18 febbraio 2010

Dr. Feelgood

Ultimamente ho perso le mie abitudini. Quando vivevo a Torino mi alzavo presto così potevo fare colazione, truccarmi con calma e leggere il giornale online, magari aggiornare il blog, preferibilmente non tutto insieme, altrimenti rischiavo di puciare il pennello del trucco nel latte passarmi i biscotti sulle labbra e addentare un ombretto. Ora mi sveglio, a volte, alle 8.05, mi lavo la faccia, metto la cremina, mi lavo i denti, prendo le mie pastiglie e mi catapulto in macchina. Arrivo stravolta in ufficio dove mangio un tocchettino di cioccolata fondente e bevo un mocaccino delle macchinette automatiche e in coma così come sono cerco di cominciare la mia giornata lavorativa.
In questi giorni sto cercando di svegliarmi a un orario decente per poter fare un minimo di colazione e truccarmi. Senza trucco sembra che un tir molto pesante mi abbia passeggiato sulla faccia e abbia fatto retromarcia per assicurarsi di avermi presa bene.

Sto leggendo un meraviglioso libro di Oliver Sacks, si intitola "Un antropologo su Marte", parla di 7 persone, 7 casi clinici ma dall'occhio di Sacks solo casi umani, storie di persone che hanno perso qualche capacità o ne hanno acquistate di nuove.
Finora ho letto tre storie ma l'ultima è buffa perché parla di un pittore mnemonista di Pontito, vicino Pescia in provincia di Pistoia. Ora è quasi un paesino abbandonato, con i suoi 70 abitanti e nessun tipo di turismo. Franco Magnani, il pittore mnemonista, nacque lì per poi trasferirsi, dopo aver girato mezzo mondo facendo il cuoco sulle navi da crociera, a San Francisco. Dopo una non meglio precisata malattia incomincia ad avere visioni incredibili e tridimensionali della sua città natia, quasi allucinazioni che lo portano a dipingere con dovizia di particolari i luoghi della sua infanzia, tanto che le fotografie degli stessi scorci da lui dipinti si dimostrano identici ai dipinti stessi. Che posso dire se non che sono curiosa di vedere Pontito?

Oliver Sacks è un medico grandioso e uno scrittore fantastico, è il lato umano della medicina, quella faccia di cui spesso scordiamo l'esistenza.

Dopo aver fatto la chemioterapia e per un po' di tempo, ricevevo a casa il giornalino dei volontari dell'ospedale: mi aveva colpito il racconto di un ragazzo che ammalatosi da ragazzino di un tumore alle ossa, aveva dovuto anche sentire le dure parole del medico: non avrebbe mai più camminato senza le grucce. Il ragazzo si fece forza fece molta fisioterapia e nuoto e le grucce non le usa. Ha una compagna e un bambino.
Mi ritengo fortunata perché i miei medici, invece, sono stati incredibilmente umani, passavano sempre a trovarmi alla fine del turno anche se mi trovavo in reparti diversi da quello di oncologia, rispondevano alle mie email quando gli scrivevo una volta finita la terapia, avevano sempre due minuti per me quando andavo a trovarli (una volta guarita fu difficile troncare quel cordone ombelicale che mi univa all'ospedale, ben felice di essere guarita, sentivo tuttavia di aver perso una specie di famiglia), accettavano con pazienza le mie domande e se avevo qualche problema di qualsiasi genere avevano sempre un medico da consigliarmi.
Nonostante fossi una discola (non volevo mai mettermi la mascherina chirurgica nemmeno quando avevo i globuli bianchi bassissimi, andavo a concerti, centri sociali, a scuola) non mi rimproveravano mai quando tornavo in ospedale con febbre altissima e la possessione di qualche batterio. Capivano che dietro i miei occhi grandi e sotto il mio cappellino che copriva la pelata e il mio fare anarchico si nascondeva una ragazzina che voleva solo sembrare normale e che una mascherina verde avrebbe ucciso.
Passare al nuovo ospedale per adulti mi mise ansia, ma il mio nuovo medico è un essere mitologico più uomo che medico. Sa come prendermi, è molto dolce, molto paziente e soprattutto molto competente. Dopo il tumore al seno non volevo prendere le pastiglie di tamoxifene prescrittemi. Temevo tutti gli effetti collaterali e nessuno riusciva a convincermi del contrario. Eppure mi bastò una sua email di risposta per tranquillizzarmi e capire che quella era la scelta giusta.
Credo che parte del mio ottimismo sia dovuto a loro, credo e sono convinta che il mondo sia più bello di come lo vede la gente, e che le persone siano sostanzialmente buone.
Io ci credo nelle persone.

