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20 maggio 2023

"No, maestro, ci ho pensato, quest'anno niente saggio di violino"

 Lo avrò ripetuto un miliardo di volte al sensei. Da quando stavo a Benevento e le lezioni a distanza erano difficoltose, a quando, rientrata in gianduiottolandia non mi sentivo in grado: avevo perso diversi mesi di lezioni in presenza e molte le avevo saltate. 

Il sensei avrebbe voluto farmi partecipare ai saggi di entrambe le sedi (rispetto all'anno scorso quest'anno ho scelto una sede più vicina e comoda, che l'anno scorso non era disponibile). Nel saggio della mia scuola avrei suonato il tema di Game of Thrones, mentre nella sede principale avrebbe voluto farmi fare la versione semplificata di Experience (Einaudi) ma non c'è semplificazione che tenga per quel brano: e alla fine ha tirato fuori dal nulla la Robin Hood Suite. 4 pezzi piccini da suonare tutti insieme (6 violini, di cui 3 al secondo anno, una al terzo, altri due che vengon dal conservatorio e si vede che ne sanno) accompagnati dal pianoforte. 

Quando finalmente mi ero decisa scopro che il saggio sarebbe stato in orario lavorativo. Non sarebbe stato possibile per me partecipare, tranne per il fatto che il saggio sarebbe stato venerdì (ieri, 19 maggio) e io il venerdì lavoro sempre da casa. Mi avrebbe fatta intrufolare in una delle aule per permettermi di lavorare lì e una volta terminato il mio orario, via al saggio. 

E dopo un po' di prove quasi tutti insieme (la maggior parte il solito gruppo di noi 4 ragazze) e una sola prova generale con piano e gli altri violini ganzi (quelli che avrebbero coperto le nostre ma soprattutto le mie stonature) arriva il venerdì. 

Alle 13, appena iniziata la pausa pranzo, parto da casa per andare alla scuola. Diluvia e il bus è pieno di ragazzini brufolosi appena usciti da scuola. Io ho il mio bambino (il violino ovviamente) e lo zaino con il pc del lavoro e la gonna lunga che mi metterò lì. Ho evitato di metterla da casa per non sporcarla con pioggia, fango ecc.

Il ginocchio mi fa ancora un sacco male, ed è faticoso fare il pezzo a piedi dalla fermata alla scuola, ma arrancando un po' ce la faccio. Avrei preso l'antinfiammatorio che mi sono autoprescritta, nel pomeriggio, in modo da avere un po' di autonomia tra lo stare in piedi e il resto. 

L'aula in cui mi ha detto di entrare il sensei è piena di percussioni ed è fighissima. A una certa decido che è ora di mettermi la gonna, sono ormai le 16.30 quasi. Me la infilo sopra i pantaloni che dalla finestra che da' sull'esterno sono abbastanza visibile e non voglio fare uno spogliarello involontario, mi tolgo gli scarponcini, mi sfilo da sotto la gonna i pantaloni (che sono larghi e comodi) e solo in quel preciso istante, con la collega in linea su teams e piegata in avanti per sistemarmi meglio, giro lo sguardo e il sensei è in aula in silenzio che attendeva mi accorgessi di lui. 

Va bhe, mi rimetto gli scarponcini, muto al microfono, lo saluto e si continua. Nemmeno alle 17 entra una ragazzotta che ha ricevuto istruzioni di arrivare in aula e succede che in men che non si dica sono sfrattata da lì: devono fare le prove. Mi metto in corridoio ma si sentono i rumori di tutti gli strumenti di tutte le sale e stare in call diventa un po' complicato. Quest'anno non ci sarà nessuno a filmare, poi però mia sorella, facendomi una sorpresa, decide di venire. 

Emozione, maledetta emozione.


Che poi ogni tanto si sente un mezzo fischio, sappiate che sono io, era andato tutto bene alle prove (tutto o quasi) ma ovviamente...

Il sensei è una persona di rara empatia, e adoro il mio cazzo di violino

Dopo il saggio il consueto e attesissimo rito del pub. Si potrebbe anche dire che faccio il saggio solo per andare a mangiare tutti insieme, ma mentirei non poco perché alla fine quel piccolo brivido adrenalinico tanto male non fa. Inoltre, visto che pago profumatamente un terapeuta per aiutarmi a gestire meglio la mia vita, ogni tanto mi capita anche di seguire i suoi suggerimenti, come quello di fare sempre i saggi, o eventuali concorsi che mi si presenteranno, perché anche avere uno scopo (studiare per arrivare a fare qualcosa) ha un suo perché. Inoltre ho scoperto che suonare con gli altri mi piace. Vorrei essere più brava? Certo! Vorrei saper già fare il vibrato? Ma OVVIAMENTE.

Ma mi accontento per questo presente di essere riuscita ad andare avanti, a continuare nonostante il periodo di Benevento, il nuovo lavoro, a volte la poca voglia, la frustrazione (spesso) di non riuscire. Il prossimo anno sarà l'anno dell'impegno (e del vibrato, of course), per ora sono felice così. E magari il prossimo anno riuscirò anche a suonare qualcosa con Cliff.

Invece, oggi ho deciso di passare la mia giornata al pronto soccorso. Il ginocchio non mi da' tregua, così ho passato allegrissime 5 ore (ma ho letto tanto, sapendo di dover aspettare tantissimo mi sono portata sia il libro cartaceo che l'ebook) insieme a persone che, come me, chi più ma anche chi meno, zoppicavano.

L'allegra dottoressa, quando le ho detto che mi ero fatta male correndo e probabilmente vedendo il mio fisico (che è quello di una che corre perché il paninaro "Mimmo" sta per chiudere e ha voglia di un panino con salsiccia e crauti) ha esclamato "Ma ha corso per prendere il bus?".

Il responso è che ho la rotula molto mobile, va dove cazzo je pare e femore e rotula han litigato. Antinfiammatorio e fisioterapia e passa la paura. Ovviamente tutore.

Purtroppo avendo aspettato 5 ore seduta non avevo nemmeno male, mi avessero visitata quando ero arrivata, dopo la camminata per la metro, il tragitto in piedi sul mezzo e la camminata dalla fermata della metro al pronto soccorso, allora sì che avrebbero capito.

Sul quando potrò riprendere a correre (e ricominciare tutto da capo dato che sono ferma da quasi due settimane) si stende un velo ignoto. Secondo la dottoressa dovrei prima rinforzare il quadricipite "magari con la bicicletta" - non ci so andare - "allora il nuoto" - e sticazzi pure.

Nel dubbio brindo con un calice di bianco. Farò esercizi di qualche tipo a casa e vediamo come va.

12 maggio 2023

La puntaspilli

 Non ho (ormai) più paura degli esami medici e dei referti, a meno che il giovane e solerte dottorino di turno non sparisca all'improvviso dicendo "Torno subito" e arrivi poi con un medico più anziano, con il quale borbotta sottovoce usando parole in codice. Lì sì, mi preoccupo. E chiedo cosa sta succedendo. "No c'è una cosa piccola ma sicuramente non è niente, probabilmente una cosa vecchia". E tac, in men che non si dica ti han predisposto un altro intervento e non sai cosa pensare, oltre al fatto che mioddio quanto so' sfigata, c'è chi è più sfigato ma non è che voglio proprio vincere eh? Mica è un'olimpiade

Ma c'è una cosa che proprio non riesco a superare.

Gli aghi.

Non ne ho paura. Penso sia la prima paura che mi è dovuta passare a 13 anni, quando il pediatra, a seguito della scoperta di quel linfonodo gonfio sul collo e quella febbre che andava e veniva, ha apostrofato "Devi fare le analisi".

"Ma del sangue?". 

E quel piccolo terrore è passato quando ho scoperto che no, non avevo sentito niente. 

Poi è tornato, quando dopo svariati cicli di chemio, altri prelievi, altre chemio per la ricaduta, ecc, tutte le vene superficiali disponibili sono sparite dalla circolazione. Così gli infermieri son diventati creativi, almeno finché altre vene non si sono rotte. E l'unico posto disponibile per fare i prelievi è diventato il polso. Che sì fa male, molto, ma almeno non mi devono bucare mille volte per poi scoprire che "Eh mi spiace, ci sono solo quelle dei polsi" (sì certo, mi avessi dato retta prima ora non mi sentirei un puntaspilli tutto livido).

Quindi, salvo il prelievo annuale che ormai mi faccio il segno della croce e via di polso, l'unico altro esame per cui serve una vena che regga anche l'ingresso e non solo l'uscita è la risonanza magnetica con contrasto.

In genere mi trovano una vena sulle mani, fa male e quando entra il liquido di contrasto sento sempre un po' di bruciore, come se l'ago non fosse ben piantato, ma oggi sono andata tranquilla, stranamente. Mi sentivo fiduciosa.

Infausto presagio.

Appena arrivo mi fanno accomodare, non devo nemmeno aspettare o prendere un numero, altro infausto presagio.

Non mi sono nemmeno persa tra i corridoi dell'enorme ospedale, perché il medico giorni fa mi ha chiamata per dirmi che gli serviva l'impegnativa via fax ("Ah ma gliela mando via email, me l'ha inviata il medico via posta elettronica, così gliela inoltro e basta" - "No, ci serve proprio il fax". Certo che i Flinstones ve fanno una pippa) e dato che nella mia nuova agendina mi ero appuntata "Cercare dove si trova l'ingresso di Via Dogliotti per la risonanza magnetica" e avevo il mastro esperto del proprio reparto di radiologia direttamente al telefono, mi ero fatta spiegare e mi ero appuntata l'esatto percorso da fare entrando da corso Bramante. "Andare a sinistra, seguire il corridoio fino in fondo in direzione del fiume (giuro, mi aspettavo che mi dicesse "svolti a sinistra alla grande quercia"), poi scendere in radiologia 3, prof. Righi". Il professor Righi non era menzionato da nessuna parte, ma la radiologia 3 l'ho trovata senza problemi.

Infaustissimi presagi.

Mi fanno spogliare, via anche i calzini, ma ho degli elegantissimi calzari di plastica blu, via tutto il resto, ignuda come mamma mi ha fatto tranne le mutandine, quelle no posso tenerle, i calzini no ma le mutande sì. Ci sono misteri insondabili della medicina moderna (che si fa mandare ancora le impegnative via fax e inserisce la parola "fiume" in una frase in cui fornisce indicazioni per arrivare a un reparto) che non è possibile svelare. 

E quando mi fanno sdraiare sul lettino (dopo essermi tolta le lenti a contatto - non ricordo mai che la risonanza va fatta senza - poggiandole in un bicchierino di plastica tutt'altro che sterile, pieno di soluzione salina) e la ragazza inizia a tastarmi le braccia in cerca di una vena, solo lì, tutt'a un tratto, leggo i presagi come tali.

La ragazza, inizialmente col laccio emostatico solo sul braccio sinistro, rimasto appeso a penzoloni e ormai privo di qualsiasi sensibilità, si sposta sull'altro braccio, stringe un altro laccio emostatico e mi chiede di tenere entrambe le braccia a penzoloni.

E così, come un moderno Gesù Cristo resto un po', aspettando che qualche vena decida di dare un party in superficie invece di restare, timida, in fondo alla carne che ormai sta diventando violacea.

La ragazza (dottoressa? radiologa?) si butta "Ok ne sento una piccola piccola qui a destra". È sul lato sinistro del polso. Buca e fa male, ma non faccio nemmeno in tempo a dire AHIA che apostrofa "Oh mannaggia si è rotta appena l'ho toccata".

Sfila l'ago e riprende la ricerca.

"Ma non hai proprio niente, mi sa che devo chiamare un'infermiera".

Mentre la chiama spunta un giovanotto che non fa che chiamarmi "cara" (già lo detesto) e nell'attesa, decide di giocare anche lui al gioco più complicato di tutti: "trovalavenaacarla".

Qui a sinistra han già provato? Ma di solito dove la bucano? Ne sento una. Se per lei va bene, cara, proverei.

Senza nemmeno aspettare la risposta prende l'ago, disinfetta e buca. È sulla mano sinistra, vicino alle nocche.

Se anche sulle mani è rimasto poco è perché dopo aver annientato tutte le vene delle braccia, le chemio sono state fatte proprio lì, sulle mani, prima di decidersi a mettermi un catetere venoso centrale.

"Ah, cara mi spiace, si è rotta quasi subito"

Mi ricorda la barzelletta che mi raccontò un mio compagno delle elementari, su un convento pieno di frati bestemmiatori che ospitarono a cena un importantissimo vescovo e l'abate si raccomandò di non dire blasfemie di alcun tipo.

Ma un frate, portando la prima portata, scivolò e urlò: "MADONNA PU... rificaci".

L'abate stava già sudando ma tirò un bel respiro di sollievo.

Un altro frate, portando la seconda portata scivolò e disse a gran voce "DIO M... isericordioso"

L'abate quasi si congelò ma si disse che fino a lì, era in fondo andato tutto bene.

Il frate del dolce però scivolò anch'esso, spargendo il dolce per terra e facendosi un gran male. Non tardò a urlare "PER DIO E LA MADONNA".

E tutti gli altri frati, in coro "HIP HIP HURRÀ".

Ecco, avrei voluto urlare esattamente la stessa frase dell'ultimo frate.

Così, seminuda, con i sensi di colpa di chi non ha vene, sta facendo perdere tempo agli altri e viene messa quasi in punizione, vengo rispedita nello spogliatoio mentre fanno accomodare la prossima vittima domandandole "Lei come è messa a vene?". Ed ero lì lì per rivestirmi e andarmene quando poco dopo arriva l'infermiera, che in pochi minuti e con un solo buco, dolorosissimo, risolve la situazione.

Risonanza magnetica al seno salvata. La mia mano un po' meno.


Notare gli elegantissimi calzari


11 luglio 2022

Le tube di Pandora

 Tempo di lettura: 4,98 minuti

 

Andare in consultorio per farmi inserire la spirale ha scoperchiato un vaso di pandora che era necessario aprire. Nonostante la mancanza del ciclo e le caldane (e i miei "mi sa che sto entrando in menopausa precoce") non avevo mai pensato a farmi fare analisi approfondite che, ovviamente, sono state richieste dalla ginecologa. Così, presi altri ennemila permessi per

  • rifare pap test e colposcopia (che come due anni fa si è trasformata in biopsia)
  • fare analisi del sangue specifiche (di nuovo, le avevo appena fatte)
  • tamponi (e non su per il naso come va molto di moda ora)

dovrò tornare con in mano questo plico di roba, senza contare che l'8 luglio avevo fatto la mia visita annuale ("Sì ma tra un mese rifaccia anche l'esame completo delle urine").

Ho deciso di fare le analisi del sangue specifiche alle Molinette, provando l'ebbrezza di mettermi in coda come i comuni mortali (non erano prenotabili online nella struttura in cui solitamente mi reco), restando un'ora e mezza in piedi fuori dalla porta e attendendo all'interno un'altra mezz'ora buona.

L'infermiera, dopo il mio "Non ho vene perché ho fatto un sacco di chemio" (anche se prima o poi smetterò di dirlo inventandomi altre scuse) e in conseguenza dell'altrettanto mio "Di solito mi bucano sui polsi", mi guarda con aria smarrita e, quasi terrorizzata, dopo aver appurato che sì, è vero, non ho vene, decide di chiamare una collega.

La solerte collega mi dice che mi ha già bucata, ricorda il mio tatuaggio:

 

(sì ho messo questa rarissima foto in cui sembro carina).

Questo tatuaggio, un Kodama, l'ho fatto insieme a mia sorella, lei ne ha uno simile ma non identico, peccato mia sorella non sia mai venuta alle Molinette a farsi il prelievo (poteva essere una carrambata, e invece...).

L'ora e mezza di espiazione in coda è però servita perché, dopo diversi anni, mi hanno trovato una minuscola vena sul braccio. Il sangue usciva goccia a goccia ma mi sono risparmiata il livido sui polsi.

I risultati sarebbero dovuti arrivare entro fine mese, ma una email nel pomeriggio mi informa che orpolà, son già presenti nel mio fascicolo sanitario.

Inutile dire che per me, nonostante anni passati tra visite mediche e prelievi vari, tutti quei numeri sono codici assolutamente indecifrabili. Potrebbero farci una escape room ma se ne andasse della mia vita, sarei sicuramente morta.

Carla solo tu puoi saperlo, un valore di creatinina di 0,90 mg/dl è nella norma? PRESTO O UN GRANDE MASSO CI SCHIACCERA'.

Morti tutti.

La verità è che nelle analisi c'è sempre una microlegenda che un po' ti fotte, perché alcune cose riesci a metterle insieme, ma altre, assolutamente, no.

Quindi se i valori di FSH e dell'ormone anti-mulleriano (che fa un po' ridere) indicano menopausa certa, il  17-beta estradiolo fa la sua comparsa con valori nella norma, come un cinquantenne che non vuole essere trascinato nella fossa dai suoi compagni anziani.

E che ne facciamo noi di questi esami? Semplice, li spediamo in giro per il mondo in modo che qualcuno sappia tradurre l'oracolo.

La dottoressa di famiglia sentenzia che bisogna avere almeno due anni di mancanza di ciclo e questi valori per essere in menopausa. Poi messa alle strette dice "Sì ok potrebbe essere menopausa precoce".

Il sostituto del mio endocrinologo mi chiama, costringendomi a una fuga repentina verso il bagno (consiglio: nessuno farò domande se mentre correte vi massaggiate il basso ventre e mostrate un volto affaticato): "Bhe sì i valori potrebbero indicare menopausa, ma quel beta estradiolo lì... certo se ha comunque le caldane, ecco diciamo che la riserva ovarica è esaurita ma quel beta estradiolo lì..."

Il terapeuta, visto che prima di ricevere questi responsi aveva già ricevuto una anteprima quasi assoluta da me spiegata con un "cazzo la chemio mi ha tolto 10 anni di vita, avrei dovuto essere in queste condizioni a 50 e passa anni, non a 41", mi ha dato come esercizio quello delle fantasie peggiori. Mi sento assolutamente libera di scriverlo dato che basta cercare sul web o leggere qualche libro sulla terapia cognitivo comportamentale per trovare questi trucchetti.

Qualche maligno mi dirà "e allora che ci vai a fare?" - Vero, il mio terapeuta mi costa quanto un figlio scemo, e a tratti mi chiedo dove stiamo andando. Ma in alcuni casi mi riporta sui binari quando esco dal mio percorso (cosa che un libro non può ovviamente fare). Che sia per merito suo, o per merito mio (che ho messo in atto un cambiamento di cui lui è solo una delle conseguenze) quest'anno non ho mollato niente. Continuerò violino, la terapia procede, come lo studio di Java.

L'esercizio delle fantasie peggiori ha dilatato il tempo (non pensavo che mezz'ora fosse così lunga) ma ha tirato fuori una emotività che era latente, e gli ha dato uno spazio e un tempo. In quello spazio, e quel tempo, da sola, posso piangere sulle mie piccole tragedie senza pesare su nessuno, posso immaginare gli scenari peggiori dei peggiori futuri risvolti. Per poi tornare alla realtà in fretta, senza troppi sconvolgimenti, sapendo che se durante le mie giornate ho un attacco di tristezza, soprattutto ora che col caldo le caldane rendono la vita insopportabile, questo potrà essere sfogato in quella mezz'ora.

In tutto questo Cliff ha avuto il covid. Sarei dovuta partire per raggiungerlo qualche giorno dopo il suo tampone che si è rivelato positivo. E ha slittato di un buon tre settimane il nostro incontro. Lui ovviamente non ne ha colpa. Le persone più meticolose che conosco si sono tutte ammalate, e solo in questo frangente, lo dico a bassa voce, bassissima, mi sento quasi una sopravissuta, dato che lo sto ancora schivando.

Attendo con ansia il momento in cui potrò riabbracciarlo, in cui potrò guardarlo dormire (anche se la definizione corretta è crollare svenuto, quasi morto), in cui potremo cucinare insieme. Ma soprattutto quando questo potrà diventare una bella quotidianità.

Piccola nota. Mi è stato detto che la menopausa non è una malattia, ok. Ma in aggiunta a tutto questo non potrò fare alcuna terapia ormonale sostitutiva per via del mio tumore al seno, quindi tutti gli "effetti collaterali" di questa fase, cominciata per me davvero presto, non saranno facilmente arginabili.

Ho acquistato un integratore, cominciato a prendere stasera, e mentre scrivo le botte di calore si presentano circa a ogni periodo. Direi che ora non ha fatto un ca$$o ma diamogli fiducia.

Del resto, a ben pensarci, questa non è assolutamente la cosa peggiore che mi è capitata in questi ultimi anni.

19 giugno 2020

Il dolce Stilnox

(tempo di lettura: 4 minuti)

Ricevo una email da un medico.
In allegato, la ricetta per un farmaco.
C'è il nome nell'intestazione, ma non sono io. L'anno di nascita è diverso, la residenza, insomma una mia povera omonima sta aspettando la ricetta di questo farmaco ma non l'avrà mai.
In calce un avviso scritto in maiuscolo: QUESTO MESSAGGIO E' INTESO PER I SOLI INTERESSATI E CONTIENE INFORMAZIONI CONFIDENZIALI E SENSIBILI; SE RICEVUTO PER ERRORE, SI PREGA DI AVVISARE IMMEDIATAMENTE IL MITTENTE E CANCELLARE IL MESSAGGIO SENZA TRATTENERNE COPIA. GRAZIE.

Rispondo: Buongiorno, si tratta di un errore di omonimia. Il mio codice fiscale è diverso e non uso il farmaco della ricetta

Buona giornata


Qualche ora dopo mi viene inoltrata nuovamente la stessa ricetta.
Rispondo: Buonasera. Sono sempre la Colombo Carla sbagliata. Si faccia dare l'indirizzo email corretto, probabilmente nome e cognome sono invertiti o c'è qualche numero in fondo alla user

Buona giornata 


Passano due settimane tranquille, ricevuto due email dallo stesso medico con ricette per due farmaci diversi.
Lo chiamo. Non risponde.
Lo chiamo il giorno dopo. Risponde la segreteria telefonica in cui mi comunicano che sono chiusi e di chiamare negli orari indicati.
Chiamo negli orari indicati. Non risponde.

Mentre decido il da farsi per la mia omonima che sta aspettando questi farmaci importanti devo affrontare un nuovo piccolo trauma: il mio medico è cambiato.

Lo aggiungo ai piccoli microtraumi già affrontati e mal superati in passato, e racconto un breve sunto di questa piccola avventura.

Ho 16 anni e il mio tumore è tornato, che sfiga. Ma ho la fortuna di essere ancora seguita dall'ospedale pediatrico. Le pareti azzurre, il personale gentile, nessun vecchio che scatarra in giro. Nella sfiga sono relativamente fortunata.
Quando ho qualsiasi problema di qualsiasi tipo chiedo ai miei medici, mi trovano sempre uno specialista pronto a torturarmi per capire cosa c'è che non va.

Pochi mesi prima della mia ricaduta un mio caro amico si ammala di una roba simile alla mia, un po' più merdosa però. Lui finisce dritto all'ospedale dei vecchi.
Lo vado a trovare, pieno di vecchi, per l'appunto, pareti gialle (non si capisce se ingiallite o dipinte in quel modo), medici e infermieri che se hai culo becchi quello gentile.

A seguito del mio rientro in ospedale ce la meniamo.
"Nel mio ci sono le pareti azzurre e ci vengono i clown (bhe io i clown li odio, proprio per questa ragione ma se ne parlerà in un altro momento)"
"Nel mio ci sono specialisti affermati"
"Bhe io ho una stanza tutta mia e tv con videoregistratore"
"Dai, solo perché stanno ristrutturando oncologia e dato che sei una delle pazienti più grandi ti hanno spedito al reparto isolamento"
E via così.

Accadono cose che mi fanno vincere a tavolino.
Prima dell'intervento per errore, al mattino, gli danno la colazione. Non potendo fargli l'anestesia totale, decidono di procedere per la locale, anestetizzando strato dopo strato mentre procedono. Una brutta cicatrice, a quanto pare.
Vero, anche io sono stata aperta dove non dovevo, ma avevo già una cicatrice sotto, fatta 3 anni prima, per cui non lo considero un grave danno.

