18 novembre 2020

Cuor di cervello tenebroso

Mi sveglio con questa strana sensazione che provo da giorni. Non è un mal di testa, ma non riesco a spiegarlo altrimenti come una sorta di prurito in un punto preciso del mio emisfero cerebrale sinistro.

Un prurito intracranico. 

Non so come alleviarlo. Apro gli occhi: dal letto a soppalco vedo l'ombra scura di C girato di spalle. La luce dei lampioni che entra dalla finestra disegna strane fantasie sui muri, amplificate dalla tenda 

Massaggio il cuoio capelluto sperando di sentire meno fastidio. Ed ecco che arriva l'altro problema. Sembrano alternarsi. È come se una bestia strisciante si facesse largo tra i miei capelli sul retro della testa. I capelli si spostano, pochi, la sensazione è quella. Come un dito che passa accanto alla radice dei capelli.

Forse è mattino, forse tra poco suona la sveglia, ma sono le due. 

Ho appena fatto un sogno strano, ma nel mio caso è uno dei miei soliti sogni.

Nella notte (e "col favore delle tenebre") le persone scappano dalla pandemia. Gli spettacoli che includono persone sono vietati e così vengono organizzati spettacoli clandestini con marionette e burattini. Tinder non permette più di incontrarsi, è ormai un altro tabù. Ma le persone riescono comunque ad accedere a questi spettacoli per adulti e a far incontrare il proprio pupazzo (anche piccolo pochi cm) con un altro. Le riproduzioni in miniatura dei palazzi al cui interno avvengono gli incontri lasciano poco spazio all'immaginazione. All'interno delle stanze la luce accarezza i vetri delle finestre, le ombre sono più che esplicite. 


via GIPHY


Il prurito all'interno del cranio prosegue e con esso, la sensazione sul cuoio capelluto della bestia strisciante.

Non riesco a prendere sonno e la mente vaga.

Forse ho uno di quei parassiti del cervello, magari ho mangiato qualcosa che non dovevo. Sushi? No, è un millennio che non lo mangio.

La carne di pollo era abbastanza cotta? Sì, ma anche fosse...

Forse è un tumore, cominciano così, magari fa pressione all'interno del cranio.

Oppure è un ictus che arriva.




Mi giro verso il muro. 

Ci sono, è colpa delle onde elettromagnetiche, questo sibilo continuo che sento quando il telefono è sotto carica, è lui, sicuramente è lui.

Stacco la spina e il sibilo smette. Forte della convinzione di avere estirpato la causa di ogni mio male, mi riaddormento. Nonostante l'evidente delirio da dormiveglia e la mia stranissima lucidità (per un istante, uno di quei rarissimi casi in cui tutto è limpido e chiaro) mi addormento di nuovo.

Il fastidio è cessato, per ora. Altri sogni strani mi daranno motivo di pensare.

Il mio cervello è salvo.

24 agosto 2020

La ricerca del brambonodonte

Fin da piccini ci dicono tutti chi siamo e a cosa dobbiamo aspirare: cosa studiare ma anche se studiare, come organizzarci la vita, come reagire alle difficoltà, che partner scegliere ma soprattutto ci ricordano tutti - dalla famiglia alla società - che dobbiamo essere felici.

Non ce ne rendiamo conto ma ogni giorno, da quando nasciamo a quando moriamo, riceviamo una serie di consigli inutili. Le nostre famiglie sono un esempio concreto, magari la cosa non viene verbalizzata ma resta comunque un sottinteso continuo. Devi diplomarti, fare figli, sposarti, realizzarti, trovare un lavoro che ti piace.

Riceviamo spesso messaggi contrastanti, come ad esempio: sposarti va bene ma il più tardi possibile, figli sì ma prima goditi la vita. 

Uno dei messaggi che mi ha sempre lasciato perplessa è Porta a termine le cose. Non penso che la Terra smetterà di girare attorno al proprio asse se comincio mille cose e ne porto a termine mezza, e ci ho messo quasi 40 anni a capirlo. Fino a poco tempo fa cominciare qualcosa era fonte di continuo stress nel drammatico pensiero che avrei deluso qualcuno (ma chi?) per una mia imperdonabile mancanza.

Così con grande fatica ho conquistato qualche attestato che alla fine non mi è servito a nulla in quanto, sia chiaro, la maggior parte dei corsi fatti erano lì per fare qualcosa, più per me che per un possibile spettatore o un eventuale lavoro da prospettarsi in un futuro non troppo remoto.

Ma gli spettatori ci sono sempre, pronti a giudicarti, così mi sono sentita in dovere di finire il mio corso Java (eh dai ormai sei arrivata fin lì), di portare a termine la scuola di fotografia (eh dai ci hai speso tanti soldi).

E la cosa che più di tutte mi ha lasciata un tantino perplessa è la ricerca della felicità. 

La felicità riempie più bocche di quante ne faccia il coronavirus in tempo di pandemia, ed è tutto un dire.

Trova un lavoro che ti renda felice, un partner con cui sei felice, aspira alla felicità.

Il problema è che nessuno ti spiega mai cosa sia la felicità.

Per quanto mi riguarda la vita è un susseguirsi di scazzi (della giornata o del periodo: io vivo ogni giorno circa 5-6 scazzi e ho almeno un paio di scazzi fissi a periodo) intervallati da piccoli momenti di gioia che non hanno però l'estasi sublime di quella che dovrebbe essere meno effimera, proprio lei, la felicità. Ma il cercare qualcosa che non si sa come è fatta porta a enormi frustrazioni. Provate a sostituire il termine felicità con una parola che non ha senso, ad esempio brambonodonte. 

Immaginate che ogni volta che qualcuno vi ricordi di essere felici vi stia in realtà dicendo di essere brambonodonti.

Trova un lavoro che ti renda brambonodonte, un partner con cui sei brambonodonte, aspira al brambonodonte.

Ma come cazzo sarà fatto mai un brambonodonte? Posso immaginarlo, ma nessuno può dirmelo, o disegnarmelo. Se posso immaginarmelo ma non ho idea di come sia, come faccio a sapere quando lo incontro?

Quindi da oggi faccio lo sciopero della felicità, non me ne frega più una sega, lascio che la vita mi scorra addosso senza particolari aspettative.

Mi gestisco gli scazzi, le mie preoccupazioni, le mie visite (che tanto se dici alle persone che non hanno mai avuto un cazzo nella vita che ti tocca la seconda colposcopia in due anni, visti i pregressi personali e familiari, loro matematicamente ti diranno di non preoccuparti che non è un cazzo, certo, come non era un cazzo la prima, la seconda e la terza volta), il lavoro, la vita sentimentale, i fallimenti.

Da bravo lepidottero regredito a bruco mi concedo un ulteriore passo, quello di mutarmi in crisalide. In perenne attesa di una cosa che non può essere soddisfatta, nel fermarsi del tempo che nulla concede e nulla toglie. Attraverso la sottile parete che mi separa dal mondo posso sentire ogni cosa ma nulla mi tange, nulla mi turba.

In questo stato e senza alcuna emozione, voglio astenermi dal tempo, dallo spazio, restare immobile. E nulla potrà più scalfirmi.

19 giugno 2020

Il dolce Stilnox

(tempo di lettura: 4 minuti)

Ricevo una email da un medico.
In allegato, la ricetta per un farmaco.
C'è il nome nell'intestazione, ma non sono io. L'anno di nascita è diverso, la residenza, insomma una mia povera omonima sta aspettando la ricetta di questo farmaco ma non l'avrà mai.
In calce un avviso scritto in maiuscolo: QUESTO MESSAGGIO E' INTESO PER I SOLI INTERESSATI E CONTIENE INFORMAZIONI CONFIDENZIALI E SENSIBILI; SE RICEVUTO PER ERRORE, SI PREGA DI AVVISARE IMMEDIATAMENTE IL MITTENTE E CANCELLARE IL MESSAGGIO SENZA TRATTENERNE COPIA. GRAZIE.