Canzone del giorno: Dr. Feelgood Mötley Crüe

17 febbraio 2010

Urban Decay Primer Potion Vs Artdeco eyeshadow base

Finalmente ieri abbiamo ritirato il pacchetto arrivato dalla Gran Bretagnia. Tutto a posto tranne un elemento che manca all'appello. Ho scritto subito al sito, anche perché questo pacco ha avuto esistenza travagliata. E' stato ordinato il 1° gennaio, il 5 me lo spediscono ma non arriva mai. Scrivo all'assistenza clienti, aspettiamo insieme allegramente 20 giorni lavorativi prima che si possa fare qualsiasi cosa e richiedo la nuova spedizione. Tutto ok, sono molto celeri ed efficienti ma quando apro il pacco vedo subito che mancano dei set di ombretti stila. Argh.
Scrivo subito anche perché credo che i soldi li abbiano pigliati.
Tra le cose ordinate c'è anche la famosissima Urban Decay Primer Potion, la base per ombretto di cui *tutti* parlano. Io ho sempre usato la base per ombretto Artdeco, che già di per sè è un miracolo anche se ha alcuni difetti. A forza di aprirla e infilarci il ditino e farle prendere aria si secca prima di finire. Quando comincia a seccarsi è difficile da stendere. Inoltre è leggermente perlata e falsa quindi soprattutto i colori opachi. Però ripeto, per me è sempre stata miracolosa fino a stamane, quando ho provato la Primer Potion. La Primer Potion è fatta come un lucidalabbra con pennellino, quindi non devi infilare il ditino santo per prenderne un po', la quantità giusta da mettere per ogni palpebra è già sul pennellino, ed è *opaca*. Inoltre la base Artdeco cementifica tutto. E' una sensazione difficile da spiegare, quando mi struccavo sentivo le palpebre ruvide. Niente a che vedere con la base della Urban Decay, molto morbida, praticamente invisibile.

Ora sto aspettando di potermi comprare la palette di Alice in Wonderland, sempre della Urban Decay. I colori sono molto pigmentati, e la palette, ma l'ho già detto, è fantastica.
Stamani sono stata bravissima, sono riuscita a svegliarmi, truccarmi, fare colazione (incredibile) prendere il bus.
E stasera ho fatto anche un po' di cyclette.

Canzone del giorno: Meno Male Simone Cristicchi

15 febbraio 2010

I miei lunedì

Finalmente domenica abbiamo lavato per terra. Se dovessi contare quante volte abbiamo lavato per terra da quando siamo qui, e cioè da luglio 2009, una mano basterebbe e avanzerebbe pure.
Stamattina riprendere a lavorare è stata parecchio dura. Il weekend passa fin troppo velocemente e il lunedì, bhe è lunedì. Perdere il bus e arrivare tardi, non riuscire a prendere il caffè causa clienti agguerriti che chiamano in continuazione, ricevere insulti rientra tutto nella norma, il lunedì.
Ma il cliente inglese che mi chiama, questa non mi era mai capitata.
Non è che non parlo inglese, non è che non lo capisco: è che sono terribilmente timida e mi sento ancora più imbranata di quanto non sia in realtà quando mi trovo di fronte a un'altra lingua. Inoltre sono sicura che se esistesse un'area del cervello dedicata alle lingue straniere, la mia sarebbe "colonizzata" da cellule che sanno fare altre cose (per lo più dire cazzate e fare cacate, ecco). La chiamata, tradotta, si è svolta più o meno così:
"xxxxx, buongiorno sono Carla, come posso aiutarla?"
"Buongiorno mi scusi, parla inglese?"
"Mmmmm (sudata fredda) no, mi dispiace"
"Mi può passare qualcuno con cui posso parlare in inglese?"
"Mmmmmmm (ascella pezzatissima) attenda in linea"
Pausa.
Mi guardo intorno disperata, colleghe tutte al telefono e nessuno che voglia prendersi questa patata bollente. Breve lezione di inglese per imparare a pronunciare meglio che posso, in inglese ovviamente "Può lasciarmi il suo numero di telefono? La richiameremo appena possibile".
Lo dico mentre una mia collega me lo scandisce per bene.
"Mi scusi non ho capito, può ripetere?"
Panico totale.
"Mmmmm..."
"Ma non c'è proprio *nessuno* che parli inglese lì?"
"In questo momento no... Aspetti ancora un attimo in linea"
Corro subito dal commerciale implorando aiuto.
Fatti dare il numero, mi dice, ma io ci ho provato, gli dico, non vuole darmelo, vuole parlare con qualcuno, bhe fatti dare la mail, mi dice, senti se provo a dire altre due parole in inglese mi attacca in faccia (giustamente), gli dico, va bene dai passamelo, così si ride.
Gli passo la chiamata e smetto di sudare (ma non di puzzare, il sudore mi ha marchiata indelebilmente). Incontro il commerciale uscendo dalla mensa per la pausa pranzo e gli chiedo com'è andata "Non ho capito nulla" mi dice "tralaltro mi sono fatto lasciare il numero di telefono, solo che non avevo capito il nome dell'azienda così l'ho chiamato per sentire se avevano una segreteria, ma... il numero è inesistente".
Ecco ogni tanto vorrei sudare per qualcosa di utile, come ad esempio dimagrire.
Che palle anche i vestiti che ho preso di due taglie più grandi tra poco non mi vanno più. Urge shopping compulsivo. Infatti ho comprato un bel po' di libri e ora vado a leggermi il mio Oliver Sacks. E a fare cyclette.