In più mentre gli mettono una flebo, il tubicino cade, e senza disinfettare il gommino dentro cui avrebbero inserito il farmaco con la siringa, procedono lo stesso.

Lo sfanculizzo "Vedi in che ospedale di merda sei finito?".
Ride.

Arrivano i 18 anni, cominciano a vedere che la mia tiroide da' di matto, mi programmano altre analisi, comincia la mia neverending story con l'Eutirox, mi stringono la mano e annunciano "È ora di passarti al nomeospedalepervecchi". È così ingiusto crescere.
Primo trauma.

L'endocrinologo da cui vengo spedita è guardato con sospetto per i primi 3 anni. In verità fa un lavoro figo, segue le persone che hanno avuto un tumore in età pediatrica per tutta la vita. Mi sento quasi importante, i miei dati potranno servire per risistemare terapie e tossicità ai piccoli pazienti del futuro, dimenticandomi che già in quegli anni le terapie sono migliorate, la famigerata radioterapia a mantellina è un brutto ricordo dell'era di Chernobyl e molti protocolli sono già cambiati.

Facendo un rapido calcolo ad oggi sono 21 anni che mi segue. Ci vediamo una volta l'anno e ormai mi sono abituata al suo modo di reagire agli eventi "Non vorrei esagerare e farla preoccupare, ma nemmeno che prendesse questa cosa sottogamba".

E penso che lui si sia abituato alle mie dimenticanze di visite, esami vari ("ma la visita dalla senologa non l'ha fatta? E la visita dermatologica? Gli esami del sangue me li invia la settimana prossima?"), ai miei ritardi, ai miei cambiamenti di città ("Dove vive ora?").

Da circa 3 anni mi visita costantemente insieme a un dottorino più giovane (di cui ho forse già parlato). Quando gli mando le email lo inserisce sempre in copia conoscenza e ben presto ha cominciato a rispondere direttamente il dottorino ai miei quesiti.

Ricevo una email qualche giorno fa dal dottorino. Il mio endocrinologo non è in copia. Cattivo segnale.

Sarà andato in pensione senza salutare i suoi pazienti?

È come una separazione non consensuale, dove uno prende armi e bagagli e se ne va e l'altro rimane pensando che 21 anni non sono pochi. Che ora dovrà affrontare questo viaggio merdoso con uno sconosciuto, chi lo dirà ai bambini?
Nessuno pensa mai ai bambini.

Canzone del giorno: Janis Joplin Piece Of My Heart


03 luglio 2019

Bella dentro

SEI VOLGARE.

Ci sono giorni in cui c'è poco lavoro e per chi ha maturato tanti permessi, come la sottoscritta, c'è la possibilità di uscire prima.
Da circa 8 giorni avevo male al mignolo, probabilmente avevo preso una botta, ma va a capire. Erano successe tante cose quella notte che non riesco a ricordarle bene tutte.
Inizialmente si era un po' gonfiato. Poi era venuto su il livido e in ogni caso ancora oggi se stringo la mano a pugno, la base del mignolo mi fa male.
Così decido di impiegare le mie ore libere avventurandomi al pronto soccorso.
Andare dal medico non aveva senso, mi avrebbe al massimo fatto un'impegnativa per una visita ortopedica per la quale avrei avuto appuntamento tra 5 mesi.
Mi avevano avvertita che per un codice bianco del genere avrei atteso ore.

Poi al Centro Traumatologico Ortopedico non ero mai stata e ho girato un bel po' di ospedali non solo in questa città. Perché non andare anche lì?

Mi dirigo all'accettazione.
Un signore dall'aria severa mi guarda da sopra i suoi occhiali da presbite.
Che cosa ha fatto?
Penso di aver preso una botta, ho male al mignolo (su, digli che sei una famosa bassista e quel mignolo ti serve per suonare così ti sentirai meno in colpa)
E come è successo?
Non ricordo, boh, avrò battuto.
E ai capelli cosa ha fatto?
(fingo di apprezzare la battuta)
Ho preso una botta anche lì.
Sì ma di vernice! (ride)
Eheh in effetti (desideri omicidi).

Lo so, ma bisogna farci l'abitudine. Tra i capelli e i tatuaggi ognuno si sente in diritto (forse anche in dovere) di dire la propria. Io ci ho fatto il callo.
A Cömo le più carine erano le vecchiette, a volte mi prendevano il viso tra le mani e mi dicevano "Come sei bella, sembri una fatina".
E poi ci sono le secchiate di vernice, ecco.

Tenga il numero, la chiameranno al Triage.

Do per scontato che mi avrebbero chiamata col numero.

Ma in 5 minuti sento gracchiare dal microfono il mio cognome.

Zoppicando cammino verso il Triage. Ci manca pure che mi chieda quando mi sono fatta male alla caviglia. In verità zoppico perché cerco di allargare delle scarpe che ho comprato nel 2015.
Nel 2015.
Faccio un salto indietro di qualche anno. Non ho mai avuto delle Converse. Mai.
Me le regalarono e mi chiesero il numero. Online dicevano che le Converse calzavano grandi e tutti avevano comprato un numero più piccolo rispetto al proprio numero di scarpa.
Mi dico di non esagerare, indosso il 37 e prendo quindi il 36 e mezzo.

Quella scarpa mi fece sanguinare i piedi, solo dopo tanto riuscii a indossarle comodamente.
Forse qualche mese dopo comprai un altro modello (è proprio vero che il dolore fisico si scorda, o forse le donne sono progettate per farlo. Un po' per dimenticare il dolore del parto, un po' per dimenticare il dolore delle scarpe nuove indossate). Non volevo cascare nello stesso errore. Come minimo il 37.
Erano così strette e dolorose che non riuscivo a indossarle nemmeno a casa.

La settimana scorsa decido di cercare un allargascarpe. Dato che sto cercando di non comprare più su Amazon mi affido a Google per capire, a Torino, dove posso trovarlo.
Dmail.
Cazzo, Dmail esiste ancora.
Purtroppo anche se ho tenuto l'allargascarpe più di 24 ore nelle scarpe vi assicuro che avrei voluto strapparmi la pelle dai piedi e una volta a casa ho dovuto fare un pediluvio freddo.

Torniamo insieme al CTO.
Al triage mi chiedono che è successo.
Ho male al mignolo. Devo aver preso una botta. Se chiudo la mano ho male qui.
Va bene, la chiameranno con questo numero.

Vi dirò, non ho aspettato tanto, non c'era molta gente e quei pochi erano quasi tutti in codice bianco.
Chiamano il mio numero e il numero dopo il mio ma per ovvie ragioni lui è più svelto di me, così mi tocca aspettare la visita dell'ortopedico.
Che biascica e pare ubriaco.
Ah sapevo che era lei C******, allora cosa è successo?
(la so a memoria ormai)
Devo aver preso una botta, mi fa male il mignolo se chiudo la mano. Il mignolo mi serve per suonare il basso (aggiungo una battuta all'ormai noiosa tiritera).
Chiuda a pugno la mano, muova il mignolo, pieghi il polso. Lei non ha niente, ha una mobilità eccezionale.
E allora perché mi fa ancora male dopo 8 giorni?
Facciamo una radiografia, non sono un veggente, magari c'è qualcosa che non vedo. Così ci DISPREOCCUPIAMO
Rifletto sull'ultimo termine pronunciato. Rifletto. Rifletto.
Voce del verbo dispreoccupare.
Suona male anche all'infinito.
Comincia a battere una serie di caratteri sulla tastiera e lo fa usando solo l'indice della mano destra. Ora mi spiego le lentezze nei vari ospedali.
Ma no lasci stare, se dice che non è niente non è niente.
No, no, DISPREOCCUPIAMOCI. Ma il mignolo non si usa nel basso.
Come no? Se salto dal primo al quarto tasto lo devo usare.
Ma sì ma nemmeno tanto.
Come no?
Allora sei proprio una musicista brava, eh!
Mentre mi dice queste parole non posso non immaginarlo con una benda sull'occhio, ebbro di Grog e magari una gamba di legno.
Senta visto che siamo qui, ho male al pollice destro da un po'.
Chiuda il pugno, muova il pollice, pieghi il polso. Sono un chirurgo della mano, non c'è niente. Magari un giorno le verrà un po' di rizoartrosi, ma metterà un tutore e andrà bene.
Segua la linea blu, faccia la radiografia e torni da me.

