede alle sue speranze e i suoi sogni di giocare a calcio da campione nella Juventus e intanto si prepara a battaglie enormi che noi comuni mortali non possiamo immaginare. Tornare a camminare senza stampelle, ad esempio, o andare in bici, stare al passo dei propri compagni di liceo in gita.
In compagnia di se stesso, una parrucca e un paio di amici fidatissimi. Nessuno doveva sapere cosa avesse, nessuno, perché, e qui c'è la parte chiave di tutto, "nessuno vuole davvero essere malato".
Seppur ogni esperienza è diversa, ammetto di essermi sentita travolta dalle emozioni.
Il padre e la madre di Alex/Igor ci forniscono le indicazioni per andare avanti, un centimetro alla volta. E badate bene, è un consiglio per ogni situazione, andare avanti sempre di un centimetro per volta.
Ed è così che Alex/Igor riprende a camminare, riprende a costruire la sua vita e a progettarla e impara a non arrendersi.
Sembra banale a dirsi ma i sogni sono tutto, senza di essi non c'è progettazione, non c'è l'idea di un futuro, viviamo in un infinito presente in cui nulla può essere portato a termine, nulla può concludersi.
Il libro non può finire, la storia non può finire. La domanda si tramuta e diventa: Alex riuscirà a essere sereno? Alex con i suoi mille volti si costruirà una famiglia? Troverà un lavoro stabile? Terrà in piedi una storia d'amore serena senza cercare la lotta estenuante e continua che si è sempre trovata accanto?

Io credo che Alex ce la farà, penso che costruirà una vita imparando da questa immensa e dolorosa esperienza. Credo che avrà un pargolo a cui insegnare cosa ha imparato da piccino, e a non arrendersi mai. Credo che la filosofia del centimetro in più possa renderlo invincibile e che il piccolo pargolo si sentirà tale una volta applicata la regola.

Voi, ditemi, cosa facevate a 13 anni? Qual era la vostra più grande preoccupazione?
Io me lo ricordo, ma questa è un'altra storia.

Buona lettura. E grazie Alex di averci reso partecipi della tua avventura.


Io e Igor




27 ottobre 2019

Dove vanno a morire i cigni?

Cristiano mi sta insegnando a prendermi cura delle cose.
Pensavo di essere abbastanza brava in questo, ma vedendo la cura che ci mette quotidianamente a non lasciare segni fisici del suo passaggio sugli oggetti, mi rendo conto di non essere mai stata così accorta.
Ogni sera, quando lo zaino fotografico si svuota, c'è il rito della pulizia delle macchine fotografiche e delle loro ottiche che poi vengono riposte in maniera ordinata nella libreria.
Penso alla mia macchina fotografica, poggiata sul divano, con scheda e batteria sempre all'interno che sì, ha la custodia, ma non ha mai visto un panno umido. E le ottiche vengono pulite solo se sono sporche.
In compenso io sto aiutando Cristiano a prendersi cura di me. E "me" è una persona piuttosto esigente.
Ho sempre fame, esigo continuamente attenzioni, soprattutto fisiche, non sopporto l'abbraccio brevettato da lui "a un braccio solo" e molte volte glielo deve ricordare: "a due braccia".
E, in ogni caso, anche l'abbraccio "a due braccia" non dura mai più di due Mississipi, a meno che non ci si trovi a letto o sul divano. A quel punto i Mississipi non si contano perché sono tantissimi.
Contare i Mississippi, allora, può essere propedeutico al sonno, meglio che contare le pecore.
Cristiano mi sta insegnando ad avere pazienza, a capire che non tutte le persone sono come me e reagiscono come me. Questo mi aiuta relativamente quando le relazioni interpersonali non vanno come spero.
Io gli sto insegnando un altro tipo di pazienza, quello più pratico, qualcosa come "conta fino a 10" o "non vale la pena arrabbiarsi per questo".
Lui mi sta insegnando a presentarmi al mondo, io a essere rilassato nei peggiori panni.
Dall'esterno sembriamo una coppia disfunzionale, l'Alpha e l'Omega ma in qualche modo funzioniamo.
Quando penso a noi penso a un impegno maggiore di quello che ho avuto di solito.
Quando penso a noi penso alle lentiggini sulle sue spalle che vedo ogni sera quando lo abbraccio e mi dà la schiena.
C'è una lentiggine più scura e più grande, quasi a metà di quel percorso un po' sinuoso che dalla spalla arriva al collo a cui mi sono particolarmente affezionata.
Se la sera non riesco a dormire la guardo, mentre le mie lunghe ciglia sfiorano la sua pelle.
È un piccolo percorso di cura e attenzione, pieno di buche e scivoloni annessi, ciò che quella lentiggine mi dice.
È una lingua antica come il mondo, la cura che si ha verso un altro essere umano.
E lui? A quale angolo di pelle parlerà quando vede le mie spalle? Al piccione tatuato? Alla mia cicatrice a metà schiena? Al mio esile collo?
A quale lembo di me si rivolge nel ricordo delle notti passate insieme?
Sono domande che non esigono una risposta ma che lasciano porte aperte a infinite possibilità.
Come le cellule epiteliali che rivestono la cute nascono, muoiono e si rinnovano, ogni giorno ha in sé una promessa non dichiarata ma comunque importante.
È forse questo l'amore. L'attesa di una risposta a una domanda mai fatta, una promessa non formulata ma sottintesa, la costruzione di un desiderio più profondo.
E ora, una lentiggine con un nome.


09 settembre 2019

Stand by me

Ti vorrò sempre bene.

Perché IT ci piace?
Sono andata a vedere la seconda parte dopo un ripassino del remake della prima.
La seconda parte è sempre quella che mi piace di meno. Sono adulti, hanno i loro cazzi, quelli di tutti. Lavoro, marito o moglie, casa, cane, figli.
Figli?
Ma la prima, quando loro sono ragazzini...
Perché vedete, IT non è un libro/film di paura. IT è un racconto di amicizia, di fratellanza, di battaglie che a quell'età sono sempre dure e di solito se ne esce sempre piuttosto perdenti o comunque acciaccati.
IT è la storia di ragazzini che combattono, in primis, contro le loro paure - la battaglia più pesante è quella in cui cerchiamo di scoprire chi siamo.

IT è quando il bullo del quartiere prende a calci lo zaino che hai sulle spalle per farti cadere mentre sei sui pattini e il tuo migliore amico ti difende.
"Cos'è? La tua amica del cuore? Ah ah"
"Sì, e devi lasciarla in pace"

IT è quando sei circondato da ragazzi molto più grandi che rivendicano la loro panchina e cerchi le vie di fuga sperando di correre più veloce di loro.

IT è la violenza, fisica e verbale che ti circonda e alla quale non vuoi cedere.

IT è quando torni a casa e la prima cosa che fai è metterti le cuffie e ascoltare qualsiasi cosa allo stereo perché non vuoi sentire e vuoi isolarti.

Non amo affatto Stephen King, sempre inutilmente prolisso. Ma quando parla di ragazzi non riesce a non commuovermi. C'è tutta la storia dei miei amici, i perdenti del quartier Parella, ogni giorno in giro a vagabondare, il rito di iniziazione entrando in una grotta buia e cercando di non avere paura, le giornate a pattinare, le audiocassette condivise, le lettere spedite quando eravamo lontani in vacanza.

E le risate, gli abbracci interminabili, e "io ci sarò sempre", e camminare sui binari del treno perché siamo invincibili.

Del resto lo dice anche King, in "Stand by me - ricordo di un'estate".
Non ho mai più avuto amici come quelli che avevo a 12 anni. Gesù, ma chi li ha?

14 luglio 2019

Le mie misure sbagliate

Non ho sonno.