Rispondo: Buongiorno, si tratta di un errore di omonimia. Il mio codice fiscale è diverso e non uso il farmaco della ricetta

Buona giornata


Qualche ora dopo mi viene inoltrata nuovamente la stessa ricetta.
Rispondo: Buonasera. Sono sempre la Colombo Carla sbagliata. Si faccia dare l'indirizzo email corretto, probabilmente nome e cognome sono invertiti o c'è qualche numero in fondo alla user

Buona giornata 


Passano due settimane tranquille, ricevuto due email dallo stesso medico con ricette per due farmaci diversi.
Lo chiamo. Non risponde.
Lo chiamo il giorno dopo. Risponde la segreteria telefonica in cui mi comunicano che sono chiusi e di chiamare negli orari indicati.
Chiamo negli orari indicati. Non risponde.

Mentre decido il da farsi per la mia omonima che sta aspettando questi farmaci importanti devo affrontare un nuovo piccolo trauma: il mio medico è cambiato.

Lo aggiungo ai piccoli microtraumi già affrontati e mal superati in passato, e racconto un breve sunto di questa piccola avventura.

Ho 16 anni e il mio tumore è tornato, che sfiga. Ma ho la fortuna di essere ancora seguita dall'ospedale pediatrico. Le pareti azzurre, il personale gentile, nessun vecchio che scatarra in giro. Nella sfiga sono relativamente fortunata.
Quando ho qualsiasi problema di qualsiasi tipo chiedo ai miei medici, mi trovano sempre uno specialista pronto a torturarmi per capire cosa c'è che non va.

Pochi mesi prima della mia ricaduta un mio caro amico si ammala di una roba simile alla mia, un po' più merdosa però. Lui finisce dritto all'ospedale dei vecchi.
Lo vado a trovare, pieno di vecchi, per l'appunto, pareti gialle (non si capisce se ingiallite o dipinte in quel modo), medici e infermieri che se hai culo becchi quello gentile.

A seguito del mio rientro in ospedale ce la meniamo.
"Nel mio ci sono le pareti azzurre e ci vengono i clown (bhe io i clown li odio, proprio per questa ragione ma se ne parlerà in un altro momento)"
"Nel mio ci sono specialisti affermati"
"Bhe io ho una stanza tutta mia e tv con videoregistratore"
"Dai, solo perché stanno ristrutturando oncologia e dato che sei una delle pazienti più grandi ti hanno spedito al reparto isolamento"
E via così.

Accadono cose che mi fanno vincere a tavolino.
Prima dell'intervento per errore, al mattino, gli danno la colazione. Non potendo fargli l'anestesia totale, decidono di procedere per la locale, anestetizzando strato dopo strato mentre procedono. Una brutta cicatrice, a quanto pare.
Vero, anche io sono stata aperta dove non dovevo, ma avevo già una cicatrice sotto, fatta 3 anni prima, per cui non lo considero un grave danno.

In più mentre gli mettono una flebo, il tubicino cade, e senza disinfettare il gommino dentro cui avrebbero inserito il farmaco con la siringa, procedono lo stesso.

Lo sfanculizzo "Vedi in che ospedale di merda sei finito?".
Ride.

Arrivano i 18 anni, cominciano a vedere che la mia tiroide da' di matto, mi programmano altre analisi, comincia la mia neverending story con l'Eutirox, mi stringono la mano e annunciano "È ora di passarti al nomeospedalepervecchi". È così ingiusto crescere.
Primo trauma.

L'endocrinologo da cui vengo spedita è guardato con sospetto per i primi 3 anni. In verità fa un lavoro figo, segue le persone che hanno avuto un tumore in età pediatrica per tutta la vita. Mi sento quasi importante, i miei dati potranno servire per risistemare terapie e tossicità ai piccoli pazienti del futuro, dimenticandomi che già in quegli anni le terapie sono migliorate, la famigerata radioterapia a mantellina è un brutto ricordo dell'era di Chernobyl e molti protocolli sono già cambiati.

Facendo un rapido calcolo ad oggi sono 21 anni che mi segue. Ci vediamo una volta l'anno e ormai mi sono abituata al suo modo di reagire agli eventi "Non vorrei esagerare e farla preoccupare, ma nemmeno che prendesse questa cosa sottogamba".

E penso che lui si sia abituato alle mie dimenticanze di visite, esami vari ("ma la visita dalla senologa non l'ha fatta? E la visita dermatologica? Gli esami del sangue me li invia la settimana prossima?"), ai miei ritardi, ai miei cambiamenti di città ("Dove vive ora?").

Da circa 3 anni mi visita costantemente insieme a un dottorino più giovane (di cui ho forse già parlato). Quando gli mando le email lo inserisce sempre in copia conoscenza e ben presto ha cominciato a rispondere direttamente il dottorino ai miei quesiti.

Ricevo una email qualche giorno fa dal dottorino. Il mio endocrinologo non è in copia. Cattivo segnale.

Sarà andato in pensione senza salutare i suoi pazienti?

È come una separazione non consensuale, dove uno prende armi e bagagli e se ne va e l'altro rimane pensando che 21 anni non sono pochi. Che ora dovrà affrontare questo viaggio merdoso con uno sconosciuto, chi lo dirà ai bambini?
Nessuno pensa mai ai bambini.

Canzone del giorno: Janis Joplin Piece Of My Heart


12 giugno 2020

Il mio sogno lucido

Tempo di lettura: 4 minuti.


Avrei tanto da scrivere sul capitolo sogni, ma rischierei di ripetermi, è un tema che spesso ho affrontato su questo blog.
Ho sempre amato sognare, anche se spesso i miei sogni non sono comuni e, anzi, potrebbero essere tranquillamente delle trame per un film horror. Teste senza faccia, sangue, morti. Più il mondo esterno mi risulta fragile ed effimero, più i sogni mi rivelano difficoltà e sensazione di pericolo. Ma non mi preoccupo, queste cose non mi spaventano affatto. I miei veri incubi riguardano gli abbandoni reali, quando in sogno una persona reale, concreta, che amo, mi ferisce.

Nulla mi fa più male di una situazione in sogno che potrebbe davvero verificarsi nella realtà.

Sono sempre stata abituata a incoraggiare il mio mondo onirico: la mia famiglia (e lo considero un pregio) è ricca di antiche superstizioni a cui non credo ma che adoro, penso che siano il nostro vero legame con qualcosa di molto antico. Così quando da piccola ho visto mia madre incantare il malocchio per la prima volta ho voluto imparare quella formula, in dialetto molisano, difficile per me che non lo parlo.
Quando ho sentito dei simbolismi ricorrenti nei sogni (carne e serpenti: accadrà qualcosa di brutto, il blu è sofferenza) ho cercato sin da subito di cercare ogni simbolo possibile. E ci raccontavamo i sogni, come parte di una vita comune condivisa da cui non volevamo ritrarci.

Naturale era per me anche capire quando mi trovavo in un sogno. Non capitava sempre, ma molto spesso. Fino all'adolescenza riuscivo a dirmi "questo è un sogno" anche se non ero in grado di controllarlo e per disinnescarlo mi bastava chiedermi che ore fossero. Così aprivo gli occhi e mi svegliavo per controllare l'ora.

È per questo che la mia naturale curiosità mi ha portata a cercare di riprendere la lucidità nei sogni.
Non starò a descrivere le miriadi di tecniche che si possono utilizzare, mi basti dire che per capire di sognare è necessario portare nella routine quotidiana, e anche in quella notturna quindi, il dubbio su ciò che ci circonda e i test di realtà.