Seguo zoppicando la linea blu, al lavoro sono stata senza scarpe perché non riuscivo a tenerle addosso nemmeno da ferma, da seduta. Aggiungendo ovviamente una stramberia a tutto il mio corredo. Capelli blu, tatuaggi, al lavoro scalza...
Appena arrivo nel corridoio di attesa per le radiografie mi siedo come se avessi corso una maratona stringendo in mano il mio foglio scritto con cura dall'indice destro del Pirata ChirurgoDellaMano.

Nell'arco di una quindicina di minuti arriva un infermiere che mi chiede il foglio.
Lo guardo dubbiosa.
Non sono certa di volerglielo dare.
Ah se non me lo dà può aspettare qui tutto il giorno.
Sorride.
Con aria dubbiosa e scherzosa gli consegno il foglio e davvero in 10 minuti mi chiamano.

È incinta?
No.
Di solito a questo punto insistono. Chiedono più volte. Ma no, si limitano a darmi il camicione di piombo da mettere in grembo. Mi fanno sedere accanto all'apparecchio per le radiografie.
Poggi la mano.
zzzzzzz
Ora metta la mano di lato chiudendo tutte le dita e lasciando solo il mignolo
zzzzzzz
Ora faccia l'ok con le dita
zzzzzzz
Ora giri il palmo verso l'alto
zzzzzzz
Attenda fuori.

Il mio referto dice che non ho nulla. Insieme al referto un cd con le mie foto interne della mano. Da dentro ho una bellissima mano, da fuori un po' meno.
Torno dal Pirata che spero mi offra un goccio di Grog.
Ha visto? Non ha niente!
Io ho male
Ma sarà la botta, passerà. Sa che ho conosciuto il bassista Nome e Cognome? Sa chi è?
Sì, ne ho sentito parlare (mento spudoratamente, ora il dolore ai piedi ha la priorità mentre compare una grande Ara sulla spalla del Pirata).
Suona in NomeGruppo, lo conosce?
Qualcosa mi dice. (fammi andare a casa che devo tagliarmi via i piedi)
Stia bene eh! L'ho scritto anche nel referto che sta benissimo.

Medito se camminare sull'asfalto senza scarpe.

Zoppicando e accaldata arrivo alla fermata del bus. Zoppicando e accaldata mi siedo. Zoppicando e accaldata cammino fino alla fermata del secondo bus. Zoppicando e accaldata salgo sul bus, scendo, cammino verso casa, tolgo le scarpe prima di salire le scale bestemmiando a ogni passo. Zoppicando mi faccio il famoso pediluvio freddo. Avrò perso l'uso del mellino?
È acciaccato e rosso, eppure esiste.





23 maggio 2018

Applausi

Poldo mi guarda con aria tenera e dubbiosa.
Sarà perché sto sbattendo la testa contro la porta del finto frigo (NB, scrivere la storia del finto frigo in un prossimo post).
Questo per evitare che le bestemmie escano dalle mia labbra. Ma a ogni testata le sento rieccheggiare in testa.
Mi sono appena medicata la ferita e quei piccolissimi miglioramenti che mi aveva fatto notare RagnoB non ci sono più. Anzi, la ferita sembra più larga, più sanguinolenta, più ferita ecco.
È passato un mese dal ritiro dell'istologico e ho deciso che tra un mese torno in ospedale se non migliora. A volte un maggiore sanguinamento serve per una guarigione. O qualcosa di simile dice l'inutile dott. Web.
Quando ho fatto la seconda chemio a 16 anni avevo un catetere venoso centrale. CVC, per gli amici. Un tubo che sbucava dal petto e si divideva in due tubicini. Questo perché la precedente chemio mi aveva bruciato le vene e fare 9 mesi di terapia endovenosa senza vene diventava complicato.

Il mio sangue è denso e coagula subito quindi dovevo fare la medicazione una volta ogni due giorni a dispetto dei miei altri compagni di sventura che se la cavavano una volta a settimana. Ricordo ancora come mettere i guanti sterili affinché rimangano tali. Preparare il telo sterile su cui poggiare le cose, come prendere le garze, l'ordine di pulizia, fare l'eparina. Coprire i tubicini con la garza, ripiegarli all'insù, mettere un bel po' di garza a copertura di tutto. Incerottare e via.
Stesso disagio di ora, anzi maggiore disagio, ma sapevo che era temporaneo. Che dopo quei 9 mesi, a mo' di parto (no aspettate, la seconda chemio è durata 6 mesi mi pare) un giorno mi avrebbero sdraiata in un lettino e senza anestesia mi avrebbero fatto girare la testa a destra strappando con forza il tubo fuori dal mio corpo.
"Lo vuole tenere?"
"Cosa?"
"Il tubo dico"

Non lo tenni ma mi misero da parte l'ago che era infilato dentro e che deve essere ancora nella tasca del mio Invicta Jolly PRO4.

So che passerà, e posso anche prevedere cosa mi diranno in ospedale.
Anzi ora farò una cosa: mi scriverò ciò che diranno su un fogliettino di carta. Lo nasconderò in una tasca.
Quando andrò lì e loro pronunzieranno la fatidica frase io tirerò fuori il bigliettino a mo' di prestigiatore che ha compiuto un gesto impossibile ai più.
"Deve avere pazienza".

Applausi fuori campo.
Dissolvenza.

21 aprile 2018

42

Mercoledì è andato tutto bene. Ma tutto tutto, a partire dal numero che mi han dato in sala di attesa.

La risposta al significato della vita, all'universo e a tutto quanto.
Ho deciso di tatuarmelo, sperando che sia di buon auspicio per il futuro. Ma chi cazzo ci crede al buon auspicio?
In attesa l'infermiere M mi parla del nuovo ordine mondiale. Non ho voglia di starlo a sentire oggi, così gli dico che mi sembra proprio una cosa complottista. Niente, inarrestabile. "Ma no, perché tu pensi che sia una fuffa da internet, ma tu devi informarti perché blablablabla e poi questi qui hanno anche fatto blablablabla perché non sai che blablablabla".
In genere rispetto le idee degli altri anche se molto diverse dalle mie. Se sono molto diverse o per me incompatibili, continuo a tenere cari i miei pensieri in una sorta di fortezza. Se l'altra persona è decisamente ostile a rivedere i propri pensieri e usa una fortezza simile, io non sarò certo la persona che abbatterà quelle barriere, soprattutto se è una persona a cui non voglio ancora bene.
Mi sono spiegata? Forse no ma stamani non ho le idee molto chiare sul significato della vita, sull'universo e tutto quanto.

in viaggio per l'ospedale

Così annuisco "Va bene dai, passami i titoli di questi libri"
"No, perché sai noi menti superiori dobbiamo istruire gli altri, che hanno nella testa i criceti sulla ruota, capito? Dai, poi passi a salutarmi prima di andare via?"
"Va bene"

Chiamano il mio numero, il cuore batte forte.
Se vi sembra esagerato, vi posso dire in tutta sincerità che lo è. Ma mettetevi nei miei panni, se vi riesce. In tutta la mia vita ho sempre ritirato biopsie infauste. Il ritiro di un istologico per me è sempre stato il segno della croce che può farsi un satanista, una cosa assolutamente fuori luogo, incredibile, fantastica in senso negativo.

Entro nella sala visita dove il medico, a quanto pare il boss, esclama "Ma questa non è una mia paziente, è una paziente della dottoressa Volpe!"
"Ehm no, io dovevo venire giovedì dalla dottoressa Volpe ma non potevo, così mi hanno detto di venire oggi da lei. E poi in realtà sarei del dott. Coluccia che è in pensione, quindi non sono di nessuno"
"Ah bene intanto posso dirle che non ha niente!"

Lo esclama con un tono di voce assoluto, nessuna possibilità di errore. Non ho niente.

Davvero? Io? La ragazza (ormai donna) dei tre tumori?