Ho un corpo strano, io.
Se da sempre indosso il 37 di piede può capitare che da un giorno all'altro diverse scarpe con quel numero mi vadano strette. Ma che provandole in negozio la cosa non si palesi.
È dopo aver camminato tanto, su questi piedacci larghi, che il problema si manifesta. Che sia il tallone sfregato e rosso, o il mignolino accartocciato, o la pianta del piede devastata perché troppo incurvata (post del 21 settembre 2015 su Facebook La podologa ha sentenziato: addio converse, addio scarpe con il collo del piede basso (in effetti mi fanno malissimo, Virginia vuoi un po' di scarpe numero 37?), solo scarpe running (queste di decathlon che ho addosso vanno benissimo - mi dicono: "Ma sono orribili!"). Inoltre ho il piede cavo, molto cavo, TROPPO cavo e quindi, vista questa mia deformità, in futuro forse potrei soffrire di alluce valgo, dito a martello, morte improvvisa per piede orrendo. Una di queste o tutte e tre, non ricordo. E io che credevo di avere avuto problemi di salute più gravi! Scherzi a parte, bravissima la podologa ad aver sopportato i miei assurdi discorsi da stress da timidezza acuta. Ora almeno saprà come coltivare piante carnivore!).
E il reggiseno? Uguale.
Una prima non è sempre una prima, sapevatelo.
Cambia, e la mia è una prima molto piccola, diciamo una mezza. Passo dall'averle schiacciate a navigarci dentro.

Le misure sono un problema anche nei prodotti tecnologici, smartwatch che non vanno bene (grandi da uomo - che però a me piacciono) o non fanno cosa dico.
Telefoni da usare con due mani e poi, tornando al vestiario, il vestitino nuovo taglia 38 o 40? Nella 38 respiro a malapena, nella 40 mi sembra di navigarci.

E così vale anche per il resto. Nelle relazioni, dove non posso usare la matematica, ne esco sconfitta e perdente. Laddove non esiste una procedura standard non riesco a capire come comportarmi. Mai.
Nelle misure delle emozioni, della tristezza, del languore ma anche dell'eccitazione, della gioia, mi sembra sempre di non essere opportuna, all'altezza.
Riscopro che non c'è da piangere se voglio piangere e che non c'è da ridere nei momenti in cui voglio farlo. Che invitata a parlare non dovrei farlo, che invitata al silenzio dovrei esprimermi.

In questa confusione di scarpe strette, vestiti larghi, smartwatch che smettono di funzionare (e ti costringono a cercare riparo alla svelta, sbagliando), lacrime facili, c'è un disegno che mi sfugge.
Anche se tento velocemente di afferrarlo, svanisce come un brutto sogno al risveglio.

Intanto nel depilarmi le ascelle venerdì mi è parso di sentire un linfonodo. Ogni tanto lo controllavo, ci sei? Non ci sei? In questo weekend sembrava palesarsi e svanire e così ho fatto finta di non averlo sentito.
Tanto se ho ben capito, domani è già ieri e l'avvicinarsi a un buco nero determina un rallentamento del tempo che lo porta quasi a fermarsi.
E per uscire dal buco nero dovremmo viaggiare nel presente.
È in questa frase del cazzo che il mio tatuaggio Qui e Ora assume un senso.
Non è possibile viaggiare nel presente perché il tempo va in una unica direzione.
Ma se il tempo si ferma non restiamo sospesi in una sorta di infinito presente?

Il mio linfonodo non esiste, i pianti sono inutili, i reggiseni saranno sempre diversi e non avrò mai una taglia che si conformi al mio corpo bizzarro, magro sopra e normale sotto.

Le scarpe non saranno 37 quando dovranno esserlo, e quando cercherò un 38 saranno larghe e lunghe tipo scarpe da clown.

Il tempo non si ferma. Ogni evento ha un suo passato e un probabile futuro e niente sarà scordato.

Il mio cono di luce è questo. Io mi sento un punto (un evento) che sa bene il passato e può a malapena vedere la probabilità degli eventi futuri che gli si manifesta davanti.

08 luglio 2019

Il prezzo della felicità

Sai cosa mi impensierisce, cosa mi fa pensare?
Che non lo nomini mai.
E' come se temessi.
Di rompere qualcosa.
Questo mi impensierisce.

"Documenti prego"
Si guardarono come se fosse stato nell'aria. Lo percepisci quando c'è qualcosa che non va.
Lei sospirò piano, come a farsi coraggio. Durerà poco vedrai, non perderai il treno, siamo partiti con tanto anticipo.
La poliziotta che lo accompagnava aveva gli occhi chiari e un trucco semplice.
"Anche il libretto della macchina"
Glieli sporse.
"Arrivo subito"
La poliziotta invece restò lì.
"Può abbassare i finestrini dietro?"
Lei percepì il nervosismo di Lui, gli tremava la mano più del solito.
"Meno male siamo partiti prima"
"Già" disse Lui.

Il poliziotto tornò con i documenti in mano. "Seguitemi"
Lei lo guardò.
Sono controlli di routine, fatti randomicamente. Eppure ci si sente sempre come se si fosse in difetto.
"Portate cellulari e zaini".
Lei ridacchiò pensando a un'avventura peggiore in Australia, quando le lessero i diritti e temette di non tornare più a casa. Ma quella è un'altra storia.
"Poggiate gli zaini sul tavolo, sedetevi laggiù" indicando una panca bianca. Bianca come le pareti, bianca come il tavolo di quel minuscolo stanzino.
La poliziotta si infilò i guanti monouso blu.
"Facciamo un piccolo test stupefacenti" il poliziotto ruppe il silenzio.
"Fate uso di stupefacenti?"
"No" esclamò sicuro Lui. "Ma ha visto dove lavoro?"
"Sì"
Quando a Lei toccava scegliere cosa mangiare, o che meta scegliere in un viaggio, poteva metterci diversi minuti prima di intraprendere una strada. Ma quando si trattava di scegliere in fretta, sapeva benissimo cosa dire. Era come se i pensieri prendessero un circuito cerebrale più breve.
"No" disse lei dubbiosa.
In un nanosecondo si chiese se fosse stato meglio dire la verità o mentire e con quale grado di sicurezza affermarlo. Aveva già una scusa in caso di test positivo, probabilmente poco plausibile, ma forse loro non se ne sarebbero accorti.
"Mi dia le mani"
Lui porse le mani, lei fece altrettanto. Ma con quell'anticipo a dichiarar quasi la sua colpevolezza.
"Signora, lei dopo".
Aprì una confezione monouso con un tampone e lo passò sulle mani di Lui.
Lei cominciò a sudare.
Quando toccò a Lei pensò, ecco, ci siamo. Ci fermeranno per altri test, perderò il treno, mi dirà qualcosa che non voglio sentire, lo incasinerò col lavoro, non vorrà più parlarmi.
Mentre la poliziotta frugava tra la sua roba, Lei cominciò a sudare.
Il poliziotto uscì, come a controllare un test dubbio.
Lei sudava.
"Sono negativi".
La poliziotta cercò di sistemarle lo zaino "No faccio io, le cose sono in un ordine, io, bhe. Non ci entrano dopo".
Ultimo controllo alla macchina.
Non erano in molti a passare il varco spaziotempo che divideva questa dimensione con quell'altra, di cui non era dato sapere nulla.
Il treno interdimensionale sarebbe stata l'unica occasione di fuggire da quel mondo malato, in cui il parassitismo dell'uomo lo aveva reso quasi del tutto arido e sterile.

La poliziotta schiacciò un pulsante e aprì un cancello in cui un vortice nero li chiamava nell'oscurità totale.
Lui la baciò "Non posso venire con te ora, ti raggiungerò quanto prima. Devo ancora concludere qualcosa al lavoro, qualcosa di molto importante".
Se quel test si fosse rivelato positivo, se qualcosa fosse andato storto, sarebbero stati condannati entrambi a restare lì. Ripeto, non erano in molti a passare.

Lo guardò a lungo prima di essere risucchiata via dal vortice nero. E poi, com'era venuto, scomparve.

Lui lanciò uno sguardo di disapprovazione ai poliziotti, lo mascherò un po'. Non voleva avere grane. Mancava poco anche per lui e presto si sarebbero riuniti.

Scomparve nella notte, in quella strada che chissà dove lo avrebbe portato.

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"Ehi, questo è il test...?"
"Sì". La guardò.
"Ma è positivo"
"Lo so ma mi sembrava abbastanza disperata. Abbiamo tutti una ragione per avere paura, per essere disperati. Non me la sono sentita di procedere. Non ricapiterà, dall'altra parte"
Lo squadrò con i suoi giovani occhi azzurri. Dietro quella divisa informe si sentiva affascinante e piena di potere, ma così piccola di fronte a quella scelta. Lei avrebbe eseguito gli ordini.
"Dai, bruciamo i test. Tra 15 minuti ci sarà una nuova partenza, dobbiamo essere pronti".


