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12 maggio 2023

La puntaspilli

 Non ho (ormai) più paura degli esami medici e dei referti, a meno che il giovane e solerte dottorino di turno non sparisca all'improvviso dicendo "Torno subito" e arrivi poi con un medico più anziano, con il quale borbotta sottovoce usando parole in codice. Lì sì, mi preoccupo. E chiedo cosa sta succedendo. "No c'è una cosa piccola ma sicuramente non è niente, probabilmente una cosa vecchia". E tac, in men che non si dica ti han predisposto un altro intervento e non sai cosa pensare, oltre al fatto che mioddio quanto so' sfigata, c'è chi è più sfigato ma non è che voglio proprio vincere eh? Mica è un'olimpiade

Ma c'è una cosa che proprio non riesco a superare.

Gli aghi.

Non ne ho paura. Penso sia la prima paura che mi è dovuta passare a 13 anni, quando il pediatra, a seguito della scoperta di quel linfonodo gonfio sul collo e quella febbre che andava e veniva, ha apostrofato "Devi fare le analisi".

"Ma del sangue?". 

E quel piccolo terrore è passato quando ho scoperto che no, non avevo sentito niente. 

Poi è tornato, quando dopo svariati cicli di chemio, altri prelievi, altre chemio per la ricaduta, ecc, tutte le vene superficiali disponibili sono sparite dalla circolazione. Così gli infermieri son diventati creativi, almeno finché altre vene non si sono rotte. E l'unico posto disponibile per fare i prelievi è diventato il polso. Che sì fa male, molto, ma almeno non mi devono bucare mille volte per poi scoprire che "Eh mi spiace, ci sono solo quelle dei polsi" (sì certo, mi avessi dato retta prima ora non mi sentirei un puntaspilli tutto livido).

Quindi, salvo il prelievo annuale che ormai mi faccio il segno della croce e via di polso, l'unico altro esame per cui serve una vena che regga anche l'ingresso e non solo l'uscita è la risonanza magnetica con contrasto.

In genere mi trovano una vena sulle mani, fa male e quando entra il liquido di contrasto sento sempre un po' di bruciore, come se l'ago non fosse ben piantato, ma oggi sono andata tranquilla, stranamente. Mi sentivo fiduciosa.

Infausto presagio.

Appena arrivo mi fanno accomodare, non devo nemmeno aspettare o prendere un numero, altro infausto presagio.

Non mi sono nemmeno persa tra i corridoi dell'enorme ospedale, perché il medico giorni fa mi ha chiamata per dirmi che gli serviva l'impegnativa via fax ("Ah ma gliela mando via email, me l'ha inviata il medico via posta elettronica, così gliela inoltro e basta" - "No, ci serve proprio il fax". Certo che i Flinstones ve fanno una pippa) e dato che nella mia nuova agendina mi ero appuntata "Cercare dove si trova l'ingresso di Via Dogliotti per la risonanza magnetica" e avevo il mastro esperto del proprio reparto di radiologia direttamente al telefono, mi ero fatta spiegare e mi ero appuntata l'esatto percorso da fare entrando da corso Bramante. "Andare a sinistra, seguire il corridoio fino in fondo in direzione del fiume (giuro, mi aspettavo che mi dicesse "svolti a sinistra alla grande quercia"), poi scendere in radiologia 3, prof. Righi". Il professor Righi non era menzionato da nessuna parte, ma la radiologia 3 l'ho trovata senza problemi.

Infaustissimi presagi.

Mi fanno spogliare, via anche i calzini, ma ho degli elegantissimi calzari di plastica blu, via tutto il resto, ignuda come mamma mi ha fatto tranne le mutandine, quelle no posso tenerle, i calzini no ma le mutande sì. Ci sono misteri insondabili della medicina moderna (che si fa mandare ancora le impegnative via fax e inserisce la parola "fiume" in una frase in cui fornisce indicazioni per arrivare a un reparto) che non è possibile svelare. 

E quando mi fanno sdraiare sul lettino (dopo essermi tolta le lenti a contatto - non ricordo mai che la risonanza va fatta senza - poggiandole in un bicchierino di plastica tutt'altro che sterile, pieno di soluzione salina) e la ragazza inizia a tastarmi le braccia in cerca di una vena, solo lì, tutt'a un tratto, leggo i presagi come tali.

La ragazza, inizialmente col laccio emostatico solo sul braccio sinistro, rimasto appeso a penzoloni e ormai privo di qualsiasi sensibilità, si sposta sull'altro braccio, stringe un altro laccio emostatico e mi chiede di tenere entrambe le braccia a penzoloni.

E così, come un moderno Gesù Cristo resto un po', aspettando che qualche vena decida di dare un party in superficie invece di restare, timida, in fondo alla carne che ormai sta diventando violacea.

La ragazza (dottoressa? radiologa?) si butta "Ok ne sento una piccola piccola qui a destra". È sul lato sinistro del polso. Buca e fa male, ma non faccio nemmeno in tempo a dire AHIA che apostrofa "Oh mannaggia si è rotta appena l'ho toccata".

Sfila l'ago e riprende la ricerca.

"Ma non hai proprio niente, mi sa che devo chiamare un'infermiera".

Mentre la chiama spunta un giovanotto che non fa che chiamarmi "cara" (già lo detesto) e nell'attesa, decide di giocare anche lui al gioco più complicato di tutti: "trovalavenaacarla".

Qui a sinistra han già provato? Ma di solito dove la bucano? Ne sento una. Se per lei va bene, cara, proverei.

Senza nemmeno aspettare la risposta prende l'ago, disinfetta e buca. È sulla mano sinistra, vicino alle nocche.

Se anche sulle mani è rimasto poco è perché dopo aver annientato tutte le vene delle braccia, le chemio sono state fatte proprio lì, sulle mani, prima di decidersi a mettermi un catetere venoso centrale.

"Ah, cara mi spiace, si è rotta quasi subito"

Mi ricorda la barzelletta che mi raccontò un mio compagno delle elementari, su un convento pieno di frati bestemmiatori che ospitarono a cena un importantissimo vescovo e l'abate si raccomandò di non dire blasfemie di alcun tipo.

Ma un frate, portando la prima portata, scivolò e urlò: "MADONNA PU... rificaci".

L'abate stava già sudando ma tirò un bel respiro di sollievo.

Un altro frate, portando la seconda portata scivolò e disse a gran voce "DIO M... isericordioso"

L'abate quasi si congelò ma si disse che fino a lì, era in fondo andato tutto bene.

Il frate del dolce però scivolò anch'esso, spargendo il dolce per terra e facendosi un gran male. Non tardò a urlare "PER DIO E LA MADONNA".

E tutti gli altri frati, in coro "HIP HIP HURRÀ".

Ecco, avrei voluto urlare esattamente la stessa frase dell'ultimo frate.

Così, seminuda, con i sensi di colpa di chi non ha vene, sta facendo perdere tempo agli altri e viene messa quasi in punizione, vengo rispedita nello spogliatoio mentre fanno accomodare la prossima vittima domandandole "Lei come è messa a vene?". Ed ero lì lì per rivestirmi e andarmene quando poco dopo arriva l'infermiera, che in pochi minuti e con un solo buco, dolorosissimo, risolve la situazione.

Risonanza magnetica al seno salvata. La mia mano un po' meno.


Notare gli elegantissimi calzari


04 settembre 2018

Man! I Feel Like A Woman

Perché non mi è venuto in mente prima?

Io ho un solo medico di cui mi fidi, che ormai mi segue da 20 anni. Per la ferita non volevo tornare al S.Anna perché temevo mi conciassero peggio, così domenica ho scritto direttamente al mio dottore.


Buongiorno dottore,
sono Colombo Carla, le scrivo per l'intervento al seno effettuato in data 26/2. Penso abbia saputo che l'esito della biopsia fosse negativo, quindi non c'è niente. Ho avuto però molti problemi con la ferita che ha fatto fatica a rimarginarsi. Inizialmente sembrava che si stesse chiudendo bene poi ha formato della fibrina e ha emesso molto essudato. Mi è stata tolta la fibrina e sono stata medicata. Per un paio di mesi dall'intervento mi sono fatta medicare al S. Anna poi il chirurgo che mi ha dato l'istologico ha detto che mi sarei potuta medicare a casa e che ormai ero quasi guarita. Era il 18 aprile. Da lì la ferita non si è più chiusa, nonostante sotto consiglio di un'amica che lavora in ospedale, io abbia usato anche medicazioni avanzate in argento e coperture per assorbire eventuali essudati.
Il 13 agosto la ferita si è finalmente chiusa, ho messo una medicazione per un'altra settimana, poi ho smesso di medicarla. L'altro giorno si è formata una crosta di circa 0,7 x 0,5 cm che, saltata via dopo una doccia, ha di nuovo riaperto una parte della ferita. Ho messo un normale cerottino ma dopo un po' di essudato ho pensato di scriverle chiedendo se magari fosse il caso di venire da lei a farmi vedere o da un dermatologo. La mia amica ipotizza che sia rimasto un punto interno e che la ferita resti aperta perché spinge da dentro in fuori cercando di espellerlo. Provo anche dei lievi dolori interni che potrebbero confermare questa ipotesi. Per ora lascio la ferita aperta sperando che formi nuovamente una crosta e che guarisca da sola. In caso contrario farò nuovamente medicazioni con garze che mi avevano dato in ospedale (farmactive non aderente). Intanto le chiedo se posso venire a farmi vedere da lei in modo da chiedere consiglio, preferirei non tornare al S.Anna dove sono stata mandata a casa dal chirurgo senza precise indicazioni su come medicare (anche se le infermiere sono state molto brave). Nel caso lo ritenesse necessario però torno da loro.
Le medicazioni fatte finora. A ferita aperta ho usato Acticoat Flex 7 con argento sulla ferita, poi coperture in mepilex xt e cerotto di copertura. Medicazione cambiata ogni settimana. Dal 13 e per una settimana ho usato il Farmactive non aderente. Sempre Mepilex XT come copertura e cerotto sopra. Reggiseno sportivo comprimente sempre tenuto addosso per evitare di muovere il meno possibile. Dal 21 in poi non ho più usato nulla.
Grazie

Inutile dirlo che già ieri, lunedì, mi ha chiamata.
"Io non sapevo nulla, non sapevo fosse successo tutto questo Ambaradàn. Le prenoto una visita per mercoledì mattina dai chirurghi del S. Lazzaro, c'è un'unità Breast Unit molto avanzata."

Quindi domani mattina lavorerò per un'ora e mezza e poi mi fionderò in ospedale. Sulla ferita si è nuovamente formata una crosta che cercherò di non bagnare, e probabilmente il resoconto sarà: "A me sembra vada tutto bene".
Ma continuo ad avere doloretti interni e poi, ormai, sono in ballo e balliamo.
Tornare dal medico per me è una sconfitta, lo avevo già scritto, ma almeno è il mio medico. Inoltre mi ha detto che farmi vedere sarà l'inizio della ricerca del mio oncologo qui a Torino. I miei spostamenti non hanno di certo aiutato nessuno. Né me, per quanto riguarda la continuità delle visite, né il mio medico che non capiva mai chi mi seguiva (in effetti non mi ha mai seguita davvero nessuno).

Parlando di cose piacevoli, oggi mi è arrivato il Huawei P20 Pro. Dopo aver tentato un riavvicinamento al OnePlus mi sono accorta che il nostro amore idilliaco si era ormai interrotto dopo il furto dell'ottimo OnePlus One. E che mi mancava la gestione dell'interfaccia di Huawei e la sua ottima fotocamera.
Oneplus ottimo telefono ma la fotocamera del Huawei è imbattibile.
I colori delle foto con Huawei sì, sembrano più slavati ma sono più veritieri. Oneplus li carica troppo, in più sbaglia spesso la messa a fuoco. Inoltre mi mancava terribilmente il bianco e nero Huawei. Fa delle foto contrastate come piacciono a me, e permette di fare ottime fotografie al volo.
Insomma ho speso dei soldi ma direi che è il minimo, e in questo periodaccio non voglio farmi mancare niente.


Torniamo con le canzoni del giorno, ed eccola.

Shania Twain Man! I Feel Like A Woman

01 settembre 2018

Tornare.

Avrei voluto scrivere cose immensamente belle. Sono tornata il 21 agosto, ed ero così triste in viaggio. Pensavo a quanto mi era piaciuta questa piccola esperienza, a quanto avrei voluto fosse durata di più, a quanta inutile paura avessi prima di partire e a quanto, malgrado i piccoli imprevisti, sia riuscita a far quadrare tutto nonostante la mia scarsa conoscenza dell'inglese. E la mia timidezza nel parlarlo.

Però ero felice di averlo fatto, di avere lasciato alle spalle alcune cose ed essere partita. Poi, in Italia, dei messaggi che non aspettavo. Una ferita emotiva che si riapre piano piano fino a sanguinare di nuovo. La necessità di bloccare con tutti i mezzi la possibilità di ricevere altri contatti di quel tipo e, credeteci o meno, la riapertura della mia ferita fisica.

È come se il mio cuore si fosse spostato da sinistra a destra e ogni volta che sanguina il mio cuore emotivo, lo fa anche quello fisico.

La mia ferita fisica che aveva retto bene per tutto il mio viaggio si è riaperta.

Non credo nella psicosomatica, temo che possa trovare cause fittizie in situazioni dove è bene non cercare e invece lasciare che medicina, corpo e chimica creino la loro magica alchimia. Eppure.

Quando oggi ho rivisto il circolino rosso mi veniva da piangere. Anche se mi è stato consigliato di rimedicarlo, per me è un abisso: significa tornare indietro e non voglio. Così ci ho messo un cerottino di quelli marroni piccolini, mi sono rimessa il reggiseno imbottito dato che finalmente avevo abbandonato quello sportivo decathlon (che mi fasciava così stretta da lasciarmi i segni sulla pelle) e ho fatto finta di niente.
Se io dico che è guarita, è guarita. Non si torna indietro. Non dopo 6 mesi di medicazioni, lavaggi a pezzi, sconforto.

E se dicessi che ora sento anche dolore? Un dolore interno, come se la ferita, dentro, avesse qualcosa. Un dolore che ieri sera mi impediva di addormentarmi. Per non sentirlo mi pizzicavo la pancia ed è stato subito deja-vù. L'ho fatto anche appena uscita dalla sala operatoria. Prima che la morfina facesse il suo effetto sentivo dolore e per non pensarci mi pizzicavo forte la pancia.

E la gola bruciava. E pensavo, ora è tutto finito, qualche giorno ancora e avrò solo un'altra cicatrice da aggiungere alla mia collezione.

Invece.


13 agosto 2018

Lunedì 13

Questo è un giorno da segnare sul calendario. Dopo 6 mesi la mia ferita si è finalmente chiusa. Mi viene da piangere.

Avevo previsto che si sarebbe chiusa ad agosto, e ho indovinato. La pelle che la ricopre fa schifo, è coriacea, dura, ha un colore strano, sembra una crosta dal colore rosa scuro. Ma non c'è più la carne viva.

Piango e sono felice, perché prevedevo che fosse collegata a quell'altra situazione da chiudere, a quella ferita interiore che mi impediva qualsiasi guarigione, qualsiasi progresso.

Quando l'ho vista, quando ho tolto la vecchia medicazione per sostituirla, non ci potevo credere. Ho guardato più e più volte, sicuramente ora sanguina di nuovo, sicuramente c'è 1 mm di carne viva da qualche parte e io non riesco a vederla, sono andata alla finestra per guardare meglio con quel poco di luce rimasta e invece nessuna ombra di carne viva, di sangue, di niente.

Non credo (troppo) nella psicosomatica. Si rischia di trovare delle cause che non esistono a problemi che hanno in verità altre origini, ma proprio nel post prima lo scrivevo. Lo sentivo.

In un mese la mia ferita è migliorata a vista d'occhio e non posso che essere più felice di così. Domani parto, viaggio in solitaria, destinazione: Polacchia.

Ovviamente scriverò ogni cosa, magari al ritorno. Voglio godermi questo istante magico, questo viaggio strano, deciso all'ultimo, risistemato in pochi giorni.

Spero di vedere qualche bisonte nella foresta di Bialowieza, conto di perdermi con i vari trasporti perché girerò un po' ma in questo istante non mi preoccupa più nulla.

21 giugno 2018

Il mio specchio

C'è stato un periodo, quando ero più piccolina, in cui avevo paura degli specchi. Mi lavavo la faccia molto velocemente e cercavo sempre di alzare lo sguardo su di essi in modo lento. Temevo di vedere qualcosa che potesse non piacermi.
C'erano tante altre paure, ma io non le esprimevo mai.
Erano tutte irrazionali, ma non sapevo ai tempi che la maggior parte delle paure lo sono.
Così sentivo dei rumori strani e restavo immobile per capire se potesse essere stata solo una sensazione.
La TV a volte si accendeva da sola e io lentamente mi avvicinavo alla camera da letto per capire cosa fosse successo. Una volta le ante dell'armadio del posto dove dormivo si sono chiuse all'improvviso da sole.
Non scappavo mai, non manifestavo mai niente. Cercavo di razionalizzare.

La paura degli specchi è durata un po': la paura che mi restituissero una visione non gradita.

Mi lavo accuratamente le mani.

Ogni tanto con la coda dell'occhio vedo qualcosa. Ma so bene che non è nulla. Potrebbe anche solo essere qualche insetto, ecco perché seguo quella visione con lo sguardo. Magari è un Geotrupidae. O una semplice formica.

Tolgo il vecchio cerotto. Con esso viene via la garza con fitostimoline, Piena di essudato secco, ma anche vivo. È giallo, lo annuso. Non puzza, non è pus, non è infezione.
La ferita è un occhio rosso che mi osserva.

Quando ero piccola mia madre mi ha insegnato a usare l'olfatto per capire se un cibo era andato a male. 

"Se la ferita si infetta sappi che la prima cosa che sentirai è l'odore, prima ancora della febbre".

La camera da letto dei miei in particolare non era un luogo molto amato. Ci entravo di corsa, facevo ciò che dovevo fare e uscivo di corsa.
C'era un grosso specchio davanti al letto che era in realtà l'anta di un mobiletto. Dentro c'erano delle cose.

Fotografo tutto. Non mi sembra migliorata anche se faccio tutto quello che mi viene chiesto.
Mi lavo di nuovo le mani, un po' di essudato ha sporcato la pelle attorno alla ferita. Apro la soluzione fisiologica, recupero qualche garza e la bagno con la fisiologica. Pulisco delicatamente solo la pelle attorno. Non posso lasciare macchie di essudato attorno alla ferita.
Sanguina.
Di nuovo.

Mi guardo allo specchio.
Mi guardo allo specchio.

