25 giugno 2018

Mimas tiliae

Saresti una mamma perfetta, perché puzzi di merda di vita.
"Quella è la costellazione del cane lercio. L'hanno chiamata così perché sembra un cane e quelle stelle ai margini sembrano gli aloni di puzza che lascia. Ah e quella è la costellazione dei punti neri. Perché se la vedi in negativo sembrano dei punti neri su un grosso naso. E quella lì, quella è la mia preferita, è la costellazione della Mimas tiliae. È una falena bellissima. La falena del tiglio."

"Mamma, sono stanca, andiamo a casa."

"Lo so che ti spaventano le falene e non ne vuoi sentire parlare."

Sbuffa e si dirige verso la macchina. Mi alzo e mi sistemo il tailleur spiegazzato e i capelli, raccolti in uno chignon.
Lei si chiama Lupa.
Lo so, è un nome particolare, ma meglio di quanto si sente in giro, dai tifosi del calcio che rendono i propri figli meteore sportive alle persone che si ostinano a dare nomi stranieri, di altre culture.
Il suo nome ha una storia, come tutto il resto. Voglio che con quel nome si ricordi di essere una donna coraggiosa e che non si faccia calpestare. E che trovi il suo branco, quello giusto, da sorreggere e che la sorregga, voglio che non sia come me, che non si faccia piegare dal sistema.

Ho deciso di diventare mamma molto giovane perché volevo creare un legame unico con mia figlia. E così a 18 anni, con una provetta e un donatore, lo diventai.

Fu straziante e dolcissimo. Il parto è un fatto di amore e sangue che nessun uomo potrà mai comprendere. È questo che abbiamo noi: il dono di portare avanti la vita. Ed è l'unica cosa importante.
La camicetta bianca si è sporcata di erba. È un vero peccato che mia figlia detesti gli insetti, e l'arte, e la fotografia. Lo so che lo fa per darmi addosso, è adolescente, un vero vulcano. Si è già fatta il primo tatuaggio: io ero contraria, ma non mi ha chiesto il permesso. Si è tinta i capelli di turchese. Se lo avessi saputo glielo avrei vietato.
L'ho iscritta a tanti sport. L'equitazione, la pallanuoto, il golf: qualsiasi cosa che le impegni il tempo e mi permetta di andare avanti con la mia carriera.

Non ho tempo libero perché di passioni ne avrei molte, avrei voluto diventare una zoologa, una volta. Ero piccola e giocavo con le formiche. Poi ho provato con la fotografia, ma ho capito presto che niente poteva rendermi quanto il mio posto attuale.

Il mio lavoro è marginale ma molto importante, mi occupo di catalogare le masse che possono essere identificate come pianeti. Ci sono parametri specifici. Se sembra complesso vi assicuro che non lo è affatto: un telescopio raccoglie dei dati, li passa a un computer che registra qualsiasi variazione in termini di onde radio. Io controllo che nulla si inceppi.

A mia figlia dico che passo le giornate guardando il cielo, e che non smetto mai di sognare. Lei sbuffa. Vorrebbe fare qualcosa di concreto, lavorare il legno, scolpire (nulla che sia artistico, potrebbe venirle un eritema), le andrebbe bene anche guidare un camion. Tutto ciò che possa essere l'opposto di ciò che sono io.
Mi avevano avvertita: l'adolescenza è un periodo buio. Tutto l'amore che puoi dare viene respinto, il tuo cuore calpestato nel peggiore dei modi e il tutto con un'indifferenza spietata, calcolata.

Ricordo l'odore del parto. Vi racconteranno di momenti dolcissimi, io ricordo il ventre spezzato, il dolore atroce, la quantità di persone lì davanti. Nessuno a tenermi la mano. E tutto questo per arrivare, 19 anni dopo, con il cuore spezzato.
Dal ventre al cuore. Non c'è male come passaggio.

Non sono riuscita a terminare il periodo di maternità perché rischiavo di perdere il lavoro.
A dire la verità non lo so. Ma non potevo rischiare.

Solo dopo un mese ero già col mio tailleur, i miei tacchi, la camicetta e la giacca. Ho tantissimi completi così, anzi direi solo quelli. Tessuti diversi e colori diversi.
Questo volevo diventare, questo sono diventata.