In un luogo lontano, in una galassia lontanissima, pare ci sia una fanciulla dall'aspetto mansueto e lo sguardo languido che attende una nuova vita.
La scelta apparentemente insignificante di un omino in divisa azzurra ha permesso un nuovo scenario, un nuovo futuro.
Un nuovo tutto.

In un luogo molto vicino, qualcuno sta lavorando per rendere possibile tutto questo.
Non dimentichiamolo.


Canzone del giorno: Addicted To Chaos Megadeth

03 luglio 2019

Bella dentro

SEI VOLGARE.

Ci sono giorni in cui c'è poco lavoro e per chi ha maturato tanti permessi, come la sottoscritta, c'è la possibilità di uscire prima.
Da circa 8 giorni avevo male al mignolo, probabilmente avevo preso una botta, ma va a capire. Erano successe tante cose quella notte che non riesco a ricordarle bene tutte.
Inizialmente si era un po' gonfiato. Poi era venuto su il livido e in ogni caso ancora oggi se stringo la mano a pugno, la base del mignolo mi fa male.
Così decido di impiegare le mie ore libere avventurandomi al pronto soccorso.
Andare dal medico non aveva senso, mi avrebbe al massimo fatto un'impegnativa per una visita ortopedica per la quale avrei avuto appuntamento tra 5 mesi.
Mi avevano avvertita che per un codice bianco del genere avrei atteso ore.

Poi al Centro Traumatologico Ortopedico non ero mai stata e ho girato un bel po' di ospedali non solo in questa città. Perché non andare anche lì?

Mi dirigo all'accettazione.
Un signore dall'aria severa mi guarda da sopra i suoi occhiali da presbite.
Che cosa ha fatto?
Penso di aver preso una botta, ho male al mignolo (su, digli che sei una famosa bassista e quel mignolo ti serve per suonare così ti sentirai meno in colpa)
E come è successo?
Non ricordo, boh, avrò battuto.
E ai capelli cosa ha fatto?
(fingo di apprezzare la battuta)
Ho preso una botta anche lì.
Sì ma di vernice! (ride)
Eheh in effetti (desideri omicidi).

Lo so, ma bisogna farci l'abitudine. Tra i capelli e i tatuaggi ognuno si sente in diritto (forse anche in dovere) di dire la propria. Io ci ho fatto il callo.
A Cömo le più carine erano le vecchiette, a volte mi prendevano il viso tra le mani e mi dicevano "Come sei bella, sembri una fatina".
E poi ci sono le secchiate di vernice, ecco.

Tenga il numero, la chiameranno al Triage.

Do per scontato che mi avrebbero chiamata col numero.

Ma in 5 minuti sento gracchiare dal microfono il mio cognome.

Zoppicando cammino verso il Triage. Ci manca pure che mi chieda quando mi sono fatta male alla caviglia. In verità zoppico perché cerco di allargare delle scarpe che ho comprato nel 2015.
Nel 2015.
Faccio un salto indietro di qualche anno. Non ho mai avuto delle Converse. Mai.
Me le regalarono e mi chiesero il numero. Online dicevano che le Converse calzavano grandi e tutti avevano comprato un numero più piccolo rispetto al proprio numero di scarpa.
Mi dico di non esagerare, indosso il 37 e prendo quindi il 36 e mezzo.

Quella scarpa mi fece sanguinare i piedi, solo dopo tanto riuscii a indossarle comodamente.
Forse qualche mese dopo comprai un altro modello (è proprio vero che il dolore fisico si scorda, o forse le donne sono progettate per farlo. Un po' per dimenticare il dolore del parto, un po' per dimenticare il dolore delle scarpe nuove indossate). Non volevo cascare nello stesso errore. Come minimo il 37.
Erano così strette e dolorose che non riuscivo a indossarle nemmeno a casa.

La settimana scorsa decido di cercare un allargascarpe. Dato che sto cercando di non comprare più su Amazon mi affido a Google per capire, a Torino, dove posso trovarlo.
Dmail.
Cazzo, Dmail esiste ancora.
Purtroppo anche se ho tenuto l'allargascarpe più di 24 ore nelle scarpe vi assicuro che avrei voluto strapparmi la pelle dai piedi e una volta a casa ho dovuto fare un pediluvio freddo.

Torniamo insieme al CTO.
Al triage mi chiedono che è successo.
Ho male al mignolo. Devo aver preso una botta. Se chiudo la mano ho male qui.
Va bene, la chiameranno con questo numero.

Vi dirò, non ho aspettato tanto, non c'era molta gente e quei pochi erano quasi tutti in codice bianco.
Chiamano il mio numero e il numero dopo il mio ma per ovvie ragioni lui è più svelto di me, così mi tocca aspettare la visita dell'ortopedico.
Che biascica e pare ubriaco.
Ah sapevo che era lei C******, allora cosa è successo?
(la so a memoria ormai)
Devo aver preso una botta, mi fa male il mignolo se chiudo la mano. Il mignolo mi serve per suonare il basso (aggiungo una battuta all'ormai noiosa tiritera).
Chiuda a pugno la mano, muova il mignolo, pieghi il polso. Lei non ha niente, ha una mobilità eccezionale.
E allora perché mi fa ancora male dopo 8 giorni?
Facciamo una radiografia, non sono un veggente, magari c'è qualcosa che non vedo. Così ci DISPREOCCUPIAMO
Rifletto sull'ultimo termine pronunciato. Rifletto. Rifletto.
Voce del verbo dispreoccupare.
Suona male anche all'infinito.
Comincia a battere una serie di caratteri sulla tastiera e lo fa usando solo l'indice della mano destra. Ora mi spiego le lentezze nei vari ospedali.
Ma no lasci stare, se dice che non è niente non è niente.
No, no, DISPREOCCUPIAMOCI. Ma il mignolo non si usa nel basso.
Come no? Se salto dal primo al quarto tasto lo devo usare.
Ma sì ma nemmeno tanto.
Come no?
Allora sei proprio una musicista brava, eh!
Mentre mi dice queste parole non posso non immaginarlo con una benda sull'occhio, ebbro di Grog e magari una gamba di legno.
Senta visto che siamo qui, ho male al pollice destro da un po'.
Chiuda il pugno, muova il pollice, pieghi il polso. Sono un chirurgo della mano, non c'è niente. Magari un giorno le verrà un po' di rizoartrosi, ma metterà un tutore e andrà bene.
Segua la linea blu, faccia la radiografia e torni da me.

Seguo zoppicando la linea blu, al lavoro sono stata senza scarpe perché non riuscivo a tenerle addosso nemmeno da ferma, da seduta. Aggiungendo ovviamente una stramberia a tutto il mio corredo. Capelli blu, tatuaggi, al lavoro scalza...
Appena arrivo nel corridoio di attesa per le radiografie mi siedo come se avessi corso una maratona stringendo in mano il mio foglio scritto con cura dall'indice destro del Pirata ChirurgoDellaMano.

Nell'arco di una quindicina di minuti arriva un infermiere che mi chiede il foglio.
Lo guardo dubbiosa.
Non sono certa di volerglielo dare.
Ah se non me lo dà può aspettare qui tutto il giorno.
Sorride.
Con aria dubbiosa e scherzosa gli consegno il foglio e davvero in 10 minuti mi chiamano.

È incinta?
No.
Di solito a questo punto insistono. Chiedono più volte. Ma no, si limitano a darmi il camicione di piombo da mettere in grembo. Mi fanno sedere accanto all'apparecchio per le radiografie.
Poggi la mano.
zzzzzzz
Ora metta la mano di lato chiudendo tutte le dita e lasciando solo il mignolo
zzzzzzz
Ora faccia l'ok con le dita
zzzzzzz
Ora giri il palmo verso l'alto
zzzzzzz
Attenda fuori.

Il mio referto dice che non ho nulla. Insieme al referto un cd con le mie foto interne della mano. Da dentro ho una bellissima mano, da fuori un po' meno.
Torno dal Pirata che spero mi offra un goccio di Grog.
Ha visto? Non ha niente!
Io ho male
Ma sarà la botta, passerà. Sa che ho conosciuto il bassista Nome e Cognome? Sa chi è?
Sì, ne ho sentito parlare (mento spudoratamente, ora il dolore ai piedi ha la priorità mentre compare una grande Ara sulla spalla del Pirata).
Suona in NomeGruppo, lo conosce?
Qualcosa mi dice. (fammi andare a casa che devo tagliarmi via i piedi)
Stia bene eh! L'ho scritto anche nel referto che sta benissimo.