La ferita è tonda, rossastra. Sembra un'isola piena di materiale ferroso circondata da un mare rosato.
Un solco attraversa il seno da quasi il centro dello sterno fino al capezzolo, come un'avvallamento che si evidenzia ogni qualvolta muovo il braccio.
Un orribile avvallamento.

Col cerotto non si vede.

Decido di provare con la connettivina invece che con le fitostimoline. Non la amo particolarmente ma non so cosa fare. Ogni volta che tolgo la connettivina mi lascia un segno delle fibre della garza. Un reticolato, impresso nella mia isola rossa.
Ne taglio un pezzetto, la piego a metà e la posiziono sulla ferita.
Prendo il cerottone. Ne taglio via un angolino per lasciare respirare il capezzolo. Lo posiziono con cura e con delicatezza lo faccio aderire bene alla pelle. E quasi subito il cerotto si colora di giallino. Sta venendo su qualcosa.

Sono passati quasi 4 mesi.

Mando le foto a RagnoB, le ritaglio accuratamente perché non si veda il capezzolo. Le mando anche la foto dell'essudato. Le dico di non badare al rosso, la fotocamera di questo telefono (che ha fatto anche fatica a mettere a fuoco) satura molto i colori. È meno rossa anche se alla fine ha sanguinato.

"Ho scritto per ulteriore consulto ad alcuni professionisti tra cui l'infermiera con cui hai parlato... Se riesce prova a procurarsi una medicazione avanzata (acquacel AG). Se non ci sono intoppi ci vediamo martedì ed io settimana prossima te la porto. Proviamo a fare medicazione avanzata per un po' e vediamo come va, eventualmente si prova altro"

Il mio corpo si ribella, non vuole guarire.

Lo specchio si ribella e mi restituisce un'immagine di me che non voglio vedere. Il mio occhio rosso, il mio avvallamento, non paesaggi fantastici ma il mio corpo.
Sono arrabbiata.

Una volta ho visto qualcosa nello spazio che divideva il mio lettino dal letto di mia sorella. Probabilmente era una piccola allucinazione, forse dovuta a una fase di sonno leggero.
Era un volto con gli occhiali.

Chiusi gli occhi e quando li riaprii non c'era più niente.
Non c'è spazio per la paura.
Ma ne ho molto, moltissimo, per la rabbia.

23 maggio 2018

Applausi

Poldo mi guarda con aria tenera e dubbiosa.
Sarà perché sto sbattendo la testa contro la porta del finto frigo (NB, scrivere la storia del finto frigo in un prossimo post).
Questo per evitare che le bestemmie escano dalle mia labbra. Ma a ogni testata le sento rieccheggiare in testa.
Mi sono appena medicata la ferita e quei piccolissimi miglioramenti che mi aveva fatto notare RagnoB non ci sono più. Anzi, la ferita sembra più larga, più sanguinolenta, più ferita ecco.
È passato un mese dal ritiro dell'istologico e ho deciso che tra un mese torno in ospedale se non migliora. A volte un maggiore sanguinamento serve per una guarigione. O qualcosa di simile dice l'inutile dott. Web.
Quando ho fatto la seconda chemio a 16 anni avevo un catetere venoso centrale. CVC, per gli amici. Un tubo che sbucava dal petto e si divideva in due tubicini. Questo perché la precedente chemio mi aveva bruciato le vene e fare 9 mesi di terapia endovenosa senza vene diventava complicato.

Il mio sangue è denso e coagula subito quindi dovevo fare la medicazione una volta ogni due giorni a dispetto dei miei altri compagni di sventura che se la cavavano una volta a settimana. Ricordo ancora come mettere i guanti sterili affinché rimangano tali. Preparare il telo sterile su cui poggiare le cose, come prendere le garze, l'ordine di pulizia, fare l'eparina. Coprire i tubicini con la garza, ripiegarli all'insù, mettere un bel po' di garza a copertura di tutto. Incerottare e via.
Stesso disagio di ora, anzi maggiore disagio, ma sapevo che era temporaneo. Che dopo quei 9 mesi, a mo' di parto (no aspettate, la seconda chemio è durata 6 mesi mi pare) un giorno mi avrebbero sdraiata in un lettino e senza anestesia mi avrebbero fatto girare la testa a destra strappando con forza il tubo fuori dal mio corpo.
"Lo vuole tenere?"
"Cosa?"
"Il tubo dico"

Non lo tenni ma mi misero da parte l'ago che era infilato dentro e che deve essere ancora nella tasca del mio Invicta Jolly PRO4.

So che passerà, e posso anche prevedere cosa mi diranno in ospedale.
Anzi ora farò una cosa: mi scriverò ciò che diranno su un fogliettino di carta. Lo nasconderò in una tasca.
Quando andrò lì e loro pronunzieranno la fatidica frase io tirerò fuori il bigliettino a mo' di prestigiatore che ha compiuto un gesto impossibile ai più.
"Deve avere pazienza".

Applausi fuori campo.
Dissolvenza.

21 aprile 2018

42

Mercoledì è andato tutto bene. Ma tutto tutto, a partire dal numero che mi han dato in sala di attesa.

La risposta al significato della vita, all'universo e a tutto quanto.
Ho deciso di tatuarmelo, sperando che sia di buon auspicio per il futuro. Ma chi cazzo ci crede al buon auspicio?
In attesa l'infermiere M mi parla del nuovo ordine mondiale. Non ho voglia di starlo a sentire oggi, così gli dico che mi sembra proprio una cosa complottista. Niente, inarrestabile. "Ma no, perché tu pensi che sia una fuffa da internet, ma tu devi informarti perché blablablabla e poi questi qui hanno anche fatto blablablabla perché non sai che blablablabla".
In genere rispetto le idee degli altri anche se molto diverse dalle mie. Se sono molto diverse o per me incompatibili, continuo a tenere cari i miei pensieri in una sorta di fortezza. Se l'altra persona è decisamente ostile a rivedere i propri pensieri e usa una fortezza simile, io non sarò certo la persona che abbatterà quelle barriere, soprattutto se è una persona a cui non voglio ancora bene.
Mi sono spiegata? Forse no ma stamani non ho le idee molto chiare sul significato della vita, sull'universo e tutto quanto.

in viaggio per l'ospedale

Così annuisco "Va bene dai, passami i titoli di questi libri"
"No, perché sai noi menti superiori dobbiamo istruire gli altri, che hanno nella testa i criceti sulla ruota, capito? Dai, poi passi a salutarmi prima di andare via?"
"Va bene"

Chiamano il mio numero, il cuore batte forte.
Se vi sembra esagerato, vi posso dire in tutta sincerità che lo è. Ma mettetevi nei miei panni, se vi riesce. In tutta la mia vita ho sempre ritirato biopsie infauste. Il ritiro di un istologico per me è sempre stato il segno della croce che può farsi un satanista, una cosa assolutamente fuori luogo, incredibile, fantastica in senso negativo.

Entro nella sala visita dove il medico, a quanto pare il boss, esclama "Ma questa non è una mia paziente, è una paziente della dottoressa Volpe!"
"Ehm no, io dovevo venire giovedì dalla dottoressa Volpe ma non potevo, così mi hanno detto di venire oggi da lei. E poi in realtà sarei del dott. Coluccia che è in pensione, quindi non sono di nessuno"
"Ah bene intanto posso dirle che non ha niente!"

Lo esclama con un tono di voce assoluto, nessuna possibilità di errore. Non ho niente.

Davvero? Io? La ragazza (ormai donna) dei tre tumori?

Mi metto la mano aperta sul cuore, faccio un sospiro che per me dura diversi secondi ma probabilmente è stato un istante. "Davvero? Lei non sa che bella notizia mi sta dando!"
Forse è vero, non lo sa davvero. Immagino le sue giornate a recitare facce tristi o esclamazioni felici a seconda delle pazienti e degli istologici ma in quel momento, seppur inconsapevole di averlo fatto, mi aveva ridato i 10 anni che avevo perso in questi mesi.

"Deve solo fare i controlli mammografici annuali, questa è la copia del suo istologico"

Gli dico che dalla sala medicazione mi hanno consigliato di fargli vedere la mia ferita, che ancora non è guarita.
"Si sdrai"
L'infermiera mi spacchetta il seno, do' un occhio anche io e in effetti la vedo molto migliorata. Ha l'aspetto e le dimensioni della Grande Macchia Rossa di Giove ma per lo meno non sanguina. Vedo che è meno rossa delle altre volte e anche il medico mi conferma che è una bella ferita (sulla definizione del concetto di "bello" abbiamo pareri discordanti, ma non mi metto a discutere con lui). Mi dice che vanno bene le fitostimoline, non devo usare più AquaCell, posso medicarmi da casa senza stare a venire in ospedale. "Fino a che non si forma la crosta?"
"Esatto"
"Ah, senta posso smettere di usare questi reggiseni sportivi che non li sopporto più e mi schiacciano tutta?"
"Bhe, se avesse 5 chili di roba le direi di continuare a metterli, ma direi che può farne a meno"

Esco con le lacrime agli occhi, incredibile. Penso che sia davvero incredibile. Mi guardo attorno attendendo le cavallette e la luna rosso sangue, come minimo. Ma niente, c'è un bel sole.

Scrivo a chi sapeva dell'intervento, scrivo a chi sapeva dell'istologico e a chi non sapeva. Scrivo al mio amico Ninja e gli chiedo se è in libreria. Lo vado a trovare, mi scrive "Così piangiamo insieme".
Lo abbraccio forte, lui sta ancora combattendo e le conseguenze del suo devastante intervento si fanno ancora sentire. Si sfoga, lo ascolto, gioisce con me e ci salutiamo, dopo esserci raccontati un po' del nostro gossip.