Secondo quello che potete trovare su internet, ogni ora o simili, è necessario guardarsi intorno e chiedersi se si sta sognando. A questo abbinare quello che viene chiamato un test di realtà.
Il test di realtà può essere cercare di saltare, guardarsi allo specchio, leggere qualcosa, cercare di attraversare una mano con l'altra. Quindi ogni ora circa, mi guardo intorno, mi chiedo se quello è un sogno e mi guardo le mani.

Prima di andare a dormire mi ripeto che nella notte mi accorgerò di essere in un sogno.

I primi giorni non solo non avevo fatto nessun sogno lucido, ma non riuscivo a ricordare nemmeno i sogni "normali", io, che ricordo almeno un sogno a notte.

Ho continuato comunque l'allenamento. Ho pensato: "Se sono riuscita a salire su un cazzo di palo a pole dance, posso fare anche questo".

E in effetti pole dance mi ha insegnato tanto, ma di questo parleremo in un altro momento.

L'altroieri notte mi sveglio durante la notte, mi capita spesso e non ci bado. Chiudo gli occhi e mi sento incredibilmente serena, totalmente lucida. Come se ogni cosa al mondo mi fosse chiara, come se potessi vedere e comprendere ogni cosa sul pianeta. Come se avessi trovato l'Aleph.

Mi trovo nella stessa stanza in cui dormo, ma non c'è il letto a soppalco, sembrano non esserci mobili (armadio o cassettiera). Una figura molto molto alta, che arriva al soffitto, e sproporzionata, con braccia e gambe lunghissime, testa piccola per la statura, caschetto nero, e con il volto non identificabile, è accanto al muro.

Capisco di essere in un sogno. Nel momento in cui lo comprendo comincia a svanire tutto. Ricordo di dover stabilizzare il sogno per evitare che svanisca, quindi giro su me stessa e dico "STABILIZZA". A quanto pare la teoria funziona.
Lei è sempre lì.

Mi avvicino, non ho paura, mi infonde una certa calma. Indossa un vestitino verde, come il mio con i bombi ma senza la stampa dei bombi.

So che devo chiederle chi è, cosa vuole e avrei tante domande. Ma riesco solo a chiederle chi è. Si porta l'indice sulla bocca (o dove avrebbe per lo meno dovuto esserci la bocca) come a dirmi di fare silenzio e mi porge la mano. Gliela prendo e mentre si avvia per portarmi non so dove, mi sveglio.

Ma mi sveglio con serenità, sono contenta, è come se mi fosse stato rivelato un mezzo segreto, come se avessi incontrato una sorta di divinità. Non riesco bene a prendere sonno, quella notte ho fatto altri sogni ma nessuno lucido. Evidentemente sono stata fortunata e mi sono svegliata durante una fase REM, rientrandoci poco dopo.

Continuo l'allenamento e non demordo, il mondo dei miei sogni è intricato e dark, ci sono personaggi inusuali da "Ai confini della realtà", e voglio interagire con loro, osservare meglio le ambientazioni che la mia testa mi propone.

sogno lucido
La figura nel sogno

10 giugno 2020

Minuti scritti - esercizio 4: e se io non fossi io?

Descrivere cosa c'è attorno a me prima come se fossi un bambino di 5 anni, poi come se fossi un monaco medievale catapultato qui dal 13esimo secolo. Dare un titolo a entrambi i racconti (tempo, 15 minuti).
(tempo di lettura: 2 min)

La stanza dei giochi fragili.
Vedo un divano enorme e morbidissimo, ci hanno sicuramente saltato sopra, si vede dalla forma, lo riconosco. Ci sono sedie bianche altissime, vorrei arrampicarmici anche per il tubo arancione di patatine che c'è sul tavolo alto alto. Lì vicino e davanti al divano per saltare c'è un tavolo basso basso, sembra il figlio del tavolo alto alto. La cosa più bella però è la volpe bianca gigante spigolosa, è certamente il guardiano della stanza. Non ha gli occhi ma sembra buona. Se l'accarezzo, morde? E poi attaccate al muro ci sono due chitarre, una grossa grossa più grande di me, l'altra piccola piccola che sembra proprio fatta per me. Davanti alle chitarre e appoggiato a una grossa scatola di legno c'è un dinosauro fatto con i Lego, bellissimo, di quelli che quando vado al negozio di giocattoli mamma e papà non vogliono comprarmi perché dicono che è troppo difficile per me. Davanti al divano e vicino alle chitarre c'è una TV gigante! La stanza è bella, colorata, piena di giocattoli che però ho paura di rompere.

Il piccolo maniero.
Mi portano quindi in questo loco, piccolo e caldo, così caldo che le mie vesti sembrano prendere foco.

Qui presente noto immediatamente una piastra nera di metallo lucido attaccata al muro, fosse stato uno specchio sarebbe stato ben più riflettente quindi non so cosa sia. E una sorta di lunga sedia imbottita come un lungo trono del colore di un cielo piovoso di maggio.
Seduta a terra un animale finto bianco, un cane il quale compito mi è ignoto.

Bottiglie vuote riempite con fili d'argento decorano delle piccole casse di legno che paiono bare.
Che maledizione è questa? Dove sono capitato?
Un macabro teschio d'uccello a ornamento di una delle due bare, pitture strane attaccate alle pareti ma nessun crocifisso a indicare la via. Questo luogo è maledetto, come maledette le finte bestie che mi osservano da ogni angolo. E' questo, dunque, l'inferno?


05 giugno 2020

Sogni

Sogno il mio Poldo, che non sta bene e dobbiamo portarlo continuamente in clinica, sogno il Balôn e sogno che si trova in mezzo a un bosco di città (come potrebbe essere il Treptower Park di Berlino), sogno di andarci con una persona anziana (mio nonno?), sogno di perdermi tra alberi e cianfrusaglie e di essere felice di perdermi, da sola, in quel bosco.
Sogno poi di vivere in una casa diversa da questa, con Cristiano. La coppia di vicini un po' invadenti, lui si chiama Pedro. C'è qualche dettaglio che mi suggerisce che io non viva esattamente lì, proprio come sta capitando adesso. È come se fossi di passaggio perché il nome di lei non lo conosco e mi dico "Se vivessi qui dovrei saperlo". La casa è tutta bianca e sembra non intonacata in quel misto di rustico e moderno. Su un tavolo (oltre ad alcuni libri) è poggiata una Polaroid compatta dentro una custodia pantone color bianco e carta da zucchero. La Polaroid, nella mia memoria da sogno è un parallelepipedo quadrato fatto esattamente come il logo di instagram, penso in quel frangente che ogni tanto ci potrei scattare. Scatto meno con la Polaroid perché la pellicola costa molto, ma se non scatto mai a che mi serve?

polaroid instagram
Polaroid e custodia


28 maggio 2020

C'era una volta, 17 anni fa...

Nel tacito patto che i bipedi sottoscrivono con i loro nuovi amici a più di due zampe vi è una implicita promessa di infinita amicizia. Quello che nessuno sa, però, è che esiste una clausola scritta in piccolo, in piccolissimo: nella maggior parte dei casi purtroppo non può essere così. Loro dovranno andarsene prima lasciandovi soli con un grande vuoto.
Sapevo che sarebbe capitato, 17 anni non sono per tutti e nell'ultima settimana era entrato e uscito dalla clinica diverse volte.
Sono rientrata nell'ex capitale in quei giorni non solo per non mancare a una visita aziendale, organizzata nel bel mezzo di una pandemia, ma anche per poterlo salutare.
Nonostante le visite fossero proibite in clinica causa Covid, per me, arriavata da terre in cui gli spostamenti erano stati vietati in anticipo rispetto alle altre, hanno fatto un'eccezione.
Arrivare in clinica e vederlo magrissimo, immobile e tremante, mi hanno spezzata. Così tanto da farci decidere per un viaggio leggero, per lasciarlo andare.