Medito se camminare sull'asfalto senza scarpe.

Zoppicando e accaldata arrivo alla fermata del bus. Zoppicando e accaldata mi siedo. Zoppicando e accaldata cammino fino alla fermata del secondo bus. Zoppicando e accaldata salgo sul bus, scendo, cammino verso casa, tolgo le scarpe prima di salire le scale bestemmiando a ogni passo. Zoppicando mi faccio il famoso pediluvio freddo. Avrò perso l'uso del mellino?
È acciaccato e rosso, eppure esiste.





02 luglio 2019

La svolta a sinistra

Sottotitolo:
Come perdere la pazienza cercando di non far perdere una signora.

Ho le cuffie, sto bene. Sono appena stata dal parrucchiere. I miei capelli erano un disastro, dovevo decolorare solo la radice ma la decolorazione ha fatto un po' quel cazzo che gli pareva, decidendo di colare anche sulle punte e lasciandomi un paglierino che non ha più nulla a che vedere con l'allegro crine.
I Rammstein mi tengono compagnia.

Arriva il 49.
Du hast.

Trovo finalmente posto.
Sonne.

Una signora chiede a un vecchietto dove si trova corso Novara. La signora sembra totalmente sperduta, siamo quasi in Barriera di Milano e quando lei afferma di non essere mai stata da queste parti, il vecchietto con fare da cowboy sentenzia Qui è il Bronx.
Chi ci abita afferma la comodità di non dover cercare spacciatori per nessun tipo di sostanze, a volte basta fermarsi sul portone di casa o se sei più fortunato, scendere un piano.

Mi tolgo le cuffie.
Ci troviamo di fronte a un impasse. La signora vuole andare in corso Novara, e vuole scendere alla prima fermata di corso Novara ma ciò che non sa, e che il cowboy non riesce a spiegarle, è che il 49 percorre Corso Novara - quindi scendere in corso Novara diventa un po' vago.
Signora dove deve andare?
In corso Novara.
Sì ho capito, ma il 49 è già su corso Novara.
Devo andare in via Candelo, mi hanno detto di scendere alla fermata Corso Novara.
Sì, signora ma corso Novara è lunga. Mi faccia controllare. 
(estraggo lo smartphone, imposto Google maps, mi oriento col cielo, sgozzo un gallo nero e faccio un cerchio di sale).
Allora signora, il bus va sempre dritto. Quando girerà a sinistra deve scendere. È la prima fermata dopo aver svoltato a sinistra.
Oh grazie grazie.

Il bus procede dritto.
Devo scendere?
No signora. Quando gira.
Le strade a Torino sono parallele e perpendicolari. Puoi raggiungere quasi ogni punto andando sempre dritto e girando a sinistra o a destra. Impossibile perdersi.
Devo scendere?
No signora, quando gira.

Il bus continua le sue fermate.
Devo scendere?
Signora glielo dico io quando scendere (già trema la palpebra). A un certo punto il bus si immetterà sul controviale a destra e poi girerà in via Bologna, e lì deve scendere.

Altre due fermate.

Scendo?
Mi sento un po' austroungarica e mi guardo attorno per capire se sbaglio qualcosa nel mio modello comunicativo. Dovrei sembrare una cazzo di punkabbestia ma evidentemente ho un aspetto rassicurante. Forse dovrei scollegare le mie eleganti cuffie bluetooth Marshall, scostare i capelli colorati freschi di taglio e piega dal parrucchiere [con trattamento idratante, please] e guardarla dall'alto dei miei costosissimi tatuaggi per farla a sentire a disagio.
No.
Sospiro.
No signora, guardi, ecco è la prossima.
Sorrido felice.
E quindi scendo?
Sì.
Sorrido.
Grazie eh? Grazie tante.

Mi rimetto le cuffie, posso tornare a isolarmi dal mondo.

Diamant.
Poesie.

01 luglio 2019

Si scopre poco a poco

E tu? Tu cosa fai?
Io uccido i miei sogni.

Non guardarmi, gli dico.
La stanza è buia, ma la poca luce dei lampioni in strada che penetra dalle tapparelle abbassate può fargli intuire le mie forme, i miei movimenti.
Ho gli occhi chiusi.

Mi trovo nell'ultimo presidio medico della zona, probabilmente dell'intera città.
I miei occhi si abituano alla poca luce e l'infermiere del triage ha davvero le palpebre chiuse.
Che cosa ha che non va?
Il tono è grave, non siamo rimasti più in molti.
Che domande, penso. Niente va.

Nel giro di una settimana l'inferno ci ha investiti prima del tempo. Prima quella luce, accecante, e quel boato.
Mi ha fatto fischiare le orecchie per diverse ore.

La sala d'attesa è vuota.
Questo posto sembra disabitato da secoli.

L'infermiere apre gli occhi.
Mi guarda.
Lo noto, si trattiene, ma un lieve sussulto è visibile.
Ok, capisco.
Non ha la mano destra. D'improvviso penso a quante cose dovrei imparare a fare con la mano per me sfigata, la sinistra, nel caso perdessi la mano destra. Forse mi sarebbe più facile usare i piedi.
Uh ricordo quel film, Il mio piede sinistro. Lo avrò visto tante volte da piccola, credo di aver letto anche il libro. Sì, certo, ho letto anche il libro.

Mi segua.

Che poi pure sinistro il piede. Cioè doppia difficoltà per me. Piede e sinistro.
Che poi sinistro vuol dire anche sinistro, pauroso.

Sinistro vuol dire sinistro.

Comincio davvero a delirare.

La luce manca da quel giorno, e così quando apre la porta che dà sul corridoio è costretto ad accendere una torcia, una di quelle scarsissime a led e a manovella ma... meglio di niente. Da qui in poi non ci sono più finestre.
Lo immagino mentre col moncherino tiene ferma la torcia sulla scrivania e con la mano sinistra gira la manovella.
Chissà se fosse stato il piede.
I corridoi sono vuoti. Forse non ci sarà nemmeno un medico a visitarmi.

Nel passato i chirurghi erano barbieri. O meglio, i barbieri facevano i chirurghi. La differenza tra il radere un po' di barba e amputare un arto o togliere un dente? Nessuna. Solo pratica.
Barba, capelli e amputazioni a prezzi modici.
Ridacchio tra me e me.
Il chirurgo mi guarda malissimo ma il sopracciglio si inclina lievissimamente a mostrare un po' di pena.
Da quel fatidico giorno siamo rimasti pochi. Io non so nemmeno bene cosa sia successo, nessuno lo sa.

Io men che meno.
Il bagliore.
Il calore.
Il boato.

E quel silenzio.
Molti sono morti, sciolti come ghiaccioli lasciati al sole. Era raccapricciante. L'odore, che odore.
Il sangue, i liquidi corporei.
Essere e non essere, immediatamente dopo.
Stavo parlando con la vicina. Si è liquefatta sotto i miei occhi, io no.
Io non so come mai, io sono rimasta.
A metà.

La pelle ogni tanto si stacca ma finora ero riuscita a sopportare.
Nemmeno tanto il dolore, è strano, non fa male. È immensamente fastidioso.
Innanzitutto non posso indossare nessun tipo di abito, rischio di scollare anche quel poco di pelle rimasta.

Non si spaventi quando entra, resti qui in attesa, la chiameranno.

Lui ha perso solo la mano, destra poi. Chissà come ha fatto a restare così integro.

Oltre a non poter indossare nessun tipo di vestiario, i pochi uomini rimasti mi guardano con estremo ribrezzo. Ci si sente soli, senza pelle. Che poi fossero messi meglio, loro.
Ho resistito al fastidio di andare in giro nuda, tanto siamo pochi. Ma nuda nuda, doppiamente nuda perché di pelle ne è rimasta poca.
Poi però mi ha intaccato il viso e bhe, non sono mai stata una modella. Ho il nasone, i denti storti, il mento praticamente assente e le orecchie a punta.
Sono simpatica, direbbe un papabile uomo rimasto in vita, forse l'infermiere che ha ancora tutta la faccia e può indossare i vestiti.
Ma almeno la pelle. Avevo una bella pelle, che non dimostrava i suoi quasi 40 anni.