Sono passati alcuni giorni ma a scrivere queste cose ho ancora un po' i lacrimoni. Non mi sembra vero ma sono comunque felice di essermi preparata al peggio. Che le belle sorprese sono sempre le migliori.

Il pomeriggio ve lo scriverò con calma, perché ho conosciuto una persona davvero speciale e non voglio che le venga rubato spazio. Perché è giusto che una giornata così bella si concludesse con una bella persona.

17 aprile 2018

La motivazione

Non mi bastava essere incasinata con la salute: ho dovuto cercarmi ben due lavori.
Sono tornata in un'azienda presso cui lavoravo (pensavo erroneamente nel 2006 e invece) nel 2007-2008. Mi trovavo bene ma la mole di lavoro era tanta e appena ho trovato altro mi ci sono fiondata.
Ma a volte ritornano.

Per questo lavoro ho fatto un corso di formazione full-time di 5 giorni, quindi per una settimana ho abbandonato l'altro lavoro.

Da ieri al mattino faccio il lavoro nuovo nella vecchia azienda, e al pomeriggio il lavoro che non ho ancora capito quanto mi pagheranno.

Nelle mie allegre scorribande in ospedale ho parlato con M l'infermiere con cui ci siamo scambiati i numeri e che mi ha invitata a uscire, senza impegno (e gli credevo, stranamente, fino a quando non mi ha detto che se avessimo fatto troppo tardi e abitando io dall'altra parte della città potevo restare a dormire da lui e lui avrebbe dormito sul tappeto, o sarebbe rimasto a dormire lui sul mio tappeto e quindi mi sono chiusa a riccio) al quale ho chiesto "Ma che fine ha fatto il mio istologico?".
Alla fine mi sono operata il 26 febbraio. Lunedì era il 9 aprile, mi sembrava che fosse passato abbondantemente il tempo massimo per saperne qualcosa. Così mi dà un altro numero da chiamare. Era lunedì mattina prestissimo. Per non perdere nemmeno un minuto di corso, due volte alla settimana sono andata in ospedale alle 8 del mattino. Quindi uscita da casa alle 6.30 del mattino.

Una volta al corso ho chiamato il numero e mi hanno comunicato che non c'era ancora nulla ma che avrebbero cercato e mi avrebbero chiamata. E il giorno dopo eccoli (che, si stavano perdendo il mio referto?).

Mi hanno chiesto di passare da loro giovedì per il ritiro dell'istologico e la visita ma non potevo perdere nemmeno un'ora al corso e così ho chiesto se avevano spazio in un altro momento. E domani è il giorno X. Pare che mi veda uno dei capocci del reparto.

Non saprei dire se sono spaventata. In ogni caso sarò arrabbiata. Se non è niente dovrò accettare il fatto di aver subito un intervento al seno (con una ferita ancora aperta e tutte le conseguenze del caso) per nulla. Se è qualcosa dovrò accettare di avere (ancora qualcosa). In ogni caso al momento io la vedo come una sconfitta. Minore nel primo caso, certo. Ma.

Ho tante piccole novità belle o brutte che siano. Le mie piccole ferite al cuore non si stanno riemarginando.
Una persona ieri mi ha ridato motivazione a scrivere, ma sarò sincera. In verità sono un paio.
Ed è strano che siano capitate la stessa sera: evidentemente avevo bisogno di più motivazione possibile, anche se il solo commento al mio precedente post è stato sufficiente a farmi capire che ci sono cose che non ha senso mollare.

Mi sono un po' commossa perché pensavo non passasse più nessuno da queste parti. Una volta pullulava di persone che presto o tardi sono spariti. L'avvento dei social, la mia non continuità, gli argomenti sempre più cupi, o magari nulla di tutto questo.

Ho dei nuovi esserini a tenermi compagnia. Due ragnetti salterini (Phidippus regius) e una lumaca gigante africana che però è di mia mamma (l'ha chiamata Debra). Ah e una quantità di Drosophila da dare da mangiare a tutti i ragnetti salterini del pianeta. Tutti presi a EntoModena questo weekend.

Non contenta e dato che ho due lavori (oggi ho controllato il conto in banca, è stato un Ohhhh che bello è arrivata parte dello stipendio di un lavoro. Ohhh ma è arrivata anche la carta di credito e sono sotto di 33 euro) mi sono presa un obiettivo macro vintage (in realtà l'obiettivo macro: un kiron 105 mm 2.8) al comodo prezzo di 239 euro etipassalapaura ma ne avevo bisogno. Voglio fare delle foto ai miei ragnetti ed è ripartita la frustrazione del "ora che lavoro e non ho più tempo almeno spendo i soldi".

Ah e visto che oltre ai soldi mi avanzava del tempo (sono ironica ovviamente) mi sono iscritta a un corso online sul Web Design. Non si sa mai nella vita, tanto ho capito che con la fotografia ci posso fare poco, ho un carattere di merda. Intanto cerco di rientrare nella grafica dalla porta di servizio.

In più, l'azienda vecchia che mi ha dato il nuovo lavoro chiude ben tre settimane ad agosto. È ripartito il trip del viaggio in solitaria ed ero partita con l'idea del Laos, ma è un viaggio che non sento mio. Non so spiegare, ma è una cosa molto chiara in me. Il Madagascar l'ho cercato, l'ho voluto, l'ho atteso per 10 anni. L'ho studiato piano. Era partito con l'idea dei camaleonti che volevo vedere in natura. Poi è diventata curiosità verso il luogo, le persone. Verso la natura, verso i problemi.
Non so niente del Laos, se non qualche spezzone del libro di Terzani Un indovino mi disse. Bello tralaltro, eh?

Quindi ci penso ancora un attimo anche se agosto è dopodomani, praticamente. Vorrei tornare in Madagascar anche se so che ci sono tanti altri posti da vedere. Però il Madagascar è stato l'unico posto da cui non volevo ripartire per tornare a casa. È l'unico posto che mi fa venire i lucciconi se ci penso, più dell'Australia, con i suoi canguri e i wallaby e gli aborigeni che fanno la spesa scalzi al supermercato e l'odore di eucalipto ovunque.
Madagascar non è Africa ma è Africa. È una costola piena di tribù diverse, animali diversi, piante diverse. Madagascar è camaleonti e insetti stecco, Baobab e lemuri.

Io non sono certa di voler andare in altro posto se non quello, e girare nuove zone, magari cercando l'Aye-aye nell'unica zona dove può ancora essere avvistato. E sentirmi un po' esploratrice come nei miei sogni di bambina, quando guardavo i documentari quelli di una volta fatti bene e sognavo di fare quello: viaggiare e stare con i miei animali. Che i miei amici immaginari sono sempre stati animali, mai umani. E spiegare alle persone come è fatto quel fantastico mondo così lontano e così vicino. E l'africa dalla vegetazione gialla e secca, e il deserto di sabbia, e i serpenti squamati, e i koala dolci.


Canzone dei giorni: Amen Dunes Satudarah

   

Questa canzone (e tutto l'album) mi accompagna nelle mie copiose letture di questo periodo. Leggo sul bus, leggo mentre corro da una parte all'altra della città, leggo a casa a letto, a volte leggo camminando per la strada, rischiando la vita. Leggo in pausa, fosse anche per 10 minuti. Non ho più tempo per la vita sociale, che già stava diventando (per mia scelta, eh?) pressoché inesistente, e nemmeno per film e serie. Come farò quando riprenderò a suonare? Mi porterò l'ukulele per strada? Magari sì, e ci guadagno anche qualche soldo.

24 marzo 2018

Dissociazione cognitiva

La mia ferita non poteva aspettare e sabato 17 era nuovamente piena di siero. Ma sabato il reparto è chiuso.
Avevo già chiamato il giorno prima per qualche gocciolina sospetta ma mi avevano detto di non preoccuparmi, qualche gocciolina è normale.

Sabato non sapevo cosa fare, ma non volevo andare al pronto soccorso, temevo facessero peggio. Così sono andata in farmacia a comprare dei cerottoni per rimedicarmi, ovvero togliere il cerottone garza sopra, lasciando gli sterilstrip sotto, e rimettere un altro cerottone.
Lunedì sono tornata, stessa scena della volta scorsa, l'infermiera chiama una dottoressa perché una volta spacchettata, nella zona in cui prima c'era una crosta abbastanza spessa c'è una sorta di liquido giallo verdastro che a una prima occhiata sembra pus.
La dottoressa dice di non preoccuparmi, a volte succede, è fibrina e viene prodotta per riparare i tessuti ma impedisce la cicatrizzazione, bisogna toglierla.
Prende un bisturi, una pinza e armeggia. Sento tirare e non troppo dolore ma quando la leva rimane un buco. Profondo.

Da sdraiata non riesco a vederne la profondità ma i margini non sono belli. Sarà un ovale lungo due cm e largo un cm. Mi richiude con gli sterilstrip e mi impacchetta esattamente come il dopo intervento.
Chiedo della cicatrice, se rimarrà brutta "Ma no, usiamo apposta gli sterilstrip che chiudono bene i margini della ferita, purtroppo a volte accade. Ha mai avuto problemi con i punti?"
No mai avuti, e sono stata tagliata tante volte.

Dovrò tornare giovedì 22 come stabilito.

Torno giovedì che il pacchettone fatto dalla dottoressa era quasi tutto scollato, ma l'ho riparato alla meno peggio con un rotolo di cerotto trovato in casa e col seno compresso da un reggiseno sportivo. Così mi hanno consigliato.

