21 giugno 2018

Il mio specchio

C'è stato un periodo, quando ero più piccolina, in cui avevo paura degli specchi. Mi lavavo la faccia molto velocemente e cercavo sempre di alzare lo sguardo su di essi in modo lento. Temevo di vedere qualcosa che potesse non piacermi.
C'erano tante altre paure, ma io non le esprimevo mai.
Erano tutte irrazionali, ma non sapevo ai tempi che la maggior parte delle paure lo sono.
Così sentivo dei rumori strani e restavo immobile per capire se potesse essere stata solo una sensazione.
La TV a volte si accendeva da sola e io lentamente mi avvicinavo alla camera da letto per capire cosa fosse successo. Una volta le ante dell'armadio del posto dove dormivo si sono chiuse all'improvviso da sole.
Non scappavo mai, non manifestavo mai niente. Cercavo di razionalizzare.

La paura degli specchi è durata un po': la paura che mi restituissero una visione non gradita.

Mi lavo accuratamente le mani.

Ogni tanto con la coda dell'occhio vedo qualcosa. Ma so bene che non è nulla. Potrebbe anche solo essere qualche insetto, ecco perché seguo quella visione con lo sguardo. Magari è un Geotrupidae. O una semplice formica.

Tolgo il vecchio cerotto. Con esso viene via la garza con fitostimoline, Piena di essudato secco, ma anche vivo. È giallo, lo annuso. Non puzza, non è pus, non è infezione.
La ferita è un occhio rosso che mi osserva.

Quando ero piccola mia madre mi ha insegnato a usare l'olfatto per capire se un cibo era andato a male. 

"Se la ferita si infetta sappi che la prima cosa che sentirai è l'odore, prima ancora della febbre".

La camera da letto dei miei in particolare non era un luogo molto amato. Ci entravo di corsa, facevo ciò che dovevo fare e uscivo di corsa.
C'era un grosso specchio davanti al letto che era in realtà l'anta di un mobiletto. Dentro c'erano delle cose.

Fotografo tutto. Non mi sembra migliorata anche se faccio tutto quello che mi viene chiesto.
Mi lavo di nuovo le mani, un po' di essudato ha sporcato la pelle attorno alla ferita. Apro la soluzione fisiologica, recupero qualche garza e la bagno con la fisiologica. Pulisco delicatamente solo la pelle attorno. Non posso lasciare macchie di essudato attorno alla ferita.
Sanguina.
Di nuovo.

Mi guardo allo specchio.
Mi guardo allo specchio.

La ferita è tonda, rossastra. Sembra un'isola piena di materiale ferroso circondata da un mare rosato.
Un solco attraversa il seno da quasi il centro dello sterno fino al capezzolo, come un'avvallamento che si evidenzia ogni qualvolta muovo il braccio.
Un orribile avvallamento.

Col cerotto non si vede.

Decido di provare con la connettivina invece che con le fitostimoline. Non la amo particolarmente ma non so cosa fare. Ogni volta che tolgo la connettivina mi lascia un segno delle fibre della garza. Un reticolato, impresso nella mia isola rossa.
Ne taglio un pezzetto, la piego a metà e la posiziono sulla ferita.
Prendo il cerottone. Ne taglio via un angolino per lasciare respirare il capezzolo. Lo posiziono con cura e con delicatezza lo faccio aderire bene alla pelle. E quasi subito il cerotto si colora di giallino. Sta venendo su qualcosa.

Sono passati quasi 4 mesi.

Mando le foto a RagnoB, le ritaglio accuratamente perché non si veda il capezzolo. Le mando anche la foto dell'essudato. Le dico di non badare al rosso, la fotocamera di questo telefono (che ha fatto anche fatica a mettere a fuoco) satura molto i colori. È meno rossa anche se alla fine ha sanguinato.

"Ho scritto per ulteriore consulto ad alcuni professionisti tra cui l'infermiera con cui hai parlato... Se riesce prova a procurarsi una medicazione avanzata (acquacel AG). Se non ci sono intoppi ci vediamo martedì ed io settimana prossima te la porto. Proviamo a fare medicazione avanzata per un po' e vediamo come va, eventualmente si prova altro"

Il mio corpo si ribella, non vuole guarire.

Lo specchio si ribella e mi restituisce un'immagine di me che non voglio vedere. Il mio occhio rosso, il mio avvallamento, non paesaggi fantastici ma il mio corpo.
Sono arrabbiata.

Una volta ho visto qualcosa nello spazio che divideva il mio lettino dal letto di mia sorella. Probabilmente era una piccola allucinazione, forse dovuta a una fase di sonno leggero.
Era un volto con gli occhiali.

Chiusi gli occhi e quando li riaprii non c'era più niente.
Non c'è spazio per la paura.
Ma ne ho molto, moltissimo, per la rabbia.

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