P.s. ho ricevuto il pacco dei trucchini dall'Inghilterra, sulla cartolina che mi hanno lasciato c'è scritto "Provenienza: Gran Bretagnia". Questo consola i miei neuroni.

Canzone del giorno: Time Warp The Rocky Horror Picture Show

04 febbraio 2010

La marcia dell'algoritmo (nel parcheggio)


Mi fa sempre ridere!
I genitori di Roccio ci hanno regalato la cyclette, e ora non esistono più scuse di freddo o altro, posso muovermi anche in casa senza rompere.

Anche se la marcia dell'algoritmo è già movimento, no?
Le scorse mattine ha fatto molto freddo: noi sotto casa abbiamo un parcheggione abbastanza grande perché il nostro palazzo è uno di quei palazzoni grigi e grossi di città, accanto ad altri palazzoni con giardino condominiale comune e parcheggio annesso. Infatti quando abbiamo visto la prima volta la casa, da fuori, quasi quasi non ci volevamo nemmeno entrare. Però abbiamo fatto bene perché la nostra casina dentro è così carina.
Comunque, sto divagando: dicevo c'è questo parcheggione. I miei princìpi semiecologisti sono andati a farsi fottere in questa settimana ma c'è una ragione specifica. La macchina quasi non mi si accendeva più: lunedì mattina ho dovuto provare più volte e la batteria sembrava proprio a terra. Insomma per non buttare via la macchina mi sono decisa a prenderla almeno questa settimana e lasciar perdere il bus comodissimo. In queste mattine appunto ha fatto molto freddo, e nel nostro parcheggione si poteva assistere a un bizzarro balletto, sincronizzato quasi quanto la marcia dell'algoritmo. Prima di tutto, le persone che cercavano di recarsi al lavoro aprivano le portiere, si sedevano dentro e accendevano (a fatica) la macchina (uon uon uon brrrummm), poi, chiusa la portiera, tiravano fuori quel misterioso aggeggio che io chiamo "grattino", quella roba che serve per grattare via il ghiaccio o in caso di difficoltà a grattarsi la schiena, e cominciano (sgrat sgrat sgrat sgrat) tutti insieme, da veri disperati.
Per me la misurazione del freddo la fanno i guanti. Se sopravvivo senza guanti, vuol dire che non fa ancora tanto freddo, se invece cominciano a spaccarsi le mani allora fa molto freddo e devo mettere i guanti.
Dato che questo inverno ancora non ho indossato i guanti posso dire che non fa molto freddo. Allora mi viene da sorridere quando i miei colleghi dicono che si bubbola, su a Torino c'è una minima di -10° C. Allora sorrido e penso a quando prendevo il bus al mattino a -6° e penso che no, non si sta tanto male, anzi.
E' un po' che volevo scrivere più che altro per inserire la canzone del giorno, anzi dei giorni: Anything anything Dramarama