Le solite domande: chi l'ha operata, quando, ecc ecc

Faccio notare che è rimasto un punto ed è strano, sono punti riassorbibili, così decide di toglierlo, però nel momento in cui lo tira via, parte del filo che riconduce a quel punto è interno e tirando viene in su un pezzo di carne del "dentro" la tetta. Meno male solo sdraiata. "Non guardi!".

Chiama un medico esclamando "so già cosa fare!".

Il buco è sempre lì. Se la ferita fosse a sinistra potrei dire che è il mio cuore che sta sanguinando e potrebbe non essere sbagliata come affermazione, ma è a destra. Mai una gioia.

Arriva il medico, lei dice "Con un'altra signora che aveva la stessa cosa ho usato le fitostimoline, ci vuole un mesetto ma si sistema"

"Non mi mettete gli sterilstrip?"

"No signora" dice il medico "la ferita deve guarire in profondità. Se lo chiudiamo ora, si riparano i margini ma sotto resta aperta. Deve venire in su".

Che cosa intenda con quel Deve venire in su è tutto un programma. Ma ho già le lacrime agli occhi. Senza che possa dire niente incalza "Purtroppo rimarrà una brutta cicatrice".

"Che fortuna eh?"

"Io preferisco essere chiaro con le pazienti, purtroppo sarà evidente"

Ormai ho gli occhi pieni di lacrime ma cerco di trattenermi come meglio posso. L'infermiera mi dice che molto dipende dal trattamento che farò dopo.

Mi dice che per questo tipo di medicazione dovrò essere in ospedale due mattine a settimana quindi mi ridà appuntamento per lunedì e giovedì.
Esco e resto seduta ancora un po' in sala d'attesa, che poi non è una sala d'attesa, è solo il corridoio davanti alla porta, a testa bassa.

Esco dal reparto a testa bassa, prendo il bus e ho gli occhi ancora gonfi di lacrime che però tengo, come un segreto che però faccio fatica a non rivelare.

Arrivo a casa di G e piango, piango di un pianto che non mi capitava da quando ero piccola. Piango e non riesco a smettere. Mi prepara un the e due muffins e guardiamo "Hot shots 2".
È una riparazione momentanea ma funziona, riesco ad andare al lavoro nel pomeriggio.

E lo so cosa pensate, è solo estetica. Ma non è una questione di estetica, è una questione di integrità fisica. Non riesco a fare in tempo ad accettare un piccolo problema che se ne presenta un altro. Avete presente quando in un film un uomo è a terra perché gli hanno appena sparato? Ecco, a fatica cerca di rialzarsi ma il cattivone gli spara di nuovo. Cade nuovamente ma non si perde d'animo, a fatica cerca di sollevarsi sulle braccia per strisciare, ma un altro colpo lo stende di nuovo.
Mi sento come sotto una raffica di piccoli proiettili (e deve ancora arrivare l'istologico).

Oggi vado a Genova, è una piccola gita di un giorno ma ho bisogno di staccare dalla mia stanza. Ho degli amici dolcissimi che vorrebbero starmi molto vicino ma per il carattere di merda che ho, questa vicinanza ha il risultato opposto di farmi sentire soffocata.

Così mi isolo ma consapevolmente, sapendo che ben presto anche loro si stancheranno di questo mio atteggiamento. La verità è che di solito sono più brava con queste cose, ma sono anche un po' stanca.
E in tutto questo mi sono innamorata proprio di una persona di cui non avrei dovuto.

15 marzo 2018

Il mio siero (della rottura di cazzo)

Qualche giorno fa al mattino, al centro dello sterno, ho visto delle goccioline di non so cosa.
Su internet pare che a volte si formi del siero sotto la ferita ed è assolutamente normale: quello che non mi è parso normale è stato svegliarsi ieri mattina con la garza completamente impregnata di questo siero.
Così ho chiamato l'ospedale e mi hanno detto di andare.

La ferita tralaltro mi pareva ancora aperta, un po' di crosta stava andando via ma sotto sembrava slabbrato, non so come spiegarvi. In ospedale hanno massaggiato fino a fare uscire tutto il siero e in effetti alcune aree che mi parevano più gonfie si sono sgonfiate. I margini della ferita non erano bene adesi, negli strati sottostanti e questo ha creato una sacca di siero. L'apertura poi della ferita creerà una cicatrice più visibile, ha detto l'infermiera.

Dopo avere spurgato tutto ha messo i cerottini sterilstrip per fare aderire meglio i bordi del taglio "Salviamola un po' almeno" e ha messo un cerottone "Non toccare niente e torna giovedì 22 a farti medicare". Mi ha anche consigliato di andare dal medico a farmi prescrivere un antibiotico ad ampio spettro per evitare infezioni.

9 anni fa nulla di tutto questo. In più ieri è morto Stephen Hawking.
In più mi sto reinfilando nel giro dei lavori di merda.

Ne avete altre di cose in serbo per me, per questo 2018? No perché eh? Mi sono già rotta le balle e siamo solo a marzo.


09 marzo 2018

Axolotl

Il mio amico Ninja sta bene, nonostante tutto, nonostante tutti i dolori si sta riprendendo. L'unica sua preoccupazione è stata spazzata via, e io sono felice per lui.
Per quanto riguarda il mio seno, mi sento un po' come l'Axolotl: sembra si stia rigenerando. Rispetto a quando sono tornata a casa lo vedo più rimpolpato (ma può essere semplicemente più gonfio perché sta guarendo, chissà).

Poiché volevo sentirmi più bella, ieri sono andata a fare shopping vestiario. Ho preso anche cose che non mi convincevano un granché ma che mi stavano bene. Ho speso i miei ultimi soldi ma forse ne è valsa la pena. Lo psicoterapeuta mi sarebbe costato di più.

Massaggiare il seno fa male in questi giorni. È vero che il chirurgo mi ha detto che "deve fare male" ma l'altroieri ho visto le stelle per tutto il giorno.

Massaggio e penso ad altro, massaggio e stringo la pancia con le unghie, massaggio e penso che a breve guarirà, massaggio e penso che più mi faccio male ora e meno si vedrà la cicatrice dopo.

Comincia a scaldarsi l'aria, la natura si sta risvegliando.

E io? In fase di dormienza. Comincio a sentirmi un po' sola, ma forse l'ho già scritto da qualche parte.

02 marzo 2018

Prima medicazione

Caro Blog,
oggi sono andata al Sant'Anna a fare la mia medicazione. Seconda e ultima a quanto pare. I punti sono riassorbibili e non devo tornare a farmeli togliere. Il chirurgo mi ha detto che posso lavarmi, che posso già massaggiare la zona con una crema ma anche con dell'olio d'oliva: come tradizione vuole ho ricomprato il costosissimo olio di Rosa Mosqueta.
Dice il medico devo massaggiare spingendo bene, devo sentire male, devo muovere la cicatrice all'interno. Ci ho provato mio caro Blog, ma non sono più la stessa persona di 9 anni fa, evidentemente. La ferita mi fa impressione, il dolore mi blocca e guardarmi allo specchio, così, quasi dimezzata non mi fa bene.
Ho chiesto al chirurgo se potevo mettermi una protesi ma me lo ha vivamente sconsigliato. Se già ora per ogni nodulo mi fanno fare una biopsia, con una protesi di mezzo potrebbero non capirci nulla e vedere cose che non ci sono.
Sono un po' triste, caro Blog. Temo di avere fatto la scelta sbagliata operandomi. Forse potevo, e dico forse, aspettare. Magari non era niente. Ma non posso non pensare alla signora che dopo un anno si era trovata un cancro metastasizzato. Ora però il mio seno destro è la metà di quello sinistro e si vede tantissimo, e ora è anche un po' gonfio per l'intervento: tra qualche settimana sarà ancora più piccolo.

Mio caro Blog, cosa si può fare in questo caso?

Oggi sono stata a trovare A, il mio amico di chemio. In ospedale.
Invidioso del mio intervento ha deciso di farsi operare anche lui, per la decima volta.

Lo abbraccio, e penso che la vita a volte è un po' ingiusta. Vivi, sì, ma sempre in bilico: non abbiamo mai avuto la fortuna di conoscere la salute per troppo tempo di seguito.

Gli ho portato un peluche che mi aveva regalato Alelè, un mio grandissimo amico delle superiori che era venuto a trovarmi a 16 anni in ospedale.
Quel peluche, a forma di scimmietta e con il cappellino da esploratore, mi ha seguito in tutte le case in cui ho vissuto. È venuto a Firenze, a Bologna, a Cömo.

Mi dicono di non abbattermi ma forse ho un'unica fortuna: essendo sola posso finalmente piangere quanto voglio.

Caro Blog, non ho espresso tante volte il desiderio di potermi finalmente sfogare? Il 2018 non voleva essere l'anno del mio egoismo? Ecco, ora posso fare ciò che voglio di me stessa.
Perché non devo proteggere nessuno.

28 febbraio 2018

La solitudine dell'intervento

Il 26/2 è il giorno X.
Sveglia presto, in ospedale alle 6.45, calze antitrombo (di nome e di fatto) già indossate. Doccia fatta, ansia non troppa ma il giusto.
Dormito via da casa, nella stessa presa per la scorsa data, proprietario un hippie insegnante di yoga che, venuto a conoscenza della mia storia, ha cercato di parlarmi di varie terapie alternative.
Io, che sono brava a gestirmi da sola, per fortuna non ero da sola: questa volta (come per la scorsa data) una persona mi ha tenuto gli artigli.
Però questa volta non c'è l'influenza ad allontanare la paura dell'eventuale intervento, così una volta fatto (di nuovo) il prelievo io e altre 3 donnine siamo spedite a fare il reperaggio, dopo averci dato la stanza (sono in stanza da sola, almeno quello).