Ma non bisogna mai sottovalutare la forza di un quadrupede che vuole passare ancora qualche giorno con i suoi amici umani. È per quello che due giorni dopo era non in piedi ma vivace, sveglio, pronto a salutarci e leccarci il naso, le mani, la faccia.

Non c'era bisogno di dirsi nulla. Non avremmo potuto farlo.

La mia partenza era riprogrammata per il giorno successivo e anche il suo rientro a casa. Non ho aspettato, ma ero contenta di averlo salutato, che mi avesse riconosciuto.

Aveva ripreso a mangiare, a camminare e a bere autonomamente.
Prima del crollo.

Speravo mi attendesse ma non è riuscito, aveva già fatto abbastanza in clinica e così, di notte, nel sonno, tra le braccia di una mamma amorevole, è corso via per l'ultima volta. A salutare i suoi simili che hanno affollato casa nostra.

Penso che non avrebbe potuto avere vita e fine migliore. Una vita lunga e felice, passata ad abbaiare, a mangiare buone pappe, amato, andato via tra le braccia di chi lo ha amato in modo viscerale.
E penso che non avremmo potuto avere cane migliore, nel mio caso amico migliore. In tutte le mie vite passate in altri luoghi non mi ha mai rinfacciato nulla, non mi ha mai fatta sentire giudicata, era sempre felice di vedermi.

L'ho vista nascere, quella palla di pelo rugosa con le zampine bianche, e me ne sono subito innamorata.
Nel suo paradiso immagino arrosto come se piovesse, lo adorava, gatti da rincorrere e lucertole da mangiare. E il nostro calore che lo accompagna.

Riesco ancora a sentirlo abbaiare verso di me, con la sua lieve cataratta che gli impedisce di riconoscermi, e passare allo scodinzolamento immediato quando sono a portata di naso. Quando riconosce finalmente il mio odore e mi lecca la mano, e poi il naso. E poi abbaia ancora quando esco dal suo radar olfattivo.

Quel patto è una grande fregatura a pensarci, il vuoto che ti lascia è immensamente grande.
Ma quando penso a quanto ho avuto in cambio non c'è nessun dolore che possa sotterrare la gioia passata insieme.

Chiusa nel mio guscio, perché la sofferenza è un'onda che va cavalcata in solitudine, penso a quante volte nei miei spostamenti mi sia mancato. E quanto la certezza di ritrovarlo abbia influito su tante cose.
Ora che non ho più quella certezza ho il cuore in frantumi.
Addio Poldo, spero che  tu possa essere con Birba a correre incontro a Maya e ad abbaiare a Fiocco e a Briciola.


Disegno di Zion

27 maggio 2020

Minuti scritti - esercizio 3. Che cos'altro può succedere?

Tempo di lettura: 1.33 minuti

Che cosa succederebbe se i denti degli esseri umani cadessero ogni autunno e ricrescessero ogni primavera? Elencate tutte le conseguenze che vi vengono in mente.
  • I dentisti non esisterebbero, basterebbe un medico che curi i sintomi in attesa della primavera successiva.
  • Poche persone userebbero gli spazzolini, forse solo per l'alito ma non per l'igiene dentale.
  • La caduta dei denti dei bambini non sarebbe più festeggiata. Niente più soldi sotto al cuscino.
  • Non potendo contenere la caduta, che avverrebbe in ogni luogo, le strade sarebbero piene di dentini scricchiolanti e invece di organizzare passeggiate nei viali pieni di foglie secche autunnali, ci sarebbero passeggiate dentali, con i denti che scriocchiolano sotto i piedi.
  • Il cibo sarebbe stagionale, solido d'estate e liquido d'inverno.
  • I complottisti, ritenendo questo un complotto dei potenti dei denti, protesterebbero vivamente cercando di incollarsi i denti che cadono.
  • I paradenti non esisterebbero. Molti combattimenti sarebbero programmati solo in inverno.
  • Esisterebbero diversi modelli di dentiere in vendita, dalle extralusso a quelle usa e getta o stagionali per i meno abbienti.
  • Chi non può permetterselo non indosserebbe dentiere, ma potrebbero esistere ospedali o strutture apposite che ne confezionerebbero e "installerebbero".
  • Esisterebbe un esercizio di scrittura intitolato "Che cosa succerebbe se i denti degli esseri umani non cadessero ogni autunno?".
  • Le diete sarebbero obbligatoriamente invernali in quanto difficile ingrassare col cibo liquido. Anzi, l'obesità sarebbe un metro di ricchezza in quanto solo i più abbienti potrebbero permettersi dentiere buone per mangiare cibi solidi.
  • Esisterebbe un mercato di denti caduti "ancora buoni" e la mafia ci sguazzerebbe dentro.
  • Niente più torroni a Natale.
  • Non esisterebbe l'espressione "battere i denti dal freddo" che sarebbe sostituita da "battere le gengive dal freddo" o "tremolìo di dentiere dal freddo".


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Le prime categorie identificate per distinguere tra le diverse attitudini creative sono quattro:
  1. fluidità: quanto si è scritto
  2. flessibilità: la quantità di campi diversi coinvolti nelle risposte
  3. originalità: quante risposte poco ricorrenti sono state date?
  4. elaborazione: quanto dettagliate sono le risposte?

24 maggio 2020

Minuti scritti - esercizio 2. Che cosa vedete quando guardate?

Non ho avuto una famiglia molto affettuosa.
Quando osservo un'immagine in cui è presente del cibo (soprattutto se si evince che è stato cucinato) penso sempre a una coccola. È così che funzionava a casa. Non c'erano abbracci, o baci, o tenerezze, o premure fisiche. Tutto era correlato al cibo. Questa immagine in me evoca non solo l'idea di una famiglia che si prende cura di un pullo fornendogli del cibo in modo meccanico, è una vera e propria coccola.
Mia madre cucinava tanto, e lo fa tuttora.
Se c'è una riunione familiare la tavola è sempre piena di cibi di ogni tipo. C'è la cucina vegetariana per mia sorella che non mangia carne, le patatine fritte per i nipoti, l'arrosto per il genero, bevande di ogni tipo all'occorrenza.
Questa immagine è ciò che non ho mai visto da piccola. A tavola tutti insieme a prenderci cura l'uno dell'altro.
Ma ora, che mio padre non c'è più da tempo e mia mamma continua a cucinare, so che se c'è qualcosa che non va, e senza che lei faccia domande di alcun tipo posso dire ciò che segue sapendo che sarò capita:
"Farai la pizza quando arrivo?".
Posso chiedere una torta, o un piatto particolare, consapevole del fatto che dirà in questo modo che mi vuole bene, anche se non lo abbiamo mai espresso a parole.
Troverò in tavola il suo affetto.

E dell'affettato.


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I bias cognitivi sono meravigliosi, peccato non averlo capito prima. Guardando l'immagine dei genitori di un volatile imboccare un piccolo pullo non ho osservato bene. E mi sono lasciata prendere dal classico stereotipo del prendersi cura dell'altro, della tenerezza riferita a un'immagine che invece non è propriamente tenera.

Guardandola meglio si nota che il pullo è grande quanto i genitori e che ha un piumaggio diverso (cosa normale nei pulli ma qusto sembra un po' cresciuto). È infatti un cuculo, specie parassita che ha ucciso i veri occupanti del nido e si è sostituito a loro, facendosi imboccare fino a che non raggiunge l'età adulta per lasciare il nido.