Non ho avuto bisogno di nessuno al mio fianco per realizzarmi, per essere quello che sono.
E a parte Lupa, non sento il bisogno di avere nessuno accanto.
Le mie giornate scorrono identiche le une alle altre.
Fino a che il computer non ha registrato una variazione molto intensa, così intensa da risultare vicinissima.
Vicina non in termini di anni luce, ma in termini di metri.

Una piccola deviazione del selettore ha portato a una scoperta sensazionale, ad appena pochi metri da noi, nel seminterrato.
In verità sarebbe stata un'anomalia che avrei dovuto evitare, ma l'entusiasmo era così grande che non sono stata licenziata. Lupa avrebbe sicuramente sbuffato.
Nel seminterrato c'è un buco, quello che i profani definirebbero un passaggio per un' "altra dimensione". Per noi è una piccola anomalia dello spazio tempo. Abbiamo avuto altri falsi allarmi ma poi si era trattato di forti campi elettromagnetici che andavano a interferire col selettore. Stupide macchine.

Questa volta però avevamo altri dati, le macchine erano impazzite, e i grandi cervelloni non si davano pace. C'eravamo: una scoperta più grande di un piccolo ammasso di materia senza vita che gira in tondo (ehm, in orbita ellittica) nel cielo (uh sì nello spazio, ok ok).

Paradossalmente il passaggio coincide con una vecchia porta inutilizzata. Come nei peggiori film di fantascienza: puoi aprire la porta e ti trovi direttamente dall'altra parte, con buona pace di scenografi che non devono inventarsi niente che non sia già stato visto. Una porta che permette un passaggio da un ambiente all'altro. Che fantasia.

Gli scienziati decidono di mandare dall'altra parte la persona più sacrificabile, ovvero io.
La cosa mi onora e mi offende. In fondo sono sempre stata fedele a questa azienda. Ci lavoro da prima del diploma (preso a pieni voti nel migliore liceo della città), ma il fatto di poter varcare la soglia per prima mi fa sentire importante. Non c'è null'altro, al momento, che voglio fare.

Vorrei dirlo a Lupa, ma sbufferebbe. Probabilmente si rimetterebbe le cuffie con la sua musica Heavy Metal. "Che noiosa che sei, Mà".

Mi danno una tuta ignifuga, una videocamera, una ricetrasmittente, un casco con l'ossigeno e un sacco di strumentazione. Anche qui, banali. Immaginate se dietro quella porta ci fosse un apparecchio strano che improvvisamente si è acceso da solo? Ti saluto promozione.

La porta è una porta, la maniglia gira come una maniglia, sembra tutto a posto anche se il rumore del mio respiro all'interno del casco è fastidioso. Forse perché sta accelerando.

Apro la porta.

Buio.

Chiudo la porta.

Il rumore del mio respiro.
Il rumore del mio cuore.

"Mi sentite?"
Niente.
Torno indietro, apro la porta, il cuore in gola. Buio.

Non c'è il laboratorio, né i grandi cervelloni. Solo una stanza, credo, buia. O forse proprio il buio.

Forse quel buio che ti porti dentro, che visualizzi all'esterno. Di cosa si può avere più paura se non di quel buio?

I rilevatori indicano che l'aria è respirabile, la pressione identica alla nostra.
Secondo me è uno scherzo. Sono in un'altra stanza e di là hanno spento le luci. Tolto tutto.
Quando tornerò spaventata accenderanno le luci gridando SORPRESA.

E io riderò nervosa.

Ah già, ho una piccola torcia. Voglio dire: una strumentazione da milioni e non una torcia?
Sarebbe stato da film dell'orrore di serie B.

Penso a Lupa, voglio che sia orgogliosa di me, che capisca l'importanza di essere una donna determinata, lei tanto non saprà mai che hanno mandato me perché sono sacrificabile. A lei dirò che doveva andarci qualcuno di importante, qualcuno che non rinuncia ai sogni, qualcuno che sa gestire una mole enorme di dati, che può raccoglierli, "che quei cervelloni in più di me hanno solo la laurea".

Mi tolgo il casco, accendo la torcia. Sembra una cantina. C'è un corridoio lungo, odore di muffa. Mi tolgo la tuta. Appoggio tutto per terra. Devo essere uscita (entrata?) da una di queste porte.
Non so cosa fare.
Resto in attesa ma gli eventi scelgono per me. Rumore di passi (spengo la torcia) una luce si accende e la vedo.
Mi vedo.
Sono io.
Mi guarda.
La guardo.