Il posizionamento in repere 9 anni fa era una iniezione di carbone vegetale che colora la parte da togliere ma a quanto pare questa volta sarebbe stato un gancio metallico infilato nella zona da asportare. Era stato questo esame che solo 10 giorni prima aveva bloccato il tutto. Stavo andando con l'infermiera a fare il reperaggio quando le ho chiesto un fazzolettino e le ho detto che non mi sentivo molto bene. Così ha chiesto la visita dell'anestesista in quanto lasciami un ago dentro senza sapere quando sarebbe stato fatto l'intervento (in caso avessero deciso di non farlo) non sarebbe stata un'ottima idea. Potete immaginare lo stato d'animo di farmi infilare una cosa del genere dentro il seno, ma comunque attendiamo, e sono l'ultima. Per complicare il tutto ho anche le mie cose, ovviamente.

Quando mi chiamano ero andata un attimo in bagno e tornata, colui che chiamerò il marito perché così è stato definito dagli infermieri, mi dice di andare in sala ecografica 1 dove però mi dicono di attendere fuori.

Il repere per me, per fortuna, sarà solo un segno di pennarello e non ci sarà nessun ago uncinato perché, dice il santo medico, non è necessario.

Attendiamo l'infermiera che ci riporti in reparto e una volta in stanza, nell'attendere la chiamata per la sala operatoria ci appisoliamo. È previsto gran freddo, fuori.

Il marito si informa sugli orari, pare che siano in ritardo in sala operatoria e che il mio intervento era previsto per le 12 ma andrò su alle 13 passate. Infatti poco dopo le 13 una corpulenta infermiera mi fa togliere il mio pigiama trendy composto da camicione verde a quadri e pantaloni a righe rosse e bianche per mettermi il camicione blu da intervento, aperto sul retro. "Deve togliersi anche le mutande" - "Ma ho le mie cose".
Mugugna qualcosa di incomprensibile ma me le lascia tenere addosso. Ci avventuriamo a piedi per la sala operatoria che credo sia al terzo piano. Le chiedo quanto durerà l'intervento e mi dice circa 3 ore. Sono preoccupata per il marito, sapeva circa un'oretta e non posso nemmeno avvisarlo.

Le pareti sono arancioni. Non devono avere fatto un grosso studio sui colori, l'arancione non è un colore tranquillizzante. Arrivo a quello che sembra essere un grosso gabbiotto di una biglietteria, senza il vetro a separare le due zone ma con una sorta di lettino abbassabile a piacimento di colore azzurro.
"Ha tolto le mutande?"
"No, ho le mie cose"
"Le deve togliere comunque"
Le sfilo da sotto il camicione e piego l'assorbente affinché non si veda. L'infermiera corpulenta di cui capisco una parola ogni due le mette in un sacco trasparente in cui c'è anche quella che doveva essere una vestaglia ma è un maglione aperto sul davanti. Posizionano una traversina sul lettino e lo abbassano affinché io mi ci possa sedere e da lì mi fanno passare su una barella, mi mettono la cuffietta per i capelli e mentre mi trasportano via sento che dicono che mi tocca la sala operatoria numero 5.
Prima però mi parcheggiano in una sorta di zona franca che conoscerò anche nel post operatorio. Alla mia sinistra c'è una fanciulla con una flebo che sembra dormire. Rimango lì un po', cercando di non pensare e sonnecchiando, finché un giovane infermiere o anestesista, non ho idea, in camice verde arriva per mettermi la cannula.
"Dove devi essere operata?"
"Seno destro"
"Allora devo mettere la cannula al braccio sinistro"
Non prova nemmeno a vedere nell'incavo del gomito perché, dice, potrebbe essere scomodo e potrei non piegare bene il braccio. Individua, poco sopra il polso, una vena che dice però "non capisco dove vada". "Faccia un bel respiro" - e mi infilza. Ma respirare è servito anche se poi maneggia l'ago e mi fa male.
"È andata?"
"No, si è rotta"
Sospiro.
Guarda nell'altro braccio ma arriva quello che invece potrebbe essere l'anestesista che dice "Non lì, deve essere operata da quel lato"
"Eh, ma non ha vene"
Torna al braccio sinistro.
"Proviamo sulla mano, è un po' fastidioso ma non abbiamo scelta, ti metto la cannula più piccola che abbiamo, se non va chiamo l'anestesista"
Infila, maneggia e sembra andare. Mi attacca a una flebo.

Mi trasportano in sala operatoria, dove mi mettono un pannolone ("Sollevi il sedere") e posizionano entrambe le braccia su due braccioli laterali per cui assumo la posizione comodissima da crocefissa. Apparecchio per la pressione su una caviglia, pulsossimetro sull'indice destro. Ho freddo ma sono anche agitata e comincio a tremare come una foglia.
L'infermiere giovane dice che mi mettono un bocchettone dell'aria calda per scaldarmi e mi chiede di cosa ho paura.
Ma le paure non sono per la maggior parte irrazionali?
Scherzo con loro dicendo che attendo con ansia le droghe legali che mi inietteranno.

"Coluccia c'è?" chiede qualcuno.
"Non l'ho ancora visto" risponde qualcun altro.
Ma all'improvviso compare. "Come mai siamo in ritardo sulla tabella di marcia, oggi?"
"Una signora doveva operarsi ma l'hanno riportata in stanza"
"Come va?" mi chiede
"Potrebbe andare in un altro milione di modi meglio, ma via, facciamolo..."

L'anestesista mi inietta un liquido giallo fosforescente e mi dice "Ora le girerà la testa"
"Come dopo una sbronza?"
"Esatto"
In effetti gira tutto ma senza la nausea della sbronza. Mi mettono una mascherina "È ossigeno, faccia respiri profondi, ecco brava, così, bravissima..."

Mi sveglio da un sogno che non ricordo, nella stessa stanza in cui mi trovavo prima della sala operatoria, tossisco.
"Ora la riportiamo in stanza, è normale se sente un po' di mal di gola"
Penso all'intubazione.
Il seno destro mi fa molto male, mi pizzico la pelle della pancia con la mano destra sperando di prestare meno attenzione al dolore. Resisto per un po' ma poi lo verbalizzo e mi dicono che mi stanno già facendo l'antidolorifico (contramal, famiglia degli oppiacei). Mi riportano in barella allo sportello iniziale dove il lettino che separa quelle due metà di mondo è in realtà anche un rullo per cui vengo letteralmente fatta scivolare su una barella dall'altro lato dove un infermiere mi dice che il marito è preoccupato. Non dico nulla perché mi diverte un po' l'idea e lo trovo ad aspettarmi all'inizio del corridoio. "Ecco il marito" esclama l'infermiere, "non che io sappia" esclama il marito ma l'infermiere non lo sente, tant'è che oggi lo stesso infermiere mi dice "Allora, viene il marito a prenderla?".

Mi rimettono sul letto sollevandomi con il lenzuolo, mi tolgono il pannolone e mi infilano le mutande e questa impotenza è detestabile. "Non muova assolutamente il braccio destro"
Anche se poi un'infermiera mi dice che "devo assolutamente muoverlo se no si gonfia".

Sono ormai le 17, pare che io non possa né mangiare né bere per altre 4 ore. Aspetto che il marito vada via per chiamare l'infermiera e fare la pipì nella padella.

Alla sera in effetti mi portano un po' di the con fette biscottate che mangio volentieri, dopo aver sbranato il bacio perugina del marito.

Passa il medico a visitarmi e poi il dott. Coluccia (in abiti civili, senza camice) che mi dice che ci vedremo venerdì per la medicazione e tasta la ferita.
Gli antidolorifici mi impediscono di tenere gli occhi aperti per più di qualche decina di minuti, così ogni tot crollo in un sonno profondo della durata di circa un'ora o due e poi mi sveglio. Al mattino sono riposatissima e contenta, perché vado a casa.

Arriva nel frattempo una signora anziana, compagna di stanza, che deve fare una nuova procedura che si chiama "elettrochemioterapia". Mi mostra il seno che le hanno asportato e racconta dei suoi 5 anni di chemio.

Mi torna in mente quando volevo fare la volontaria in reparto di oncologia all'ospedale infantile Regina Margherita e mi dissero che gli ex pazienti non possono fare i volontari in reparto e ora capisco perché. Ci vuole una certa delicatezza ad approcciarsi agli altri malati, soprattutto se il male è simile, e vedere quella cicatrice e sentire quella storia non mi ha fatto bene.

Quando mi chiamano per le dimissioni in sala d'attesa c'è con me una signora con i capelli scuri che è stata operata il giorno prima insieme a me. Le chiedo informazioni e mi racconta la sua storia.
11 anni prima dopo una mammografia le trovarono qualcosa ma il medico le disse di stare tranquilla che era solo una ciste e di fare la mammografia l'anno successivo. L'anno dopo videro che era in realtà un tumore che si era metastasizzato e le hanno dovuto togliere tutto il seno e fare la chemio, e ora c'è un nuovo nodulino da esaminare. Non so se è stato questo racconto o cosa, comincia a girarmi la testa. Quando vado in sala visite comincio a vedere i famosi pallini bianchi e dopo la medicazione comincio a sudare e ad agitarmi, dico che non sto bene. Mi misurano la pressione ed è 80-50, mi riattaccano una flebo alla cannula che per fortuna non mi hanno ancora tolto e mi riportano in stanza.