Lì al buio, però, sento enormemente la solitudine. Quando è così buio come fai a sapere se hai gli occhi aperti o chiusi?
Necessito di un briciolo di luce.

Canticchio.
Come faceva quella canzone?
When the night has come
And the land is dark
And the moon is the only light we'll see
No I won't be afraid, no I won't be afraid
Just as long as you stand, stand by me

And darlin', darlin', stand by me, oh now now stand by me
Stand by me, stand by me

Buio.

Ma poi che faranno mai in un centro medico senza elettricità? A dir la verità credevo di trovarlo disabitato e vuoto. Morto come la maggior parte degli esseri viventi. Deturpato di sicuro come tutti i viventi.
Tranne l'infermiere.
A lui manca la mano. Destra.
Per il resto sembra integro.

Sento un cigolio inconfondibile. La porta si apre.
Ecco, penso, ci siamo. Il mio barbiere. 
Del resto anche una spuntatina ai capelli ci sta, dopo l'ultima decolorazione ho praticamente ucciso le punte.
Se bella vuoi apparire, un po' devi soffrire. Diceva mia cugina quando ero piccola e lei, dalla maestosità dei suoi 5 anni in più, spazzolava i miei lunghissimi capelli. Doloroso, molto doloroso.

Non sento passi però. Cerco di muovermi verso il rumore.
Ho sempre detestato il buio totale. Ho costretto le persone con cui ho vissuto a dormire sempre con la tapparella un po' sollevata, a far entrare un briciolo di luce. 
Sì ho detto briciolo perché la luce è sia onda che particella.
E penso alle particelle come briciole.
Sono una cazzo di falena che vuole la luce.
Trovo la porta e mi ci infilo.
È qui il mio barbiere?
Silenzio.

La porta dietro di me si chiude. Ok, ha fatto bene l'infermiere ad avvertirmi, ora ho paura. 
Una luce a led si accende. Potrebbe essere debole ma dopo l'oscurità sono costretta a chiudere gli occhi.
Ehi, sembra una cabina elettorale. Solo che invece della scheda elettorale c'è un biglietto.

Un piccolo compenso per un grande dono.

Bello scherzo barbiere, senti ma se ti chiedo di spuntarmi i capelli che sia un centimetro e basta, non come fate di solito che poi mi trovo ad aspettare sei mesi per averli di una lunghezza decente!

Ridacchio ma sono nervosa.
Gas.
Tosse.
Buio.
Il nulla.

Balbettio confuso, luci a led in faccia, vedo tutto sfuocato, un'ombra enorme su di me. Enorme.
Antenne?
Cazzo sembra la mia lumaca gigante africana. Debra, il suo nome, come la sorella di Dexter.
Che è scappata, come cazzo abbia fatto.
Ridacchio.
Devono essere potenti questi gas, le allucinazioni.

Buio.
Il nulla.

----------------------------------------------------------

Bhe dai poteva andarmi peggio.
Lo specchio riflette la mia immagine che ha una pelle molto più bella rispetto a prima di quel giorno. Il mio corpo senza più una cicatrice. Nemmeno una.
I barbieri di oggi fan miracoli con questi unguenti.
Barba, capelli, amputazioni e unguenti a prezzi modici.
Ridacchio.
Non una ruga.
Ma come cazzo avranno fatto? La gente si è liquefatta sotto i miei occhi e io sono perfetta.
Bhe il nasone sta dove sta.
Il polpaccione non si muove.
Il makeup sarebbe da perfezionare. Ma tanto poche persone potranno criticarlo.
Siamo davvero pochissimi.

Ci sono cose che ancora faccio fatica a fare, per esempio tagliare la frutta e la verdura. Lavarmi i denti.
Schiacciarmi i punti neri.
Ridacchio.

È che la mano sinistra faccio davvero fatica a usarla.
Dovrei forse provare con i piedi.

03 giugno 2019

Storia di un tatuaggio

La formica di fuoco.


Ho un periodo pieno di novità. Dopo un 2018 tremendo sto cercando di godermi quello che sembra un anno tranquillo, tra un amore vecchio risbocciato (con strascichi ancora pieni di paure) e un lavoro nella stessa azienda con una piccola promozione in atto.

Vorrei sembrare più entusiasta, ma mi sento un po' come quando torni dalle vacanze (ah eh ecco, devo anche scrivere del recentissimo viaggio a San Francisco e dintorni) e tutti ti chiedono "ALLORA, com'è andata? Voglio sapere TUTTO!" e sono più entusiasti loro che tu, non perché non lo sia, semplicemente hai tenuto un diario dettagliato di viaggio perché non ricordi mai un cazzo, così sbofonchi qualcosa come "Uh sì bella, divertiti, visto un sacco di cose, che ora, bhe sì, cià, ti racconto in pausa", mentre cerchi un racconto che possa soddisfare la loro curiosità. Che tu sei stata bene, che è stato tutto bellissimo, ma sono cose così banali da dire.
Così mi sento per questo nuovo lavoro. "Ma quindi sei stata promossa?"
"Bhe sì, no, boh, faccio un'altra cosa, però dovrei lavorare full time quindi in teoria prenderò di più. Quindi sì, sono logicamente contenta".
E nella mia vita da entusiasta è riduttivo il commento qui sopra: non so cosa sia cambiato in me ma qualcosa è cambiato. È come se molte delle mie emozioni si fossero ridotte a calma piatta apparente, nascoste sotto uno strato di cemento ormai già indurito. Ma che escano fuori prepotentemente e in modo incontrollato in alcuni momenti in cui le emozioni non devono entrare.
Ambiti in cui non mi si scalfisce.
Ambiti in cui mi scalfisco da sola.
Cerco di suonare, cerco di leggere, cerco di scrivere e non riesco a fare nessuna di queste cose.
Non riesco a fotografare, non come prima.

Eppure quando ho scelto questo tatuaggio ho pensato alla ragazzina che ero e che ha affrontato tante cose brutte da sola, almeno a livello emotivo. Che non ha quasi mai pianto. Che se ne batteva la ciolla di stare a casa in isolamento con i globuli bianchi bassi e andava ai concerti. Che pattinava. Che nonostante fosse senza capelli non usciva mai di casa senza trucco, le sopracciglia disegnate con la matita nera, non una parrucca, non un berretto se faceva caldo.

Quella è Carla invicta, e io cosa sono diventata?

A volte i disegni che ti lasci imprimere sulla pelle da un abile tatuatore non sono altro che promemoria. Come in Memento cerchi dei segni grafici che possano rappresentarti per poter ridare il giusto peso alle cose. Per determinare delle priorità e lasciare che le emozioni possano incanalarsi nel verso giusto.

Così ho piagnucolato quando ho spanato una filettatura di una ottica aggiuntiva per la X100F e per una miriade di altre cose.
Ripenso a un'immagine che mi aveva mandato Dado e che avevo pubblicato.
Non devo dimenticarmi chi sono.



Io sono Carla invicta.

Canzone del giorno: Leatherface Can't Help Falling in Love

16 aprile 2019

A volte

A volte ci si sente immensamente soli.
La solitudine in verità è una buona compagna: riesce a fare luce su tantissimi puntini neri fino a mostrarne la trama. Come quando nell'oscurità d'improvviso gli occhi si abituano e improvvisamente si fa tutto più chiaro.
Non luminoso, solo più chiaro.
L'ultimo baluardo di speranza si è spento: il faro, mio unico faro che ancora aveva speranza non c'è più.
Ed è così che ci si sente soli.
Quando alla fine si è davvero costretti a fare i conti con se stessi e con gli altri, senza alcun appoggio esterno.

E poi parte l'ansia, tradotta con una morsa al cuore.
"Mi scusi, vorrei un cuore nuovo, il mio non so cosa sia successo, ma è rotto. E non penso sia più in garanzia. No che non l'ho fatto cadere, ci sto attenta, sa".
Ai polmoni manca il respiro.
"Ah ecco, quasi scordavo. Vorrei riparare i polmoni. Non respiro più bene. Sì, sembrano funzionanti ma le assicuro che... Non mi interessa cosa dicono i suoi strumenti io faccio fatica a... Senta, vada al diavolo, le dico che non funzionano bene!"
Il sonno è perduto.
"Gli oggetti smarriti? Ho perso il sonno. Non ricordo se l'ho lasciato sul bus, sul treno, o è a casa ma ho rovistato dappertutto e nulla. Dovrebbe essere morbido e azzurro. Sì, ha delle figure stampate sopra. Ah, ed è caldo, molto caldo. Senza quello, tempo qualche giorno e divento matta. Ci sono molto affezionata".
L'appetito non è più così importante.
"Sono sempre io, sì mi faccia sapere se ritrova il mio sonno, ma l'appetito lo ha trovato? Forse li ho persi insieme. Non saprei, è più probabile che l'appetito sia qui da qualche parte ma che io lo ignori."