Sconcertante.

Fonte: https://rivistanatura.com/lopportunismo-del-cuculo-luccello-parassita/ - foto di Maurizio Bonora


10 maggio 2020

Minuti scritti - esercizio 1. Facile come bere un bicchiere d'acqua.

Non è molto difficile. So che non sai cosa è un bicchiere e cosa è l'acqua. Lascia che ti aiuti. Il bicchiere è un contenitore cavo, ha una base circolare, in genere, e si sviluppa in alto come un cilindro cavo ma aperto sul bordo superiore. Il bordo superiore è sottile ma non tagliente. Può essere fatto di materiali diversi, in genere è di ventro ma anche di plastica. Può avere mille forme ma quella descritta è la più comune. Non è molto grande il diametro inferiore  sarà circa una decina di cm o anche meno, e il cilindro è alto anch'esso 10-15 centrimetri. Può essere trasparente o no. L'importante è che sia solido, perché se fosse troppo morbido non potrebbe contenere nulla, e che non si sciolga con i liquidi sempre per il motivo di cui sopra.
L'acqua è un liquido trasparente ed è la base della vita. Serve a dissetarsi. Ora l'acqua la puoi trovare comodamente, basterebbe aprire un rubinetto, che spero tu sappia cosa sia. O se apri il frigo, quell'oggetto enorme parallepipoidale che si trova in ogni cucina e che serve a fare fresco, potrati trovare delle bottiglie di plastica con dentro l'acqua. Le bottiglie sono cilindri (con forma diversa dal bicchiere ma sembrano comunque dei cilindri, possono avere anche base quadrata e non essere lisce) sempre trasparenti con liquido trasparente all'interno. Ecco, quella è acqua. Puoi aprire la bottiglia svitando il tappo (di solito non è trasparente e si trova in alto) e inclinando piano piano la bottiglia affinché il liquido venga versato dentro il bicchiere. Una volta introdotta l'acqua dentro il bicchiere ecco cosa devi fare. L'acqua dovrà arrivare poco più sotto del bordo, direi un paio di centrimetri. A quel punto porti il bicchiere vicino al viso tenendolo sempre in verticale e appoggi il labbro superiore sulla superficie interna del cilindo aperto e quello inferiore sul bordo esterno. Pronto? Bene. Ora inclini piano piano il bicchiere, pianissimo, verso di te, finché l'acqua non sfiora le tue labbra. Piacevole, vero? A quel punto apri leggermente le labbra in modo che il liquido possa scorrere all'interno della tua bocca. È fresco e non ha sapore.
Se hai ancora sete puoi versarti altra acqua nel bicchiere.
Questo è quanto.


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Un appunto aggiuntivo consiste nell'immaginare la scena, a chi ci stiamo rivolgendo? L'ho fatto anche se non si percepisce. Parlo a un alieno, l'esercizio è descrivere un bicchiere d'acqua a chi non sa cosa è un bicchiere e cosa è l'acqua.
Chissà perché ho immaginato un alieno nella mia cucina, volevo che imparasse da sé a versarsi l'acqua e a berla anche se ho dato per scontato che sapesse cosa è un rubinetto ma non avrei avuto molto tempo per descriverlo (avevo in tutto 10 minuti di tempo). Immaginare una scena lascia che tutto venga naturalmente da sé, immaginare chi, dove, cosa, come, quando.
Devo ricordarmelo le prossime volte.

More than a feeling

Non riesco a concentrarmi.
Il mio Poldo non sta bene, era inevitabile. 17 anni e non sentirli, e tutt'a un tratto, sentirli tutti.
I reni che peggiorano, il ricovero giovedì sera con la chiamata della veterinaria che, da quando il nostro veterinario di fiducia ha aperto il suo studio più vicino a casa, segue i nostri cani, ormai il nostro cane. Perché tutti sono passati a miglior vita.
Forse capisco un po' Madre quando dice che non vuole più animali. Sono una delle gioie più grandi ma anche una delle tragedie peggiori quando decidono di abbandonarci. Riceviamo aggiornamenti quotidiani dalla clinica, sta bene, è coccolato, vuole la sua copertina, non mangia se non imboccato.
Poldo, che ho visto nascere. Poldo che ho portato in braccio dal veterinario quando trascinava una delle zampette posteriori e sospettavo (cosa poi confermata) un'ernia del disco. Poldo che ora con la cataratta mi abbaia sempre ma non appena mi avvicino e sente l'odore mi lecca le mani.
Per poterlo salutare, credetemi, ho attraversato un confine e due regioni italiane: in mezzo all'inferno rischiando di non poter né andare da lui, né tornare indietro. E rischiando di non poter più rientrare.
Ma comunque si mettano le cose non potevo permettermi di non salutarlo, so che a lui fottesega, gli animali vivono il presente e probabilmente da bravo cagnolino vorrà andarsene, un giorno, spero ancora più in là di quanto pensi, vorrebbe una situazione tranquilla, in solitudine, senza l'ospedale di mezzo, senza flebo e dottori e senza la nostra presenza.
In un altro post, forse più avanti quando tutto sarà più calmo, racconterò questo incredibile viaggio durato 6 ore, tra esercito, controlli, autocertificazione, mascherina ffp2, guanti, bus, treni (che per pulirli dovrebbero usare il napalm) e una pandemia che non si arresta, non si ferma, e il terrore di non riuscire a tornare, e il terrore di non arrivare.

Ora che sono qui, anche per una visita medica aziendale (nel bel mezzo di una pandemia, oserei dire), penso a come sarebbe bello essere su, in quella casa che sento anche un po' mia, anche con Poldo. Però il Poldo di 10 anni fa aveva quando ancora tutto il pelo fulvo, senza incanutimenti, con quella codina sempre rotta da quando è nato, magari a scarpinare in montagna mentre lui abbaiava a ogni cosa e cercava di catturare le lucertole che puntualmente tentavo di strappargli di bocca. Quelle nanne insieme con lui sempre attaccato. Sul balcone mentre prende il sole fino quasi a cuocersi il cervello.

Quello sguardo sempre felice di vedermi, nessun giudizio, solo affinità.



26 aprile 2020

Apocalipse nau



Penso che questo sia il compleanno più strano mai passato.
Mi sono svegliata col pensiero di avere già 39 anni e di essere chiusa in casa da un tempo indefinito. Da quando hanno deciso di chiudere la Lombardia, quindi verso l'8 marzo, mi sono mossa pochissimo. Forse il brivido di andare a fare la spesa o l'emozione di portare giù la spazzatura.
La mia ultima spesa risale a un paio di giorni fa ma era da più di un mese che non andavamo insieme. Ora vige l'obbligo della mascherina, un carrello a testa anche se si va insieme, la distanza sociale, l'obbligo dei guanti (quelli per prendere la frutta, per intenderci, gentilmente forniti all'ingresso). È una società strana che non riconosco ma alla quale mi sono abituata subito. Non mi pesa stare a casa, non mi pesa lavorare da casa, non mi pesa dover rinunciare ai contatti sociali, all'ora e mezza di bus per andare fisicamente al lavoro. Forse l'unica cosa che un po' mi manca è non poter vedere la mia famiglia, il mio cane, i miei amici. Sono fortunata perché quando tutto è successo ero qui, da Cristiano, e qui sono rimasta. Un po' a fatica perché la mia azienda voleva che rientrassi ma non poteva obbligarmi, in ogni caso non potevo perché Madre ha più di 70 anni e l'avrei messa a rischio. Cristiano mi sta preparando una dolcissima torta, il cuculo canta, i CCR suonano, il sole splende. Forse l'apocalisse non sarà così tremenda.

28 marzo 2020

Sabato

Faccio sogni strani, dicevo.
Sogno di essere in Russia, di finire in un appartamento al quinto o sesto piano e restarne imprigionata. I miei carcerieri non parlano una parola della mia lingua e dal quinto o sesto piano posso scendere solo con ascensore che è rotto. Sono bloccata.

Stamani mi sono riaddormentata sul divano.
Dei bambini vanno a caccia di nazisti, nazisti che li hanno imprigionati e torturati.
Mostrano loro degli scrittoi, con libri su cui hanno segnato le torture a loro impartite. Bambini fuggiti, bambini coraggiosi.

Emicrania.
È sabato.

25 marzo 2020

QuaranTenia

I miei sogni sono diventati molto simili tra loro. C'è una situazione di pericolo e devo portare tutti in salvo. Mi sveglio in una situazione casalinga e tranquilla, in cui la percezione del pericolo è pari a zero, eppure i TG e i giornali (e i social) mi riportano drasticamente alla realtà.
Siamo nel bel mezzo di una pandemia.
La premessa al sogno che ho fatto stanotte in aggiunta al mio solito è che continuo a non volere figli, quindi non preoccupatevi.
Ma sono di essere nel letto in cui dormo in queste notti, accanto a C e che sto partorendo.
Non sento dolore e non vedo cosa accade lì sotto, ma non ricordo la presenza di medici o situazioni ospedaliere. C'è una bella luce, le lenzuola sono candide. Guardo C e dico "Taglia il cordone".
Lui prende le stesse forbici che usiamo per qualsiasi cosa, dal taglio del pacco di pasta al taglio dei negativi in comode strisce da 6 foto.
Mi sveglio.
"Sai, ho sognato che partorivo"
"Ah sì?"

La protezione civile ci invita a non uscire, dalla sua camionetta con megafono incorporato. So che nelle grandi città sono presenti i militari in gran numero che effettuano i dovuti (e doverosi) controlli.

Forse sono fortunata a essere bloccata qui in questo momento, in cui non si sente forte la pressione delle forze dell'ordine (ma soprattutto non si sentono i vicini di casa cantare dai balconi).

Sembra che il tempo sia sospeso e nonostante i miei sogni alla Zombieland (in alcuni qualcuno muore e, come da regia tarantiniana, spruzza sangue ovunque) il bimbo sconosciuto di questa notte è un messaggio rassicurante.

Sarebbe vero se non fossi io, ma il sogno della nascita di un pupo è per me più inquietante di una qualsiasi copia di un horror truculento a base di emergenze sanitarie e incidenti mostruosi.
Questa è la cosa preoccupante.

22 marzo 2020

Cronache dalla zona rossa

Mi sarei immaginata qualsiasi scenario in questa vita, ma mai di vivere nel bel mezzo di una pandemia.
Non immaginate scene alla Sliding doors?
Io sì, cosa sarebbe capitato se, ad esempio, al momento della chiusura della Lombardia io mi fossi trovata a Torino?

Torno un attimo indietro: dato che ho usato spesso questo spazio come diario personale in cui ho scritto davvero di tutto, visite mediche, cose buffe capitate, colloqui di lavoro, racconti, sfoghi, ecc, non posso evitare di scrivere un piccolo appunto su una pandemia.
Sì, una pandemia.

È cominciato tutto verso fine dicembre 2019, credo. Lo spillover, il salto di specie del virus, ora identificato come SARS-CoV-2 (ma più comunemente conosciuto come Coronavirus - termine generico che indica un gruppo di virus a cui appartengono anche il virus del raffreddore e dell'influenza) è partito, pare, dalla città cinese di Wuhan. Molto spesso cominciano così, nei mercati in cui viene venduta e/o consumata carne di animali selvatici. Saranno stati i soliti pipistrelli? I serpenti? Chissà.
Fatto sta che i primi sintomi di un certo tipo di polmonite virale sono stati rinvenuti tra le persone che lavoravano in questi mercati che vendevano carne fresca di bestie selvatiche.

Il virus in breve ha fatto il giro del mondo. La malattia provocata dal virus (Covid-19) è stata presto riscontrata in altre zone del mondo e l'Italia è stata duramente colpita.
La cosa buffa è che ci sentiamo sempre estranei a queste cose, soprattutto perché spesso capitano dall'altra parte del mondo. Penso alla reazione che potrebbe aver avuto un italiano medio di fronte all'epidemia di Ebola avvenuta in Africa credo nel 2014-2015 (Tanto qui non arriverà mai).

La reazione iniziale al Covid-19 è stata più o meno questa: è un influenza, che me frega? Abbiamo continuato tutti a uscire, io stessa, a fare aperitivi con gli amici, a ironizzare e scherzarci su, a bere Corona, a pensare di preparare cartelli con su scritto #guariremotutti.

Presto hanno messo in quarantena piccole realtà in cui nuovi focolai stavano esplodendo. A Codogno (che manco sapevo dove cazzo stava) ad esempio, le strade erano bloccate. Non si entrava né si usciva.

Da qui arriviamo al weekend del 7 marzo. Sarei dovuta tornare a Torino l'8 marzo, domenica, quando sabato sera nella chat di lavoro mi scrivono che la Lombardia verrà chiusa.
Ero (e sono) in Lombardia.

In qualche modo alcuni giornali erano venuti in possesso della bozza del decreto che sarebbe uscito il giorno dopo e, a quanto pare, avevano intenzione di bloccare i movimenti da e verso la Lombardia a meno che non si fosse trattato di rientro al domicilio, di situazioni di lavoro oppure di salute.
Ero stata invitata a partire quella sera stessa ma ho fatto bene a non farlo. In stazione, presi dal panico, si sono riversate migliaia di persone che sono andate ad affollare i treni spargendo l'epidemia un po' ovunque (anche al Sud che fino ad allora era relativamente tranquillo).
Il giorno dopo, a decreto ufficializzato, ho deciso di non rientrare a Torino. Scelta un po' forzata dal fatto che Madre ha più di 70 anni e tornando l'avrei messa a rischio.

Quindi, scuole chiuse fino al 3 aprile e la follia della gente corsa al supermercato a fare incetta di generi alimentari. Seguono a ruota sui vari social le foto degli scaffali vuoti ai supermercati (tranne per le penne lisce, quelle non se l'è inculate nessuno, che cazzo a me piacciono un sacco le penne lisce). Il giorno successivo tutta l'Italia viene chiusa. Nessuno spostamento da e per nessuna località, necessità di autocertificazione per eventuali spostamenti (concessi solo per spesa, emergenze, lavoro e rientro a domicilio). Spesa uno per volta e a distanza di sicurezza di un metro (con code immense fuori dai supermercati per le grandi città). Niente assembramenti. Niente vicinanza. No in macchina in due. Le mascherine sono finite. Controlli a gogò sulle persone in giro. Sanzioni per chi fosse risultato con autocertificazione falsa.

L'apocalisse.

D'improvviso tutti in giro con la mascherina chirurgica (but, i virus hanno bisogno di filtri migliori e quindi non serve a un cazzo. La mascherina protegge dai batteri ma ai virus gli fa un baffo). Qualcuno con i guanti in nitrile.
Un buon romanzo distopico lo avrebbe già predetto (peccato non aver terminato e pubblicato il mio racconto cominciato più di un anno fa in cui parlo di un futuro - immaginario? - in cui non si può uscire di casa se non con la maschera antigas). Il contenimento è attuato, ogni giorno ci viene tolta un po' di libertà individuale (sì, è vero, ma concordo sul fatto che sia necessario). Ovviamente non si può più viaggiare.

Del va e vieni delle sbarre è stanco
L'occhio, tanto che nulla più trattiene.
Mille sbarre soltanto ovunque vede
E nessun mondo dietro mille sbarre.