Intanto Lys era venuta a prendermi e resta lì con me aiutandomi a mangiare, mi coccola, mi apre le confezioni di cibo che non riesco ad aprire, mi porta la sua copertina.

Passo quindi un altro giorno in ospedale, con la signora chiacchierona accanto e io che penso al mio seno che al tatto, nonostante la medicazione faccia volume, sembra così piccolo da non esserci quasi più. E penso al lungo percorso che dovrò fare per l'accettazione del mio corpo, penso alla rabbia che provo e alla tristezza nel tornare a casa, circondata sì da amici incredibili che mi dimostrano un affetto senza pari, ma sostanzialmente sola.

In più dovrei cominciare a fare uno stupido lavoro e l'unica cosa che vorrei è invece arrotolarmi nelle coperte calde e dimenticare ogni cosa.

Purtroppo piangersi addosso non serve a nulla, altrimenti ora sarei piena di risorse, quindi si volta pagina, in tutto, e si va avanti.

10 gennaio 2018

Focolai di proliferazione intraduttale con atipie di aspetto micropapillare

Ho dormito male ieri notte, ho fatto degli incubi in cui il mio endocrinologo mi anticipava il referto dell'agobiopsia e non solo era un (altro) cancro, ma aveva trovato anche una rara sindrome genetica che poteva essere la causa primaria di tutti i miei mali.

Bhe, non a caso ieri, nel primo pomeriggio, avevo la visita annuale dal mio endocrinologo.
La struttura in cui faccio le visite, il COES (Centro Onco Ematologico Subalpino) è stato, per una vita, sito all'ingresso di via Cherasco 15. Comodissimo.
Entri in via Cherasco e vai sempre dritto. Ma da qualche anno a questa parte lo hanno spostato, costringendomi ad ardue traiettorie. L'ospedale Molinette è un labirinto con indicazioni di difficile interpretazione!
Non mi do' per vinta. Passo dall'ingresso in via Genova, cerco il COES nelle indicazioni del tabellone all'ingresso principale di corso Bramante, seguo la traiettoria colorata di marrone, e TA-DAN.
Dopo solo 15 minuti eccomi!

Non ricordo mai cosa devo fare. Venendo qui una volta l'anno il dubbio amletico è: prendere o no il numero? Sedersi e aspettare? Annunciarsi in qualche dove?
Mi siedo e aspetto.

L'anno scorso il mio medico storico era affiancato da un dottorino giovane e un po' troppo volenteroso e presente. C'è un termine ma non mi viene, e quindi accattatevill'.
Appena mi vedono esordiscono "Colombo, venga pure".

Entro in saletta, mi siedo e il mio medico storico comincia: "Abbiamo il suo citologico, glielo avevamo detto?"
"No"
Il sogno voleva dirmi qualcosa.

"Allora l'esito glielo anticipo, in sigla si dice B3, vuol dire che purtroppo dal citologico non sono riusciti a stabilire cosa sia. Diciamo è un risultato dubbio, quindi bisogna indagare un po' meglio: glielo anticipo subito, quasi sicuramente le faranno una biopsia chirurgica come l'altra volta"
"Una biopsia escissionale?"
"Sì, più che altro per capire cosa sia"
Lucciconi. Ok, Carla, riprenditi.

La mia mente prosegue, faccio domande. Nel caso dovesse essere qualcosa di negativo? Asporteranno il seno? Che terapia faranno?
Si mantiene sul vago, dovrà decidere la senologa. Intanto io sarò ricontattata per programmare la biopsia.
"Vorrei essere operata dallo stesso chirurgo dell'altra volta, mi aveva fatto un bel taglio"
"Ah il dott. Coluccia, eh mi sa che in questi giorni (proprio in questi giorni) sta andando in pensione"
Che fortuna, penso.

Proprio non ci voleva un'altra biopsia, sullo stesso, già martoriatino, seno. Già piccolo, già sfortunato.
Già tagliato.

Sono a terra.

Procedono con la visita solita.
"Quanto pesa?"
Stavolta lo so, e rispondo come alla domanda di un esame che viene fatta da anni e alla quale hai sempre risposto - non lo so -. "45 circa"
"Ah" dice il dottorino "è un po' sottopeso, pesa molto meno rispetto all'altra visita"
"Va bene così"
"Mi faccia controllare i linfonodi, si tolga il vestito e si metta sul lettino"
E qui il dottorino ha rischiato male la vita. Mentre mi spoglio, per riempire l'imbarazzante silenzio, dico "Ci metterò un po', mi vesto a strati, sa, il freddo..."
"Ah ecco, infatti a prima vista NON MI SEMBRAVA COSÌ MAGRA"
Quei momenti in cui vorresti un lanciafiamme.

I linfonodi vanno bene, dice. Ma lo so. Gli esami del sangue sono perfetti e il mio medico storico dice che il fatto che gli antigeni del cancro siano nella norma è un'ottima cosa. Mia domanda: "Ma non sono gli antigeni del cancro all'utero?"
"... [silenzio imbarazzato] sì, anche" 
Non ce provà a fregarmi che m'informo, cristosanto. Col seno han poco a che fare mi sa quei due antigeni.

"Fuma?"
"No"
Mi sono stancata di dire che fumo la pipa in media una volta al mese e che non si aspira. Così, no, non fumo.

"Va bene, il quadro generale è molto buono. Solo il TSH è un po' ai limiti ma non voglio aumentarle la dose di Eutirox a 75 microgrammi tutti i giorni. Poi è così magra. Facciamo allora 75 microgrammi 5 giorni a settimana e 2 giorni a settimana 50 microgrammi."
Se ora era facile ricordarlo, perché i giorni pari sono 50 microgrammi e i giorni dispari 75, l'idea di prendere 50 microgrammi lunedì e giovedì e 75 i restanti giorni sarà parecchio dura. Vediamo.

Mi fanno attendere per l'ecografia alla tiroide. Il dottorino ecografista bello che qualche anno fa era ancora più bello controlla le mie precedenti ecografie al computer, accanto a lui il mio endocrinologo che lo avverte "Ora siamo un po' più incentrati sulla mammella, purtroppo ai tempi le terapie erano quelle che erano, abbiamo un B3 in Q2 sul seno destro. Ha fatto 36 Gy a mantellina a 13 anni, gli anni dello sviluppo"

"La solita fortunella, eh?" Dico sorridendo.

Prima che pensiate stiano giocando a battaglia navale, traduco: B3 è la sigla di cui sopra, il referto dubbio del citologico. Q2 la posizione del nodulino nel seno. I Gy sono i Gray, se posso usare termini non tecnici, l'unità di misura delle radiazioni usate sul mio corpo ogni giorno per più di un mese, per la prima radioterapia. 36 Gy equivalgono a 30 radiografie fatte tutte insieme ogni fottutissimo giorno. Mantellina è un termine così docile ma indica la zona irradiata, ovvero TUTTO il torace.

Mi fa di nuovo svestire e rimango in canotta, mi sdraio sul lettino per fare l'ecografia.
Si posiziona alla mia sinistra "Quel teschio, devo dire, un po' mi inquieta" parlando del mio tatuaggio
"Sì, l'ho fatto apposta per gli ecografisti".
Ride.

La situazione della tiroide è invariata. È sempre minuscola e i nodulini? Sono tutti lì, stanno bene e sono invariati. Meno male, mi sarebbero mancati.

Mi danno il referto dell'ecografia e il solerte dottorino (ecco "solerte", prima non mi veniva il termine) mi ricorda di passare venerdì mattina a ritirare il referto dell'agobiopsia al reparto di senologia radiologica e chiedere della dottoressa Mariscotti.
E che sarò contattata per la biopsia.
E io invece, in un altro mondo, assolutamente fuori da ogni controllo, vorrei solo riuscire a piangere a dirotto.

Canzone del giorno: Mama, I'm coming home Ozzy Osbourne

31 dicembre 2017

Dolce adrenalina

Giovedì 28 ricevo una chiamata dall'ospedale "La chiamo per l'agobiopsia, pensiamo sia meglio farla perché abbiamo valutato le sue precedenti analisi e vogliamo controllare meglio".
Tachicardia.
"Sì, mi dica"
"Le abbiamo prenotato l'agobiopsia per il 4 gennaio, deve portare l'impegnativa del medico"
"No, per fare l'impegnativa per la risonanza magnetica ho dovuto tribolare: il medico non mi fa l'impegnativa se non c'è la richiesta del medico specialista all'interno della quale è presente codice fiscale e numero di iscrizione all'albo del medico che la richiede"
"Mhm, aspetti un attimo, vedo se riesco a fargliela internamente"
Silenzio, cuore che batte.
"Riesce a venire domattina alle 8.30, così le prepariamo noi l'impegnativa? Perché altrimenti la dottoressa non riesce"
"Ah quindi domattina passo a ritirare l'impegnativa?"
"No domattina viene direttamente per l'agobiopsia"
Tachicardia. Controllati Carla, non è niente. Tanto lo sai che avresti dovuto farla. Controlla la voce, non deve tremare, controlla il battito.
"Ok, posso fare colazione? Ci sono raccomandazioni?"
"Ha preso antinfiammatori o antidolorifici negli ultimi 2-3 giorni?"
"No, nulla"
"Perfetto, se ha qualche problema prenda solo la tachipirina 1000. Può fare una colazione leggera. A domani."