Mi metto la mano aperta sul cuore, faccio un sospiro che per me dura diversi secondi ma probabilmente è stato un istante. "Davvero? Lei non sa che bella notizia mi sta dando!"
Forse è vero, non lo sa davvero. Immagino le sue giornate a recitare facce tristi o esclamazioni felici a seconda delle pazienti e degli istologici ma in quel momento, seppur inconsapevole di averlo fatto, mi aveva ridato i 10 anni che avevo perso in questi mesi.

"Deve solo fare i controlli mammografici annuali, questa è la copia del suo istologico"

Gli dico che dalla sala medicazione mi hanno consigliato di fargli vedere la mia ferita, che ancora non è guarita.
"Si sdrai"
L'infermiera mi spacchetta il seno, do' un occhio anche io e in effetti la vedo molto migliorata. Ha l'aspetto e le dimensioni della Grande Macchia Rossa di Giove ma per lo meno non sanguina. Vedo che è meno rossa delle altre volte e anche il medico mi conferma che è una bella ferita (sulla definizione del concetto di "bello" abbiamo pareri discordanti, ma non mi metto a discutere con lui). Mi dice che vanno bene le fitostimoline, non devo usare più AquaCell, posso medicarmi da casa senza stare a venire in ospedale. "Fino a che non si forma la crosta?"
"Esatto"
"Ah, senta posso smettere di usare questi reggiseni sportivi che non li sopporto più e mi schiacciano tutta?"
"Bhe, se avesse 5 chili di roba le direi di continuare a metterli, ma direi che può farne a meno"

Esco con le lacrime agli occhi, incredibile. Penso che sia davvero incredibile. Mi guardo attorno attendendo le cavallette e la luna rosso sangue, come minimo. Ma niente, c'è un bel sole.

Scrivo a chi sapeva dell'intervento, scrivo a chi sapeva dell'istologico e a chi non sapeva. Scrivo al mio amico Ninja e gli chiedo se è in libreria. Lo vado a trovare, mi scrive "Così piangiamo insieme".
Lo abbraccio forte, lui sta ancora combattendo e le conseguenze del suo devastante intervento si fanno ancora sentire. Si sfoga, lo ascolto, gioisce con me e ci salutiamo, dopo esserci raccontati un po' del nostro gossip.



Sono passati alcuni giorni ma a scrivere queste cose ho ancora un po' i lacrimoni. Non mi sembra vero ma sono comunque felice di essermi preparata al peggio. Che le belle sorprese sono sempre le migliori.

Il pomeriggio ve lo scriverò con calma, perché ho conosciuto una persona davvero speciale e non voglio che le venga rubato spazio. Perché è giusto che una giornata così bella si concludesse con una bella persona.

24 marzo 2018

Dissociazione cognitiva

La mia ferita non poteva aspettare e sabato 17 era nuovamente piena di siero. Ma sabato il reparto è chiuso.
Avevo già chiamato il giorno prima per qualche gocciolina sospetta ma mi avevano detto di non preoccuparmi, qualche gocciolina è normale.

Sabato non sapevo cosa fare, ma non volevo andare al pronto soccorso, temevo facessero peggio. Così sono andata in farmacia a comprare dei cerottoni per rimedicarmi, ovvero togliere il cerottone garza sopra, lasciando gli sterilstrip sotto, e rimettere un altro cerottone.
Lunedì sono tornata, stessa scena della volta scorsa, l'infermiera chiama una dottoressa perché una volta spacchettata, nella zona in cui prima c'era una crosta abbastanza spessa c'è una sorta di liquido giallo verdastro che a una prima occhiata sembra pus.
La dottoressa dice di non preoccuparmi, a volte succede, è fibrina e viene prodotta per riparare i tessuti ma impedisce la cicatrizzazione, bisogna toglierla.
Prende un bisturi, una pinza e armeggia. Sento tirare e non troppo dolore ma quando la leva rimane un buco. Profondo.

Da sdraiata non riesco a vederne la profondità ma i margini non sono belli. Sarà un ovale lungo due cm e largo un cm. Mi richiude con gli sterilstrip e mi impacchetta esattamente come il dopo intervento.
Chiedo della cicatrice, se rimarrà brutta "Ma no, usiamo apposta gli sterilstrip che chiudono bene i margini della ferita, purtroppo a volte accade. Ha mai avuto problemi con i punti?"
No mai avuti, e sono stata tagliata tante volte.

Dovrò tornare giovedì 22 come stabilito.

Torno giovedì che il pacchettone fatto dalla dottoressa era quasi tutto scollato, ma l'ho riparato alla meno peggio con un rotolo di cerotto trovato in casa e col seno compresso da un reggiseno sportivo. Così mi hanno consigliato.

Le solite domande: chi l'ha operata, quando, ecc ecc

Faccio notare che è rimasto un punto ed è strano, sono punti riassorbibili, così decide di toglierlo, però nel momento in cui lo tira via, parte del filo che riconduce a quel punto è interno e tirando viene in su un pezzo di carne del "dentro" la tetta. Meno male solo sdraiata. "Non guardi!".

Chiama un medico esclamando "so già cosa fare!".

Il buco è sempre lì. Se la ferita fosse a sinistra potrei dire che è il mio cuore che sta sanguinando e potrebbe non essere sbagliata come affermazione, ma è a destra. Mai una gioia.

Arriva il medico, lei dice "Con un'altra signora che aveva la stessa cosa ho usato le fitostimoline, ci vuole un mesetto ma si sistema"

"Non mi mettete gli sterilstrip?"

"No signora" dice il medico "la ferita deve guarire in profondità. Se lo chiudiamo ora, si riparano i margini ma sotto resta aperta. Deve venire in su".

Che cosa intenda con quel Deve venire in su è tutto un programma. Ma ho già le lacrime agli occhi. Senza che possa dire niente incalza "Purtroppo rimarrà una brutta cicatrice".

"Che fortuna eh?"

"Io preferisco essere chiaro con le pazienti, purtroppo sarà evidente"

Ormai ho gli occhi pieni di lacrime ma cerco di trattenermi come meglio posso. L'infermiera mi dice che molto dipende dal trattamento che farò dopo.

Mi dice che per questo tipo di medicazione dovrò essere in ospedale due mattine a settimana quindi mi ridà appuntamento per lunedì e giovedì.
Esco e resto seduta ancora un po' in sala d'attesa, che poi non è una sala d'attesa, è solo il corridoio davanti alla porta, a testa bassa.

Esco dal reparto a testa bassa, prendo il bus e ho gli occhi ancora gonfi di lacrime che però tengo, come un segreto che però faccio fatica a non rivelare.

Arrivo a casa di G e piango, piango di un pianto che non mi capitava da quando ero piccola. Piango e non riesco a smettere. Mi prepara un the e due muffins e guardiamo "Hot shots 2".
È una riparazione momentanea ma funziona, riesco ad andare al lavoro nel pomeriggio.

E lo so cosa pensate, è solo estetica. Ma non è una questione di estetica, è una questione di integrità fisica. Non riesco a fare in tempo ad accettare un piccolo problema che se ne presenta un altro. Avete presente quando in un film un uomo è a terra perché gli hanno appena sparato? Ecco, a fatica cerca di rialzarsi ma il cattivone gli spara di nuovo. Cade nuovamente ma non si perde d'animo, a fatica cerca di sollevarsi sulle braccia per strisciare, ma un altro colpo lo stende di nuovo.
Mi sento come sotto una raffica di piccoli proiettili (e deve ancora arrivare l'istologico).

Oggi vado a Genova, è una piccola gita di un giorno ma ho bisogno di staccare dalla mia stanza. Ho degli amici dolcissimi che vorrebbero starmi molto vicino ma per il carattere di merda che ho, questa vicinanza ha il risultato opposto di farmi sentire soffocata.

Così mi isolo ma consapevolmente, sapendo che ben presto anche loro si stancheranno di questo mio atteggiamento. La verità è che di solito sono più brava con queste cose, ma sono anche un po' stanca.
E in tutto questo mi sono innamorata proprio di una persona di cui non avrei dovuto.

15 marzo 2018

Il mio siero (della rottura di cazzo)

Qualche giorno fa al mattino, al centro dello sterno, ho visto delle goccioline di non so cosa.
Su internet pare che a volte si formi del siero sotto la ferita ed è assolutamente normale: quello che non mi è parso normale è stato svegliarsi ieri mattina con la garza completamente impregnata di questo siero.
Così ho chiamato l'ospedale e mi hanno detto di andare.

