06 gennaio 2019

Il cubo di Rubik

Quando ero piccina avevo un cubo di Rubik. Non era originale, ma una cinesata, come si direbbe ora. Non sono mai riuscita a risolverlo.
C'era invece chi ci riusciva, anche senza guardare.
Un mio ex, la prima volta che uscimmo insieme, lo portò per mostrarmi quanto era bravo.
Diede una occhiata veloce e poi guardandomi negli occhi lo risolse.
Lui si invaghì di me a prima vista, ero di spalle. E non fu per il meraviglioso culo a mandolino che avevo a 25 anni, ma perché ero al lavoro e dal monitor intravide la schermata di una distro Linux, forse Debian; dal Mac del lavoro ero collegata in remoto con il mio server a casa.
Le donne forti e intelligenti, diceva, gli piacevano.
Io invece, quel cubo di Rubik non l'ho mai sistemato. Forse una facciata per volta. Ecco, ora il lato giallo, o il lato blu. Il resto resta sempre un fondamentale casino fatto di tessere accostate a casaccio, senza alcuna regola cromatica.
Così ho imparato a sopravvivere con un colore alla volta. Se sistemo una faccia del cubo, devo sopportare la frustrazione di avere le altre scombinate e fuori posto.
Piano piano la frustrazione si è trasformata in una serena rassegnazione e ho imparato a capire che quella perfezione cui aspiro muovendo le tessere è una tale monotonia cromatica, che il disordine è certamente meglio.

Molte persone che conosco vedono il lato ordinato e provano molta invidia per la mia vita perché sono sempre in giro, ad esempio. Perché ho fatto tantissime cose. Perché ho vissuto in tanti posti. Ho lavorato sempre.

Trascurano però che il prezzo da pagare per questa monocromia apparente è un accostamento continuo di cose diverse tra loro, senza continuità.

E che è molto, molto faticoso.

Nel respiro lento del mattino queste tessere, per un istante, si posizionano correttamente. Per quell'unico istante tutto, ma davvero tutto, ha un senso. Nel movimento lento e sinuoso di un rettile che si libera dalla sua vecchia pelle possiamo sfoggiare la livrea migliore e salutare questa vita con quel po' di felicità tanto ambita e mai raggiunta.
E ora posso tornare a guardare il mio disordine colorato, attendendo un altro mattino.

La canzone del giorno non è mia ma è un dono prezioso. Grazie amore mio.

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