Li chiamano "periodi".
Io, in questi giorni, vorrei una navicella spaziale supersonica che mi porti a 55 milioni di anni luce da qui, verso l'orizzonte degli eventi, in un luogo in cui nemmeno la luce può sfuggire, figurarsi un essere umano di 45 chili cagati.

26 marzo 2019

La ringraziamo per aver scelto la nostra compagnia

Vuole altro champagne?
La hostess sorride più del dovuto. È bella, bellissima e ha l'aria sveglia. Potrebbe fare qualsiasi altra cosa invece di essere qui. Proprio qui, poi.
Ricambio il sorriso con quella che a me riesce più come una smorfia.
Sì, la ringrazio.

Il posto accanto a me è libero, e l'aereo quasi vuoto.
Mentre la hostess mi versa lo champagne non posso fare a meno di pensare che, anche se ho investito tutti i miei risparmi in questo viaggio, sono felice.
Davvero felice come non lo ero da tempo.

Sorseggio le mie bollicine e penso che sia strano bere prima di decollare.
Rido di questo pensiero.

Rido così forte che gli altri passeggeri si voltano e mi guardano.
Qualcuno sembra molto agitato.

Sta bene? Le serve qualcosa?
La hostess sembra mi stia corteggiando.
Tutto bene, grazie. Solo un po' di agitazione pre-volo.
Sorride: la capisco, è il mio primo giorno di lavoro per la LT e sono molto agitata anche io, vorrei che tutto fosse perfetto.

Mi accarezzo i lobi delle orecchie per mostrarle i miei costosissimi orecchini.
Ho sempre considerato superflui certi vezzi, come questo vestito giallo, che ha impiegato l'altra parte dei miei risparmi. Ma valeva la pena, per oggi, per questa occasione.

Sorride ancora.
Forse ho sbagliato a giudicarla una sveglia, sembra che non sappia fare altro. Insomma un'esistenza di cui nessuno potrebbe sentire la mancanza.
Anche se mi sembra di avere intravisto un'ombra nei suoi occhi. Forse un barlume di coscienza, qualcosa.

Qui è il pilota della LT che vi parla. Allacciate le cinture, in meno di un'ora arriveremo a destinazione. La temperatura primaverile e questo sole renderanno il viaggio ancora più piacevole. 

Cerco la cintura. Rido di nuovo.
Non riesco a contenermi e gli altri passeggeri mi fissano.

Scusate, a volte mi succede.

Allaccio la cintura sotto lo sguardo indispettito dei miei compagni di viaggio. Sorrido. Magari funziona anche per me.

Chiudo gli occhi. Sento l'aereo che prende velocità. Accarezzo il morbido tessuto del mio vestito giallo.

Apro gli occhi. Devo essermi addormentata, perché siamo ad alta quota, sopra soffici nubi bianche. Avrei dovuto drogarmi, sarebbe stato davvero un bel trip. Rido di nuovo.
Altro champagne?
La hostess ha gli occhi lucidi, anche se sorride.
Nelle file opposte alle mie qualcuno piange stringendo una foto.

No grazie, sono a posto così.

Non volevo che fosse un viaggio triste.
Sgancio la cintura.

È proprio bello il colore dei suoi capelli.
Una lacrima le riga il viso. Continua a sorridere.

Il colore dei miei capelli è una variabile sempre così presente da diventare una costante nella mia vita. Dalle superiori in poi non ho mai avuto i capelli dello stesso colore e/o taglio. Ora sono azzurri, ma pochi mesi fa erano verdi, pochi mesi prima lilla, e così via fino a una storiografia del crine che arriva ai miei 15 anni.

Il passeggero triste ha smesso finalmente di piangere.

Guardo fuori dall'oblò: certo, è proprio una bella giornata di sole.

Presto però una fiammata venuta fuori dal motore interrompe i miei pensieri e li avvolge in una nube di fumo nero e denso.
L'aereo comincia a saltellare, come sotto la scia di una turbolenza.
Allaccio la cintura.
Sorrido.

Qualcuno piange o inutilmente grida Voglio scendere, ci ho ripensato!
Li guardo con malcelato disprezzo.
Ci vogliono le palle per fare una scelta e per portarla fino in fondo.

Qui è il pilota della LT che vi parla. Stiamo perdendo velocemente quota. Vi chiedo di mantenere la calma, restate seduti e con le cinture allacciate. Ripeto, mantenete la calma. Urlare non serve a niente.

Molto rapidamente, da sopra le nubi ci ritroviamo sotto. Posso vedere i tetti delle case
Chiudo gli occhi. Hoka Hey.
Le risate di Padre, l'abbraccio tenue di Madre, le furiose litigate con mia sorella, il mio primo bacio, le lacrime di un amico, l'amore che ho ricevuto, quello che ho donato, un regalo inaspettato, le brutte parole dette e ricevute, il calore dei miei nipoti, tutte le piccole bestiole di cui mi sono presa cura e che mi hanno curata, le chemioterapie, gli interventi, il cuore che batte forte, e ancora, e ancora, uno sguardo innamorato, una foto dimenticata, le nostre mani che si cercano, il calore dell'urina che sento scivolarmi via a macchiare il mio bel vestito giallo, il mio volto bagnato da silenziose lacrime, il buio.

****************************************************

Se lo diceva spesso che la divisa da poliziotto non gli donava, Avesse almeno avuto un altro colore.

- Allora cosa hai trovato?
- Non molto. Se non che la compagnia LT registra il più alto numero di incidenti aerei finora riscontrati. A dirla tutta sembra non sia mai riuscita ad arrivare a destinazione.
- Avete ritrovato la scatola nera?
- No, nulla, sembra non esistere.
- Continuate a cercare.

Dal suo punto di vista, all'ormai decimo aereo della LT precipitato, poteva anche non fare nulla. Avrebbe potuto scrivere lo stesso verbale copiato dagli altri. Nessuna indagine aveva mai portato a nulla di fatto.
Aveva provato anche a guardare le cose da un altro punto di vista e cercare informazioni sui passeggeri. Alcuni soffrivano di depressione perché avevano perso il lavoro, dai conti bancari si notavano grossi prelievi prima della partenza. Perché partire e spendere così tanto dopo aver perso il lavoro?
Altri erano dei sociopatici.
Altri in apparenza, normali.
Ma cosa è davvero normale? Chi è davvero normale?
I corpi dilaniati delle vittime, coperti da teli neri, erano lì, pezzi di carne scomposti senza alcuna memoria di essere stati, un tempo, creature pensanti.

- Capo, abbiamo trovato questo.

Il solerte ragazzotto gli portò un foglio di giornale, non si poteva comprenderne la testata, dal quale era stato cerchiato un annuncio.



Si allontanò presto dalla scena, con quel pezzetto di carta, con il telefono in mano.
Del resto era molto che ci pensava, le cose non accadono a caso.
Non era successo per caso.
Era lì per lui.

- Sì, buongiorno, vorrei prenotare un volo, uno qualsiasi, con la vostra compagnia. Sì, no, posso partire immediatamente.

Chiuse gli occhi.
Presto sarebbe tutto finito.

31 gennaio 2019

La Pianta Vitale

Il tuo blog langue.

Era il 1995 quando, scansati tutti i volumi dallo scaffale, trovai quello che cercavo. Era la cartografia fantastica di un mondo impossibile, consigliatami da qualcuno, che stava lì a prendere polvere. Probabilmente nessuno se ne curava e le pagine ingiallite erano lì a testimonianza di qualcosa che chissà, forse avrebbe potuto allargare la mente di qualcuno.

Mi fermai a pagina 24, come da indicazione. La stampa vecchia, i caratteri graziati, l'odore di qualcosa che non esiste più rendevano tutto estremamente reale.

La bibliotecaria mi guardava scrutandomi a testa bassa, nello spazio tra i suoi occhiali da presbite e l'arcata sopraccigliare.
Sarà un libro prezioso? O forse gli sembro una ladra.

