Storia dello stivale di gomma
Ne ho viste di cose io, e ho vissuto sempre in condizioni climatiche disastrose. Nel fango, nella pioggia, con la neve mi sono sempre rivelato uno strumento indispensabile. Tutti gli altri mi snobbavano ma io continuavo col duro lavoro, perché era l'unica cosa che mi faceva sentire completo e vivo. E ho visto anche tanta merda (un po' a dire il vero l'ho anche calpestata), ma non sono di quelli che si scandalizzano o si tirano indietro. Quando esco da casa io so già che non mi aspetta nulla di facile. Il mio padrone, del resto, lo sa. Si alza presto al mattino per controllare gli animali e dar loro da mangiare. Per controllare il suo orto e da bere alle piante. Ma lui non sembra felice. Qualche volta alcune gocce sono cascate, ma non dal cielo: dal suo viso. Io sollevavo un po' la punta per guardare cosa stava facendo ma lui prontamente si asciugava con la camicia sporca dal lavoro di mille giornate e proseguiva.
Non me ne sono mai preoccupato, a dire il vero. Che ne sa uno stivale di tutti i problemi che si fanno gli uomini? Che ne sa uno stivale quale ragione di piangere ha un uomo che vede il sole sorgere ogni mattina, che assapora ancora il piacere del lavoro fisico, che ama l'odore dei campi bagnati dalla rugiada al mattino presto, quando i galli si sono appena alzati e cantano? Io facevo del mio: impedivo che i piedi del mio padrone si sporcassero o si bagnassero. Di più non potevo fare.
Ma quel giorno l'omino che sempre era puntuale non si svegliò. Pensai: e gli animali? E l'orto? E' ora di andare e lui non si sveglia. Ma proprio in quel momento alzò pigramente un braccio. Poi un altro. Mise la camicia della festa e il giacchino elegante. Entrò nei pantaloni gessati scuri a malapena, si diceva spesso di voler dimagrire, ma proprio non gli riusciva.
E in tutto questo sfarzo (corredato, è vero, da toppe, macchie incancellabili) c'ero anche io. Niente scarpe della festa, non ce n'erano. E così indossò me, unico compagno indivisibile di vita, unico amico di tante fatiche giornaliere. Andò a mettere da mangiare alle bestie e poi all'orto. Ma ci rimase ben poco.
Si rimise in macchina (una panda credo, ogni tanto lo sentivo gridare all'insieme di ferraglia rumorosa chiamata auto. E si riferiva sempre a lei come panda) e insieme ci recammo in un luogo isolato, sopra a un ponte. Fermò la macchina e pianse. Non volevo crederci ma avevo già capito. In un attimo venni sbalzato lontano dall'urto contro l'asfalto. Vennero auto sferraglianti e urlatrici con luci blu che lo chiusero in un sacco cernierato nero e lo portarono via. E io rimasi qui, e io sono ancora qui. Nessuno mi ha notato o raccolto. Sono ancora intatto senza la mia metà, sbalzata chissà dove o forse ancora al piede del padrone.
Sono qui e guardo i mostri metallici passarmi accanto velocissimi e a volte calpestarmi. E ho capito per quale ragione il mio angelo si è lanciato nel vuoto.
4 commenti:
Molto carina, io ho aiutato degli amici a scrivere una canzone analoga su un tavolino, ora gli chiedo il permesso ed ventualmente te la mando!
Ciao
Ne sarei molto molto contenta. Potrei anche inserirla nel blog se i tuoi amici fossero d'accordo. Fammi sapere!
ricordo sempre con piacere la bella storia che badguy ha scritto sui tappini. Se se la ricordasse anche lui e sarebbe cosi' carino da farcela avere..
E'vero!!! me ne ero dimenticato completamente! ora la cerco!
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