Molle ritmo di passi che flessuosi e forti
Girano in minima circonferenza,
è una danza di forze intorno a un centro
ove stordito un gran volere dorme.

Solo dalle pupille il velo a volte
S'alza muto - . Un'immagine vi pènetra,
scorre la quiete tesa delle membra -
e nel cuore si smorza.

Noi siamo fortunati: oltre a essere in due abbiamo mille cose da fare e mille passioni. Proprio ieri abbiamo scattato delle foto a pellicola in casa e le abbiamo sviluppate, scansionate, catalogate. Sto leggendo tantissimo, sto seguendo un corso di javascript, suono (e a tratti scrivo).
Ma leggo notizie raccapriccianti sull'aumento delle violenze domestiche, di depressione, e anche nelle varie chat di Whatsapp la situazione non è delle migliori.
Ogni tanto videochattiamo tra amici, ci raccontiamo cosa cuciniamo (perché sì, ormai cucinare è uno dei pochi piaceri concessi e ci si impegna parecchio in questo senso).

Ma chi è il virus della SARS-Cov-2? Non se ne sa molto se non cose che tutti possono apprendere facendo una piccola ricerca. Intanto fa parte della famiglia dei retrovirus e del gruppo dei Coronavirus che come scrivevo poco più su provoca problemi respiratori. Dei coronavirus fanno parte le varie influenze stagionali, il raffreddore, e anche sindromi simili già vissute come la SARS-CoV.
Cosa sono i Coronavirus? Virus a RNA. I virus a RNA rispetto a quelli a DNA non hanno un enzima, la DNA polimerasi, che aggiusta le coppie di basi azotate in caso di errori (anche perché sono a catena singola e non a doppia catena, anche se esistono virus a RNA a doppia catena). Quindi i virus a DNA mutano di meno, perché si autocorreggono. I virus a RNA sono a singola catena, non hanno un enzima che li corregga perché non hanno "coppie" sbagliate quindi mutano più spesso. Ecco perché l'influenza stagionale è sempre diversa, muta ogni anno e ogni anno deve essere creato un vaccino ad hoc. Quanto in fretta muta il virus? Una volta preso ci si immunizza oppure muta così in fretta che ci si può di nuovo ammalare? Quando sarà pronto un vaccino?

Pronostici pessimisti parlano di normalità tra circa un anno, qualcuno spera ancora di farsi una pasquetta da qualche parte.

Intanto per divagare e tenermi impegnata scrivo questi appunti, per ricordarmi come è ora quando tutto sarà passato.
E se fossi rimasta a Torino?
Sicuramente non avrei visto C per tanto tempo, avrei continuato a lavorare (il fronte lavoro merita un capitolo a parte, lunghissimo e non ancora terminato). Per andare al lavoro avrei preso almeno 4 bus al giorno con il rischio di infettarmi e di infettare Madre e Nipote che ora sono nella stessa casa. Di certo non mi sarei bruciata tutte le ferie. Non sarei riuscita a leggere/scrivere/suonare. Forse finora sarebbe cambiato poco. Avrei passato molto meno tempo al telefono. Forse mi sarei imbruttita (cerco di sistemarmi ogni giorno, truccarmi e vestirmi, anche se spesso è dura). Avrei cercato di imparare ad andare in bici nel cortile di casa. Avrei dovuto recuperare probabilmente una mascherina.
Sarei stata costretta a sentire questi stupidi concerti dal balcone (vi piacciono? Anche no. Essere obbligati ad ascoltare musica per me è una forma di violenza).
La verità è che la vita è cambiata radicalmente. Non si tratta solo di "abitudini" ma proprio del modo che abbiamo di portare avanti le cose, dei nostri schemi mentali.
La frustrazione ci porta a odiare chi può uscire o chi finora era autorizzato a farlo (i runners ad esempio). La camionetta della protezione civile passa sotto casa ricordando a tutti di non uscire se non per estrema urgenza.
Ci si ritrova in chat con gli amici a chiedersi quale mascherina sia meglio, se la fpp2 o la fpp3 (la prima è più che sufficiente, la seconda se stai in laboratorio, ecco). Scopri nuovi complottisti tra le conoscenze di Facebook e sei indeciso se bloccarle o meno, ma poi bestemmi tra te e te perché alla fine queste minchiate complottiste ti fanno ridere e magari fai pure un like così si convincono di avere ragione e continueranno a scrivere cose che poi screenshotterai per condividerle con amici più solidi che rideranno insieme a te. Improvvisamente ti viene voglia di uscire quando nella vita i tuoi weekend avresti voluto passarli morendo sul divano con una tisana e Netflix, o una birra e Netflix, o patatine e Netflix. Di sicuro vorremmo più abbracci quando li abbiamo snobbati finora da bravi asociali.
Ecco forse io soffro meno in questo momento perché siamo in due e non vivo personalmente situazioni a rischio nemmeno dei miei cari. Conosco poche persone a Bergamo o dintorni (che sono al sicuro perché sento), i sani di mente a Milano non escono, la mia famiglia a Torino la sento tutti i giorni e sono relativamente al sicuro anche se poco tranquilli.

Fuori dalla finestra un paio di laghi, montagne che creano vallate, gazze che si rincorrono in cielo.
A Venezia i delfini si affacciano in laguna che, finalmente, ha l'acqua trasparente.
Certe cose accadono per una ragione, direbbe il mio collega meditativo, e oggi più che mai mi sembra che abbiamo perso davvero di vista le cose importanti, che dobbiamo ristabilire delle priorità ed è davvero un peccato che cia voluta quasi una zombie apocalypse a ricordarcelo.

Canzone del giorno:
One Metallica

16 marzo 2020

L'ultima storia

"Mamma, mamma, mi racconti ancora di quando tu e papà vi siete conosciuti?"

"Ancora? Ma non ti sarai stufata?"

"No dai, ancora una volta, l'ultima."

"E va bene, dai. Era l'anno 2019, gli inverni stavano diventando sempre più caldi e già si respirava un clima da panico per emergenza globale. C'erano tanti attivisti in giro per le strade d'Italia a manifestare. E una ragazzina dall'impermeabile giallo..."

"Greta Thunberg?"

"... sì, lei. Aveva risvegliato una sorta di coscienza globale, i ragazzini finalmente avevano voglia di unirsi per qualcosa di più importante delle occupazioni a scuola per le serrature nei bagni che mancavano, come accadeva quando ero piccina io.
Era, in parte, bello. Sembrava ci si sentisse parte di qualcosa di importante.

Io e papà ci siamo conosciuti prima di quel momento, ma ci siamo avvicinati proprio in qelle giornate, tra le mani che si stringevano nelle manifestazioni, anche se non fisicamente lì, sempre vicini.
All'inizio non è stato facile, tuo padre è una capatosta, come avrebbe detto il nonno, ma alla fine abbiamo trovato una quadra."

"Capatosta?"

"Sì, testardo, cocciuto, ma ci siamo innamorati anche per questo. Diversi e vicini.
Il 2019 è stato un anno bello, considerato l'anno precedente: sembrava di riuscire a respirare un po'. E poi è arrivato il 2020."

"Questa è la parte che preferisco!"

 "Perché ti ricorda tanti quei vecchi film horror che guardiamo insieme. Il casino è scoppiato in un luogo molto molto lontano da qui, a fine dicembre del 2019. Molta gente cominciava a stare male ma non si capivà perché. Facevano fatica a respirare e presto hanno trovato la causa."

"Un virus!"

"Sì, un virus, che sembrava non cattivissimo, o forse le notizie arrivate qui non erano preoccupanti. Tant'è che abbiamo continuato a viaggiare, uscire, fare la nostra vita."