Non sarebbe la prima, in effetti, a seguirmi per capire se voglio portarmi via qualcosa senza corrisponderlo in sonanti monete.

Tornai alla mia pagina 24 con grande gioia della bibliotecaria che riprese la sua lettura.

In mezzo alle pagine trovai un piccolo ramo di una pianta secca. Non la conoscevo ma poteva essere di un luogo lontano. Forse di quel mondo fantastico?

La cartina è stata disegnata, pare, con un vecchio pennino stilografico e i nomi all'interno erano praticamente illeggibili.
Non per via della scrittura, ma perché non siamo più abituati a leggere pagine scritte a mano. In verità la grafia era bellissima.
A lato, delle didascalie in caratteri graziati, come appunto ricordavo sopra.

I miei occhi, meravigliati da tanta perfezione, non riuscivano però a distogliere lo sguardo dalla pianta secca, le cui foglie richiamavano la mia attenzione più di quelle pagine fantastiche.
Sembrava ancora odorasse e nonostante il mio fiuto non sia specializzato e tanti odori io non riesca a sentirli, quello arrivava forte, superando anche la carta invecchiata.

Controllando che la bibliotecaria non mi guardasse, inserii la piantina nel quaderno in cui minuziosamente prendevo appunti.

Il sole basso e caldo entrava dalle finestre rendendo quelle pagine, quella pianta e tutta la magia che mi sentivo addosso, un evento davvero unico.

Di quel libro, poi, non ho più sentito bisogno.
Quel mondo, reale o fantastico, lì disegnato non mi apparteneva più. Nessuno studio sarebbe stato efficace a comprenderne la natura. Ma quella piantina, ancora oggi è tra le pagine del mio quaderno. Non sono mai riuscita a identificarla ma sento addosso una certa fretta di portare a termine queste ricerche, perché quell'odore, tanto forte, tanto buono, ha reso, penso, la mia salute così precaria.
Tutte le altre piante nella mia piccola casa sono morte, lentamente, dopo l'introduzione di quel rametto. E io, 29 anni dopo, sento di non avere molto più tempo.

Lei, invece, sembra rinverdire. Da che l'avevo portata via, mi è sembrata crescere, accendersi di un verde meno smorto e proprio ieri mi è parso di avere visto una piccola radice.

Scrivo questo piccolo appunto a margine della pagina, che se anche domani dovessero trovarmi riversa a terra, senza più l'anima aggrappata al corpo, con il viso mangiato dai ratti che ogni tanto vengono a farmi visita, almeno sappiano.

Che possano scoprire di che pianta si tratti, che possano trovare un antidoto. Perché da quelle pagine vecchie e scolorite temo di aver portato via qualcosa da un altro pianeta, un piccolo male, lento e inarrestabile, che si nutre della vita altrui.

Che Dio abbia pietà della mia povera anima.

CC 
31/01/2019

23 gennaio 2019

La Ragazza

Era lì, la Ragazza.
Seduta e pensierosa come se il vento le accarezzasse in modo un po' più violento il viso e a causa sua dovesse tenere gli occhi socchiusi.
In quella posa anche i suoi capelli sembravano scompigliati da quella stessa brezza.
Guardava fuori dalla finestra, la Ragazza.

A una prima occhiata sembrava non sbattere le palpebre, quasi come se, facendolo, potesse perdere dettagli importanti in quella frazione di secondo.

Il mondo le scorreva davanti e lei, inerme, lo scrutava senza sosta.

Era lì, la Ragazza.
Le unghie sporche della terra che aveva scavato, dentro cui voleva seppellirsi.
Per un attimo il colore blu di una sirena le aveva regalato un po' di colore, poi tornò a spegnersi piano.

Era lei, la Ragazza.
In quel mite pomeriggio d'autunno in cui le foglie ancora non si lasciavano andare. Un piccolo fiore tra i capelli.

Regina delle mille solitudini.

È lei.


21 gennaio 2019

L'Amore è una melodia fatta di sussurri a stento trattenuti,
di silenzi rotti dal rumore della pelle che si sfiora.
L'Amore è stare a fare niente, in momenti in cui si potrebbe fare tutto.
O fare tutto anche se non si dovrebbe fare niente.
L'Amore è impegno e promesse, accettazione e condivisione.

Amore è calore,
e a volte un rettile che allarga il patagio.


15 gennaio 2019

Il mio atto di ribellione

Ho letto da qualche parte, in questi giorni, non ricordo dove, che per cambiare basta fingere. E a forza di fingere presto o tardi viene spontaneo. Non fingere, ma essere come stai cercando di essere.

Non sono brava a fingere. Forse avrò finto un paio di orgasmi, qualche volta, ma da piccola.
Quando mi rendevo conto che non sarebbe mai finita se non avessi portato a termine la mia piccola corsa verso il piacere, rendendo orgoglioso di sé il maschio alpha che accesosi la sigaretta poteva dirsi "Che bravo che sono".
Per poi girarsi e dormire come se avesse sconfitto un drago o avesse aiutato Ercole nelle 12 fatiche. O Asterix. O che ne so.

Il mio atto di ribellione è sempre stato la sincerità. Non ridete.

Madre mentiva in continuazione a Padre, lo faceva per il bene di tutti. Lui non sapeva mai bene cosa accadeva, Madre non lo diceva e gli mentiva perché Padre si arrabbiava spesso per un nonnulla.

Madre mi consigliava di dire sempre che non ero stata io, se accusata di qualcosa, anche se le accuse erano fondate (però quando rubavo i giocattoli all'asilo e se ne accorgeva - poche volte - mi costringeva a riportarli indietro).

Non è educativo, lo so. Ma lei non aveva letto quei libri merdosi che ora leggono tutte le neomamme: "Come crescere un perfetto Milord" o "I no che aiutano a crescere" (sbaglio o esiste davvero questo libro?).
Madre non poteva fare che il meglio che già sapeva fare e lei aveva imparato che mentire era la sopravvivenza.
Io no.

Il mio atto di ribellione era la sincerità.

Come quando venni sgridata per le 2000 lire perse a un'amichetta. Non erano molti soldi, e io ero certa di averglieli ridati. Padre mi mise in castigo e disse che per una settimana non potevo più vedere i miei amici di via Exilles. Avevo 12 anni.

Però Padre era al lavoro tutto il giorno, e Madre mi diceva "Esci, tanto non glielo dico".
Mi rifiutavo. La punizione era giusta e l'avrei rispettata.

Imparai presto che piccole bugie potevano essere un'escamotage per uscire da situazioni imbarazzanti.
"Come mi sta il vestito?"
"Benissssimo"
Ma quelle esse di troppo, sul mio ghigno contratto, avevano l'effetto contrario.
Si vede quando mento.

Esisterà un altro modo di essere diversi da come si è? Essere più coraggiosi, più ironici, più versatili, più sportivi, più abili, più belli, più affascinanti?
Se mi tocca fingerlo, finirà che non riuscirò mai.

Se mi tocca esserlo, forse avrò speranze.

Canzone del giorno: 21st Century Schizoid Man King Crimson

14 gennaio 2019

Il mondo sottosopra

Voglio narrarvi di questa avventura
di questa guerriera dall'aspetto un po' strano
che non mancava di avere paura
e che indossava un buffo pastrano.

Un giorno incontrò un grottesco animale
che ella seguì per natura curiosa
"Da dove vieni, belva anormale?"
"Ma che domande, ma come osa!"

E la guerriera, nascostasi lesta,
vide l'ingresso di un mondo pazzesco
in cui elfi e gnomi facevano festa
e tutto intorno un ambiente fiabesco.

Da un'iscrizione incisa in un pino
lesse qualcosa che la fece tremare
"Caro avventore, stai pur supino
qui all'incontrario devi guardare!".

Ella si mise così apposta sdraiata
con la testa al contrario a guardare le fate
che all'incovercio la vita è sbagliata
ma se ci credete, allora ascoltate:

"Getta il tuo cuore nel mondo al contrario
tieni il respiro, non muovere un fiato
Guerriera tu credi, non è un lebbrosario
attraversa la porta" disse adirato.

"L'Amore che nasce attraverso le spine,
la morte vestita di rosso rubino,
il giorno che mostra immense rovine,
la notte che ammicca con far birichino"

Veloce vorresti cercar di capire
il mondo fatato però non aspetta
sei in pasto ai leoni e vorresti fuggire
volare, scappare, in tutta fretta.