La ferita tralaltro mi pareva ancora aperta, un po' di crosta stava andando via ma sotto sembrava slabbrato, non so come spiegarvi. In ospedale hanno massaggiato fino a fare uscire tutto il siero e in effetti alcune aree che mi parevano più gonfie si sono sgonfiate. I margini della ferita non erano bene adesi, negli strati sottostanti e questo ha creato una sacca di siero. L'apertura poi della ferita creerà una cicatrice più visibile, ha detto l'infermiera.

Dopo avere spurgato tutto ha messo i cerottini sterilstrip per fare aderire meglio i bordi del taglio "Salviamola un po' almeno" e ha messo un cerottone "Non toccare niente e torna giovedì 22 a farti medicare". Mi ha anche consigliato di andare dal medico a farmi prescrivere un antibiotico ad ampio spettro per evitare infezioni.

9 anni fa nulla di tutto questo. In più ieri è morto Stephen Hawking.
In più mi sto reinfilando nel giro dei lavori di merda.

Ne avete altre di cose in serbo per me, per questo 2018? No perché eh? Mi sono già rotta le balle e siamo solo a marzo.


09 marzo 2018

Axolotl

Il mio amico Ninja sta bene, nonostante tutto, nonostante tutti i dolori si sta riprendendo. L'unica sua preoccupazione è stata spazzata via, e io sono felice per lui.
Per quanto riguarda il mio seno, mi sento un po' come l'Axolotl: sembra si stia rigenerando. Rispetto a quando sono tornata a casa lo vedo più rimpolpato (ma può essere semplicemente più gonfio perché sta guarendo, chissà).

Poiché volevo sentirmi più bella, ieri sono andata a fare shopping vestiario. Ho preso anche cose che non mi convincevano un granché ma che mi stavano bene. Ho speso i miei ultimi soldi ma forse ne è valsa la pena. Lo psicoterapeuta mi sarebbe costato di più.

Massaggiare il seno fa male in questi giorni. È vero che il chirurgo mi ha detto che "deve fare male" ma l'altroieri ho visto le stelle per tutto il giorno.

Massaggio e penso ad altro, massaggio e stringo la pancia con le unghie, massaggio e penso che a breve guarirà, massaggio e penso che più mi faccio male ora e meno si vedrà la cicatrice dopo.

Comincia a scaldarsi l'aria, la natura si sta risvegliando.

E io? In fase di dormienza. Comincio a sentirmi un po' sola, ma forse l'ho già scritto da qualche parte.

02 marzo 2018

Prima medicazione

Caro Blog,
oggi sono andata al Sant'Anna a fare la mia medicazione. Seconda e ultima a quanto pare. I punti sono riassorbibili e non devo tornare a farmeli togliere. Il chirurgo mi ha detto che posso lavarmi, che posso già massaggiare la zona con una crema ma anche con dell'olio d'oliva: come tradizione vuole ho ricomprato il costosissimo olio di Rosa Mosqueta.
Dice il medico devo massaggiare spingendo bene, devo sentire male, devo muovere la cicatrice all'interno. Ci ho provato mio caro Blog, ma non sono più la stessa persona di 9 anni fa, evidentemente. La ferita mi fa impressione, il dolore mi blocca e guardarmi allo specchio, così, quasi dimezzata non mi fa bene.
Ho chiesto al chirurgo se potevo mettermi una protesi ma me lo ha vivamente sconsigliato. Se già ora per ogni nodulo mi fanno fare una biopsia, con una protesi di mezzo potrebbero non capirci nulla e vedere cose che non ci sono.
Sono un po' triste, caro Blog. Temo di avere fatto la scelta sbagliata operandomi. Forse potevo, e dico forse, aspettare. Magari non era niente. Ma non posso non pensare alla signora che dopo un anno si era trovata un cancro metastasizzato. Ora però il mio seno destro è la metà di quello sinistro e si vede tantissimo, e ora è anche un po' gonfio per l'intervento: tra qualche settimana sarà ancora più piccolo.

Mio caro Blog, cosa si può fare in questo caso?

Oggi sono stata a trovare A, il mio amico di chemio. In ospedale.
Invidioso del mio intervento ha deciso di farsi operare anche lui, per la decima volta.

Lo abbraccio, e penso che la vita a volte è un po' ingiusta. Vivi, sì, ma sempre in bilico: non abbiamo mai avuto la fortuna di conoscere la salute per troppo tempo di seguito.

Gli ho portato un peluche che mi aveva regalato Alelè, un mio grandissimo amico delle superiori che era venuto a trovarmi a 16 anni in ospedale.
Quel peluche, a forma di scimmietta e con il cappellino da esploratore, mi ha seguito in tutte le case in cui ho vissuto. È venuto a Firenze, a Bologna, a Cömo.

Mi dicono di non abbattermi ma forse ho un'unica fortuna: essendo sola posso finalmente piangere quanto voglio.

Caro Blog, non ho espresso tante volte il desiderio di potermi finalmente sfogare? Il 2018 non voleva essere l'anno del mio egoismo? Ecco, ora posso fare ciò che voglio di me stessa.
Perché non devo proteggere nessuno.

28 febbraio 2018

La solitudine dell'intervento

Il 26/2 è il giorno X.
Sveglia presto, in ospedale alle 6.45, calze antitrombo (di nome e di fatto) già indossate. Doccia fatta, ansia non troppa ma il giusto.
Dormito via da casa, nella stessa presa per la scorsa data, proprietario un hippie insegnante di yoga che, venuto a conoscenza della mia storia, ha cercato di parlarmi di varie terapie alternative.
Io, che sono brava a gestirmi da sola, per fortuna non ero da sola: questa volta (come per la scorsa data) una persona mi ha tenuto gli artigli.
Però questa volta non c'è l'influenza ad allontanare la paura dell'eventuale intervento, così una volta fatto (di nuovo) il prelievo io e altre 3 donnine siamo spedite a fare il reperaggio, dopo averci dato la stanza (sono in stanza da sola, almeno quello).

Il posizionamento in repere 9 anni fa era una iniezione di carbone vegetale che colora la parte da togliere ma a quanto pare questa volta sarebbe stato un gancio metallico infilato nella zona da asportare. Era stato questo esame che solo 10 giorni prima aveva bloccato il tutto. Stavo andando con l'infermiera a fare il reperaggio quando le ho chiesto un fazzolettino e le ho detto che non mi sentivo molto bene. Così ha chiesto la visita dell'anestesista in quanto lasciami un ago dentro senza sapere quando sarebbe stato fatto l'intervento (in caso avessero deciso di non farlo) non sarebbe stata un'ottima idea. Potete immaginare lo stato d'animo di farmi infilare una cosa del genere dentro il seno, ma comunque attendiamo, e sono l'ultima. Per complicare il tutto ho anche le mie cose, ovviamente.

Quando mi chiamano ero andata un attimo in bagno e tornata, colui che chiamerò il marito perché così è stato definito dagli infermieri, mi dice di andare in sala ecografica 1 dove però mi dicono di attendere fuori.

Il repere per me, per fortuna, sarà solo un segno di pennarello e non ci sarà nessun ago uncinato perché, dice il santo medico, non è necessario.

Attendiamo l'infermiera che ci riporti in reparto e una volta in stanza, nell'attendere la chiamata per la sala operatoria ci appisoliamo. È previsto gran freddo, fuori.

Il marito si informa sugli orari, pare che siano in ritardo in sala operatoria e che il mio intervento era previsto per le 12 ma andrò su alle 13 passate. Infatti poco dopo le 13 una corpulenta infermiera mi fa togliere il mio pigiama trendy composto da camicione verde a quadri e pantaloni a righe rosse e bianche per mettermi il camicione blu da intervento, aperto sul retro. "Deve togliersi anche le mutande" - "Ma ho le mie cose".
Mugugna qualcosa di incomprensibile ma me le lascia tenere addosso. Ci avventuriamo a piedi per la sala operatoria che credo sia al terzo piano. Le chiedo quanto durerà l'intervento e mi dice circa 3 ore. Sono preoccupata per il marito, sapeva circa un'oretta e non posso nemmeno avvisarlo.