"E poi?"

"E poi, come tutti gli ospiti indesiderati o inattesi, è arrivato. Portato dagli aerei, dai turisti, dai treni, e presto eravamo circondati. Ma sottovalutavamo ancora il problema. Mamma ad esempio andava a fare aperitivi con le amiche, brindando con la birra Corona. Che per noi era una semplice influenza, così pensavamo. Poi l'esplosione."

"Come una bomba?"

"Più o meno, ma senza rumore. Si era scoperta l'alta infettività, qualcuno diceva che una volta preso, ci si poteva reinfettare. Così nessuno ha cominciato a sentirsi al sicuro. La nostra nazione è stata chiusa, prima un paio di regioni, poi tutta l'Italia. I voli sospesi. La vita come la conoscevamo è stata modificata. In quel frangente io mi trovavo con papà e lì sono rimasta, muovermi sarebbe stato complicato. Non potevo tornare a casa perché la Nonna aveva un'età a rischio. Le persone non potevano uscire e facevano piccoli concertini dal balcone, soprattutto nelle grosse città. Io e papà in quel paesino stavamo insieme e continuavamo a fare tante cose in attesa che la situazione si sbloccasse. E da lì non ci siamo più separati."

"E poi sono arrivata io."

"Sì, tutto era rimasto sospeso, alla fine le persone si sono stancate. Il disordine sociale ha avuto la meglio, per un po' ha regnato l'anarchia, qualcuno è uscito nonostante gli avvertimenti, qualcuno è rimasto chiuso in casa un po' per paura del virus e un po' per la violenza dilagante. Gli stati che sono partiti con l'isolamento e la quarantena dopo di noi hanno portato altri infetti e così via. Ci avevano sconsigliato di avere un figlio in quel momento così delicato e avevamo tanti dubbi anche noi, ma c'era pressione da parte dello stato per avere figli, perché stavamo diventando pochi, poi sai, sei una bambina speciale."

"Perché io sono immune."

"Già, perché tu sei immune a quel virus e quindi devono capire come puoi aiutare gli altri"

"Per quello sono qui, per aiutare tutti."

"Per quello sei qui"

Tolse il dito dal citofono perché cominciava a farle male. Tanto lei stava già dormendo, poteva vedere attraverso il vetro che li divideva il petto alzarsi e abbassarsi in modo regolare. La tuta con respiratore a cui era attaccata le cadeva pesante addosso e non vedeva l'ora di togliersela.
"Non sospetta nulla?"
"Sembra di no, crede sempre che io sia la madre"
"È dolce che le racconti la nostra storia, potrebbe darle un po' di speranza. La rende coraggiosa."
"È ingiusto, non etico, e lo sai."
"Il mondo ha pochissime speranze di tornare com'era, non abbiamo altra scelta"

Lungo quel corridoio, ogni giorno più lungo, le finestre mostravano un luogo diverso rispetto a qualche anno prima. Gli alberi non più potati e i rampicanti avevano preso possesso di ogni palo, ogni muro, ogni auto, ogni oggetto.

"Domani tocca a te il racconto del pisolino post prelievo. Ah, e ci serve ovviamente un nuovo campione di sangue"
Segnò una nota sul calendario:  Ratto 00842 non reagisce agli stimoli immunitari. Soppresso.

Era il 20 maggio 2040.

27 gennaio 2020

Il posto dietro

Dovresti stare tra le mie braccia.

Quando ero piccina, il risultato di uno stupido test sentenziò:
Che cazzo ci stai a fare dietro le quinte a vedere scorrere la tua vita? Sii il protagonista della tua vita. Cazzo.
Non sono certa dell'esattezza delle parole ma più o meno il significato era quello.
E mi rivedo oggi a 38 anni (ehi, oggi me ne hanno dati 30, 5 in più rispetto a qualche anno fa ma sono quasi 10 anni in meno, f*ck) pensando al risultato di quello stupido test.
Mi immagino dietro le quinte in attesa di entrare in scena e di recitare un copione che, finora, ho soltanto seguito, osservando stupide comparse dai capelli colorati susseguirsi al mio posto.
Nella mia docile indole mi sono adagiata, lasciando che caterpillar di vario spessore gravassero su di me, senza muovermi, immobile. Remissiva.

Sono in Umbria, una terra che non conosco, un clima che non conosco, con persone che ho appena conosciuto, adagiata sul sedile posteriore di un'auto mentre il conducente e il passeggero accanto a lui chiacchierano del più e del meno.
Mi piace il posto dietro, mi permette di non dover sottostare alla regola della conversazione forzata (non ho molto da dire, e quando parlo non dico in realtà nulla) e di guardare fuori dal finestrino. Adoro guardare fuori dal finestrino mentre viaggio.
Le persone sembrano imbarazzate dal silenzio e cercano di riempirlo in ogni modo.

Vuoi ascoltare della musica o preferisci il silenzio?
Il silenzio, grazie.

E io mi sento in imbarazzo a percepire l'imbarazzo, in un circolo vizioso che si interrompe con la chiacchiera di circostanza.
Dicono che domani farà bello.

Del resto, con gli anni ho imparato a stare bene anche in mezzo alle persone e a chiacchierare non solo del tempo. Si è trattato di sopravvivenza. Certo, piuttosto che fare l'ascensore con qualcun altro mi faccio 10 piani a piedi Ma non hai detto che odi l'attività fisica? - Sì ma sono a corto di endorfine, ciao.
Dal non proferire parola coi colleghi che nulla sapevano di me se non il mio nome al, persino, intrattenerli con giocose battute e bevute di tutto rispetto.
Lo sai chi ti saluta? Stocazzo.

Il sedile dietro offre spunti di riflessione degni di nota, ma anche visioni magnifiche.
Il buio, la notte, il gelo. Anche l'asfalto sbuffa dal freddo, e la terra crea quella nebbiolina bassa da film horror, lieve.

Penso al titolo per un horror ambientato in queste terre, come Un lupo mannaro scheggino e pascelupano a Buotano, o Le streghe di Norcia. O un fantasy intitolato Cronache di Narni.

I fari illuminano chilometri di niente fino a quando, in una curva, una macchia bianca attira la mia attenzione.
Ci siamo, penso, finalmente un fantasma. Potrò vivere di rendita, come ospite a inutili trasmissioni pomeridiane della mediasettitudine, dove grasse signore si fanno dare consigli ovvi Dovrebbe mangiare un po' meno, e ragazzine brufolose di 12 anni piangono l'amore perduto Non amerò mai più così.

E io: Ho visto un fantasma
Signora (ormai sono signora anche nella mia immaginazione), com'era fatto?
Mha, una macchia bianca, in una stradina tra le campagne umbre.
E le ha detto qualcosa?
Sì, lo sai chi ti saluta? Stocazzo.

Quando l'auto curva e la macchia bianca è posizionata proprio davanti ai miei occhi (dovrò dare quanti più dettagli possibili quando me lo chiederanno) mi accorgo che in realtà si tratta di una bestia immensa, bianca, con le corna. È una vacca, probabilmente chianina.

Le storie che si possono raccontare su una vacca, in strada, nel nulla, di notte, al gelo sono infinite.

Ma la prima, primissima cosa a cui ho pensato è stata Dioniso. Uno degli animali a lui sacro e in cui si era trasformato, era il toro.

E a guardare, in quell'attimo, quella macchia bianca tramutatasi in un toro, o vacca, ho pensato a una trasmutazione voluta.

Così, mio caro Dioniso, da quale baccanale sei fuggito per trovarti in quella strada buia e fredda?

Sai, ho visto una vacca bianca.
Ma dove?
Per strada
Ah sì? Non l'ho vista.
Eh, sì, eri sul sedile davanti.