Non tutto è normale, nel mondo al contrario.
Se provi dolore, diventerà amore?
Cerchi la prova nell'arbitrario
ma questo pensiero ti spezzerà il cuore.

Guerriera nostrana, guerriera fiamminga,
alfin questa terra ti ha conquistata
non lasciar più che il normale ti vinca
ragiona al contrario, sorridi beata

ché il leone alla fine non ti ha divorata
anzi nel pelo hai affondato narici
e fusa hai sentito, ne eri onorata
immersa com'eri nei suoi benefici.

La notte portava lieti sorrisi
le ombre schiarivano pensieri nebbiosi
il sole scuriva e teneva divisi
il giorno donava timor velenosi

La Guerriera rimase nel mondo al contrario
dimostrando a tutti la passata paura
ché non esisteva alcun avversario
nemmen nella situazione più dura.

Avreste mai detto che un giorno recente
sposò un bel principe, pittore moderno:
le mani da sogno, lo sguardo sfuggente,
perduto da sempre in un piccolo inferno.

Nel mondo al contrario, lì sì funzionava
non uscirono mai, e tra fate ed elfetti
si strinser le mani, la notte brillava,
dolci canzoni, momenti perfetti.

Sovvertite il pensiero miei cari guerrieri
cercate il buio, l'ombra più scura.
Amate il rischio, gli orrori più lieti,
nel mondo al contrario è la via futura.


Canzone del giorno: Behind Blue Eyes The Who

08 gennaio 2019

Il vento in poppa è mite, da quelle parti a babordo?

Mi sento un po' giù.

Giù da arrotolarmi nelle coperte, tipo.

Le mie vibrisse sentono qualcosa, il pelo sulla schiena si solleva, le orecchie scandagliano lo spazio in cerca di onde sonore.

Mi corico. Passerà.

07 gennaio 2019

Steatoda grossa

La Polonia lascia spazio a un miliardo di pensieri. Tra situazioni tragicomiche, situazioni solo tragiche e situazioni solo comiche, il freddo del luogo ha lasciato, di fatto, più calore di quanto pensassi.


***
Non riesco a fare foto dritte. Per quanto mi sforzi c'è sempre qualche linea che sbarella. E dare la colpa alle linee è una sublime privazione di responsabilità personale.
Il paesaggio si sposta, non sono io. O la macchina fotografica si inclina di sua sponte lasciandomi con una foto inutilizzabile. Con uno scatto sbagliato.
Eppure quante volte ho pensato a quello scatto.
Come una luce illumina un volto disegnandolo con ombre prevedibili, è tutta lì la fatica dell'essere.

Riguardo quelle foto, quegli scatti sbagliati che avevo messo da parte.
Il mio insegnante di fotografia di moda diceva Innamoratevi dei vostri scatti sbagliati. Niente di più vero.
Lui lo affermava per farci comprendere quali sono i nostri errori e non ripeterli.
Io me ne innamoro perché in quella grana, in quelle ombre rozze, in quello sfuocato e mosso ci vedo della perfezione. Molti fotografi hanno fatto degli scatti sbagliati un elemento vincente.

Se nell'immaginario comune la perfezione è data, appunto, dalla perfezione (quale rozzo modo di esprimermi, perdonatemi), nell'ottica personale (facciamo un 35 mm?) la bellezza e la perfezione non hanno regole oggettive. La simmetria è superata dal caos. La regola dei terzi antiquata.

Arte è fare Arte?

Se mi perdo nell'incanto di una Steatoda grossa, che molti giudicano al pari di una bestia di Satana, l'affermazione di cui sopra è assolutamente vera. La perfezione di questi esseri minuscoli che lottano più di noi per sopravvivere e non conoscono amore, ma solo riproduzione, non conoscono golosità, ma solo nutrimento, è indubbia, per me.

La mia foto, ripeto, è storta. Ho cominciato a capire che non serve raddrizzarla: farò sempre foto storte.
Forse cercando apposta l'errore troverò anche io la bellezza. Forse smettendo di correggermi apprezzerò il mio sguardo strano sulle cose (anticonvenzionale? No, non credo). Forse selezionando le foto peggiori, secondo il canone comune, scoverò qualcosa che mi si addice e la smetterò con questa ricerca. Io non sarò mai nemmeno lontanamente perfetta.

Come l'uroboro che sembra immobile ma è in perenne movimento, simbolo della natura ciclica delle cose, mi siedo guardando questo nuovo inizio. Apparentemente immobile, ma.

06 gennaio 2019

Il cubo di Rubik

Quando ero piccina avevo un cubo di Rubik. Non era originale, ma una cinesata, come si direbbe ora. Non sono mai riuscita a risolverlo.
C'era invece chi ci riusciva, anche senza guardare.
Un mio ex, la prima volta che uscimmo insieme, lo portò per mostrarmi quanto era bravo.
Diede una occhiata veloce e poi guardandomi negli occhi lo risolse.
Lui si invaghì di me a prima vista, ero di spalle. E non fu per il meraviglioso culo a mandolino che avevo a 25 anni, ma perché ero al lavoro e dal monitor intravide la schermata di una distro Linux, forse Debian; dal Mac del lavoro ero collegata in remoto con il mio server a casa.
Le donne forti e intelligenti, diceva, gli piacevano.
Io invece, quel cubo di Rubik non l'ho mai sistemato. Forse una facciata per volta. Ecco, ora il lato giallo, o il lato blu. Il resto resta sempre un fondamentale casino fatto di tessere accostate a casaccio, senza alcuna regola cromatica.
Così ho imparato a sopravvivere con un colore alla volta. Se sistemo una faccia del cubo, devo sopportare la frustrazione di avere le altre scombinate e fuori posto.
Piano piano la frustrazione si è trasformata in una serena rassegnazione e ho imparato a capire che quella perfezione cui aspiro muovendo le tessere è una tale monotonia cromatica, che il disordine è certamente meglio.

Molte persone che conosco vedono il lato ordinato e provano molta invidia per la mia vita perché sono sempre in giro, ad esempio. Perché ho fatto tantissime cose. Perché ho vissuto in tanti posti. Ho lavorato sempre.

Trascurano però che il prezzo da pagare per questa monocromia apparente è un accostamento continuo di cose diverse tra loro, senza continuità.

E che è molto, molto faticoso.

Nel respiro lento del mattino queste tessere, per un istante, si posizionano correttamente. Per quell'unico istante tutto, ma davvero tutto, ha un senso. Nel movimento lento e sinuoso di un rettile che si libera dalla sua vecchia pelle possiamo sfoggiare la livrea migliore e salutare questa vita con quel po' di felicità tanto ambita e mai raggiunta.
E ora posso tornare a guardare il mio disordine colorato, attendendo un altro mattino.

La canzone del giorno non è mia ma è un dono prezioso. Grazie amore mio.

01 gennaio 2019

L'uomo che non c'era

Il mio capodanno 2019 è decisamente strano.
La mia compagna di viaggio febbricitante, avvolta nel piumone: ne sentivo la manifestazione tra un colpo di tosse e l'altro.
Io, con un'emicrania così forte che anche respirare mi faceva male, impossibilitata a prendere la mia pastiglia magica a causa di un errore valutativo. La camminata al freddo e la stanchezza mi avevano fatto optare per un'aspirina ma i due farmaci non possono essere mescolati. Per cui.

Nel ristorante dell'albergo musica a tutto volume e donnine seminude danzanti mi ricordano che, forse, dovrei festeggiare anche io.
Ma qui, lontana da casa, non penso di avere nulla da festeggiare.
Capodanno 2018, separati, con altre persone.
Capodanno 2019, separati, con altre persone.
Mi sembra di ripetere gli stessi errori e di non potermi evolvere.

Capodanno 2019, una linea rossa fa capolino sulla cicatrice, la mia macchia di Rorschach. Sembra si sia aperto un graffietto.
È sensibile, lei, ai mutamenti. Come ci fosse un sottile filo che la collega al mio stato d'animo più profondo.

Sono in viaggio per una città che non so pronunciare, Bydgoszcz, su un treno senza posto, per me.

«Salendo le scale ieri sera ho incontrato un uomo che non c'era. Nemmeno oggi lui è qua. Spero tanto che se ne andrà.»