07 ottobre 2016

17/10/2015 e 18/10/2015 - Dolce ritorno ad Antsirabe. Partenze e addii.

Il viaggio di ritorno è molto silenzioso. Ho i lucciconi e so che mi mancherà questo posto. Fry si lamenta perché dice che sull'aereo saremo i più puzzoni, ma non so come fargli capire che non me ne frega niente. Non riesco nemmeno a dire il mio solito Fottesega, è un problema talmente secondario che la mia testa non ce la fa ad esprimerlo.
Ripercorriamo a ritroso il tragitto dell'andata e non è facile.
Ci siamo fermati perché Eric ha comprato due sacchi di (sembra) foglie secche. Scopriamo che quelle foglie sono eucalipti e un'altra pianta malgascia e che li usano per cucinare dato che non c'è il gas: danno fuoco a questi arbusti secchi. 2 sacchi sono costati 6000 Ar (circa 2 euro) ed Eric ci specifica che gli basteranno per due mesi. Ricordiamo che è cuoco.

Ci fermiamo quindi a prendere un caffè dove assaggio dei dolcetti croccanti, impastellati e fritti, fatti con il riso. Buonissimi. Due caffè e due dolcetti sono costati 600 Ar. Quanto può essere? 20 cent?
Arrivati ad Antsirabe ci vediamo con Gaby in un ristorante. Sembra stare molto meglio, dice che un osso è quasi del tutto ricoperto dalla carne e che comunque la ferita sta guarendo.
Chiedo se Eric e Mami mangiano con noi e Gaby li invita a sedersi.
Il ristorante è molto "bello". Perdonate le virgolette, ma è molto turistico. Penso che Gaby ancora non ci abbia inquadrato e abbia voluto farci mangiare in un ristorante che ritiene di nostro gradimento.

Mangiamo; Gaby torna a casa sua e quando torna andiamo all'hotel che era lo stesso in cui siamo stati i primi giorni ad Antsirabe.
Ci scattiamo una foto e ci salutiamo, Eric e Mami tornano alle loro case e Gaby ci da' appuntamento per l'indomani mattina alle 7. Con Eric rimarremo in contatto: collabora con un'associazione di volontariato e vogliamo aiutare e contribuire.
Grazie..
Ci mettiamo a letto a riposare ma alle 17.15 (ora locale) sveglio Fry perché devo prender l'antibiotico e dobbiamo comprare una bottiglia d'acqua. Andiamo al ristorante dell'hotel ma è chiuso (hotel.. sono bungalow) e apre alle 18. E chi incontriamo all'esterno della struttura? Andry, il ragazzo che doveva portarci al Famadihana, in attesa di clienti per il suo pousse pousse. Dapprima accettiamo, poi gli chiediamo di fare due passi con noi. Non ce la sentiamo di farci portare lì sopra.

Lascia il pousse pousse davanti all'albergo e ci accompagna.
Ci spiega che il pousse pousse è a noleggio perché costerebbe troppo comprarlo (80 euro, abbiamo avuto un mezzo pensiero di regalarglielo!) mentre il noleggio gli costa 7000 Ar al giorno.
Lui parla inglese con noi e non capisco bene tutto quello che dice ma ci racconta la storia di questo bizzarro mezzo di trasporto.

Arriviamo a un chioschetto e paghiamo l'acqua con una banconota da 10000 Ar (il taglio più grande che hanno). La ragazza che ci serve ci guarda con gli occhi sgranati, non ha il resto. Sparisce per poter cambiare la banconota e nel frattempo un signore vestito di bianco, totalmente ubriaco, ci stringe la mano e manca poco casca a terra. La ragazza torna, ci da' il resto e la bottiglia grande di acqua e torniamo via.

Arrivati all'albergo lo salutiamo ma gli paghiamo la corsa, ci ha fatto compagnia e ha perso potenziali clienti (noi tralaltro ci siamo rifiutati di fare il giro, quindi...). Lo salutiamo, prendo il mio antibiotico, è quasi ora di andare via.

Ceniamo e andiamo a dormire.

Ci svegliamo il giorno dopo molto presto per essere a fare colazione, dato che poi Gaby arriverà alle 7. Peccato che il ristorante apre alle 7 quindi non riusciamo a fare colazione, per fortuna Gaby ci accompagna a farla e poi via, per l'aeroporto di Antananarivo.
Con noi anche la moglie di Gaby e la loro nipote.

Che dire? Dai finestrini scorrono i paesaggi che abbiamo visto all'andata. Il deserto ha lasciato da tempo il posto alla campagna e agli altipiani in lontananza. Ripassiamo davanti ai mattoni appena fatti con argilla di fiume, i panni stesi lungo il fiume, gli zebù per la strada. Ogni cosa diventerà un ricordo.
Ogni tanto chiacchieriamo con Gaby ma non ricordo cosa ci siamo detti. Arriviamo all'aeroporto, facciamo le varie code e ripartiamo. Stessi scali, tutti al contrario.

Come se ci dovessimo riabituare pian pianino al rientro a casa.


In un anno sono riuscita a completare la riscrittura di questo diario. Mi ero avvertita: finire di scriverlo voleva dire per me terminare il viaggio per la seconda volta e anche per questo ho rimandato finché ho potuto. Sono rimasta in contatto con Eric, al quale abbiamo anche mandato qualcosa per l'associazione per cui fa volontariato, così il Natale del 2015 nessun nostro amico o parente ha ricevuto un regalo, in quanto tutto è andato ai ragazzi malgasci.

Poco dopo il ritorno mi sono trovata a fare colazione tra le lacrime. Credo di aver sofferto per la prima volta il mal d'Africa anche se, a detta dei malgasci, il Madagascar non è Africa. Eppure il rosso della terra, il calore del sole e del cuore dei malgasci, la foresta, il deserto, gli animali, i suoni della musica, ogni cosa sapeva di Africa. Mi sono ripromessa di tornarci per vedere altre zone e, questa volta, rimanere più a contatto con la popolazione locale.

Ancora adesso ho i lucciconi pensando a cosa abbiamo visto, alla tragedia di una terra così bella e devastata, alle foreste che ora quasi non ci sono più e alla povertà che, se in città è visibile, in campagna rende le persone più semplici e con il cuore più aperto. Ma i malgasci non si piangono addosso, vanno avanti Mora Mora e sono stupendi nella loro lentezza.
Africa, donne che portano ceste pesantissime sulla testa, uomini che lavorano nei campi, bambini che sorreggono altri bambini e che sorridono quando ti vedono. Altri che fuggono via spaventati. Altri semplicemente urlano "vazaha" e scappano.

Amo tanto questo posto e spero di essere stata d'aiuto per chi un giorno vorrà intraprendere un viaggio nella fantastica terra dei lemuri. Rischio di ripetermi ma vi lascio ascoltare questo pezzo, un'altra volta.

Soary Sareraka

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