Non so come mai non ci penso ma non controllo su internet cosa sia. Forse sono troppo agitata a valutare le mie reazioni presenti che sono sempre troppo esagerate.
O forse no?
Provate a mettervi nei miei panni, queste chiamate e questi esami nel corso della mia vita non sono state mai foriere di belle notizie. Alla fine di questi esami nessuno mi ha chiamata mai per dirmi: "Carla, la chiamo per comunicarle che tutti gli esami sono negativi, lei sta benissimo!"
In genere è sempre stato "DObbiamo fare altri accertamenti"
"Deve venire in tale data per fare questo accertamento"
Concluso con "Purtroppo abbiamo trovato delle celluline maligne e dobbiamo asportare la parte" oppure "Deve venire per un consulto terapeutico".
L'unico nodulo che non mi ha mai tradito, ma è lì da 18 anni quindi non mi spaventa, è quello sulla tiroide. Sarà cresciuto di un massimo di 2 mm in questi anni, è quasi una presenza rassicurante: qualcosa che quando faccio l'ecografia alla tiroide: "Dottore, c'è ancora il nodulino?"
"Sì, certo, eccolo lì"
"Ah meno male."

Quindi ecco il perché della mia reazione. Non potete capirlo, se non avete avuto per tanti anni questo tipo di chiamate. Sapevo sì di dover fare l'agobiopsia, ma il mio cervello ha cercato nell'amigdala i ricordi delle precedenti chiamate, di come sono finite. E il cuore accelera, i pensieri vanno. È così che funziona, ed è assolutamente normale.

Ho avvisato chi potevo e volevo avvisare e le reazioni sono state più o meno le stesse "Bhe meglio, così te la levi".
Capisco anche la risposta, ma vorrei stilare un manualetto di vicinanza per gli amici. Quando accadono queste cose non si vuole essere consolati, si cerca solo vicinanza emotiva. La risposta esatta e corretta è sempre la stessa : "Ti sono vicino".
Lo so, è banale, sembrano le classiche condoglianze che tanto odio. Ma è inutile razionalizzare, queste emozioni non sono razionali. Non si ha bisogno di qualcuno che ti dica "Cerca di stare calma".
Se riuscissi a stare calma, non pensate forse che lo farei?
Seguono anche risposte ironiche, che apprezzo sempre tanto, come il mio amico M, ex compagno del corso java, che mi dice "Son degli stronzi ad anticipare così. Uno ha anche programmi".
Sì ok, mi ha fatto ridere.
C, che sta imparando a conoscermi, mi ha detto semplicemente che era con me.
Gigi vorrebbe essere con me. Lys chiede di accompagnarmi.
Il sardosabaudo mi ha fatto sorridere "Quindi? Vieni lo stesso a cena?".
Una cena è un ottimo modo per pensare ad altro (culurgiones, mammamia che buoni!).

Comunque la notte non è stata tranquilla, non ho dormito bene. E mi sono svegliata presto. Arrivata al reparto di senologia radiologica delle Molinette l'unica cosa a cui penso è di volermi sdraiare nel lettino, ma il pensiero mi agita.
L'attesa è snervante e la sala d'attesa è piena di donne tutte molto più grandi di me. Una donna piange. La privacy non è assicurata in nessun modo. Le dottoresse non hanno uno spazio dove poter parlare con le pazienti e spesso questo viene fatto in corridoio, qualunque referto si abbia in mano. E tutti sentono. Non è per niente bello.

Mi ricordo di internet, cerco la parola "agobiopsia". Consigliano di venire accompagnati. Sono da sola.
Non importa, penso, al massimo chiamo un taxi.

Mi chiamano per firmare il consenso informato. Mi fanno le solite domande di routine, se sono allergica a qualche farmaco, all'anestesia locale, se ho preso antinfiammatori nei 3 giorni precedenti l'esame. La dottoressa mi spiega che faranno una puntura di lidocaina per anestetizzare la parte, allargheranno il buco con il bisturi e faranno entrare quest'ago per, come spiega una mia recente conoscenza, compiere la biopsia tru cut (sic). L'ago ha un'anima in metallo e farà un rumore, uno scatto forte e sarà finito. Faranno 3 prelievi nell'area, metteranno alla fine del ghiaccio perché l'unica controindicazione è la formazione di ematomi.

Firmo, torno in sala d'attesa.

Più o meno mi richiamano alle 9.30. La sala è quella ecografica già vista. La dottorina giovane della scorsa volta (che è anche quella che mi ha chiamato, riconosco la voce insicura e dolce di chi ha ancora non ha il cinismo medico) mi ripete l'ecografia e mi chiede di attendere. Tremo, un po' perché sono agitata, ma ho anche freddo. Mi da' una traversina per coprirmi e mi chiede di attendere. Sparisce.

Tornano in 3. C'è la direttrice del reparto della scorsa volta, la dottorina di prima e un'altra dottoressa giovane. La direttrice ripete l'ecografia e mi dice che quest'area scura non era stata evidenziata nelle scorse ecografie/mammografie/risonanze, quindi è meglio controllare. Arriva l'altra direttrice del reparto, ora sono in 4. Mentre la direttrice numero 1 esegue l'ecografia, l'altra osserva. La tirocinante accende e spegne la luce. La dottorina giovane a un certo punto si dilegua "Siamo troppe, non servo qui".
Io tremo.
"Vedi? È quest'area"
L'altra direttrice annuisce.
"Sono un po' agitata"
"Eh, come facciamo? Vuole andare a prendere qualcosa?
Mentre io immagino una dose potente di tranquillanti, lei mi consiglia una camomilla. Probabilmente dovrei prenderne una vagonata. Dico che no, va bene così.
"Ora sentirà una punturina".

La lidocaina brucia. L'ago nel seno fa male. Stringo i denti. La direttrice però è molto brava, infila pianissimo l'ago, lo osservo mentre entra, sento solo il pizzicore iniziale e da lì mi rilasso. Anche quando inietta la lidocaina lo fa lentamente. Credo che anche la paura abbia fatto.
La paura in queste situazioni è utilissima, l'adrenalina mandata in circolo, ne sono convinta, ha fatto sì che io non sentissi male, che io non sentissi troppo male.
Sfila l'ago.
"Tutto bene?"
"Sìsì, benissimo, dottoressa è stata bravissima, non ho sentito quasi niente!"

Prende il bisturi monouso: vedo tutto, tranne il taglietto che fa. Non sento. Non sento nulla.
Mentre la direttrice numero uno continua a tenere l'apparecchio ecografico sul mio seno, la direttrice numero due infila l'ago per la biopsia tru cut nel seno.
D2: "Qui?"
D1: "No, un po' più su, perfetto così"
La dottorina giovane è pronta a schiacciare il pulsante sul corpo verde e parallelepipoidale della siringa, ma prima mi intima "Sentirà un rumore forte, non si spaventi e non si muova."
"Ok"
TAK
Lo scatto della biro ma un bel po' più forte.
Mettono una strisciolina di circa 5 mm su un vetrino. Sembra carne di pollo, è molto chiara.
"Tutto bene?"
"Sìsì non sento niente"
Ormai mi sono rilassata.

Procedono col secondo prelievo.
TAK.

Si consultano
D1: "Non so se fare un altro prelievo ma lì c'è il muscolo pettorale. Però vedi qui?"
D2: "Sì in effetti non saprei"
"Ma no, io direi che va bene così"
Ridono.

"Sì, va bene così" dice la direttrice numero 1.
"Ora le farà la medicazione, tra due settimane può venire a ritirare il referto"

La dottorina mi mette gli steristrip e una medicazione col cerottone.
"Ora le metto anche il ghiaccio, le verrano delle supertette!"
"Ah non vedo l'ora, guardi!"

"Domani può togliere il cerotto. Non bagni la ferita, gli steristrip si staccheranno da soli in circa 3 giorni. Se ha male usi solo tachipirina 1000, se le viene un ematoma è normale"

Avviso tutti, per me e per il momento, il peggio è passato. Faccio colazione alternativa al bar dell'ospedale Molinette con Lys che mi corre incontro in lacrime.
Nota per il futuro: non sono l'unica vittima delle mie paranoie emotive.
Mi ha portato un melograno, porta bene, "mangiatelo a capodanno".

Sento un po' di male ma per me che soffro di emicranie pazzesche è quasi più un pruritino.
Torno a casa, dovrei fare mille cose ma il calo di tensione mi impedisce di muovermi, sono immensamente stanca.

La cosa buffa è che il giorno prima scrivo al mio medico, il dott. Brignardello per aggiornarlo. Non c'era alcun tono polemico né preoccupato nella mia email, eppure lui mi risponde con un "Capisco il suo disappunto".
In effetti sì, c'era del disappunto, ma non nella mia email. Effettivamente dopo 18 anni deve avere imparato a conoscermi, o forse sa che non è mai bello fare certi esami.

Ora si aspetta, e ancora una volta una piccola cosa mi ricorda quanto è fragile la nostra esistenza su questo pianeta e quanto poco io stia facendo per vivere appieno la mia vita. Questo ultimo anno poi è stato vissuto un po' in ibernazione, in letargo. Letargo delle mie capacità, soprattutto, oltre che lavorativo e tutto il resto. Questa sera festeggerò con alcuni tra i miei più cari amici; auguro per me stessa, per questo 2018, un anno di movimento, un anno di potenziale espresso. Disfare le scatole, trovare un lavoro che sia mio, fare un viaggio (ma meglio più di uno), sentirmi a mio agio e a posto nel mondo.

Poca roba, eh?

Canzone del giorno: Welcome Home (Sanitarium) Metallica