A doverle dare una definizione a posteriori, direi che è la gemella ribelle di me. Sembra Lupa. Ha dei tatuaggi, un teschio su una spalla, un garofano (forse un papavero) sull'avambraccio. Altri disegni incomprensibili. I capelli colorati.
Le cadono le chiavi dalle mani.

Restiamo un momento così immobili. Forse è più di un momento, sono quegli istanti in cui non comprendi bene cosa fare, in cui ogni secondo sembra incredibilmente infinito.

Indossa dei miserabili jeans.
Se potessi li abolirei.
Mi guarda.
La guardo.

"Lupa? Dove è Lupa?" le dico.
Forse qui c'è una Lupa disciplinata e dolce, non sarà mai mia figlia ma voglio conoscerla?
"Cosa? Chi? Chi sei?"

Sembra confusa, ma anche triste per me. Ha uno sguardo profondo, dolce e malinconico. Raccoglie le chiavi.
Si avvicina.
Mi allontano.

"Tu sei..."
"No, ci somigliamo soltanto"
"Da dove arrivi? Che ci fai qui? Come sei vestita?"

Guardo il mio abito elegante a pantaloni usato per l'occasione. Il tailleur a gonna non stava sotto la tuta.

Non so cosa rispondere.
Cosa fareste se trovaste di fronte a voi la vostra esatta copia ma completamente diversa?
Riuscite a capire il paradosso?

Si avvicina, non mi muovo.
Si avvicina ancora. Resto immobile.
Mi abbraccia.
Piango.

"Vieni con me"
Mentre il timer decide che è passato abbastanza tempo per restare alla luce del neon, mi tiene per mano. La stessa mano fredda. È visibilmente agitata, lo sento dai nostri respiri.
"Chi è Lupa?"
"È mia figlia"
"Hai una figlia?" lo esclama con stupore mentre mi trascina verso la luce.
Il sole è forte, siamo circondati da piante di lavanda, c'è una pozza d'acqua a valle, che posso vedere distintamente.
"È il lago, io vivo qui"
"Sembra tranquillo"
Le racconto brevemente del mio scopo, della porta, di mia figlia. Non riesco a non entrare nei dettagli, è come parlarsi dentro, è come se l'altra mia metà oscura mi stesse ascoltando davvero.
Mi racconta di lei, dei suoi problemi di salute, del suo rapporto che sta andando in pezzi, delle sue passioni (incredibilmente vicine alle mie). Stacca una infiorescenza di lavanda.
"Tieni"
La annuso. Lupa non mi crederà mai.
Sembra più giovane di me, ora che la guardo bene. Ma i suoi occhi sono più stanchi dei miei.
"Scusami, devo prelevare dei dati e fare delle foto prima di andare via"
Ma andare dove? Quella porta sembrava non andare più da nessuna parte.

"Certo, fa' pure. La tua storia ha dell'incredibile. Probabilmente tra poco mi sveglierò con Maya tra le braccia. Sai, la sua lingua ruvida è fastidiosa, ma non potrei stare senza lei addosso ogni notte. Oh, Maya è una delle mie due gatte"

Annuisco.

La guardo.
Ma davvero ho quegli occhi?
Dopo le prime somiglianze, ora noto solo le differenze. Sembra spaesata, sembra non sapere quale sia il suo posto nel mondo.
"Davvero non hai figli?
Sgrana quegli occhi così grandi che non sembrano davvero i miei "Ma che, scherzi?"

Lupa ne sarebbe colpita. Un modello.
Probabilmente niente carriera, colorata e vivace, dall'animo un po' triste e apparentemente, ma solo apparentemente, selvatico.

"Possiamo farci una foto insieme?"
"Certo"
Sistema i suoi capelli colorati.
Estraggo la mia mirrorless dallo zainetto lasciato come equipaggiamento. Sorride ma non saprò mai perché.
Veniamo distratte in fretta da qualcosa vista con la coda dell'occhio. Un movimento irregolare nell'aria e l'immobilità su un tronco. La bellezza e la perfezione di un essere incredibile.
Una falena. Quella falena.

"Mimas tiliae" esclamiamo in coro.

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