Le pareti sono arancioni. Non devono avere fatto un grosso studio sui colori, l'arancione non è un colore tranquillizzante. Arrivo a quello che sembra essere un grosso gabbiotto di una biglietteria, senza il vetro a separare le due zone ma con una sorta di lettino abbassabile a piacimento di colore azzurro.
"Ha tolto le mutande?"
"No, ho le mie cose"
"Le deve togliere comunque"
Le sfilo da sotto il camicione e piego l'assorbente affinché non si veda. L'infermiera corpulenta di cui capisco una parola ogni due le mette in un sacco trasparente in cui c'è anche quella che doveva essere una vestaglia ma è un maglione aperto sul davanti. Posizionano una traversina sul lettino e lo abbassano affinché io mi ci possa sedere e da lì mi fanno passare su una barella, mi mettono la cuffietta per i capelli e mentre mi trasportano via sento che dicono che mi tocca la sala operatoria numero 5.
Prima però mi parcheggiano in una sorta di zona franca che conoscerò anche nel post operatorio. Alla mia sinistra c'è una fanciulla con una flebo che sembra dormire. Rimango lì un po', cercando di non pensare e sonnecchiando, finché un giovane infermiere o anestesista, non ho idea, in camice verde arriva per mettermi la cannula.
"Dove devi essere operata?"
"Seno destro"
"Allora devo mettere la cannula al braccio sinistro"
Non prova nemmeno a vedere nell'incavo del gomito perché, dice, potrebbe essere scomodo e potrei non piegare bene il braccio. Individua, poco sopra il polso, una vena che dice però "non capisco dove vada". "Faccia un bel respiro" - e mi infilza. Ma respirare è servito anche se poi maneggia l'ago e mi fa male.
"È andata?"
"No, si è rotta"
Sospiro.
Guarda nell'altro braccio ma arriva quello che invece potrebbe essere l'anestesista che dice "Non lì, deve essere operata da quel lato"
"Eh, ma non ha vene"
Torna al braccio sinistro.
"Proviamo sulla mano, è un po' fastidioso ma non abbiamo scelta, ti metto la cannula più piccola che abbiamo, se non va chiamo l'anestesista"
Infila, maneggia e sembra andare. Mi attacca a una flebo.

Mi trasportano in sala operatoria, dove mi mettono un pannolone ("Sollevi il sedere") e posizionano entrambe le braccia su due braccioli laterali per cui assumo la posizione comodissima da crocefissa. Apparecchio per la pressione su una caviglia, pulsossimetro sull'indice destro. Ho freddo ma sono anche agitata e comincio a tremare come una foglia.
L'infermiere giovane dice che mi mettono un bocchettone dell'aria calda per scaldarmi e mi chiede di cosa ho paura.
Ma le paure non sono per la maggior parte irrazionali?
Scherzo con loro dicendo che attendo con ansia le droghe legali che mi inietteranno.

"Coluccia c'è?" chiede qualcuno.
"Non l'ho ancora visto" risponde qualcun altro.
Ma all'improvviso compare. "Come mai siamo in ritardo sulla tabella di marcia, oggi?"
"Una signora doveva operarsi ma l'hanno riportata in stanza"
"Come va?" mi chiede
"Potrebbe andare in un altro milione di modi meglio, ma via, facciamolo..."

L'anestesista mi inietta un liquido giallo fosforescente e mi dice "Ora le girerà la testa"
"Come dopo una sbronza?"
"Esatto"
In effetti gira tutto ma senza la nausea della sbronza. Mi mettono una mascherina "È ossigeno, faccia respiri profondi, ecco brava, così, bravissima..."

Mi sveglio da un sogno che non ricordo, nella stessa stanza in cui mi trovavo prima della sala operatoria, tossisco.
"Ora la riportiamo in stanza, è normale se sente un po' di mal di gola"
Penso all'intubazione.
Il seno destro mi fa molto male, mi pizzico la pelle della pancia con la mano destra sperando di prestare meno attenzione al dolore. Resisto per un po' ma poi lo verbalizzo e mi dicono che mi stanno già facendo l'antidolorifico (contramal, famiglia degli oppiacei). Mi riportano in barella allo sportello iniziale dove il lettino che separa quelle due metà di mondo è in realtà anche un rullo per cui vengo letteralmente fatta scivolare su una barella dall'altro lato dove un infermiere mi dice che il marito è preoccupato. Non dico nulla perché mi diverte un po' l'idea e lo trovo ad aspettarmi all'inizio del corridoio. "Ecco il marito" esclama l'infermiere, "non che io sappia" esclama il marito ma l'infermiere non lo sente, tant'è che oggi lo stesso infermiere mi dice "Allora, viene il marito a prenderla?".

Mi rimettono sul letto sollevandomi con il lenzuolo, mi tolgono il pannolone e mi infilano le mutande e questa impotenza è detestabile. "Non muova assolutamente il braccio destro"
Anche se poi un'infermiera mi dice che "devo assolutamente muoverlo se no si gonfia".

Sono ormai le 17, pare che io non possa né mangiare né bere per altre 4 ore. Aspetto che il marito vada via per chiamare l'infermiera e fare la pipì nella padella.

Alla sera in effetti mi portano un po' di the con fette biscottate che mangio volentieri, dopo aver sbranato il bacio perugina del marito.

Passa il medico a visitarmi e poi il dott. Coluccia (in abiti civili, senza camice) che mi dice che ci vedremo venerdì per la medicazione e tasta la ferita.
Gli antidolorifici mi impediscono di tenere gli occhi aperti per più di qualche decina di minuti, così ogni tot crollo in un sonno profondo della durata di circa un'ora o due e poi mi sveglio. Al mattino sono riposatissima e contenta, perché vado a casa.

Arriva nel frattempo una signora anziana, compagna di stanza, che deve fare una nuova procedura che si chiama "elettrochemioterapia". Mi mostra il seno che le hanno asportato e racconta dei suoi 5 anni di chemio.

Mi torna in mente quando volevo fare la volontaria in reparto di oncologia all'ospedale infantile Regina Margherita e mi dissero che gli ex pazienti non possono fare i volontari in reparto e ora capisco perché. Ci vuole una certa delicatezza ad approcciarsi agli altri malati, soprattutto se il male è simile, e vedere quella cicatrice e sentire quella storia non mi ha fatto bene.

Quando mi chiamano per le dimissioni in sala d'attesa c'è con me una signora con i capelli scuri che è stata operata il giorno prima insieme a me. Le chiedo informazioni e mi racconta la sua storia.
11 anni prima dopo una mammografia le trovarono qualcosa ma il medico le disse di stare tranquilla che era solo una ciste e di fare la mammografia l'anno successivo. L'anno dopo videro che era in realtà un tumore che si era metastasizzato e le hanno dovuto togliere tutto il seno e fare la chemio, e ora c'è un nuovo nodulino da esaminare. Non so se è stato questo racconto o cosa, comincia a girarmi la testa. Quando vado in sala visite comincio a vedere i famosi pallini bianchi e dopo la medicazione comincio a sudare e ad agitarmi, dico che non sto bene. Mi misurano la pressione ed è 80-50, mi riattaccano una flebo alla cannula che per fortuna non mi hanno ancora tolto e mi riportano in stanza.

Intanto Lys era venuta a prendermi e resta lì con me aiutandomi a mangiare, mi coccola, mi apre le confezioni di cibo che non riesco ad aprire, mi porta la sua copertina.

Passo quindi un altro giorno in ospedale, con la signora chiacchierona accanto e io che penso al mio seno che al tatto, nonostante la medicazione faccia volume, sembra così piccolo da non esserci quasi più. E penso al lungo percorso che dovrò fare per l'accettazione del mio corpo, penso alla rabbia che provo e alla tristezza nel tornare a casa, circondata sì da amici incredibili che mi dimostrano un affetto senza pari, ma sostanzialmente sola.

In più dovrei cominciare a fare uno stupido lavoro e l'unica cosa che vorrei è invece arrotolarmi nelle coperte calde e dimenticare ogni cosa.

Purtroppo piangersi addosso non serve a nulla, altrimenti ora sarei piena di risorse, quindi si volta pagina, in tutto, e si va avanti.