10 dicembre 2018

D(e)addy

Oggi, con un cliente:
"[...] la contatto per il rinnovo contrattuale stipulato con noi il 4 dicembre"

Il 4 dicembre.

Era l'anniversario della morte di mio padre ed è passato, per la prima volta dopo 18 anni, in sordina. Sepolto da altri pensieri.

Allora ho deciso, per sentirmi un po' meno in colpa, di scriverne un post.
Sì, sì, ancora su mio padre.
Ma sarà un post estremamente sincero, e quindi cattivo. Questo per evitare di scrivere le solite piagnucolose frasi che si usano in questi momenti. Io sono una stronza.
I am a bitch.
Più o meno come il 99% delle persone, ma almeno lo ammetto.

In realtà mio padre non mi manca. Era una persona molto infelice che sapeva far ricadere la sua frustrazione su tutti noi, bevendo moltissimo, a tratti diventando violento.
E fastidioso.
Arrivava a casa che non faceva che parlare, straparlava, e quando non ne potevamo più creava quel favoloso momento di tensione dettato dallo sbattere il piatto sul tavolo e andarsene in camera da letto lamentandosi ad alta voce (leggi "urlando").
Questo quando era in buona.
A 14 anni ho cominciato a intuire che fosse solo infelice e un po' mi ha fatto pena.
Sì, lo so, è pesante da leggere, la sincerità è sempre pesante.
Una famiglia da mantenere, dei figli che probabilmente non voleva, un lavoro in fabbrica pesante. E l'alcol come rimedio.
Non aveva molti amici, a parte quelli del bar.
Pensate a cosa voglia dire andare via molto giovane dal proprio paesello in cui si è tutti amici e trasferirsi nella grande città per lavorare. Senza nessuno.
È stato coraggioso come molti genitori di quegli anni. Penso abbia sopportato il razzismo dilagante del tempo contro le persone del Sud.
E poi è stato da solo finché non ha trovato un lavoro che potesse permettergli di mantenere anche mia madre.

Quando è arrivata mia sorella era contento, le portò dei fiori in ospedale.
Non so se dopo di lei, o dopo di me, ha cominciato a bere.

Mio padre non era bello (e se dico che siamo due gocce d'acqua ho detto tutto), ma era un maschio Alpha dei suoi anni. Magro e pantaloni a zampa.
Madre era la bella del paese. Amici di famiglia la ricordano come la più bella del paese. Maschi che le facevano la corte, poi è arrivato lui, lo spaccone, che quando è stato rifiutato ha avuto l'ardire di presentarsi a casa di lei per chiederla in sposa ai genitori.

Sì, cose di altri tempi.

Padre spesso sedeva su una sorta di davanzale di una bassa finestra all'esterno del bar, fumando una sigaretta. Non riesco a ricordarlo senza tosse.
Io quando ero costretta a passare davanti al bar Da Filippo, cambiavo marciapiede. Non mi andava di fermarmi da lui. Ma se per sbaglio gli sguardi si incrociavano mi faceva segno con la mano di andare da lui.
Mi sedevo accanto a lui e non ricordo se mi faceva domande, o se semplicemente stavamo zitti.

Era un tempo interminabile ma la verità è che non sapevo cosa dirgli. A volte si arrabbiava per niente.

Pensavo che se lui non aveva rispetto per noi, noi non potevamo averlo per lui.
Questo, penso, non faceva che alimentare la sua frustrazione.

Avevo altri metri di paragone, vedevo il rapporto delle mie amiche coi loro padri e io mi sentivo un'aliena. Non coincideva nessun punto, se non il DNA in comune con lui.
Le mie amiche avevano una persona da abbracciare la sera, con cui confrontarsi, che le supportasse.
Io non potevo contare su di loro, forse su mia sorella quando è cresciuta un po'.

Mi prefiguravo la sua morte. Non che la desiderassi, ovviamente, eh? Ma me la immaginavo. Non se ne parlava mai a casa ma lui non è mai stato bene. Quelle visite per l'invalidità che boh. E stava sempre a casa in mutua a un certo punto.
E la tosse continua.

Ma se devo essere sincera ho sofferto quando è morto. Non per la sua mancanza, ma per le mie mancanze. Che tanto lui era fatto così.
Uno stronzo come il 99% delle persone.
E io non sono stata una brava figlia, né per lui, né per lei.
Avrei forse potuto capire di più, mi dico. Ignorare quelle punte di violenza, o mettermi in mezzo se necessario.

Non ho mai fatto niente. Ho lasciato che tutto si svolgesse davanti ai miei occhi senza muovere un muscolo, come un brutto film con un finale scontato.

Non voglio giustificarlo, non ci tengo. Non voglio pensare "Oh mio Dio poverino è morto quel brav'uomo di Padre". No. Per niente. Nessuno è buono (leggi sopra), o forse tutti.

Ma quando non si possono modificare le situazioni, e soprattutto quando ci troviamo a cozzare contro muri di cemento armato, tanto vale modificare la nostra reazione alla botta. Che quella non cambia eh? Sempre dolorosa è.

Ricordo un unico atto di tenerezza.
A un certo punto durante la mia prima malattia ha battuto dolcemente il cinque sulla mia mano destra e tenendola delicatamente mi ha detto, con le lacrime agli occhi "Dobbiamo farci coraggio".
Anche lì non ho mosso un muscolo, sono stata in silenzio a osservarlo. Non una lacrima.
Un'altra figlia forse lo avrebbe abbracciato, scorgendo l'uomo pieno di difetti che mi aveva concepita sparire dietro un'umanità inaspettata.
Ma io no, I am a bitch, sempre.

Penso che a modo suo mi volesse dire che era spacciato, e sarebbe morto prima del tempo.

Questo era mio padre, un uomo, uno stronzo come tutti. Che arrancava per arrivare a fine mese, che non voleva una famiglia ma disgraziatamente la manteneva, con due figlie che non lo rispettavano e una moglie che aveva amato un tempo ma ora chissà.
Troppo crudo? No.

La morte fa parte di un ciclo naturale, che non è bello o brutto. È la Natura. Malattia, morte, nascita e crescita in un caos apparente ma ordinato se visto alla giusta distanza.
Come un quadro impressionista che sembra confuso se guardato a distanza ravvicinata ma assume forme bellissime se solo possiamo allontanarci.

Questo per dire che con questo dicembre ho chiuso con le ricorrenze inutili.
Ricordare nascite o morti, che senso ha?

Bisogna ricordarsi ogni giorno sacrosanto della vita e del tempo che questa natura ci ha concesso.

Non celebrare i morti.
Celebrare la vita.

Nessun commento: